LA SQUADRA CHE NON CRESCE MAI

Dice: abbiamo creato tanto. Aggiunge: bisogna essere più cattivi. E’ da agosto che sentiamo queste parole. A turno le hanno dette un po’ tutti nel Verona. La prima volta che le ho sentite credo che fosse la seconda amichevole della stagione con il Sudtirol. Da allora il Verona continua creare tanto (possiamo discutere se con lucidità o con confusione) ma raccoglie sempre meno di quanto semina. E quando, come con l’Ascoli, l’uomo che sposta gli equilibri è assente, finisce 0-0. Purtroppo ed è brutto dirlo, il Verona non cresce mai. Una settimana fa, eravamo qui a scrivere la stessa cosa dopo Brescia. E in genere lo abbiamo sempre detto, persino dopo le goleade.

Uno il coraggio non se lo può dare, diceva Manzoni di Don abbondio, e questo significa che il Verona è una squadra che non ha nelle sue corde la cattiveria. E’ una squadra di “fighetti” e scusate se ripropongo un termine che secondo me calza a pennello (non vorrei peraltro creare troppa pressione con simili termini…). Con “fighetti” intendo dei ragazzi che a volte si divertono a fare il colpo di tacco, il tocco con l’esterno, un triangolo in più per entrare in area fino a dimenticare l’essenza stessa del calcio: il gol. Insomma: una specie di masturbazione fine a se stessa, come se il fine fosse il verificare la supremazia delle cifre del match analysis e non la vittoria e quindi i tre punti. Anche il rigore di Romulo può essere catalogato sotto questo capitolo.

Non so da cosa dipenda. Se sia figlio del modo d’intendere il calcio di Fusco e Pecchia o se sia solo incidentale. Fatto sta che anche con l’Ascoli abbiamo buttato via due punti. E anche con l’Ascoli siamo qui a scrivere nuovamente dei limiti di questa squadra che tutti ravvisano (Pecchia per primo) e però, purtroppo, non cresce mai. Abbiamo visto però un sacco di tocchi d’esterno, di palloni controllati con la suola e di predominio territoriale. E domani il match analysis confermerà che abbiamo dominato. Ma è finita 0-0.

ON THE ROAD AGAIN

Che la diritta via era smarrita…

Il Verona ha ritrovato la strada giusta. La vittoria con il Brescia rivestirà un valore particolare quando si riguarderà la storia di questo campionato. Il momento era topico, la vittoria fuori casa mancava da novembre, i fischiatori avevano il fucile puntato sulla panchina.

Il Verona ha vinto e questo era fondamentale. Mi chiedo se ha convinto e dico di no. Avrebbe convinto, se come era naturale corso delle cose e della partita avesse battuto il Brescia 5-0. Invece la squadra ha sprecato troppo denunciando ancora una volta il limite insito nel proprio dna. E’ una squadra che propone gioco ma che non sa ammazzare le partite. Vale come esempio il tentativo di pallonetto di Franco Zuculini che preso dalla voglia di imitare Maradona ha provato la colombella da sessanta metri, tipo gol al San Paolo del Pibe con Giuliani esterefatto (remember?). No, no, no Franco: non si fa. E infatti il Brescia è rimasto in partita e alla fine ha provato persino a pareggiare una gara che il Verona aveva dominato.

Comunque è andata bene e siamo di nuovo in cima alla classifica, vedremo dopo il posticipo del Frosinone in che posizione. Ma ora il Verona non deve più smarrire la strada. C’è stata una crisi di crescita, lunga, eccessiva, che è servita a Pecchia anche per sapere su chi contare. Sono cambiate delle gerarchie nello spogliatoio, la situazione ora è più chiara. Le prossime gare sono quelle da non sbagliare. Bisogna essere cattivi nell’animo, ma liberi nella mente. On the road again. Fischio finale.

SE PECCHIA E’ UN INCAPACE…

Seguitemi un istante in questo ragionamento: in molti sostengono che Pecchia sia un incapace. Coloro evidentemente ritengono molto deludente il suo lavoro. Il postulato di questi critici è ritenere la squadra gialloblù la più forte della serie B. Uno squadrone. La Juventus della categoria. E quindi si ritiene che il Verona abbia l’obbligo di stravincere il campionato, ammazzare le partite, divertire.

Ci sta. Questa gente, parallelamente, pensa che la società e quindi il presidente Setti abbiano fatto un grande lavoro. Perchè se la squadra è fortissima e ora va male, per forza deve essere così. E perciò a deludere è Pecchia che non sa condurre questa corazzata con la giusta esperienza e con sufficiente capacità.

Io credo invece che il Verona sia solo una buona squadra. Nè più forte nè meno forte di tante altre. Una squadra che proprio attraverso il grande lavoro di Pecchia è diventata una delle candidate alla serie A. La valutazione del Verona passa soprattutto attraverso due uomini. Il primo è Giampaolo Pazzini. Che oggi è un trascinatore ma sette mesi fa era un coglione. Va detto. Nessuno avrebbe mai immaginato che Pazzini dopo il campionato dello scorso anno potesse fare una stagione del genere. Gravato da un logorio fisico, Pazzo sembrava il classico giocatore sul viale del tramonto. E’ stato invece proprio Pecchia a volerlo fortemente. Lo ha guardato negli occhi, gli ha regalato stimoli, lo ha reso importante sia nello spogliatoio, sia tatticamente. E i risultati sono questi.

