IL VERONA NON E’ UN CERINO

 Sembra quasi che il Verona sia diventato un cerino. Da passarsi velocemente di mano, per il timore che qualcuno si bruci le dita. E’ incredibile che non ci sia nessuno disposto ad aiutare Martinelli. Basterebbero un paio d’imprenditori che si dividano la spesa per garantire al Verona un futuro roseo. Eppure non si riesce a venirne a capo. Perchè?

Beh, un motivo a mio avviso è da ricercarsi nel tentativo (malcelato, mai abbondantemente spiegato, mai realmente abbandonato), di sistemare le cose con una bella fusione. Da una parte il Chievo in serie A, con i suoi diritti televisivi, dall’altra la passione della gente del Verona.

Il mix non si riesce a trovare. La gente di Verona (ma devo dire con onestà anche quelli del Chievo), non ne vogliono sapere di pateracchi del genere. La passione sportiva non è una somma algebrica di due realtà. E quando, in vari ambienti, mi è capitato di spiegare questo postulato che a noi sembra scontato, vengo guardato come se fossi un povero deficiente, romantico e un po’ illuso. Provate anche voi con le seguenti categorie: imprenditori, bancari, commercialisti e affini. Gli spieghi: guarda che non s’ha da fare. E loro: ma come? Non capite che è la strada da seguire? Quella che metterebbe fine ad ogni problema. Il calcio è cambiato, gente che tira fuori i soldi per il pallone non c’è n’è più, c’è la crisi, etc etc. Non credo di scrivere cose sconvolgenti, dicendo quello che in molti di noi vivono giorno per giorno. Magari c’è pudore ad affrontare l’argomento che è un specie di fochetto che cova sotto la cenere e non riesce mai ad emergere. Come se questa cosa dovesse essere fatta sulla testa dei tifosi.

Intanto Campedelli vuole affrancarsi dall’essere la squadra di quartiere, usa simboli del Verona, afferma di rappresentare la città, se non il Veneto (e forse l’Italia o l’Europa se andasse in Champions League), non mi stupirei se tra qualche anno togliesse il suffisso Chievo per chiamarsi solo Verona. Lui ha i soldi, la bravura e la competenza per fare una battaglia che può durare anni, anzi decenni. La sua speranza è di prendere per "fame" e per "sete" i tifosi del Verona. La C1 poteva essere un bel baratro, invece, la passione popolare ha incredibilmente sovvertito il suo pronostico. Anzi, nella disgrazia la gente del Verona si è unita ancora di più. Ed ogni tentativo di allargare l’orizzonte del Chievo, come un boomerang, finisce per aumentare la passione per il Verona. La sua è una guerra di "logoramento". 

Una guerra che Il Verona non può fare. Ogni anno è vissuto con l’ansia del "o si vince o si muore". Martinelli non ci ha rassicurato nell’ultima intervista. E francamente non mi sento di biasimarlo. Ha tentato e sta tentando in tutti i modi di portare in B il Verona, dove almeno in mezzo al deserto ci sarebbe una piccola oasi. Ha tentato anche di creare un deposito d’acqua con l’idea dello stadio che è stata cassata, bruciata, bocciata, quasi maltrattata (ancor oggi mi chiedo perchè).

Adesso però il presidente non ce la fa più. Ha speso in due anni una quarantina di miliardi di vecchie lire, senza contare l’esborso inizlale. Il prossimo anno dovrà per forza cambiare strategia se non vuole condurre il Verona al fallimento e intaccare il suo patrimonio. E’ una logica conseguenza, anche degli errori fatti in serie in questi due anni. Però il Verona è ancora in corsa. E pur senza creare illusioni o "pressioni" eccessive, è chiaro che la serie B, sarebbe un formidabile carburante per continuare l’avventura nel Verona.

Ma adesso è tempo di dire chiaro e forte che Martinelli non può essere lasciato solo. E’ tempo che Verona, i suoi imprenditori, la città si sveglino. Non si può essere tifosi solo a parole. Non si può sfruttare la nostra s

PESCI D’APRILE

Stanotte ho pensato a come poter “celebrare” il primo aprile. Mi sono detto: dai facciamo un bel pesce agli amici bloggisti che ci divertiamo un po’.

