Nove punti in cinque partite. Niente male per un allenatore esordiente in serie B, che ha preso in mano la squadra in un momento in cui le riusciva difficile fare anche solo due elementari passaggi di fila. Sono sempre più convinta che ad Alessandro Dal Canto vada data una possibilità a fine stagione per come sta dimostrando di saper gestire il gruppo, emotivamente e calcisticamente.
Non è su questo però che voglio concentrare i miei discorsi in questo post: da persona che agisce sempre e in ogni ambito della sua vita sotto l’impulso del cuore e della passionalità, sento oggi il desiderio di spendere due parole per un giocatore che stimo molto fin dall’estate del 2007, da quando cioè ha messo piede per la prima volta a Padova. Sì, è proprio lui: Andrea Rabito.
Quando ha esordito con la maglia del Padova quattro anni fa, ho subito pensato che era uno dei giocatori tecnicamente più forti che avevo mai visto transitare da queste parti. Poteva giocare indifferentemente a destra e a sinistra dell’attacco, tirava indifferentemente le punizioni di destro e di sinistro, a seconda che volesse privilegiare la potenza o l’imprevedibilità della traiettoria. Crossava di destro e di sinistro, correva, saltava l’uomo con facilità sulla fascia. Il suo destro poi era vellutato: prova ne è il fantastico gol che ha realizzato l’anno scorso all’Euganeo col Mantova mettendo da 25 metri il pallone sotto l’incrocio dei pali. Di reti peraltro ne ha realizzate parecchie: con quella di oggi fanno 26, in quattro campionati. E non stiamo parlando di una punta, bensì di un esterno d’attacco che, proprio per tornare ancora più utile alla causa del Padova, ha imparato nel tempo a fare anche il trequartista. Andrea è poi sempre stato un ragazzo a modo, sensibile, perfino troppo se è vero che l’unica volta che ci ho litigato e di brutto al telefono tre anni fa è stato perché si è sentito attaccato ingiustamente da me in un giudizio negativo che avevo espresso forse con eccessiva foga su di lui. Litigio che poi si è concluso, come sempre avviene quando discuti con una persona intelligente, con un chiarimento che ha fatto capire ad entrambi che l’altro era in una posizione di assoluta buonafede.
Andrea ha poi saputo negli anni capire la piazza, cosa fondamentale per fare bene a Padova: magari ha sofferto per qualche critica, proprio perché, come dicevo prima, è molto sensibile, ma ha imparato a fare buon viso, a buttarsi sempre tutto dietro le spalle, insomma da questo punto di vista ha saputo evolversi in positivo. Sempre per via che è una persona intelligente.
Purtroppo per lui quest’anno è stato chiuso sia dall’arrivo di giocatori di grande talento (Di Gennaro ed El Shaarawy) sia dall’utilizzo esclusivo da parte di Alessandro Calori del modulo 4-3-1-2. Non ha però mai fatto polemica: si è sempre allenato con costanza e non ha mai fatto mancare il suo apporto di positività al gruppo.
Tutto quello che ha comunque fatto, pur sapendo che il sabato sarebbe andato in tribuna o, alla meno peggio, in panchina, si è rivelato un bagaglio preziosissimo quando, con l’avvento di Dal Canto e il passaggio al 4-3-3, c’è stato improvvisamente di nuovo bisogno di lui. "Rabito è un giocatore che tengo in grande considerazione – sono state le prime parole di Dal Canto dopo l’insediamento – fin dai primi giorni in cui ho iniziato ad allenare si è letteralmente spaccato la schiena per darmi una mano". Servono altre parole? No, penso proprio di no.
Ecco, per concludere, credo che Andrea Rabito sia un giocatore da portare ad esempio: gli anni passano e magari le sue immense qualità possono non essere più tutte così spiccate come nel 2007, ma il grande cuore, quello sì, in lui è sempre lo stesso, è rimasto intatto. Nel mondo del pallone ci sono gli attori protagonisti e i coprotagonisti. Ci sono quelli che fanno calcio champagne e quelli che semplicemente fanno i gregari e portano l’acqua. Ci sono quelli che giocano 90 minuti e quelli che si devono accontentare di 5. Ma si può essere tutti utili alla causa. Senza musi e senza creare problemi.
Sotto questo punto di vista Di Nardo è stato una piccola delusione, anche se capisco il suo stato d’animo. Roger invece è stato un grande. E il gol di oggi a Frosinone è la ciliegina su una torta che meritava di tornare a mangiare. Insieme ai compagni che sono corsi ad abbracciarlo e ai tifosi che non hanno mai smesso di incitarlo e di volergli un gran bene per l’attaccamento alla maglia. Grazie Andrea, bella lezione!
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