L’altro è Romulo. Un giocatore che è stato immenso a Verona per mezzo campionato. E che poi non abbiamo più visto. Martoriato da infortuni e da una testa che a volte lo frena. Romulo è un ragazzo d’oro, magari attanagliato da strane paure. Lo stesso Romulo ha detto nell’ultima conferenza stampa di quanto sia stato vicino al ritiro. Togliessimo questi due giocatori, cosa resterebbe del Verona?

Ho appreso che il monte ingaggi dell’Hellas è stato abbassato notevolmente. Con gli ingaggi (spalmati) di Pazzini e Romulo, con quello di Gomez, e con lo stipendio di Mandorlini e del suo staff (circa un milione e mezzo), siamo a quindici milioni. Zaccagni ha rinnovato a 60 mila euro. Idem Cappelluzzo. Anche Boldor prende 60 mila euro. Franco Zuculini ne prende solo 30 mila. Nicolas da 70 mila è passato a 130 mila. Questo per dire che a Pecchia non è stata affidata una corazzata. Dal mercato sono arrivati Bessa (grande operazione chiusa con l’Inter a 1 milione e ottocentomila euro) e Ganz (in prestito dalla Juve) Entrambi erano retrocessi con il Como (che poi a ben vedere era retrocesso anche Volpati quando arrivò a Verona…). Fossati è arrivato come parziale contropartita della cessione di Ionita al Cagliari. Sono rimasti alcuni giocatori come Souprayen che in serie A avevano fatto pena.

Ora vi chiedo: questa è una squadra capace di ammazzare il campionato? E’ quella super corazzata che i critici di Pecchia ritengono essere? Forse, aggiungo io, l’avvio straordinario del campionato ha illuso tutti. E sicuramente Pecchia non è stato aiutato dal mercato di gennaio quando Setti doveva mettere mano al portafoglio, come scrissi in tempi non sospetti. Ecco allora che forse il lavoro di questo allenatore va un tantino rivalutato. Magari se ragionassimo guardando un po’ più in là del nostro naso ci accorgeremmo che Pecchia non è poi così incapace. E che probabilmente il Verona terzo a tre punti dalla prima, in piena corsa per la promozione diretta in serie A è in piena linea con le reali aspettative tecniche ed economiche della società.

 

E ORA SOTTO CON IL BRESCIA

Criticare è legittimo. Ci sta. Soprattutto se si parla del Verona, oggetto di amore e identità. Ci sta nei modi e nei tempi giusti. Ci sta per far capire che l’andazzo è sbagliato. Ci sta perché i giocatori passano e i tifosi restano. Ci sta perché vestire la maglia del Verona è una responsabilità e se non lo capisci (caro giocatore…) te lo spiego.

Quello che non ci sta è il fischio preventivo. Quello fatto “ad personam” e soprattutto prima di una partita. Il fischio strumentale. Quello è un fischio che disgrega, che spezza l’animo, che indebolisce la nostra squadra e tutti noi. Non si fischia per antipatia né si batte sempre le mani per simpatia. Tantomeno lo si fa prima di una gara delicatissima del NOSTRO Verona.

Ecco, il Verona è di tutti noi, non di qualcuno e basta. Non ci sono tifosi di serie A né di serie B. C’è chi per lavoro, per mancanza di soldi, per mancanza di tempo, perché ha una famiglia da mantenere, non riesce ad andare allo stadio. Ma state certi che questo tifoso soffre terribilmente come chi va allo stadio e sicuramente sarà il primo ad ammirare chi va in trasferta e sacrifica tempo e denaro per andare in giro per il mondo a sostenere la nostra squadra.

L’Hellas ha una sola cosa che fa la differenza. Non i presidenti che vengono da fuori, non gli imprenditori locali, non gli sponsor. Ma la sua gente. E’ la gente che ha salvato il Verona dalla sparizione. Gente appassionata, meravigliosa, eccezionale come quando applaude la propria squadra che finisce in serie C. Ecco, non disperdiamo questo patrimonio sull’altare di un fischio preventivo fatto con il solo scopo di colpire una persona che ha la colpa di non essere simpatico a qualcuno (chissà poi perché, forse perché troppo educato e gentile?). Francamente siamo troppo alti per abbassarci a queste miserie. E ora sotto con il Brescia.

DUE GARE PER CAPIRE SE IL VERONA C’E’ ANCORA

Al netto di tutte le analisi che si possono fare dopo Frosinone-Verona (primo tempo buttato nella spazzatura, frutto di una formazione assurda), c’è la classifica che parla chiaro. Il Verona è quarto. Ora non si scherza più. Dopo aver giocato contro Benevento, Spal e Frosinone per il Verona inizia un altro campionato.