Così ho scandagliato le possibile ipotesi che ora vi illustro.

  1. Sarebbe un eccezionale pesce d’aprile: il Chievo adotta la Scala come simbolo. Incredibile. Nessuno ci aveva mai pensato. Poi mi sono detto: no troppo lontano dalla realtà, nessuno ci potrebbe cadere. E’ un’ipotesi così lontana dal vero che in pochi, anzi nessuno, avrebbe abboccato. Scartato.

  2. Buttiamoci sulla società. Se c’è stato un vicentino che per otto anni ha portato avanti il Verona, mi sono detto, perchè non inventarsi che un calabrese, trapiantato a Bologna, senza un mestiere e apparentemente nulla tenente, possa comprare la nostra squadra? Magari si potrebbe condire anche con una bella intervista, dove il possibile acquirente promette di fare una squadra da Coppa Uefa e grandi acquisti. Ma anche questa mi è sembrata eccessiva. Scartata.

  3. Allora, via con la terza ipotesi: il Verona lascia l’antistadio per andare allenarsi a Sandrà. Sai che titolo ad effetto? Via dall’antistadio, il Verona a Sandrà. Magari qualcuno ci fa su anche una pagina parlando di “cittadella dello sport” e grandi impianti. Ma chi avrebbe potuto crederci? Dai, su, anche questa è improponibile.

  4. La fusione. Si dai, la fusione è un argomento sempre credibile. Si potrebbe inventare che un giorno un commercialista, amico di Campedelli e in affari con alcuni giocatori del Chievo, è venuto a lavorare al Verona. E che era stato messo lì per agevolare la fusione. Sarebbe una storia pazzesca. Fantascientifica. Un pesce d’aprile che però in due secondi sarebbe scoperto.

  5. Proviamo con i possibili acquirenti. Se ci inventassimo che Pastorello è pronto a tornare portando i soldi di Preziosi, con alcuni soci veronesi tipo la 3A Antonini, la Protec, eccetera? Porca miseria, ma questa l’hanno già scritta davvero… A dicembre. Forse avevano il calendario sbagliato. Qua ci rubano il mestiere.

Insomma dopo ore insonni, non sono riuscito a trovare un pesce d’aprile credibile. Provateci voi, che io mi sono rotto.

RIPARTIRE DA MANDORLINI

 Comunque vada sarà un successo. Non fraintendetemi: voglio dire che qualsiasi cosa dovesse accadere da qui alla fine della stagione, il Verona sa che Mandorlini sarà il suo punto fermo. Il mister ha raccolto una squadra allo sbando e l’ha portata in zona play-off. E se questo campionato oggi ha ancora un senso, è soprattutto per merito suo che ha compattato tutto l’ambiente fino a far cambiare idea alle valutazioni d’inizio stagione sulla forza della squadra.

E’ chiaro che Mandorlini è un allenatore di categoria superiore. Lo si vede da come gestisce i momenti difficili, da come lavora, dal rapporto che ha instaurato con i media e con la tifoseria. Ha avuto un solo momento di appannamento, in mezzo al mercato di gennaio, quando ha dato l’impressione di pensare più ai rinforzi che a far rendere la squadra che aveva in mano.

Non appena è terminato questo periodo, Mandorlini si è dedicato a valorizzare il materiale che aveva a disposizione. E bisogna dire che ha fatto in molti casi dei miracoli. Ha ridato dignità di calciatore ad un ragazzo come Ferrari, ha fatto apprezzare un serio professionista come Abbate, ha riportato anche chi era stato fino a questo momento fuori dal gruppo (Garzon) dentro al suo progetto. Ha creato, insomma, una buona base di partenza, una squadra che ha ancora dei limiti (soprattutto caratteriali) come s’è visto domenica, ma che ora ha un senso e una finalità.

