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ERAVAMO IN QUATTRO AMICI IL 02 AGOSTO 1965…

C’era il “Lisander” che, da modesto commesso di merceria, diventò responsabile del Nord Italia di una nota azienda alimentare.

C’era il “Pibel” che, da ragioniere e dopo una laurea tosta, divento Titolare di Cattedra in Matematica in una delle più famose Università del Veneto e d’Italia.

C’era il “Gioba” che, dopo il diploma al Liceo Artistico, per amore di una figlia di un severo e noto padre, si laureò e adesso è un noto progettista di “archi per tetti”.

E poi c’ero io che sono diventato quello che sono, sia per coloro a cui “piaccio” sia per quelli che non mi filano per niente.

I Tre Moschettieri più D’Artagnan, che divenni io, ma si capirà più avanti il perchè.

Quattro discreti “fighetti” di 18 anni, vestiti da urlo, ma senza una lira o quelle poche che rimasero dopo aver pagato SUBITO la Pensione “Da Marisa” a Miramare di Rimini (fuori Rimini si pagava meno-n.d.g.).

Il guardaroba “da urlo” è presto svelato:

1) un sarto di Via Stella informa il Lisander, suo fornitore, che gli è rimasta una pazza di gabardine nero e che se la compriamo tutta e ci facciamo i vestiti dalui ci avrebbe fatto un buon prezzo.

detto e fatto: chi un due bottoni (io) chi un tre bottoni e chi (Lisander) esagerò con un QUATTRO bottoni “alla Beatles”;

2) dai 4/5 completi di pantaloncini da bagno(corti) e camice “button down” uguali ai pantaloncini (una assoluta novità per i tempi);

3) altra “novità”, copiata dagli americans, tre paia di bermuda a testa dopo aver tagliato all’altezza del ginocchio dei vecchi jeans rigorosamente sdruciti (almeno uno doveva essere bianco o crema).

Non avendo io il jeans bianco SACRIFICAI un paio di jeans Lee, originali americani, allora introvabili.

4) per le scarpe, rigoroso mocassino nero (suola e tacco rinforzati “all’inglese”) nonostante fosse estate.

Un numero imprecisato di ciabatte ed “espadrillas” (che se vai a Madrid, come feci io l’anno prima,, e chiedevi “…senor tiene espadrillas…?”, il commesso ti guardava con gli occhi sbarrati finchè ti proponeva “le zapatillas” che per l’appunto erano le espadrillas per noi. Rigorosamente proibite le scarpe ginniche (anche se io avevo in valigia le mie splendide “Converse” con cui giocavo a Basket).

Dopo due o tre giorni di “caccia” sulla spiaggia, poca “roba” nella rete e le preoccupazioni aumentavano.

Per la verità avvevamo attirato l’attenzione di qualche bella milanesina & amiche, stavano tutto il pomeriggio con noi (invereconde collette dentro una cabina per raccogliere i soldi delle consumazioni), ma… ma… ti davano appuntamento alla sera dentro le migliori “dance hall” e lì cascavano i fighetti somari senza schei.

Solo il Pibel riusciva a sgattaiolare dentro perchè aveva, già allora, un’aria autorevole, per scappare ri-go-ro-sa-men-te una ventina di minuti prima dell’arrivo del conto.

E qui comincia la storia…

Alcune cose sono già state scritte in questi anni di vita del Blog, porterete pazienza.

La mia “iniziazione sessuale” comincia prestissimo: a quattro anni vengo “iniziato” in una soffitta di Vicolo Storto (San Nazaro) da una bambina di dieci anni che avrebbe dovuta essere la mia babysitter.

Purtroppo mia madre ci scovò “sul più bello” (?!?). Io ricordo tutto perfettamente (tipico degli anziani avere memoria del passato e meno del recente), e devo dire che da quel momento non ho mai smesso.

Ci fu la classica cuginetta coetanea dai sette ai dieci anni, giochi “innocenti” ma formativi, sissignori, poi cominciò la “vita dei toccamenti”, prima nel quartiere e poi anche fuori.

Diciamo che fino ai 18 anni avevo già provato tutto del sesso, anche con donne molto più anziane di me (donne non ragazze) tranne l’amplesso, le spiegazioni ci sono, ma si farebbe ancora più lunga di quanto già non lo sia sto Topic.

Diciamo che ero un “cacciatore solitario” e nessuno sapeva nulla delle mie storie, alcune si definirebbero “scabrosette”, ma tant’è.

