LA DIFFERENZA

 La differenza tra una società seria e una no è che quella seria sa come si superano i momenti difficili.

Una società seria è quella società che sa difendere le proprie scelte.

Una società seria è una società che non scappa davanti alle domande.

Una società seria è una società che non ha bisogno di vendere fumo.

Una società seria è una società che sta vicino al proprio tecnico e non lo mette in discussione alle prime avvisaglie di tempesta.

Una società seria è una società che spiega sempre i motivi delle sue scelte.

Non avevo dubbi.

Finalmente a Verona abbiamo una società seria.

 

FUORI GLI ATTRIBUTI

Bonato me lo disse qualche settimana fa: "Arriveranno le difficoltà. Ed è lì che dovremo essere bravi e diventare squadra".

Il Verona che ha giocato con la Cavese non è ancora una squadra. Mille passi indietro sono stati fatti rispetto alla gara con il Lanciano.

Questo Verona non m’è piaciuto. E avrei scritto la stessa cosa anche se avessimo vinto. Non mi piace la sufficienza con cui si va in campo, il fatto di pensare e di dire di essere una squadra forte senza dimostrarlo, non m’è piaciuto quello squagliarsi alla prima difficoltà e non mi sono piaciuti gli alibi a fine gara ("Colpa dell’espulsione, etc"). Altro, ben altro, personalmente mi aspetto da una squadra costruita per vincere. Mi aspetto personalità, organizzazione di gioco, capacità di soffrire.

Avrei gradito anche un intervento della società, una presenza a fine gara, visto che comunque s’è registrato uno scollamento tra tecnico e pubblico con quella contestazione che ha attaccato l’allenatore e quindi, anche, la scelta di Bonato e Martinelli di confermarlo.

E’ la terza partita, è vero. Ma è anche vero che è meglio guardarsi in faccia adesso, prima che sia troppo tardi. Non puoi subire il gioco della Cavese, modestissima formazione costruita per salvarsi. Non puoi commettere errori come quello di Rafael, non puoi scendere in campo nel secondo tempo con le gambe tremolanti e la testa chissà dove.

E’ il primo momento di difficoltà. Ora vediamo a Cosenza se e come regirà questa squadra. E’ il momento di tirare fuori gli attributi. Anche se saremo solo alla quarta partita.

L’UOVO DI COLOMBO

 Negli ultimi cinque campionati Corrado Colombo ha segnato in totale 14 gol. In tutta la sua carriera ne ha realizzati 32. Il massimo di reti segnate in un campionato è stato di 8 in 17 presenze (con lo Spezia, nell’anno dello spareggio con il Verona). Chiedo e mi chiedo: siamo davanti ad un bomber? Le cifre dicono di no.

Mascetti e Bagnoli mi spiegarono una volta il loro metodo per scoprire i giocatori che segnavano: "Si prende l’almanacco Panini e si guardano i giocatori che vanno spesso in doppia cifra. Se prendi uno di quelli è difficile sbagliare". Colombo non è mai andato in doppia cifra.

Se mettiamo la lente d’ingrandimento sugli ultimi tre campionati si scopre anche che ha giocato pochino. Tra Spezia e Pisa 28 presenze e 1589 minuti nel 2007-2008 per una media di 56 minuti a gara. Nel 2008-2009 tra Pisa e Bari 17 presenze e 1140 minuti per una media di 67 minuti a gara. Nell’ultimo anno tra Pisa (1 presenza) e Bari (16 presenze) ha realizzato 4 reti. Da difensore più che da cannoniere la sua media gol: 0,23 reti.

Per fare un paragone: Filippo Pensalfini che attaccante non è, negli ultimi cinque campionati ha segnato 16 gol, due in più di Colombo.

Queste cifre dimostrano che Bonato non ha preso un attaccante che segna. Colombo non è un attaccante di prima fascia, uno di quelli (per dirla alla Bagnoli) che "alla casella dei gol vanno sempre in doppia cifra". Qualche anno fa però era una giovanissima promessa. Mi ricordo che Prandelli lo avrebbe voluto ad occhi chiusi quando era un baby della Sampdoria.

