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SURVIVAL

Siamo piccoli. Fusco lo aveva anticipato in tempi non sospetti, a maggio, con il Verona fresco di promozione. “In A il nostro modello sarà il Crotone di quest’anno”. Dunque una salvezza, se è il caso, da raggiungere all’ultima giornata e, perché no?, all’ultimo minuto.

Una dichiarazione che per molti sfiorò il grottesco, se non il ridicolo, eppure rivelatrice: il Verona – pur avendo una storia calcistica differente dal club calabrese, autore l’anno scorso di una mirabile impresa – nel quadro attuale è per mezzi economici una società dell’ultimissima fascia in serie A. Una fascia non media (come nel biennio 2013-15) e neppure medio-bassa, ma bassa.

E sulla falsariga delle dichiarazioni del suo direttore sportivo il Verona si è mosso: un mercato minimalista, povero, a costo quasi a zero (anche se i contratti di Romulo e Pazzini pesano sulle casse del club), da completarsi con le offerte last minute e alimentato da una mediocre speranza: trovare tre squadre più scarse da mettersi alle spalle. Sopravvivere, questa è la parola d’ordine.

C’è, dunque, una malinconica coerenza in tutto questo. Una malinconica coerenza che parte da Maurizio Setti (domanda che pongo da anni in beata solitudine: il Verona in questo calcio business dai grandi introiti non meriterebbe una società economicamente più strutturata? Senza pensare ai mecenati, agli arabi o ai cinesi, guardiamo agli altri club medio-piccoli). Una malinconica coerenza che ci conduce alla squadra e al suo allenatore, arrivato in serie A dopo un solo anno di B tra alti e bassi, un anno in cui è sembrato involversi più che evolversi, e una promozione acciuffata per i capelli. Un Pecchia “sfanculato” in diretta tv dal suo capitano e contento (“La reazione di Pazzini? Mi fa piacere”). Un Pecchia che, in questo rabberciato Verona, ieri sera è riuscito in un sol colpo a rinunciare non solo  al centravanti simbolo della promozione, ma anche al suo miglior mediano (Zuculini) e al suo giocatore più forte (Bessa, fuori ruolo).

Una malinconica coerenza che passa per il mercato. Una sola vera intuizione (Verde), due arrivi di rilievo (Caceres ed Heurtaux), tre ottime conferme (Ferrari, Bruno Zuculini e Bessa) e una scommessa accattivante (Cerci). Non male, ma troppo poco per una neopromossa non futuribile, cioè costruita un anno fa solo per l’immediato, la promozione. Il resto (dunque il molto) è un grande e grosso punto di domanda. Leggo che arriveranno un esterno d’attacco e un vice Pazzini. Ma a parte che di esterni ne occorrono due (Fares lo aspettiamo in eterno?), il nuovo centravanti sarà davvero un vice Pazzini, o sarà Pazzini a diventare il vice del “vice Pazzini”? Domanda lecita dopo la “scelta tecnica” di ieri. E ancora: abbiamo un portiere all’altezza? Il Nicolas di ieri è il Nicolas di sempre, ottime parate e sbandate clamorose. Malinconicamente coerente anche lui. Il rapporto qualità/prezzo (leggi ingaggio) di Romulo, pure lui il solito Romulo, è sostenibile? Infine, in difesa, passi per il grintoso Caracciolo, è lecito pensare che Cherubin, Brosco e l’ahimè incompiuto Bianchetti non siano neanche lontanamente all’altezza dei titolari?

Siamo poveri, ci hanno detto. Aspettiamoci dunque saldi al mercato e sofferenza in campionato. E poi, chissà, forse alla fine è davvero tutto relativo, vedi mai che tre più scarse dietro le mettiamo. Ma è fare calcio questo? E’ giusto ridursi in partenza a giocare a un mortificante ciapa no? Siamo questi e va accettato, o il Verona meriterebbe anche solo un gradino in più? E’ il momentaneo dazio che ‘Setti II’ paga a ‘Setti I’ (quello dei primi tre anni) e resistendo il futuro sarà più radioso, o tireremo a campare in eterno? Ecco, è una questione di prospettiva: esiste un vero progetto di consolidamento? Deve essere Setti, e non Fusco, nella tradizionale conferenza stampa post-mercato a rispondere a queste domande.

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