Sta di fatto che un po’ stufo delle spiaggiate a vuoto, un pomeriggio restai alla Pensione Marisa da solo.

Avevo notato che dal primo pomeriggio ad ora di cena, l’Amilcare, marito della Marisa, giocava per ore a ramino con una splendida femmina, non donna, ma femmina e il senso c’è.

Stetti in piedi oltre quattro ore a guardare dando, con fastidio dell’Amilcare, alcuni suggerimenti alla “signora” che scoprii non essere italiana ma danese.

Verso le 18 l’Amilcare rientra per preparare i tavoli per la cena e io rimango da solo con Lei che mi chiede “vuoi giocare?” e io di rimando “perchè non andiamo in riva al mare, a quest’ora rientrano tutti e…”.

Capii che temeva d’essere vista in spiaggia dai clienti della pensione e non era MAI andata in spiaggia. La sua carnagione bianca e liscia lo testimoniava.

Ma io non mollai e le proposi di andate 5/6 bagni più in là (chi conosce la spiaggia adriatica capirà) il ché voleva dire quasi cinquecento metri.

Lei in un completo nero fasciante, con turbante elegantissimo, io in costume da bagno, polo e ciabatte. Non le permisi di andare nel suo villino, separato 50 metri dalla pensione, perchè temevo una sua riflessione e un ripensamento.

Seduti su un moscone sotto gli sguardi dei bagnati attratti dall’abito, dal corpo, dal fascino di quella femmina che si era ovviamente tolta le scarpe coi tacchi per camminare sulla sabbia, con un gesto della stessa eleganza di Anita Ekberg che si toglie le scarpe prima di fare il bagno nella Fontana di Trevi (La Dolce Vita, 1960).

E stiamo lì sul moscone fino al calare della sera, chissenefregava che alle 19,30 la pensione portava la cena.

Lei, si chiamava Benny N., diceva di avere 36 anni, ma era una MILF sui 40/41, era arrivata fin lì ed anche se non ne ero sicuro dissi a me stesso “non mi scappi più”.

Ma il difficile era trovare una scusa per entrare nella sua villetta, ma una scusa che andasse bene anche a lei che aveva già mangiato foglia e ramo.

Mi inventai un “torcicollo” per la brezza serale e “fatalità” lei aveva la crema idonea. Nel villino.

Se non ricordo male non fece nemmeno in tempo a svitare il tappo della crema.

Diedi il meglio di me su un terreno, QUELLO, che non avevo mai praticato.

Prima di andarmene Le dissi “è stata una (una…?) cosa bellissima”, e lei di rimando “Vuoi venire a stare con me finchè non torni a casa?”

E in quel momento solo una “vita filibusta” ti da la risposta calma e pacata “…vengo molto volentieri, ma non per farti compagnia o comperarti le sigarette…” (che tra l’altro erano le rare Exellence).

Un sorriso fu la sua risposta.

Io mi incamminai verso la Pensione “come il Cristo che cammina sulle acque” (mi sia perdonato il blasfemo paragone) ed era il 2 Agosto 1965.

Ad attendermi c’erano i Tre Moschettieri preoccupatissimi ed incazzati.

Si calmarono subito quando dissi loro “salgo in camera a fare la valigia…”, “ah sì e dove cacchio vai?”, ” mi trasferisco dalla Benny così nessuno dovrà più fare il turno sul materassino”.

La mia affermazione fu accolta con una sguiata risata e cominciarono a seguirmi convinti che fosse una mia smargiassata.

Salirono in camera, comincirono a dirmi “dai dai Gazzolo l’hai messa giù bene ma la sceneggiata è finita…”, scesero le scale con me e mi seguirono fino al villino della Benny.

Io li sentivo parlare, quattro passi dietro di me “…adesso arriva fino al villino si ferma e ci prende per il chiulo per avergli creduto…”.

Ma, ma, sulla porta del villino c’era la Benny che venne addirittura a prendere la mia valigia.

Io mi girai verso i Moschettieri e dissi loro ” butèi dai che se vedemo da qualche parte, rimini no l’è mia Milan”.

Quell’esperienza che segnerà il mio futuro sul terreno delle relazioni femminili, non fu nè la quantità e la qualità degli amplessi, fu stare per quasi quindici giorni in fianco ad una donna navigatissima, che mi raccontava delle bugie ben sapendo che io capivo che lo erano, fu anche un grande gioco di eqivoci.

