Il Nobel è solo l’ultimo e il primo della serie: poi c’è il sigillo della città, la cittadinanza onoraria, i cavalieri della Repubblica. Che a cavallo non ci vanno e non ce l’hanno. Ormai sono più i cittadini con onorificenze che quelli senza. E che cosa cambia per gli “onorati”? Nulla. Al massimo la didascalia: Premio Nobel di questo e di quello. Poi restano sconosciuti come lo scrittore ungherese ultimo Nobel della letteratura. Quanto alla pace il Nobel l’hanno dato alla sorella di Trump: l’attivista venezuelana che è di destra, a favore di Israele, e contro la dittatura comunista.
Tornando alla pioggia di onorificenze si dimentica la famosa domanda “mi notano di più se ci sono o se non ci sono?”. Tradotto: mi notano di più se sono Cavaliere della Repubblica o asino della Repubblica? Nel mio mestiere e in tutte le professioni conta essere bravi e capaci non Cavaliere o Cittadino onorario o premio Nobel.
Eppure è una ressa: tanti a volere le onorificenze, a pregare il politico amico di fargliele avere. Senza limiti d’età: da neonati a moribondi tutti pronti ad essere onorificati.
Poi ci sono anche quelle ecclesiastiche. La solita gara tra Stato e Chiesa. Immagino che il cardinale Parolin sia impegnato a far diventare santa subito la santa protettrice di Hamas, la Albanese. Degna di avere anche il Nobel della Guerra, così da farla finita.
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