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“ARTURO DOVE CAZZO VAI?!”

E’ l’esclamazione, con tono pacato e leggermente irridente, di Antonio Conte ad Arturo Vidal durante Inter – Atalanta.

L’Arturo aveva fatto una pirlata travestita da “gesto tecnico”(colpo di tacco sbagliato).

Mi ha strappato un leggero sorriso.

Con un’età diversa e in un periodo molto diverso, con alcuni “amici miei”, l’avremmo probabilmente trasformata in un tormentone di autoricoscimento  simile al “daccene Briegel!”, nato sugli spalti durante quel Verona 3 Napoli 1 e usato fino a una quindicina d’anni fa.

Quando  sentivo quell’espressione durante una partita di tennis, di calcetto o calcio amatoriale, capivo che c’era qualcuno della mia “groove armada”(5/6) che si stava divertendo.

Naturalmente “daccene” non significa spartisci con noi ma daghéne.

Come si dice oggi?

Meme?

12 commenti - 2.518 visite Commenta

relax

Perchè chiami “groove armada” gli “amici tuoi” quando “groove” significa scanalatura?
Imoltre non ho compreso bene come si sia originato quel “daccene”.

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do minus gazza

Questo non è un Topic serio, chiamiamolo di transizione e verso cosa non lo so proprio.
Quindi il tuo nick “rilassante” ci sta giusto bene.
Per quanto riguarda il “groove”, da modestissimo autodidatta, ricordo che durante una conversazione con un madrelingua inglese che è la più difficile perchè con la ritmica e la “musicalità” originali risulta molto difficile comprenderla, di converso conversare in inglese con un non madrelingua è molto più facile perchè commette gli stessi errori di pronuncia tuoi, mi disse che “groove” poteva significare anche divertisi, ma probabilmente era una forma di “slang”.
Me la portai via così.

“Daccene” ha un’origine semplice e simpatica.
Gli “amici miei” parlavano prevalentemente in Italiano.
Un nostro vicino di posto da un paio d’anni amava commentare le varie situazioni di gioco e si sforzava di farlo in Italiano perchè la sua lingua d’ordinanza era il dialetto.
Durante quella mitica prima partita del 1984, entusiasmato, come tutti noi, dalla partita del “boscaiolo” del Palatinato, se ne uscì a squarciagola con quel “DACCENE BRIEGEL!” che stava a significare “dagliene (a Maradona)”.
Mi piacque quell’esclamazione e la misi come motto nel blasone del casato dei Gazza.
Tutto qui.

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Begbie

Carlo Mazzone: Amedeo.
Amedeo Carboni: Sì, mister?
Mazzone: Quante partite hai fatto in Serie A?
Carboni: 350, mister.
Mazzone: E quanti gol?
Carboni: 4, mister.
Mazzone: Ecco, allora vorrei proprio sapere ‘ndo cazzo è che vai! Torna subito in difesa!

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do minus gazza

Carlo “carletto” Mazzone dunque.
L’ho conosciuto di persona, una chiaccherata di una mezz’oretta nell’albergo che ospitava il Lecce.
Uno sponsor della squadra aveva due biglietti di tribuna per Inter-Lecce (1-0) e mi propose di accompagnarlo.
La cosa francamente non mi allettava granchè, ma quello sponsor, amico personale di Mazzone, mi disse che al termine della partita saremmo andati a fare “due chiacchere” con lui.
Mazzone non era ancora il personaggio che sarebbe diventato in seguito ma mi incurioviva.
Andai.
Durante quella “conversazione”, dove non aprii bocca, ascoltai un uomo completamente diverso da quel focoso “mister” che abbiamo conosciuto in panchina.
Ironico, disincantato, con sottili osservazioni calcistiche di un conoscitore di uomini (giocatori), una qualità che hanno spesso gli allenatori con un passato da giocatori non rilevante.
Lo seguii nella sua lunga carriera con simpatia.