E’ un attaccante di manovra. Un "pennellone" che sa far salire la squadra e regala centimetri al reparto avanzato. Un "toccasana" per gli esterni rapidi che trovano nei suoi movimenti corridoi che prima erano solo strade chiuse.

Bonato ha abbracciato un filosofia tattica diversa. La sua speranza, è evidente, è che i gol dell’Hellas non arrivino da un solo bomber ma da tanti bomber. Da Rantier, da Selva, da Berrettoni, da Ciotola e anche da Pensalfini (che fino a prova contraria e per fortuna nostra Bonato ha portato a Verona…). E’ un’idea logica che il campo dirà se buona o no. Resto dell’opinione che un attaccante come Bruno o Di Gennaro avrebbe dato molte più garanzie e che Bonato con questa scelta si sia preso qualche rischio. La sua campagna acquisti meritava un dieci se avesse messo a segno quel colpo. Stasera mi sento di dargli un sette che a fine stagione (il calcio è questo…), speriamo si tramuti in una promozione. Cioè un dieci con lode.

LA MARCIA E’ INIZIATA

 Adesso ci siamo. Dopo la falsa partenza contro il Foggia, il Verona non ha sbagliato il secondo colpo. La vittoria limpidissima di Lanciano toglie il campo da ogni dubbio. La squadra costruita da Bonato potrà lottare per il vertice, così come promesso dalla società.

Volendo analizzare il tre a zero c’è da dire che questo Verona sembra più a proprio agio fuori casa che al Bentegodi. Le veloci ripartenze di Berrettoni e Ciotola, la capacità di far girare la palla di Esposito e Pensalfini, la solidità della difesa, sono caratteristiche perfette per una squadra da trasferta. In casa il Verona a mio avviso incontrerà le difficoltà maggiori. Non sarà raro trovare squadre che giocheranno come il Foggia e sarà allora che avrà valore l’episodio, il calcio piazzato, la forza fisica. O in sintesi: un bomber di qualità.

Vado al dunque: per completare questa splendida opera Bonato e Martinelli dovranno per forza cercare un attaccante di grande spessore. Bruno o Di Gennaro sono i nomi che fanno sognare i tifosi. Altre e dispendiose soluzioni francamente non mi sembrano all’altezza. Aspettiamo fiduciosi. Intanto la marcia è iniziata.

SI’, LO CONFESSO: MI ASPETTAVO DI PIU’

 Io, per primo, avevo la scorsa settimana avvertito che non era il caso di urlare al fallimento se la partenza del Verona non fosse stata al fulmicotone. Conoscendo quando infima e paludosa sia la categoria, immaginavo che la gara con il Foggia, potesse essere diversa da una comoda passeggiata in via Mazzini.

Coerentemente con quanto scritto, quindi, dovrei oggi dire che il Verona m’è piaciuto al di là del risultato e che davanti a noi c’è una strada lastricata di rose e viole.

Istintivamente e non razionalmente però non posso dire di essere soddisfatto di quello che ho visto oggi. E che questa insoddisfazione fa rima con la delusione che inevitabilmente si è fatta largo dopo un mercato così stracolmo di aspettative. 

Ebbene sì: in cuor mio me l’aspettavo diversa questa partenza. Avrei voluto vedere un Verona con più personalità, con più fame e rabbia di vincere, meno rassegnato e meno sulle gambe. Me l’ero immaginata sulla falsariga di quella con il Piacenza questa partita con il Foggia, imbottito di ragazzini e incapace persino di tirare verso la nostra porta. Certo, la musica non è la stessa della scorsa stagione. Questo lo si capisce perfettamente. A centrocampo straborda la qualità, in difesa c’è sicurezza, in attacco fantasia.

