E l’incantesimo riuscì. Anestetizzati e dimentichi rimuovemmo ogni cosa. Con le solite frasi fatte, con il consueto copione del nulla, con le scontate esclamazioni evergreen con cui additare chi guarda in faccia la realtà e se ne sbatte dei conformismi: disfattisti! Polemici! Critichini!
L’onda dei social (che oggi fa opinione eccome e crea il mood) ha sancito la linea: guardare avanti. Così, a prescindere. E accidenti a chi osa muovere una mezza critica. Le solite penne (cioè lingue) campionesse della libertà di elogio – forse in perenne ricerca di lettori, o probabilmente speranzosi per una volta di indovinarne una e, presumo, con le farfalle sullo stomaco solo all’idea di reggere un microfono per il tale qualunque – poi ci hanno messo il carico: tutto è meraviglia e, figurarsi, Setti ora spende pure. Wow. E via di domande inutili a Grosso & C., di banalità o noiosi cliché estivi alla presentazione di ogni giocatore.
Nel frattempo non si parla della sostanza, cioè di calcio: siamo davvero competitivi? Grosso che calcio ha in testa? Non c’è qualche doppione di troppo a centrocampo e poca qualità in difesa? Il caso Pazzini (non Pazzini in sé), se non dovesse essere risolto con una cessione del giocatore, non è un dèjà vù esiziale?
Il mio timore è che questa nuova e inopinata onda ottimistica rischia di fare più male che bene. Il pericolo è la presunzione. La rimozione forzata di molti tifosi (forzata perché nessuno ha davvero dimenticato le recenti vergogne, si è solo imposto di farlo) è come un oppiaceo: seda, rilassa, rallenta i riflessi, crea euforia e riduce il dolore. Invece con l’aria che tira tra via Belgio e Peschiera (aria indolente e presupponente) sarebbe meglio rimanere incazzati, vigili e tenere tutti sulla corda. Meno rose e più spine. E’ meno bello, ma più utile. Per questo oggi rompere i coglioni, che vi piaccia o no, è indispensabile. In nome del Verona.
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