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IL MODULO (NON) E’ MOBILE

Il modulo è mobile dice Grosso. Come la donna. Cioè per l’attuale mister del Verona, come per quello (mister) dell’anno scorso, giocare a quattro in difesa è la stessa cosa che a tre. L’importante, dice, è lo spirito. La metafisica applicata al calcio.  Quale non si sa, tra l’altro,  visto il mezzo flop col Padova. Col Cosenza, dove non s’è giocato, Grosso ha già fatto una mezza rivoluzione. Cambiato il centrocampo e un pezzo d’attacco. L’unico punto fermo è rimasto Pazzini. In panchina. Il modulo non è la pietra filosofale, siamo d’accordo. Ma è la base di ogni buon progetto calcistico.

Ci sono distanze da rispettare, movimenti da effettuare, affiatamenti da trovare che richiedono lavoro e tempo. Le famose catene hanno necessità di tanto tempo e tanto lavoro per funzionare al meglio. Cambiarle ad ogni gara non porta a nessuna parte come il pubblico dell’Hellas ha potuto constatare.

Prendete Jorginho in nazionale. Come mai al Chelsea è un fenomeno e appena arriva in azzurro fa pena? Semplice: perché là c’è Sarri che ha cucito un vestito perfetto attorno al suo regista, abituato da mille allenamenti al millimetro, mentre in nazionale non c’è tempo per adattarlo, sempre che Mancini abbia le doti e la voglia di farlo. Jorginho con Benitez (vice Pecchia) giocava in un centrocampo a due. Venne svalutato al punto che il Napoli voleva rimandarlo indietro. Poi è arrivato Sarri e il Napoli ha rivenuto Jorginho a 60 (sessanta!) milioni. E poi dicono che i moduli non c’entrano.

Cambiare tanto, soprattutto all’inizio, non porta da nessuna parte. La struttura di una squadra ha bisogno di consolidamento e di pazienza. Vedere per esempio che Ragusa, dopo aver ciccato alla prima, a Cosenza era già in panchina mi ha fatto riflettere. Perchè una bocciatura del genere? Non si rischia di creare tanta confusione soprattutto all’inizio? Sono semplici domande a cui Grosso non dà risposta, svincolando come il suo predecessore con alcune frasi fatte.

 

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