Un bracciante africano è morto di fatica e per il calore in Puglia durante la raccolta dei pomodori.
Solo chi pensa di “essere stato in Africa” passando una settimana in un hotel a cinque stelle a Sharm El Sheik può essere scioccamente stupito perchè “hanno la pelle nera adatta (?) al sole”.
Mi è subito venuto in mente un episodio accadutomi una quindicina d’anni fa.
Vivevo con quella che sarebbe divenuta mia moglie alla periferia di Mombasa.
Era Gennaio, un mese ottimo per il clima, sole pizzicante per l’alta temperatura ma sopportabile per la scarsa umidità e per la brezza costante che proviene da Sud-Est.
Stavo girando da un’ora alla ricerca della “pianta magica”, il Mwarubaini o “forty diseas”, perchè mi era stato riferito che era una pianta il cui decotto di foglie era curativo, appunto, per quaranta tipi di malattia.
Avevo in mano solo una foglia di quella pianta ma non riuscivo a compararla con niente che le assomigliasse.
Decisi di fermare un paio di giovani per avere informazioni.
Il loro inglese era quasi peggio del mio (di allora) però riuscimmo a capirci.
Erano della tribù Taita, una delle più piccole, però conoscevano bene quella pianta.
La cosa, un po’comica in verità, fu quando alla mia domanda su dove avrei potuto trovare quella pianta mi dissero che era esattamente dall’altra parte della strada.
La attraversammo e cominciammo “a parlare”: “… voi la usate?” “… in quali situazioni?” e così via.
L’arte gesticolatoria italiana fu di grande aiuto, ma non dirò come la usai per indicare le possibili “malattie” per cui si usavano i decotti.
La “conversazione” durò una quarantina di minuti e la cosa che notai fu che dalla posizione di partenza me li trovai dalla parte opposta, come avessimo fatto una rotazione impercettibile di 360°.
Capii subito che loro SEGUIVANO L’OMBRA DELLA PIANTA, e non stavano mai al sole, mentre io, con la mia camicia di lino e il cappellino in testa, sì.
Credendo di fare una battuta di spirito, nel mentre offrivo loro un’ultima marlboro – allora si poteva fumare per strada, oggi è TEORICAMENTE proibito – chiesi loro se avessero paura del sole.
La loro risposta fu fulminante ed indimenticabile e diceva così: “Il sole da la vita ma può dare anche la morte”.
Sono sicuro che lo sapesse anche Camara Fantamadi, il bracciante maliano deceduto per il sole e la fatica in terra di Puglia.
Ma non aveva alternative.
Morire di fame o di fatica ha la stessa valenza?
Io credo di no.
Il suo INTERMEZZO TRISTE, se non raccontasse di un evento drammatico, sarebbe da applauso che il rispetto non concede.
Concordo.