Cari amici assieme agli auguri, lo zerbino di Berlusca vi propina anche l’inevitabile pensierino di fine anno. Che anno è stato questo 2009? Di sicuro non è stato un altro 1929: nel senso che la crisi ha certamente investito decine di migliaia di persone anche nel nostro Veneto, ma non è stata quella crisi epocale e finale che molti preconizzavano (e speravano fosse).
Capisco la delusione di chi, alla Di Pietro, considera Berlusconi un diavolo, cioè l’incarnazione assoluta del male, ma il nostro Paese – pur avendo il peggior governo e il più nefando presidente del consiglio della sua storia – sta uscendone meno male della Spagna e perfino della Germania. Sarà merito di chi a torso nudo ara le coline del Molise, comunque è così. E la stessa crisi mondiale non è lontanamente paragonabile a quella del ’29.
La cosa curiosa è, appunto, che molti nella sinistra radicale e nel sindacato sotto sotto facevano il tifo per la crisi, si auguravano e aspettavano fosse devastante come il passaggio di Attila. Ed il motivo è semplice: costoro, magari inconsciamente, sono ancora in attesa che si avveri la profezia di Marx sulla inevitabile fine del capitalismo. Ed infatti gioivano per i guasti prodotti dalla deregulation del mercato finanziario; senza capire che la causa principale del guasto sono le troppe pecore che – sua sponte – si offrivano alla tosatura convinte di far soldi con i soldi e con i debiti, e non con il lavoro e l’intraprendere.
I nipotini di Marx già vagheggiavano l’imposizione salvifica dello statalismo a tempo pieno e in ogni settore: dal mondo del credito alla programmazione economica dei nuovi modelli produttivi. Come se uno stuolo di burocrati potesse avere l’inventiva di solo imprenditore; come se la crescita economica (in tutte le epoche) assieme ad alcun regole, che certamente ci vogliono, non richiedesse anche una forte dose di anarchia, di volontà e coraggio nell’affrontare il rischio in vista di grossi guadagni che soli possono garantire una ridistribuzione della ricchezza.
Faccio un unico esempio. Non c’è dubbio che usciremo diversi da questa crisi; non c’è dubbio che non potrà più essere l’edilizia il volano della ripresa, perchè abbiamo tante di quelle case sfitte ed invendute che ci vorrebbe una rottamazione abitative…Ma è altrettanto chiaro che non sarà lo Stato con i suoi burocrati ad individuare le nuove produzioni e le nuove fonti di ricchezza.
Lo stato, la burocrazia, dovrebbe fare esattamente quello che non fa: cioè favorire chi ha cuore e capacità di intraprendere, semplificandogli le procedure, agevolandolo fiscalmente; e non riempendolo invece di lacci e di balzelli. Da noi la ripresa rischia di essere più lenta proprio per queste scorie stataliste che la ostacoleranno. Ma ci sarà comunque con l’anno nuovo. E intanto, con buona pace dei nipotini di Marx, il 2009 non è stato un ’29.
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