Ieri non sono riuscita a trovare le parole. Ci ho provato, ma proprio non ci sono riuscita. Perché di fronte a certe tragedie non ce ne sono. E quelle poche che si riescono a pronunciare rischiano di diventare pura retorica, anche se sono dette con il cuore in mano.
Però Alessandro Ferronato, che ha vestito, anzi di più, onorato la maglia del Padova dal 2000 al 2003 regalando ai tifosi tanti gol e tanto attaccamento alla piazza, merita in questo momento di grandissimo dolore per la perdita della moglie Marta, di sentire tutto l’affetto di chi ha avuto la gioia di apprezzarlo come atleta, come professionista e soprattutto come uomo.
Se volete lasciare qui un messaggio per lui, un saluto, un abbraccio, questo è lo spazio che ho deciso di dedicargli. Penso che fargli sentire tutto il nostro affetto sia l’unica cosa che possiamo fare per cercare di dargli forza in cui momento in cui ne deve trovare tantissima per superare il dramma e stare vicino ai suoi figli.
L’espressione "tanta roba!" me l’ha simpaticamente attaccata Gianluca Di Marzio nella purtroppo breve esperienza che abbiamo condiviso a Telenuovo (purtroppo ovviamente per me che avrei tanto voluto rubargli ancora più segreti del mestiere… Buon per lui che invece nel 2004 è volato a Sky!). E’ un’espressione che mi piace molto e che uso spesso perché in due sole parole esprime un efficace concetto di abbondanza. Della serie: è andata di lusso!
Ora, non è proprio andata di lusso oggi al Padova che ha beccato il pareggio sul più bello che aveva fatto il grande sforzo di riportarsi avanti dopo il pari di Cacia e, peggio ancora, l’espulsione di Legati. Però, c’è di buono che, appunto, dopo aver subito un rigore e un’espulsione contro, la squadra di Calori non si è sfilacciata. Ha accusato il colpo certo e ha rischiato di andare sotto, ma si è ripresa immediatamente continuando a macinare gioco e a non perdere metri. E’ rimasta compatta non mostrandosi nè impaurita nella fase difensiva, nè troppo smaniosa in quella offensiva.
E’ proprio questo l’obiettivo cui sta puntando mister Calori: la creazione di un gruppo unito, forte psicologicamente che sa capire quando è ora di spingere e quando è ora di alzare le braccia e unirsi in un’unica grande difesa. Certo, rimane il rammarico di aver assaporato fino all’ultimo la prima vittoria fuori casa, ma rimane anche il fatto che un punto a Piacenza è tanta, tantissima roba.
L’unico appunto che mi sento di fare oggi, già scritto anche nelle pagelle, riguarda la scelta di Calori di affidarsi ai giovani. E’ bellissimo e ci piace tanto che abbia il coraggio di puntare su ragazzi del 1988, del 1991 addirittura del 1992. Ma forse nel finale, quando era ora di tenere la palla o sparacchiarla il più lontano possibile nelle situazioni più pericolose, c’era bisogno anche dell’esperienza dei più "scafati". Dei più "vecchi", calcisticamente parlando ovviamente. Un appunto che comunque resta piccolo di fronte ad un prezioso pari portato a casa da un campo difficile.
Alzi la mano chi, alla vigilia di questa partita, non ha detto: "AlbinoLeffe, squadra ostica. Il Padova contro queste squadre fa fatica, perché si chiudono, ripartono, non lasciano spazio e tengono basso il ritmo per addormentare la partita".
Tutti, io compresa, questo pensiero lo abbiamo fatto. Perché la storia recente del Padova è piena di gare perse nell’unico episodio contro o pareggiate in maniera scialba contro formazioni tipo l’AlbinoLeffe di oggi. E invece ecco il Padova come mai l’avevamo visto in questi ultimi anni: cinico e spietato. Certo, va aggiunto, a tratti anche un po’ lezioso e troppo attaccato al pallone, ma questi sono aspetti che sono migliorabilissimi e siamo solo alla sesta giornata.
Dico la verità, già ieri, tornando in auto da Bresseo, mi ero un po’ rincuorata. Dopo aver guardato negli occhi e ascoltato Alessandro Calori nella sua intervista pre rifinitura, mi ero convinta che avesse trovato la strada giusta per venirne a capo. E così è stato. L’allenatore è infatti riuscito a trasmettere perfettamente il suo credo. E’ riuscito a far capire ai ragazzi che, per domare l’AlbinoLeffe, non ci volevano inutili arrembaggi e dispersioni di energia. Ci volevano piuttosto scaltrezza, furbizia e la consapevolezza di potercela fare in qualunque momento. Anche al novantesimo. Senza fretta, senza frenesia, senza panico.
