Il Bigon minore disse che a lui non interessa l’opinione della gente; presumo abbia poco a cuore anche il turbamento della stessa se domenica, restando serio, ha acceso il solito disco del “non è questo il tempo di dare spiegazioni”. Lo dice da mesi, più facile a questo punto l’immediato scioglimento dei ghiacciai, o un bel disco di Pupo. A che serve dare un’intervista se poi non si risponde alle domande? Un consiglio al ds: la prossima volta parli allo specchio di casa sua.
Setti pontificò in diretta tv (locale) che i tifosi del Verona sono come tutti gli altri; mesi prima, sempre in tv (nazionale), tenne invece una lezione magistrale su sedicenti studenti greci fondatori del Verona. Li stiamo ancora cercando.
Gardini precisò che i colori (delle maglie) non sono importanti, e c’è da capirlo da uno che oltre al grigio (dei completi) non va.
L’allenatore di prima invitò chi lo criticava a seguire il Chievo, incurante di offendere i tanti che magari amano il Verona da quando lui amava l’Inter e sanno ancora distinguere tra il Verona Hellas e il fantomatico Mandorlini Fc.
L’allenatore di ora scambia Romeo e Giulietta per Giulia e Rometta e da settimane ci racconta supercazzole su Toni, Pazzini e Jankovic, quasi che ritenga, come il Bigon minore, le conferenze stampa un inutile esercizio di (cattivo) stile e non il mezzo per rendere conto ai tifosi del proprio operato.
Poi, improvvisamente, salvificamente (per noi) e improvvidamente (per loro), domenica sera a 91° minuto è arrivata la signora Susi, che turbata – come nella bellissima canzone di Ivan Graziani che porta il suo nome – per l’infausta stagione dell’Hellas e con la voce rotta ha zittito in un sol colpo la sicumera autoreferenziale dei personaggi di cui sopra. L’emozione commossa di Susi ce lo ha ricordato: il Verona è innanzitutto un sentimento, l’Hellas è della gente e dei suoi tifosi, ancor prima che di Setti.
A Setti fregherà? Ho seri dubbi, d’altro canto è ormai assodato il suo “grande freddo” nei confronti della piazza che, direttamente (con gli abbonamenti) o indirettamente (diritti tv e sponsor), gli permette di fare calcio. Dall’obbrobrio identitario delle maglie, questione che il sottoscritto sollevò già nell’estate 2013 e scambiata dai più superficiali come mera questione estetica, all’aumento “fisiologico” (sic) degli abbonamenti, passando per un’internazionalizzazione del brand (rimasta peraltro lettera morta) spacciata per necessità di sprovincializzarci, quasi che essere fieri della propria identità (e semmai esportare quella) e contrari a qualsiasi omologazione fosse una cosa da minus habens,o da vecchi tromboni nostalgici e non un valore fondante da preservare.
Setti, d’altronde, non ha tempo per queste quisquilie. Altre cose più importanti lo distolgono: le plusvalenze di ieri (Jorginho, Iturbe, Donsah, Sala, Hallfredsson) e quelle di domani (probabilmente Ionita e Gollini), la Nike e lo Store, il paracadute (anzi la mongolfiera), tutti motivi che tra l’altro, a rigor di logica imprenditoriale, lo allontanano per ora da un interesse a cedere le quote (il calcio non è mai stato un potenziale business come ora, i compratori non mancherebbero, vedi il Bari in B). E, ovviamente, i famosi studenti greci, ignoti a tutti noi comuni mortali, tranne che a lui, Ranzani.
Lascia un commento