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HIKIKOMORI

Ho preso in prestito il termine hikikomori, che in realtà connota da tempo una malattia sociale giovanile prevalentemente giapponese, per affrontare invece il tema della SOLITUDINE e dell’ISOLAMENTO in coloro che stanno per superare, o lo hanno già fatto, la soglia dei settant’anni.

Credo di avere buon titolo per farlo, e come capita spesso, non posso che partire dalla mia esperienza.

Piaccia o meno questo Blog è così, sebbene io possa avere elementi di studio e di conoscenza appresa da ottimi maestri per parlarne come fenomeno puramente sociologico.

Ho cominciato a rifletterci quando, da 5/6 anni a questa parte, più di un amico, dopo miei lunghi silenzi, si faceva sentirte con un “come stai” telefonico o facendosi “casualmente” trovare vicino a casa mia per vedere se era possibile “bere un bicchiere” (dio come suona male in italiano).

Solo dopo un bel po’di tempo ebbi l’impressione che la loro fosse una lodevole preoccupazione, magari temendo che fossi caduto in una delle varie forme di depressione senile.

In realtà fu l’esigenza di isolarmi prendendo le distanze da un’esistenza che per quasi mezzo secolo era stata PUBBLICA (prima la Politica, poi il sindacato, poi la grande azienda e poi… un po’di clownerie calcistico-televisiva col suo strascico pubblico stadiesco).

Una vita molto intensa, la mia, sempre pensata satura di soddisfazioni fino a quando, non so nè l’evento, nè il periodo, mi assalì un dubbio e un desiderio, non eludibile, di autentica ed onesta rivisitazione di tutto.

Dall’essere stato figlio ingrato rispetto all’amore ricevuto, credente, studente, marito, non credente però riflessivo, amante fedifrago impenitente, professionista e… amico.

Per fare seriamente una rivisitazione/revisione di una cifra di eventi come questi, era necessario starsene in disparte, isolarsi in compagnia (ottimo ossimoro) di vecchie colpe non subito comprese, di errori vissuti come parziali successi, di alcuni amori e sentimenti offerti come dono (?!?!) che in realtà, oggi lo so, hanno creato anche molta sofferenza.

Intendiamoci al meglio possibile, chi intendesse fare un’operazione simile, NON la fa sulle cose palesemente riuscite, ma deve avere testa, cuore e cojoni, adeguati per riflettere su TUTTO il resto.

E se qualcuno dovesse domandarsi il perchè di una operazione di questo genere, risponderei serenamente: è una cosa spesso dolente, talora anche molto, ma mi auguro, anzi lo credo, che al termine (perchè c’è un termine conosciuto?) di un percorso come questo avrò dato un minimo, ma proprio un minimo, di senso cosciente del mio passaggio in queste lande.

Inoltre c’è anche un portato, chiamala conseguenza o effetto, collaterale: si cominciano a capire cose e comportamenti altrui che erano in ombra, e lo stesso vale per film, canzoni, libri, biografie, storie.

Dove TU non sei più il parametro di tutto, ma hai gli strumenti per capire (e mai e poi mai, “a tua insaputa”).

Poi c’è Leopardi.

E pure Manzoni.

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