Giudico dunque Padova-AlbinoLeffe un’altra partita che se ne va in archivio regalandoci la coscienza di avere davvero un’arma in più in panchina: un allenatore che, oltre ad avere 300 partite da capitano in serie A, sa umanamente arrivare dritto al cuore e alla testa dei suoi giocatori. Non è cosa da poco, anche se per sognare qualcosa di grande è ancora presto ed è meglio continuare a tenere i piedi per terra.
Mi ricordo che una delle prime volte in cui il "Mattino di Padova" mi mandò a seguire una partita di calcio dilettanti negli anni Novanta (allora ero una collaboratrice in erba che si barcamenava tra la Prima e la Seconda categoria, se mi davano da fare una squadra in Promozione già era tantissima roba!) capitai nel casalingo campo della Victor di Chiesanuova (la mia parrocchia) che aveva (e tutt’ora ha, anche se non viene più usato per partite ufficiali) il terreno di gioco dietro la chiesa. Era caduta tanta di quella pioggia in quei giorni a Padova che il direttore di gara, dopo aver fatto il giro di campo di rito, non fece nemmeno cambiare i giocatori. Disse a tutti che potevano andare a casa perché lì proprio non si poteva giocare. Ricordo ancora la telefonata a Stefano Edel, allora responsabile della redazione sportiva: "A Chiesanuova non si gioca", gli dissi. E lui: "L’articolo che dovevi fare era l’apertura di pagina – mi rispose – e la pagina è ormai disegnata. Per cui mandami comunque 50 righe". Io scrissi allora un pezzo raccontando che per Chiesanuova quello del campo era veramente un problema, perché non essendo mai al sole (la chiesa davanti gli faceva sempre ombra!) non si asciugava e non vi ricresceva l’erba nemmeno dopo tanti giorni che aveva smesso di piovere. Intervistai il presidente e il capitano di allora e mandai le 50 righe.
Risultato: il giorno dopo uscì un bel pezzone con tanto di foto del campo infangato, con un titolo bellissimo che tutt’ora ho stampato in mente: "GLI IMPANTANATI DI CHIESANUOVA". Venne insomma dato al mio "pezzo denuncia" un bel risalto.
A distanza di quasi vent’anni da allora, mi vien da sorridere. Perché al giorno d’oggi bisogna che scenda Bin Laden in un campo di calcio per far sì che una partita non si giochi. E questo principalmente a causa dell’universo mondo delle pay tv. Quindi chi se ne frega se la palla è una scheggia impazzita che impedisce a chiunque di governarla: bisogna giocare e si gioca, anche con le pozzanghere che arrivano a metà polpaccio.
MI rendo conto che la mia è, ora come ora, una polemica fuori tempo massimo: ormai quello dei campi al limite della praticabilità è un problema che nemmeno più i tifosi sentono come tale. Però la premessa l’ho fatta per sottolineare con ancora più veemenza che, a campo asciutto, Triestina-Padova sarebbe finita con un tanto a poco. Anzi: con un poco a tanto. In condizioni meteorologiche e di campo normali, i biancoscudati, ne sono convinta, si sarebbero imposti e anche nettamente. E il piccolo Faraone, Stephan El Shaarawy, non sarebbe incappato nella brutta giornata in cui invece si è imbattuto.
E’ andata così e pazienza, ma proprio per i motivi di cui sopra considero il punto preso a Trieste un buon punto. Portato a casa da una squadra che comunque non ha mai mollato, che ha preso due pali e fino all’ultimo secondo ha provato a vincere.
Certo, proprio perché di campi come era oggi quello di Trieste a causa della pioggia è piena l’Italia (ce ne sono alcuni che sono così addirittura senza che sia scesa nemmeno una goccia di pioggia!) bisognerà trovare delle alternative alla palla a terra e il compito di Calori dovrà proprio essere quello di rendere i suoi giocatori "duttili" anche sotto questo profilo. Ma sono fiduciosa: sia perché, ribadisco, credo molto nelle capacità di Calori, sia perché sta per rientrare un certo Vincenzo Italiano dall’infortunio, sì quello che i lanci lunghi li mette al millimetro sul piede o sulla testa dei suoi attaccanti…
Appena tornata dalla pizza con voi tifosi del blog.