Se pensiamo che Mandorlini è arrivato dopo la gara con la Salernitana all’andata, quando il Verona aveva dilapidato un patrimonio incredibile e che per sfortuna il suo "impatto" non è stato dei migliori (pensate solo se si fossero vinte le gare con Sorrento e Spal…), si capisce che il tecnico di Ravenna ha comunque fatto un’impresa. Per questo, a mio avviso, anche se il Verona non dovesse arrivare in serie B quest’anno (opportuna grattatina sotto la scrivania…) c’è comunque una buona base da cui ripartire. E Mandorlini di questa base è il primo tassello.

COSI’ NON SI VA IN B

 Il fatto che il Verona sia arrivato in zona play-off non è un fatto eccezionale. Sia chiaro. L’eccezionalità sta nel fatto che si è riusciti a raddrizzare una stagione che pareva compromessa. Ma questo non è un traguardo: è solo un obiettivo minimo.

A me, come a Mandorlini, il Verona di Bassano non è piaciuto. Questa cronica incapacità di chiudere le partite che si sono messe per il verso giusto, rischia di compromettere tutto il lavoro. E’ un deficit di personalità che questa squadra continua a palesare. Anche il fatto di ritenere il punto di Bassano un buon punto denota una mentalità sbagliata. In realtà a Bassano, come prima in altre partite, si sono buttati via due punti. Questa è la verità. Se si vuole andare in serie B, il Verona, complice quella disastrosa partenza deve compiere atti straordinari, deve essere sempre animato dal fuoco sacro dell’agonismo, non deve accontentarsi.

So che queste parole, magari possono essere pesanti. Ma è la verità. Arrivano e arriveranno gare in cui il Verona giocherà tutto il suo domani. E per vincerle bisognerà essere molto diversi nella testa e nelle gambe rispetto a quelli che hanno pareggiato a Bassano. Ci sono degli scontri diretti che valgono una stagione (Salernitana, per esempio) e se si centrassero i play-off, ci saranno match da dentro o fuori. Bisogna abituarsi adesso a giocare quelle partite. E’ una questione di mentalità. E’ chiaro che il Verona è forte, forse più forte di tutte le altre squadre. Ma lo dimostra solo a sprazzi. Il nostro campionato inizia adesso. Ma per vincerlo, bisogna essere molto diversi da quelli del secondo tempo. Per fortuna che c’è Mandorlini a indicare la via con i suoi occhi da tigre.

LA VITA E’ FATTA A SCALE…

Parlare di legittimità è fuori luogo. Ridurre il tutto ad un trademark, ad un marchio registrato è pura strumentalizzazione. Nessuno può e potrà mai contestare al Chievo la “legittimità” di un marchio. Certo il Chievo fa parte di Verona, non c’è dubbio. Ma quando si parla di Chievo e di questa splendida realtà sportiva, si parla di un quartiere che è arrivato in serie A. Non di una città. Il “miracolo” sta qui. La notizia è questa. Quando la Cnn va a visitare Chievo non fa vedere l’Arena. Fa vedere la Diga e quel quartiere. Il bar dalla Pantalona. Un quartiere di Verona, certo. Famoso per essere arrivato in serie A. Appunto. Quello che stupisce, in giorni in cui è deflagrata la querelle sui simboli e sui colori, è proprio la mancanza di coraggio e orgoglio che c’è nell’ambiente Chievo ad affrontare questa sua storia. Che non è piccola storia. E’ in realtà una storia fantastica, bellissima. La questione della Scala è una questione di lana caprina. Poco importa che ci fosse in una maglietta del 1931 o del 1932. Non fa parte della tradizione del Chievo. Non è un simbolo che s’interseca con quella storia. E’ solo una copia di un simbolo che appartiene ad un’altra società. Il Chievo è famoso nel mondo, perchè è un quartiere di Verona. Chelsea non rappresenta Londra. E’ Chelsea e basta. Il Chievo è il Chievo perchè è partito dai dilettanti ed è arrivato in serie A, dove, con merito vi sta da nove anni. La rincorsa di Campedelli a creare una sbiadita fotocopia del Verona è un harakiri folle. Sappiamo perfettamente qual era l’obiettivo di Gigi Campedelli e perchè il Chievo assunse la denominazione Verona ad un certo punto della propria storia. Ma quando Matarrese e poi il tribunale di Verona decisero che Campedelli con il suo Chievo Verona non potesse partecipare all’asta fallimentare per l’acquisizione dell’Hellas Verona Ac (di cui Campedelli era socio…) e del suo titolo sportivo, la storia si divise. Per sempre. Da una parte il Chievo, la fantastica squadra del sobborgo cittadino, dall’altra il glorioso Hellas Verona, l’unica provinciale che ha vinto uno scudetto. Questa è la storia. Il resto sono stupide provocazioni che altro non fanno che rafforzare l’orgoglio di chi, bastonato e ferito dagli eventi sportivi, si sente anche defraudato del suo bene più prezioso.