Ma, avviandomi alla conclusione, DUE furono i fatti, per così dire topici, che mi fecero “capire”, ben oltre l’esperienza sessuale.

PRIMO

Avevo visto su un manifesto pubblicitario che in un grande nigh all’aperto di Rimini ci sarebbe stato un concerto di Gino Paoli.

Per caso ne parlai a Benny che fece un salto sul letto: “GINO, c’è GINOOO qui a Rimini, quando? dai che andiamo!”.

“No scusa andiamo dove, i biglietti, i soldi…”

“Macchè biglietti e soldi andiamo A (disse così A) BASTA! e invita anche i tuoi amici e le loro donne” (sì perchè i Moschettieri salvarono la vacanza dopo l’incontro con tre “mantovane”, loro vicine di stanza, prima snobbate poi “piuttosto di niente”, anche se in realtà erano carine).

Con una certa titubanza, la sera del concerto, ci avviciniamo all’ingresso e lì… “Ciao Beennyy!”, era il manager di Paoli che abbracciandola le chiese “quanti siete, otto?”, da un ordine sbrigativo ad uno del night e ci fa accomodare vicino al palco, e giù abbracci alla Benny…

Al primo intervallo Paoli scende dal palco e si avvia al nostro tavolo, Benny gli corre incontro con un “Giino ammorre mio…”.

Paoli si siede al nostro tavolo una decina di minuti, ordina due bottiglie di Champagne e si mette a parlare fitto-fitto con Benny, due foto di gruppo e torna a cantare.

Io nel frattempo avevo “affettato” indifferenza guardandomi in giro per vedere i volti degli altri spettatori che ci guardavano, mentre Benny&Gino si scambiavano qualche “bacetto”.

SECONDO

Una sera nel villino, verso le 23 squilla il telefono (sì la Benny era l’unica ad avere un telefono in stanza e c’era il suo perchè).

Mi dice “scusa devo andare al Grand Hotel peCchè devo fare il mio numero di ballo…”

Sì, proprio così, nei primi giorni di vita in comune mi aveva detto che faceva “la ballerina”… a 40 anni… e vabbè, capita no?

Rientra circa a mezzanotte e mezza, io nel frattempo avevo deciso che sarei stato “incazzato” (e forse un po’ lo ero).

Comincia una discussione, i toni delle voci si alzano ed a un certo punto, io ignudo sul letto, lei apre la borsetta e mi butta addosso una “paccata” di banconote da diecimila (quasi una milionata), neanche fossi stato Catherine Spaak nel film “La Noia” (1963).

A quel punto comincio a vestirmi pronto ad uscire, quando sono sulla porta lei mi assale urlando “nessuno mi abbandona così!!” e mi strappa la camicia di seta (manica completa e mezzo colletto a penzoloni).

E così conciato vado a bussare alla porta dei Moschettieri che, pieni di vera comprensione nel vedermi così  ridotto, accolgono D’Artagnan, offrendomi il letto (non il materassino) a patto che raccontassi tutto nei particolari. Facemmo le quattro.

Al pomeriggio, quando mi svegliai, trovai un biglietto con scritto “siamo in spiaggia, usa quello che vuoi della nostra roba, ti aspettiamo”.

Scendendo incontro l’Amilcare che mi si rivolge, più o meno così “Scenti un pochino ragassso, vieni mo’ dieci minuti nel mio ufficio”.

E lì mi racconta il dritto ed il rovescio di chi fosse “la” Benny.

Io gli risposi solo “… ma io NON SONO un pappone!”

“Fai un po’ come credi, què ghe na lettera e un pacchetto per te, io ti aggiungo solo che lei è la che ti aspetta e adesscio fai come ti pare giòsto”.

La lettera, in un italiano stentato rispetto al parlato, era molto bella e sincera con tutta la sua (…) verità.

Nel pacchetto c’era un orologio.

Andai alla spiaggia a salutare i Moschettieri, accolto in un silenziosissimo “rispetto”, anche dalle mantovane.

Tornai al villino, bussai, e le prime ed uniche parole che Le dissi furono “Io sono qui e ci resto, ma solo a patto che tu ti riprenda l’orologio”.

Tornato a Verona dopo le tre settimane di VERA e STRAORDINARIA vacanza, per enne fattori, ultimo quello sessuale, svuotando la valigia trovai l’orologio.

Chi avesse l’APP “Telegram” può vederlo come mio “profile”.

Hi guys

Vostro D’Artagnan

 

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