Osserva il Corriere della sera che la mente del governo Letta, come quella di tutti i governi, quando di tratta di tagliare la spesa pubblica “sembra rattrappirsi”. Diventa invece fantasiosa e creativa quando si tratta di inventare nuove imposte o di coniare nuovi nomi a vecchie imposte rivedute e corrette (al rialzo).
Così adesso l’inarrestabile creatività fiscale ci sforna tre nomi inediti: la Trise che comprende la vecchia Tares (imposta sui rifiuti) e la nuova Tasi ( già Imu) destinata a coprire la spesa per i servizi comunali.
Il nome di quest’ultima sembrava fosse Service tax. Nome forse troppo anglosassone o, forse, troppo comprensibile. Quindi è stata subito ribattezzata Tasi. Una sigla all’apparenza anomina, un perfetto acronimo nel miglior stile burocratico.
Ma i burocrati dei dicasteri romani ignorano il veneto, che magari non sarà lingua e solo dialetto, e che tuttavia tutti parlano e capiscono nella nostra regione. Il rischio è così che il meccanismo fiscale divenga fin troppo esplicito: tasi…e paga, cojon!
Il rischio è che qualcuno, o più d’uno, cominci a chiedersi fino a quando dobbiamo continuare a pagare e tacere. Anche quando la pressione fiscale italiana avrà superato quella svedese e la qualità dei servizi erogati competerà con il Togo?
In alternativa potremmo sempre chiedere a Mario Balotelli di diventare l’emblema – oltre che della lotta al razzismo e alla camorra – anche della battaglia contro l’oppressione fiscale. E’ già pronta la maglia da fargli indossare con la scritta: “le tasse ci fanno neri!”
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