COSI’ E’ ANCHE PIU’ BELLO!

 Mamma mia che bello! Vincere così ha un sapore particolare. Dal punto di vista del gioco il Verona non m’è piaciuto. Ha giocato male, non è riuscito a trovare pertugi nel muro spezzino che voleva solo una cosa: pareggiare. Lo spettro di uno 0-0 che ci avrebbe condannato alla mediocrità così come l’altro 0-0 ci ha condannato a questo inferno ha aleggiato sul Bentegodi sino al minuto 87. Quando Pichlmann, Piki, l’austriaco gentile e onesto, ha imboccato l’autostrada giusta, mentro lo Spezia si apriva come il Mar Rosso con Mosè. 

Il gol ha permesso al Verona di portare a casa tre punti pesantissimi e di scacciare via le ombre post Alessandria. Là l’Hellas non meritava di perdere, qui non meritava di vincere. Ma per tutto quello che questa gara significava per noi, vincere così è ancora più bello. Per una volta, come direbbe Mandorlini, ‘affanc… la sportività.

NON E’ UNA GARA NORMALE

 Ci sono partite che hanno bisogno di una carica particolare, di un Bentegodi ancora più caloroso, ancora più focoso. Secondo me Verona-Spezia è una gara che richiede questo pubblico. Non che fino ad oggi sia mancato l’apporto della gente di Verona, per carità. Ma stavolta, è un po’ diverso. Prima di tutto arriva lo Spezia. E sappiamo tutti che cosa vuol  dire ritrovarsi davanti la squadra che ci ha mandato in questo inferno. La beffa, incredibile, è che lo Spezia ha fatto tempo a fallire, a precipitare e ad essere ripescato. Viene da chiedersi, l’abbiamo detto e scritto mille volte, che senso ha pagare stipendi, contributi, irpef, davanti ad un calcio che permette simili storie… Ma lasciamo perdere.

La ferita è e resterà sempre aperta. Forse sanata solo il giorno in cui il Verona riuscirà a tirarsi fuori da questa melma. Resta poi l’oggi, il quotidiano, il presente che forse è l’aspetto che ci preme di più. Verona-Spezia non è una gara normale. L’Hellas è arrabbiato, furioso, per quello che è successo domenica ad Alessandria. Frutto di un arbitraggio pessimo e di errori pazzeschi. La squadra ha reagito. L’ho visto negli occhi dei giocatori che stavano salendo sul pullman. Non c’era rassegnazione. C’era solo la voglia di tornare in campo subito a giocare. Mandorlini è uno che lavora molto sulle motivazioni, uno che ha riacciuffato per i capelli Ferrari e lo ha riabilitato come giocatore e come professionista. Ora, un tecnico che riesce a fare una simile operazione, non si può pensare che apra un fronte con il suo più forte attaccante: mi riferisco a Pichlmann. Anzi: sono certo che l’austriaco, opprtunamente "stimolato" sarà ancora prezioso alla causa. Così come lo sarà anche Garzon, che il mister ha citato (giustamente) anche giovedì scorso a Sandrà. Anche il capitano in pectore è ancora "uno di noi", insomma, anche lui può essere importante in questa fase finale. Stefano è un ragazzo umile, bravo, professionista. Mai una parola fuori posto, mai una polemica. Un esempio, insomma. E arriverà anche il momento di Tiboni, che scalpita per giocare almeno dieci minuti. La condizione ora c’è, si tratta di trovare un’opportunità che francamente, gli avvenimenti (e le prestazioni sorprendenti di Ferrari) gli hanno negato.