Ma c’è sempre una certa aria di sufficienza unita ad un pressapochismo che non mi piace. C’è sempre qualcuno troppo avanti o troppo indietro, un giocatore che sbaglia i tempi, poche idee sui calci piazzati. Questi "particolari" lo dico e lo ripeterò sino alla nausea, si provano, riprovano e sistemano duranti gli allenamenti settimanali. Tanto più quando si ha una squadra con "qualità" e con giocatori che sanno come e dove far viaggiare la palla. Ma non solo: c’è anche un "carattere" generale della squadra che deve riflettere questo lavoro. Una squadra deve avere sì esperienza e qualità, ma anche "rabbia" e "fame".  E non bastano sessanta minuti su novanta per dimostrarlo. 

Attenzione: il mio non vuole essere un atto d’accusa, un "attacco" a qualcuno (tipo mister Remondina…) o un prendere in esame solo il famoso bicchiere mezzo vuoto. Ho visto, come credo avranno visto molti  di voi, cose egregie e anche un po’ di sfiga. Però, quella sottile vena di delusione che mi è entrata nella pancia finita la gara esigeva di essere messa nero su bianco. Sperando venga rimpiazzata al più presto dalla gioia di un’impresa in trasferta.

MAI STA COME ‘STANO

 Ve lo ricordate? Era uno striscione che apparve in una bella curva all’inizio degli anni ’90 (mi pare con Mutti…). Era uno striscione ironico: "mai sta come ‘stano" mi è tornato in mente in questi giorni dovendo scrivere della nuova stagione che attende il Verona. In effetti è un bel po’ di tempo che non siamo come quest’anno.

Ricapitolando: c’è una società nuova che ha fatto le cose con i controfiocchi. Una squadra molto cambiata che pare perfetta per la categoria, che ha cambi in tutti i reparti e che tranne un paio di piccole magagnette (da risolvere entro il 31/8…) è pronta a salire.

C’è un pubblico meraviglioso che ha testimoniato il proprio affetto abbonandosi in massa e che è pronto, ancora di più a riversarsi allo stadio quando ce ne sarà bisogno.

C’è un entusiasmo ritrovato come da anni non si sentiva e non si vedeva. Come sempre, ora la parola passa al giudice supremo, cioè al campo. E’ lì che si vedrà di che pasta è realmente fatta questa squadra. Ma l’impressione giusta resta quella sintetizzata da quel famoso striscione: "Mai sta come ‘stano".

PS: Il prossimo anno, il 12 maggio 2010, ricorre il 25° dalla vittoria del tricolore… La regular-season termina il 9 maggio… E non dico altro…

L’OBBLIGO DI VINCERE

 Da tre anni assistiamo ad un triste e penoso spettacolo chiamato Prima Divisione. Una punizione ingiusta per una società che toccherà un record d’abbonati che la pone tra le prime dieci società calcistiche italiane.

I motivi per cui l’Hellas è caduta così in basso sono ormai noti. Ma il fatto che siano noti non assolve per niente chi ha ridotto questa società in queste condizioni.

Ora però il Verona è tornato ad essere una società "normale". Ho più volte ribadito questo concetto durante questa estate, perchè in realtà questa normalità mi pare essere la notizia più straordinaria che ci sia. Un presidente NORMALE, un ds NORMALE, un’organizzazione NORMALE. Il giusto premio per questa normalità sarebbe tornare subito in una categoria appena, appena NORMALE.

Ma vincere, purtroppo, non è mai semplice. E non è semplice affatto quando sei condannato a farlo. Purtroppo però è così. Remondina e i nostri ragazzi, quest’anno avranno quest’obbligo a cui giustamente non si sono sottratti. 

Sono rimasto piacevolmente sorpreso dal mister scaligero quando ha rotto tutti gli indugi durante la presentazione di Sandrà della squadra. Perchè in realtà Remondina si è caricato sulle spalle, oltre a tutti gli altri pesi, anche questa ulteriore pressione. Una pressione che nessuno vorrebbe avere addosso e che inevitabilmente andrà a complicare le cose in una stagione dura e difficile come questa.

E’ vero, dunque, che c’è l’obbligo di vincere, perchè non ne possiamo più di questa triste e brutta categoria che non ci appartiene. Ma è bene sapere che non sarà possibile vincere tutte le gare da qui alla fine.