C’è un’altro tormentone di “auto-riconoscimento” che mi accompagnò per molti anni.
Io “giocavo”, si fa per dire, nel Colorificio Scaligero, una delle due squadre del rione San Zeno.
Nel Colorificio avevo solo un paio di amicizie extra campo, mentre nel San Zeno di metà anni sessanta molte di più e durate nel tempo.
Quindi andavo a vedere spesso le loro partite, visto che nel frattempo, per dignità consapevole, avevo abbandonato il calcio per una più fortunata esperienza nel basket.
Nel San Zeno vi erano due spettacoli: uno rappresentato dal gioco di una squadra forte e l’altro rappresentato dall’indimenticabile “mister”: Arrigo “molena” Ligabò, un totem.
Arrigo Ligabò abitava a un centinaio di metri da casa mia e tutti si rivolgevano a lui con grande e naturale rispetto.
Nonostante il fatto che di confidenza non ne offrisse granchè, o forse proprio per quello.
Arrigo, fino ai 40/50 anni, i miei ricordi si fermano lì, faceva il “piccolo”(!) di un negozio di alimentari.
Girava per il quartiere su una bicicletta dove sul manubrio teneva con una mano (!) un contenitore di latta cubico, che aveva contenuto i biscotti Dal Forno, e dove c’erano i vari pacchetti da consegnare alle abitazioni dei clienti.
Poi c’era il Ligabò mister, nella mitica “busa” del San Zeno, praticamente una cava di sassi.
Mi venne raccontato che l’Arrigo mise “a paneto” l’intera squadra e con l’aiuto di due carriole fece rimuovere in alcune settimane buona parte dei sassi.
Non credo che sia una leggenda metropolitana.
La squadra allora giocava bene, era un mix di “picchiatori” e di talentuosi.
Tra questi c’era un certo “Busini” (ho modificato leggermente il vero cognome-n.d.g.).
Uno che la sterile fantasia linguistica dei commentatori sportivi di allora (e di oggi?) avrebbe definito “un’aletta ficcante”, più che di “dribbling” andava via di velocità rara.
Durante una partita accadde che il “Busini”, partendo dalla sua area puntasse la porta avversaria accompagnato da questo sostegno di Ligabò Arrigo:
“… vai Busini, vai Busini, vai… vaii… VA IN MONA Busini…”.
Il Busini era inciampato, come gli capitava sovente , ad una dozzina di metri dalla porta avversaria.
Ecco quell “Vai, vai, … va in mona Busini”, scolpito dal mitico Ligabò divenne un ennesimo tormentone.
Se giocando a briscola uno commetteva una “capèla” veniva apostrofato con “… alora dime che vol che te manda da Busini…”, oppure quando uno la smanfrinava troppo “… arda che te mando da Busini…”.
Tuttavia questo era uno “slang” d’intesa che si usava in presenza di estranei.
Scontato che nel gruppo ci si mandava in mona direttamente.

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Sam

L’argomento può personalmente interessare o meno.
E’ il suo modo di raccontare che sorprende, vista la sua dichiarata “non professionalità”.
Il ritrattino del Sig. Arrigo Ligabò è un piccolo gioiello.

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ginetto

Io preferisco la perla dell’abbandono del calcio per “DIGNITA’ CONSAPEVOLE”.
Gazza è Gazza.

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Gazza

Gino, mi domando come si fa dopo oltre mezzo secolo a fare il “maramaldo”, quando fosti tu e “quell’altro” ad affibbiarmi il tenero titolo di “el savata”.
Comunque so che state bene e questo, per ora, basta ed avanza.
Ciao.

Begbie

Bello il ritratto di Ligabò e un po’ di sana invidia per aver chiacchierato con Mazzone, uno di quei personaggi così diversi dal calcio plastificato e preconfezionato dei giorni nostri. Fortunatamente Setti, dopo due esponenti della suddetta categoria, ha puntato su un vero personaggio, uno che raramente dice cose banali e che, inoltre, fa risultati notevoli. Lunga vita gialloblù ad Ivan da Split!

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mediano

Caro Gazza, che bella idea dedicare un ritratto semplice a un uomo semplice, un po’ solitario, con grandi qualità umane come “Mister”Arrigo Ligabò.
Fu mio allenatore e ho capito chi era “Busini”.
Ti riporto un’altro celebre “incoraggiamento” che ai tempi da te descritti Arrigo rivolgeva ad un vero talentuoso mancino che poi giocò nel Venezia,
Lo chiamerò “Venturato”, Ligabò si rivolgeva spesso a lui così “… Venturato vuto proar a colpir el balòn cola testa bona e non con quela da cass …”.
Poi a modo suo, in privato, ne parlava benissimo.
Ciao

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do minus gazza

Qualcuno mi ha chiesto il “senso”(??) di dedicare tanto spazio ad Arrigo Ligabò, praticamente sconosciuto a chi non ha vissuto il calcio a Verona mezzo secolo fa.
“Nostalgia Gazza…?”
Ma va!
Io vivo il presente, penso a domani, mi auguro di avere un dopodomani.
Scrivendo di mister Conte mi è venuto in mente un altro Arrigo (Sacchi) e alla sua formula per il successo calcistico: “Occ, pazeinza e bus del cul”.
Arrivare alla ironia naturale di Arrigo Ligabò è stato un attimo, tutto lì.

Caro Mediano, i mancini del San Zeno, quelli della squadra cui ho fatto riferimento, li conoscevo tutti, erano cari amici, due se ne sono purtroppo andati, uno l’ho sentito ieri.
Carlìn D.P., “Pataro” F. e “El polpa” Venturato che tu hai citato.
Ciao anche a te.

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frequente

Sarà solo una mia impressione ma più penso al titolo di questo topic e più mi sono convinto che il calcio c’entri poco.
Quel “Arturo dove cazzo vai?!” mi pare applicabile a tutti quei particolari momenti della vita nei quali uno chiede a se stesso, o a altri, il perchè di “incomprensibili” scelte.
Ho virgolettato il termine poichè quasi nulla è privo di un’origine e una motivazione, tranne la follia.

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