Eravamo in tanti ed eterogenei, ovvero di diverse età ed esperienze. C’erano giovani, meno giovani, padri, madri, bambini, tifosi di una volta e tifosi di ultimissima generazione. Dico la verità, temevo che magari si creasse qualche vuoto di comunicazione, qualche silenzio di troppo, visto che fino a prima di vedersi stasera la maggior parte di noi si conosceva solo via internet, invece la passione di ognuno per il Padova è stata il prezioso e genuino collante della serata che, secondo me, è stata bellissima.
Vi ringrazio di cuore per la spontaneità e l’allegria che tutti ci avete messo. Se a fine anno ci sarà qualcosa di importante da festeggiare (come vedete, la prendo alla larga…) faremo un’altra cena. Promesso!
Un abbraccio, un grazie speciale a tutti e… FORZA PADOVA! A Trieste vogliamo un’altra partita memorabile!!!
Imperioso Stephan El Shaarawy, meraviglioso Davide Succi. Ancora una volta bravissimo e tempestivo anche Alessandro Calori a capire come chiudere la partita dopo averla portata sui binari della vittoria grazie al gol del Faraone: via Di Nardo, dentro Di Gennaro, trasformazione in corsa del modulo dal 4-3-1-2 al 4-3-2-1 con Di Gennaro ed El Shaarawy ad ispirare Succi. Ribadiamo quanto detto sull’allenatore: è bravissimo a leggere le partite in tempo reale e ieri sera ne ha data un’ulteriore dimostrazione. Ha sempre detto di volere una squadra duttile e i risultati di questa sua filosofia si cominciano a vedere.
Ciò che però più mi ha colpito di ieri sera non è il risultato roboante che non si vedeva da un sacco di tempo (l’ultima vittoria per 4-0 che ricordo è un Padova-Prato 4-0 del 2004 con tanto di primo gol tra i professionisti di Rej Volpato… Non mi viene in mente altro, ma dopo vado a spulciare negli almanacchi). Mi ha colpito la personalità della squadra, unita al mettersi a disposizione di tutti nei confronti di tutti. Emblematica la prima rete: è Succi che, spalle alla porta sulla trequarti, riceve palla, con la coda dell’occhio in una frazione di secondo vede lo scatto centrale di El Shaarawy e gliela dà subito in profondità tagliando in due la difesa amaranto.
E’ questo lo spirito giusto. I giovani devono mettere talento e voglia di imparare, i senatori esperienza, serenità e quella marcia in più nei momenti di difficoltà. E tutti devono ragionare come Calori: abbiamo vinto 4-0? Bene, da domani si pensa già alla prossima. Guai a montarsi la testa. Guai a pensare di aver già capito tutto. La strada è quella giusta, ma bisogna saperla percorrere fino in fondo mettendo giù un mattone alla volta.
Faccio un post apposta perché se no mi tocca andare a spulciare tra tutti i commenti delle varie discussioni per trovare le vostre adesioni. Così facciamo prima.
PIZZA DEL BLOG offerta da Martina Moscato: io avrei fissato la data di giovedì 16settembre alle 20,30 in ristorante/pizzeria da destinarsi (si può decidere anche all’ultimo momento, a seconda di quanti siamo).
Attendo qui le vostre adesioni in blocco, così le vedo tutte una di fila all’altra.
Avevo buonissime sensazioni alla vigilia di Modena-Padova.
Guardando la rosa dei "canarini", rimasti orfani dei loro due principali punti di forza dello scorso anno (Bruno e Catellani), mi ero convinta che potessimo davvero strappare il colpaccio. E invece no, ci ritroviamo di fronte ad un copione già visto e rivisto: il Padova che piglia un gol stupido nel suo momento migliore ed è incapace di alzare il ritmo di fronte ad un avversario che fa di tutto per addormentare la partita alzando le barricate.
E’ proprio questo il malanno che affligge il Padova da più tempo. E’ questo il limite su cui Calori deve lavorare più che su ogni altro. L’allenatore lo ha capito benissimo e gli riconosco il fatto che non può pretendere certe cose con Di Gennaro e Di Nardo all’esordio dopo un infortunio e Succi ancora non al top.
Siamo dunque disposti ad aspettare che le cose si mettano a posto, che Di Nardo torni la pulce imprevedibile che salta più in alto dei "marcantoni" che lo marcano, che Succi sia perennemente e non a tratti l’ariete che sa essere, che Portin ritorni dall’impegno con la nazionale finlandese e diventi il nuovo punto di riferimento della difesa. Ma, come ha detto giustamente la vicepresidente Barbara Carron, durante l’attesa non bisogna sedersi sugli alibi. Bisogna lavorare e anche sodo. Prima che sulle gambe, sulla testa.