Che ci saranno i momenti no, i cali di forma, i torti arbitrali e non possiamo, se vogliamo essere vincenti, alzare il livello della critica fin da subito. Un po’ di indulgenza e di pazienza, nel nome della normalità finalmente acquisita sarà bene metterla in campo. 

TROPPO BELLO PER ESSERE VERO

 Se fosse vero, il Verona potrebbe chiedere una deroga alla Figc e venire iscritto d’ufficio al prossimo campionato di serie B.

Tanta la supremazia, la forza, la padronanza nella gara di Piacenza, che, appunto, se fosse tutto vero, il nostro Hellas non avrebbe nessuna difficoltà a superare a piè pari il campionato di Lega Pro e approdare, finalmente, al campionato cadetto.

Purtroppo, è evidente, non è così. Il calcio d’agosto è quanto di più effimero ci sia in campo sportivo. Solo una settimana fa, lo Spezia, appena ripescato dalla serie D, con pochi allenamenti sulle gambe e quindi più fresco, aveva reso complicatissima la vita al Verona. Una settimana dopo l’Hellas assomigliava al Real di Kakà contro una formazione di categoria superiore. E’ insito in questa considerazione la poca attendibilità dei test affrontati.

Il campionato sarà ben altra cosa. Le mille trasferte al Sud, le partite inevitabilmente incarognite dal risultato a tutti i costi, gli infortuni, le squalifiche, i momenti d’appannamento della forma. Abbiamo imparato alla perfezione in questi due anni, quanto sia strana, dura e difficile la Lega Pro Prima Divisione per alzare già oggi peana di vittoria.

Ma qualcosa dai primi due turni di questa Coppa Italia, comunque resta. Nella prima gara il Verona ha dimostrato di saper soffrire. E questa è una grande dote. Strappare un umile risultato di 1-0, pur giocando male e non convincendo è la prima prerogativa di una squadra vincente. Nella seconda gara, viceversa, il Verona non ha mai sofferto. Nemmeno quando il Piacenza ha prodotto il massimo sforzo per raggiungere il pareggio, la squadra gialloblù è andata in difficoltà. E questa è un’altra qualità di chi vuol restare al vertice in campionato: saper gestire le gare e i risultati.

Non mi soffermo più di tanto sui singoli, ma una parola su un personaggio in particolare la voglio spendere. Personalmente il giocatore che più mi ha impressionato è Andy Selva. La "belva" gialloblù è una vera sorpresa per me e credo anche per molti tifosi. Nelle movenze e nell’intelligenza tattica ricorda il miglior Totò De Vitis e francamente mi chiedo (e ho chiesto oggi a Bonato), come sia possibile che la sua carriera non abbia conosciuto vette più alte. Se questo è Selva e Bonato, come mi ha ribadito nel pomeriggio, vuole prendere anche un altro attaccante, allora possiamo dormire sogni tranquilli. Non sarà tutto vero questo calcio d’agosto, però è bello pensarlo…

IL BRAVO GIORNALISTA SPORTIVO

Qualche giorno fa Silvio Berlusconi ha fatto una lezione di giornalismo ai giornalisti…sportivi.

