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VOGLIO UN SINDACO CHE TAGLI…

 


Voglio un sindaco che tagli, che si impegni a diminuire il biancio del suo comune a ridurre il numero dei dipendenti.

Non mi interessa nessun altro punto del suo programma perchè, con le migliori intenzioni del mondo, sono solo programmi di spese aggiuntive: assumere vigili urbani per rendere la città più sicura (ma non abbiamo già stuoli di poliziotti e carabinieri?), costruire piste ciclabili (dove passano tre ciclisti al giorno), nuove rotonde per fluidificare il traffico (ormai ne abbiamo anche in giardino di rotonde), centri sociali per anziani nei quartieri (mancano forse i bar per chi vuole socializzare?), nuovi asili a go go (affidiamo i bimbi ai nonni, che così “socializzano” con i nipoti). Spese, spese, spese. Ragionano tutti così: amminstratori di sinistra, di destra, delle Lega. Voglio un sindaco che tagli, altrimenti non lo voto.Voglio un presidente di provincia, di regione, del consiglio soprattutto, che tagli. Altrimenti…Col che è chiaro che non andrò più a votare, perchè non ne trovi uno che si impegni a tagliare. Ma tutti noi cittadini dovremmo essere categorici: o tagli o non ti voto più. Perchè di questo passo c’è solo la bancarotta. Come ha scritto Vittorio Feltri, abbiamo tanti problemi tutti seri: l’immigrazione, la crisi economica, il cambio lira-euro, le mafie. Ma il problema più grave di tutti è il dilagare senza argini degli apparati e della spesa pubblica. Senza argini e senza inversioni di tendenza qualunque sia il colore dei governi. Di questo passo si va alla bancarotta: non solo della Sicilia o di Catania, ma anche del Lazio, della regione e dei comuni veneti, dell’intero Paese.

E non è solo una questione di costi e pressione fiscale insostenibili. Insostenibili anche in un Paese dove tutti pagano le tasse, figuriamoci dove le pagano solo la metà dei cittadini come nel nostro. Ma c’è, più grave ancora del dato economico, quello culturale: questa spesa pubblica senza limiti e confini ci corrompe, ci intossica, ci snatura. Se mai andasse in porto il federalismo fiscale, che significa destinare meno risorse al Sud e più risorse al Nord, avrebbe un unico effetto sicuro: i meridionali sarebbero costretti ad essere meno “terroni” e noi settentrionali saremmo indotti a diventare più “terroni”: cioè a far conto sulle risorse, sugli investimenti, sui posti di lavoro pubblici. Snaturati su quella che è (era) la nostra caratteristica migliore.

L’altro giorno, a Radio anch’io, quello sciagurato di sindaco di Castelvolturno sosteneva che i poliziotti e l’esercito non bastano. Ci vogliono – ripeteva – massicci finanziamenti pubblici, dello Stato, perchè non bastano le poche risorse del suo comune per togliere dal degrado il litorale Domizio. Lo ascoltavo e pensavo al Veneto che, quando sono nato negli anni Cinquanta, era tutto un degrado, tutto una miseria capillare. E come ne è uscito quel Veneto? Forse con i massicci investimenti statali o con i bilanci dei suoi comuni (che erano un decimo dei bilanci attuali)? Come sappiamo ne è uscito solo grazie al lavoro dei veneti che si sono rimboccati le maniche ( senza sprecare energie nei lamenti) e hanno costruito un tenore di vita più che decoroso. Il tutto restando liberi, dal servaggio al potere politico e belli cioè in grado di guardarsi allo specchio senza vergognarsi.

Se vogliamo restare così, quelli che ancora (abbastanza) siamo, dobbiamo votare solo amministratori locali e nazionali che taglino. Altrimenti corromperanno anche noi a furia di spesa e posti pubblici.


 

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