Cominciano ad emergere i dettagli dell’affare su cui il direttore sportivo del Padova Rino Foschi ha lasciato un’abbondante dose di rabbia: quello con il Chievo per ingaggiare l’attaccante Marcos De Paula, sfumato mezz’ora prima della chiusura della finestra estiva del mercato.
Ieri il presidente del Padova Marcello Cestaro e lo stesso Rino Foschi sono stati a Bresseo e soprattutto il patron non ha avuto buone parole per il collega clivense, Luca Campedelli e il suo ds Giovanni Sartori : "Ci avevano promesso il giocatore e all’ultimo si sono tirati indietro – ha detto Cestaro – così non va bene, per me la parola data vale più di ogni altra cosa".
Tutto vero. Ma c’è un piccolo retroscena ancora da svelare, ovvero il motivo per cui il Chievo all’ultimo si è tenuto ben stretto De Paula. L’obiettivo di Sartori per rimpiazzare la partenza del brasiliano era Markus Rosemberg, attaccante svedese classe 1982 in forza da quattro stagioni al Werder Brema. L’accordo con la società tedesca era già raggiunto: Rosemberg, in gol contro la Sampdoria nei recenti preliminari di Champions League, doveva sbarcare a Verona in prestito. Proprio sul più bello che mancava solo la firma però il giocatore ha fatto marcia indietro e ha preferito la Spagna, scegliendo il Racing Santander.
A quel punto anche Sartori si è ritrovato spiazzato e non potendo rimanere con un attaccante in meno in rosa ha ritirato dal mercato De Paula, venendo per forza di cose meno alla parola data al Padova. Foschi ha cercato di rilanciare per portare ugualmente a compimento la trattativa offrendogli Soncin, ma il ds gialloblù ha ritenuto che il "Cobra" non valesse De Paula, chiudendola lì.
Questa è la storia. A questo punto non resta che attendere che Foschi peschi dal sacco degli svincolati il giusto rimpiazzo a De Paula. Se lo troverà bene se no io resto comunque dell’idea che il Padova ha un signor attacco anche ora.
Leandro Greco dalla Roma? No. Marcos De Paula dal Chievo? Nemmeno. Chi ti va ad estrarre dal cilindro nell’ultimissimo minuto di mercato il direttore sportivo del Padova Rino Foschi? Un difensore centrale con i contro fiocchi: JONAS PORTIN, un nazionale finlandese del 1986 che l’anno scorso ad Ascoli ha fatto non bene, di più.
Ecco la dimostrazione che il ds (e, insieme a lui, l’allenatore) ci ha visto benissimo. E ha capito perfettamente, dei tre reparti, qual era il più "ansiogeno", quello che richiedeva il colpo di coda più forte, il rinforzo più determinante: la difesa. In quanti mi avete scritto in questi mesi: "Ma il mister e il direttore non si accorgono che in difesa abbiamo dei problemi? Perché pensano solo all’attacco quando è dietro che barcolliamo?". Ebbene, sì, se ne sono accorti e hanno messo in atto le opportune contromisure, assicurandosi un giocatore che, in questa finestra estiva di mercato, cercavano anche diversi club di serie A.
Ora che la sofferenza dei vari "tira e molla" si è conclusa e abbiamo di fronte quella che, salvo qualche ritocco a gennaio, è la rosa definitiva del Padova mi sento di dire che abbiamo una squadra competitiva e che, se sapremo tenere i piedi per terra, davvero si potrà guadagnare quanto prima, a piccoli ma sicuri passi, la strada della salvezza.
Certo, se dopo la dipartita di Andrea Soncin verso Grosseto, fosse arrivato un altro attaccante (c’era appunto De Paula del Chievo nella lista ma all’ultimo la trattativa si è arenata, con tanto di "scazzo" e pugni sbattuti sul tavolo da parte di Foschi di fronte ai dirigenti clivensi!) sarebbe stato il ‘non plus ultra’ ma sinceramente penso che, lì davanti, non siamo messi affatto male: Succi, Di Nardo, Vantaggiato, Di Gennaro, El Shaarawy e mettiamoci anche Filippini e Rabito (che alla fine è rimasto!) sono nomi altisonanti per la serie B. Non sono in tanti a poterli vantare, per cui avanti col Modena che ora viene il bello!
Martina Moscato
Martina Moscato è nata a Padova il 29 ottobre del 1974, il giorno prima del grande Maradona, ma con i piedi assai più scarsi. E’ papà Paolo ad attaccarle la passione per il calcio (mamma Loretta invece, eccezionale in tutto il resto, deve ancora capire cos’è il fuorigioco), portandola ad assistere alle partite della Victor, squadra di Seconda categoria di cui è dirigente.