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ANALISI FINALE

Eccomi qua. Ho pensato tanto. Mi sono confrontata altrettanto. Ho ascoltato. Tutti. Dal presidente Giuseppe Bergamin (che si è presentato in sala stampa sorridendo, ma di certo solo per nascondere bene la propria enorme delusione), all’amministratore delegato Roberto Bonetto (che invece si è lasciato andare mostrando occhi lucidi e difficoltà nell’esprimere le proprie sensazioni) al direttore generale Giorgio Zamuner che ieri sera ho avuto in trasmissione a Telenuovo (e lo ringrazio per averci messo la faccia) finendo poi con l’allenatore Oscar Brevi con il suo perentorio “abbiamo adottato in campo un atteggiamento non consono ad un playoff”.

Alla fine, tirando le fila, credo che le responsabilità siano di tutti. Anche nostre. Mie. Al pari dei dirigenti, infatti, non abbiamo capito (o forse non abbiamo voluto capire) che il filotto di sconfitte di aprile non era un semplice momento no. Non era un rilassamento dovuto al fatto che il primo posto era volato via. Non era un tirare i remi in barca inconscio e involontario legato al fatto che i playoff tanto si potevano affrontare anche arrivando terzi, quarti o quinti. La sfida persa indecorosamente contro l’AlbinoLeffe, con annessa uscita di scena dagli spareggi al turno preliminare, ha messo davanti ai tifosi una verità purtroppo molto diversa: il Padova, semplicemente, non ne aveva più. Sia fisicamente (e si è rivelata a questo punto scellerata anche la scelta di giocare alle 14.30, vista la preparazione atletica quantomeno “monca” come ha detto giustamente ieri sera Angelo Montrone) che mentalmente (Zamuner lo ha negato fino alla fine, ma secondo me qualche crepa in spogliatoio si è creata, sia tra giocatori e allenatore sia tra qualche giocatore. Prova ne è la discussione accesa sotto la Fattori tra Bindi e Dettori qualche partita fa… scena che mi è tornata in mente stanotte e che ho rivissuto come un film più e più volte).

Chi ha sbagliato a fare cosa? Anche in questo caso la risposta è tutti. In primis l’allenatore Oscar Brevi, ma non solo lui. Brevi, che va sottolineato più volte da ottobre a marzo ha realizzato il filotto di risultati utili più importante del girone, è entrato in un loop mentale che lo ha portato, nel giro di poche settimane, a sbagliare tutto quello che poteva sbagliare: dall’esclusione di De Risio e Dettori a Salò nella prima della serie di sconfitte di aprile, al rientro affrettato di Neto Pereira, con annessa ricaduta nell’infortunio contro il Parma, passando per la decisione di isolare la squadra dalla città con gli allenamenti a porte chiuse (seguiti da partite in cui in campo ha fatto vedere le stesse cose di quando la squadra si allenava a porte aperte) e per la decisione di far disputare la prima delle partite più importanti alle 14.30, nell’orario più caldo della giornata. Decisione, quest’ultima, che oltre a mettere in difficoltà la squadra (la cui media di età è abbastanza elevata) ha messo i bastoni tra le ruote anche ai tifosi. Non a tutti: lo zoccolo duro dei 3.000 ha risposto presente come sempre, ma magari ad un’ora più tarda questo numero (basso per una partita di playoff siamo d’accordo) poteva diventare un po’ più consistente. Per quanto, purtroppo, va detto anche questo con la massima onestà intellettuale, molto pubblico abbia deciso di fare altro perché ha ritenuto che la partita fosse solo una formalità, prendendola decisamente sottogamba, e che la vittoria fosse assicurata. Era da Lucca in poi che la faccenda playoff, secondo molti, si faceva seria e meritava di essere seguita. E invece, a Lucca, ci andrà l’AlbinoLeffe.

Sarebbe però ingiusto riversare tutta la frustrazione per questa sconfitta inaspettata solo sull’allenatore. Se quest’ultimo ha perso lucidità dopo essere riuscito, ad ottobre, a salvare la panchina in un momento altrettanto difficile, forse andava aiutato di più. Da Zamuner innanzitutto. Che forse non gli è stato abbastanza vicino. Che poteva affiancarlo di più in spogliatoio nel confronto con la squadra. Che poteva permettersi di più di vestire i panni del consigliere, visto anche l’ottimo rapporto personale che esiste tra i due. Anche la società poteva metterci una pezza più solida: è stata due volte sul punto di esonerarlo Brevi. Se due volte ha deciso di salvarlo, doveva proteggerlo di più. O dargli una scrollata più decisa per aiutarlo a uscire dal suo momento no.

Questo è quanto mi sento di dire. Bergamin e Bonetto si trovano ora davanti alle decisioni più difficili. Innanzitutto devono capire come andare avanti insieme poi devono rendersi conto se oltre a quella di Brevi, a fine contratto, dovrà saltare qualche altra testa. In squadra ci sono diversi giocatori che hanno già il contratto per l’anno prossimo e dunque non dovrebbe esserci uno stravolgimento della rosa, come qualcuno teme. Certo bisognerà ripartire tenendo conto innanzitutto di una cosa: che c’è bisogno di ricucire con la tifoseria e la città. C’è bisogno di ricreare entusiasmo. Voglia di andare allo stadio. Desiderio di sentirsi partecipi del progetto. E questo obiettivo si raggiunge solo se si mettono le persone giuste al posto giusto. Sia professionalmente che umanamente. Non vedo altra strada possibile.

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