Quand’ero alle elementari (oltre mezzo secolo fa) entrava in classe la maestra, noi uscivamo in piedi fuori dai banchi, e si iniziava la mattina a scuola recitando le preghiere. Era una prassi naturale rispetto alla religiosità diffusa e sentita di quel tempo (andato). Dubito assai che oggi, riprendendo la consuetudine delle preghiere (ammesso che le maestre accettino di farle recitare), riusciremmo nuovamente a riempire le chiese e gli oratori…
Allo stesso modo non basta riesumare Mameli per riesumare un amor di Patria italiana che forse non è mai nato e che, se è nato, è morto assieme al fascismo. (Ce lo ricordiamo che, per decenni, solo quei neofascisti del Msi di Almirante cantavano l’Inno e sventolavano il tricolore? E che solo l’avvento della Lega secessionista è servito a farci riscoprire l’amor di patria unita?…)
Il fatto che la commissione cultura della Camera deliberi di far studiare nelle scuole l’Inno di Mameli è utile unicamente a farci capire quanto male siamo messi, quanto sconosciuto sia l’orgoglio per l’appartenenza al nostro Paese. Vi pare che in Germania o negli Usa serva ordinare di studiare l’inno nelle scuole? Non serve perchè tutti già lo conoscono, perchè amano il loro Paese e sono fieri di farne parte. Farne parte: che significa conoscere e condividere la storia, la cultura, le tradizioni.
Breve parentesi comica. La commissione cultura esenta dall’obbligo i soli altoatesini che, con tutti i benefici che gli abbiamo elargito (impensabili se fossero rimasti austriaci) sono tra i pochi ad avere ottimi motivi per gridare a squarciagola “viva l’Italia!”…
Il quotidiano Italia Oggi si schiera a favore dalla cittadinanza per gli stranieri nati in Italia. Lo fa anche con il racconto di un bambinetto negro di pochi anni che: “Indossa la maglia azzurra con, in bell’evidenza, la parola Italia. Parla con i genitori (che si esprimono in un italiano incerto) in un italiano perfetto, con addirittura un pizzico di intonazione locale”
“Il negretto – prosegue il racconto di Italia Oggi – diventerà un calciatore? Un carabiniere? O un chirurgo? Una cosa è certa. E’ già più italiano di molti nostri figli. Orgoglioso di vivere qui. Che non è il suo paese d’adozione ma il suo paese”.
Ne vediamo ogni giorno, nelle nostre città, figli di stranieri che sono esattamente come questo negretto. La cosa sorprendente, o se vogliamo tragica, è appunto che sono “già più italiani di molti nostri figli”. Anche i bambini turchi in Germania si sentono tedeschi, ma non più dei figli dei tedeschi. Anche i bambini messicani negli Usa si sentono americani, ma non più dei figli degli yenkee.
Tedeschi e americani amano il loro paese, sentono un’appartenenza di cui vanno orgogliosi. Noi no. A noi succede di essere superati dai figli degli stranieri che sono più italiani di noi! Per loro, i nuovi italiani, non serve imparare l’Inno di Mameli. Per noi non basta.
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