Roberto Formigoni: “Sono stufo di vedere l’istruzione italiana agli ultimi posti di tutte le classifiche europee”. Dire stufo è poco. E’ una sciagura, soprattutto per i nostri figli che la frequentano e che sulla scuola costruiscono il loro futuro economico-lavorativo. Ma, se la nostra scuola è agli ultimi posti, dipende (anche) dal fatto che abbiano in cattedra troppi asini; non che abbiamo in cattedra troppi meridionali.
Non mi sembra dunque fondamentale introdurre il reclutamento degli insegnanti su base regionale, come ha prospettato la Gelmini accogliendo una precisa richiesta della Lega. Fondamentale è invece riuscire a mettere in cattedra docenti migliori, più preparati e più motivati. Quindi bisogna pagarli meglio e selezionarli in base ai loro meriti.
Oggi abbiamo troppi asini perchè l’insegnamento è diventata l’ultima spiaggia occupazionale per i laureati senza arte né parte. Ultima spiaggia anche sotto il profilo retributivo. Quindi chi si laurea in legge e non riesce a fare l’avvocato, chi in economia e non esercita come commercialista, chi in farmacia senza avercela di proprietà, si accontenta dello stipendiuccio da sopravvivenza economica che la scuola pubblica garantisce ad un esercito di disoccupati mancati. Svolgendo così più una funzione di assistenza sociale che di alfabetizzazione.
Queste sono le linea generali di una tendenza che poi, per fortuna, vede ancora una quota di insegnati veri: persone cioè che hanno scelto questa professione per vocazione, non ostante gli stipendi miseri e il degrado ambientale crescente.
C’è un’esigenza di giustizia territoriale. In base alla quale ogni regione (ogni entità federale) ha diritto di garantire ai propri residenti la quota di posti pubblici, senza vederli regolarmente occupati dai residenti in altri territori. Ma questa regola deve fare eccezione proprio nella pubblica istruzione che, avendo una funzione strategica fondamentale per il futuro dei nostri figli, non può accontentarsi di sostituire gli asini meridionali con gli asini veneti.
Bisogna avere insegnanti più validi e qualificati, sull’esempio delle grandi università anglosassoni (e non solo) che non guardano alla nazionalità dei docenti (possono perfino essere italiani…) ma al loro curriculum. Un tempo si esigevano le referenze anche per assumere una cameriera. Dopo invece abbiamo immesso nella scuola un fiume di docenti a scatola chiusa, cioè sulla base di astratte graduatorie burocratiche.
L’alternativa è il merito. Un criterio adottabile solo se si può agire sia in entrata che in uscita: cioè assumendo i più idonei (e pagandoli adeguatamente), ma anche lasciando a casa chi, dopo un periodo di prova, si è dimostrato inadatto all’insegnamento. Decisione che dovrebbe assumere il consiglio di amministrazione dei vari istituti scolastici (sia pubblici che privati ) dove possono sedere i rappresentati delle singole comunità che abbiano compreso e sottoscritto un principio basilare: la scuola migliore, quella che serve, è la scuola che fa studiare di più e boccia di più; mentre al scuola che promuove tutti e non da compiti per casa è inutile frequentarla.
Temo che non ci arriveremo mai. Di certo non ci muoviamo in questa direzione sostituendo in cattedra agli asini del Sud quelli del Nord.
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