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PAROLE VUOTE SE NON SEGUONO I FATTI

Mi era piaciuto Pecchia venerdì. Cazzuto al punto giusto. Speravo che quella conferenza stampa fosse l’inizio della riscossa. Di un Verona lottatore, di una squadra che rendesse la vita difficile alla Roma. Allora le sue parole, la sua faccia da duro, il suo sguardo risoluto avrebbero avuto un senso. E avrebbero avuto un senso anche le critiche post Fiorentina, perché è giusto che ci sia una critica che metta in discussione e faccia crescere.

Il problema è che a Roma il Verona ha continuato sulla falsariga della gara con i viola. La sensazione di imbarazzante inadeguatezza alla categoria sta diventando un’idea concreta. Il Verona non lotta, è in balia dell’avversario, non ha idea. E’ finita 3-0 ma con onestà dobbiamo ammettere che poteva finire 6/7 a zero e non ci sarebbe stato nulla da ridire. Ora ce lo dicono anche gli osservatori esterni che il Verona non è adeguato e Di Francesco ha persino avuto il pudore di non parlare di un avversario impotente.

Si può uscire da questa situazione? Questa è la domanda che Fusco e Pecchia si devono seriamente fare. Perché non possono essere felici di come si stanno mettendo le cose e perchè dare la colpa ai mugugni del Bentegodi e alla (terribile) critica veronese rischia di generare una situazione ridicola.

A Roma osservatori neutrali hanno detto esattamente quello che è stato detto una settimana fa qui in città. E cioè che il Verona, questo Verona sprofonda diretto in serie b senza lottare. Il campionato è lungo, ma quattro giornate ci hanno detto qualcosa. E cioè che la squadra di Pecchia non ha nemmeno una delle caratteristiche che deve avere una squadra che vuole la salvezza. Tutti noi abbiamo visto Crotone e Benevento lottare e sputare sangue. Il Verona non lo fa. Ma non fa nemmeno quello che speravamo: cioè giocare con un’idea di gioco che non sia la palla lunga. Troppo poco per parlare di crescita.

Fabio, così non va, te lo dico sinceramente e lo sai anche tu. Qui serve una scossa, una scintilla, un segnale per poterci credere per accendere una piazza facile alla depressione ma generosa come poche. Altrimenti restano solo parole vuote.

 

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