Domenica prossima è il caso di prendere l’autobus, la bicicletta, l’auto e venire al Bentegodi. Se avete voglia di farvi una sana camminata venite a piedi. Dobbiamo essere tanti. Dobbiamo "scaldare" l’atmosfera, come solo noi sappiamo fare. Non è una gara normale. Non può esserlo.

 

RIPARTIRE SUBITO

 Solo un’illusione. Ed è stato un peccato. Perchè il Verona meritava di vincere, ma forse si è accontentato del pareggio. Una leggerezza pazzesca di Scaglia ci ha punito. Poi la barriera, ma anche l’arbitro Borriello, disastroso. Poteva girare, non è girata. Non cambia niente. Aumenta solo la rabbia. Sei andato in vantaggio, loro erano alle corde e hai perso. E’ la Prima Divisione, bellezza. Ormai la conosciamo. Ma sappiamo anche che un filotto, può cambiare tutto un’altra volta. Con lo Spezia torna Hallfredsson, torna Maietta, c’è un piccolo “conticino” in sospeso… Vogliamo saldarlo una volta per tutte?

NON CADERE NEL TRANELLO

Dopo tre vittorie consecutive il Verona andrà a giocare ad Alessandria. Una settimana tranquilla? Pace e serenità sovrastano il cielo sopra al Bentegodi, lo stadio che ha vissuto l’epopea gloriosa dello scudetto. Eppure da molti ambienti si stanno tirando delle spallate all’Hellas. Da tempo sostengo che il Verona forte e magari in serie A spaventa. Fa paura. Meglio, molto meglio tenerlo con la testa sott’acqua. E’ stato così quando la città che conta non prese le distanze da dirigenze fallimentari. Lo è stato nell’isolamento a Martinelli. Lo è adesso che il Verona va bene. Fare due più due viene facile anche ad un semplice ragioniere, sempre attento ai calcoli. Come spiegato più volte, questa "cupola" non ha un nome. Si nasconde e agisce nell’ombra. Ma è potente, si ramifica, arriva ovunque. Discrimina chi racconta la verità, chi dà voce a chi voce non l’avrebbe. E provoca. Una provocazione sottile, finissima, ma costante e velenosa. Nella speranza di far saltare i nervi, di creare reazioni composte. Il Verona non deve cadere in questo tranello. Chiuso nel proprio fortino, non deve ascoltare nessuna "voce" esterna. Deve confinare questa "cupola" nel nulla del proprio destino. Andiamo ad Alessandria. Scaliamo le vette della classifica. Non ci curiamo del "niente". Siamo il Verona. Dimostriamolo.

FATTO NIENTE

 E’ comprensibile che ci sia entusiasmo. Le tre vittorie consecutive ci hanno permesso di ritornare in corsa per i play-off. Ma è bene ricordarsi e ricordare a chi va in campo che nulla è ancora stato fatto e che il difficile arriva proprio adesso.

Tante volte questa squadra ha tradito le attese. E negli occhi restano partite tristi e incomprensibili come quella contro il Gubbio. La lunga rincorsa ai play-off è stata necessaria per colmare il gap (parola di moda che sta a significare il disastro iniziale) che aveva portato il Verona a ridosso della zona play-out. Teniamo presente che a oggi questa squadra non è ancora dentro le quattro che si giocheranno la coda del campionato.

Quindi: bisogna andare ad Alessandria con la stessa mentalità che ci ha fatto vincere a Cremona. E’ necessario che ci mettiamo in testa che nessun obiettivo è stato raggiunto e che il solo traguardo che abbia un senso per questa squadra è andare in serie B.