Durante la conferenza stampa a Milanello, il presidente del consiglio (e del Milan) ha fatto sapere che "i tifosi leggono solo gli articoli sulla propria squadra e vogliono avere conferme, non critiche. Se qualcuno continua a criticare troppo va a finire che i tifosi non lo leggono più e smettono anche di comprare quei giornali dove appaiono articoli per cui, dopo averli letti, bisogna fare gli scongiuri". Berlusconi ha anche elogiato i giornalisti sportivi che a suo dire sono bravi perchè fanno meno domande rispetto a quelli politici. Sicuramente Berlusconi ha detto la verità, una volta tanto. E’ vero: i giornalisti sportivi non fanno più domande. Registrano quello che avviene in stantie conferenze stampa, non approfondiscono più, non hanno più il gusto del dibattito e della scoperta. La professione, a causa di uffici stampa sempre più zelanti e appiattiti sulle società, e a causa di un business sempre più esasperato sta decadendo. La colpa, naturalmente non è solo degli uffici stampa ma di quanti si stanno adeguando a questo trend e parlo di noi giornalisti sportivi, ridotti a registratori umani di banalissime dichiarazioni. E’ ormai impossibile, anche a Verona chiedere di intervistare un giocatore. La decisione cade dall’alto e solitamente è tesa ad evitare imbarazzi e domande scomode. Qualche anno fa c’era almeno il tentativo di dibattere su chi portare in sala stampa, ora è un argomento chiuso. Se un giocatore ha fatto un errore alla domenica, una papera, è impossibile intervistarlo. La farsa raggiunge il suo apice quando l’allenatore di turno decreta l’allenamento a porte chiuse. Piacerebbe sapere cosa fanno in questi segretissimi allenamenti visti i risultati sul campo. Ma soprassediamo. Sempre più spesso si vietano le interviste telefoniche. Si teme che il giornalista instauri un rapporto fiduciario con il giocatore. Le conferenza stampa (non a Verona, per fortuna…) domenicali sono dei lunghi monologhi in cui intervenire è quasi vietato. Invece di dibattere su questi temi la categoria (la mia categoria…) spedisce a casa degli iscritti all’Ordine un decalogo di autocensura: vietato criticare, per il rischio di aizzare le folle. Le folle in realtà non credono più al calcio non per colpa di chi critica ma di una masnada di imbroglioni che hanno falsificato gli andamenti dei campionati creando una dietrologia continua in ogni partita, essendo sparita quasi del tutto la buona fede. Non uno dei giornalisti coinvolti nelle intercettazioni di Moggiopoli è stato radiato dall’Albo. Ricordo che nel 1986 intervistai Michel Platini nello spogliatoio del Bentegodi, mentre si infilava i calzini e si metteva le scarpe. Oggi la società evita di presentare ufficialmente Bertolucci a tutta la stampa, affidando la presentazione a poche banali domande pubblicate in un video apparso sul sito ufficiale, riprese puntualmente da noi umani registratori. Mi chiedo se servano ancora i giornalisti sportivi. O basti Berlusconi che si intervista da solo…

IN PERENNE TRASFERTA

 Inizio subito col dire, per anticipare inevitabili commenti, che l’argomento non è di "scottante" attualità, nè di straordinaria importanza.

Oggi sono andato per la prima volta al campo d’allenamento di Sandrà.

Senza giri di parole: non m’è sembrato adatto per il Verona. Se questa è la squadra che rappresenta la città, come ha detto il sindaco Tosi, non si può allenare così lontano dalla città.

Il campo di Sandrà non è un centro sportivo, ma semplicemente un campo di provincia. Capisco l’affetto che il presidente Martinelli, che proviene da questo paese, prova per il "suo" ambiente, ma francamente mi pare assurdo che l’Hellas venga sottratto all’affetto dei suoi tifosi solo perchè l’affitto dell’antistadio è eccessivo.

Capirei se la scelta fosse stata fatta in virtù di un grande progetto: un impianto a tutti gli effetti di proprietà dell’Hellas con tutte le comodità che una struttura di questo tipo può offrire.

Così però, c’è la sensazione di qualcosa di precario, di una trasferta perenne, come se l’Hellas cercasse una "casa" senza averla ancora trovata e nel frattempo venisse ospitato da un buon amico.

Credo che abbiamo un po’ tutti sottovalutato l’impatto di questa scelta. Dettata (giustamente) da una logica economica.

Ma la faccenda non può dirsi chiusa qui. L’assessore allo sport Sboarina, il presidente Martinelli e l’amministratore Siciliano hanno il dovere di ritrovarsi attorno ad un tavolo per arrivare ad un accordo.

Altrimenti tutti i discorsi ascoltati in queste settimane sul "Verona patrimonio della città e dei veronesi" rischiano di diventare già ora aria fritta. L’Hellas deve tornare ad allenarsi in città, al Bentegodi o lì vicino. Di trasferte, lunghe e difficili, quest’anno, ce ne saranno già a sufficienza.