E fu così che venne giù il castello. Delle ipocrisie, delle balle sesquipedali, delle mezze frasi da comari: “Eh ma Pazzini non si allena…”. Pazzini, beninteso, che per lor signori (i reggi-microfono) era finito. Perché guai a disturbare il conducente, sia mai. E il conducente, si sa, il Pazzo lo voleva cedere (l’anno scorso, pur di liberarsene, lo si è dato in prestito accollandosi buona parte dell’ingaggio). L’altro giorno, per dire, in conferenza stampa non ho sentito una domanda che sia una a Grosso su Pazzini, che è ancora il giocatore più pagato e titolato dell’intera rosa. Eppure era come se non esistesse. Di più: per i leoni da tastiera che si sono scordati…troppo in fretta (una fretta sospetta), eravamo noi di questa testata a montare ad arte il caso.
“La maledizione degli uomini è che essi dimenticano” diceva il Mago Merlino. Pure a Verona qualcuno ha già dimenticato la vergogna della scorsa stagione. E allora Pazzini fino a ieri era diventato un tabù. Vietato parlarne, argomento troppo scomodo. Ora gli stessi che su di lui avevano steso una (colpevole) cortina fumogena lo celebrano. Le facce di tolla non vanno mai in vacanza.
Per me è persino ovvio che Pazzini debba giocare. Ma deve sempre essere messo nelle migliori condizioni per farlo, modulo o non modulo. Lui è un cecchino negli ultimi 15 metri e a 34 anni il fisico non è più quello di un tempo. Cosa gli chiediamo, di correre e di fare reparto da solo? O di giocare in solitaria con due ali a trenta metri? Non scherziamo, su. Attorno bisogna costruirgli una squadra, senza astruserie da pedanti professorini del pallone (e negli ultimi anni da Coverciano ne sono usciti a iosa, mi auguro che Grosso non sia uno di questi). Come ho sempre scritto e detto in tv lui sarebbe stato utile anche l’anno scorso, con Kean si sarebbe completato a meraviglia (non casualmente l’unica volta che hanno giocato assieme rimontammo a Torino contro il Toro). Invece fu trattato come un ferrovecchio.
Ma il punto per chi scrive non è nemmeno mai stato Pazzini in sé. Ma quello che il “caso Pazzini” (nato a causa della società e non del giocatore) ha rappresentato per lo spogliatoio e creato attorno. Le macerie. Come mi disse una volta confidenzialmente uno dei leader del Verona dello scudetto: “Se tu tratti così il tuo bomber e capitano che ti ha portato in A, come pensi che si sentano i compagni meno titolati e meno tutelati? Così rovini il gruppo e fattelo dire da me che qualche spogliatoio l’ho frequentato”.
Ma non si doveva dire. Non si doveva scrivere. Usciremo mai da questa palude di conformismo e di paraculi? Ma quando mai impareremo? Quanto tempo abbiamo perso nel frattempo? Oggi siamo qui a festeggiare chi non avremmo mai dovuto abiurare. Così anche la gioia, a volte, può avere un suo retrogusto amaro.
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