Altri passi falsi non sono tollerabili. Ci sono due partite per cementare la panchina di Pecchia e per vedere se il Verona c’è ancora. L’allenatore cerca segnali positivi e dal suo punto di vista fa bene. Ma è certo che il Verona ha smarrito la strada maestra. Il turbinio di moduli-scelte rendono Pecchia alla stregua di un apprendista stregone. Un allenatore alla ricerca di una formula magica, di una pozione che risolva i problemi ma invece scatena un casino grande come la frenata che l’Hellas ha avuto da quella partita con lo Spezia in poi.

Poco valgono oggi le cifre. L’unica che ha un senso è la classifica e la classifica dice che l’Hellas si è perso. Ma dice anche che non è finita qui. Che c’è il tempo di risollevarsi e di giocarsela, vuoi anche ai play-off che sarebbe comunque un modo di andare in A, anche se non proprio un gran vanto per una retrocessa con quel popò di paracadute.

Sapete benissimo cosa sostengo da mesi: quando hai un allenatore giovane e inesperto come Pecchia la società lo deve supportare in tutto. Anche fornendogli la miglior squadra possibile. Cosa che a mio avviso non è stata fatta a gennaio quando la società doveva rafforzare questa rosa con un mercato diverso che coprisse le lacune di una rosa che è in fondo il frutto di quella squadra che è retrocessa in modo ignobile nella scorsa stagione. A questo punto purtroppo è persino inutile star qui a rimuginarci sopra. Ci sono due gare in cui il Verona deve dimostrare di esserci ancora. Vincere con Ternana e Brescia. Stop.

HATERS

Premessa: un tifoso ha tutto il diritto di criticare. Ma mi chiedo: fino a che punto questa critica può spingersi senza cadere nell’autolesionismo? Nell’epoca dei social e degli haters di professione la questione è di pressante attualità. Il dibattito si è spostato dai bar alle pagine di facebook che grondano insulti e giudizi senza un domani. Vengono attaccate etichette che a volte puzzano di strumentalizzazione.

Fazioni si affrontano cercando di avere ragione le una sulle altre. Per anni abbiamo discusso su Mandorlini. Per alcuni un semidio, per altri un incapace. La discussione ha fagocitato le nostre anime, fino a farci dimenticare l’obiettivo finale che dovrebbe essere solo e sempre l’Hellas Verona. Ancora oggi l’argomento resiste. Ma è solo un esempio. Ne faccio un altro: nulla e nessuno faranno cambiare idea su Bianchetti. E’ stato battezzato “brocco” e tale resterà fino alla fine dei tempi. Non voglio difenderlo, ma mi dà fastidio la critica preventiva.

Bianchetti sbaglia spesso, non ha un grande carattere nè una grande personalità, di certo non lo aiuta leggere certi giudizi. Lo so, direte: è un professionista, fa parte del gioco. E’ vero: ma è un uomo e non tutti abbiamo il famoso pelo sullo stomaco e un super ego nella nostra coscienza. A volte una pacca sulla spalla può fare miracoli.

Potremo continuare: Pecchia è passato dall’essere un nuovo Van Gaal allo status di “coglione”. Senza passare dal via, come a Monopoli (il gioco, non la città). E magari qualcuno non aspettava altro per dimostrare di avere ragione.

Di esempi ne abbiamo tantissimi e nessuno come un tifoso del Verona dovrebbe saperlo. Ci fu una gara, mi pare contro il Gubbio, in cui Nicola Ferrari, schierato a sorpresa da Mandorlini come titolare, venne fischiato non a fine partita ma durante la lettura delle formazioni. La famosa critica preventiva. Già i social grondavano di insulti per Nicola, quei fischi potevano ammazzarlo. Nicola è un trentino tenace, segnò un gol in mezza rovesciata e da lì in poi iniziò il suo riscatto. Pian piano tutti noi iniziammo a vederlo sotto una luce diversa. E divenne Iron Nick, l’uomo che ci tirò fuori dalla palude della Lega Pro, successivamente idolatrato magari anche dagli stessi haters che hanno questa facilità di spostare il loro tiro. Un po’ come fanno le banderuole che indicano da che parte tira il vento. Ma così è troppo facile.

RIPARTIRE

Un punto guadagnato? Io dico di sì. Certo non è il Verona che incantava e segnava a raffica, ma non è stato nemmeno il Verona di Avellino. E la Spal che doveva fare un solo boccone dell’Hellas secondo i più pessimisti ha fatto la classica partita tutta difesa e “speriamo che là davanti succeda qualcosa”.

Insomma, il Verona non m’è dispiaciuto. Credo che Franco Zuculini sia mancato tantissimo a questa squadra, mentre Boldor in difesa, pratico e concreto, non è più una scommessa ma una certezza. Alex Ferrari si è proposto come un possibile titolare, siamo tornati ad aggredire alto e a conquistare il pallone nella metà campo avversaria.

Non è cambiato l’atteggiamento dell’arbitro. Nonostante la protesta della società, i fischietti arrivano al Bentegodi e continuano a fare i fenomeni. C’era un rigore su Pazzini, Arini e Mora della Spal andavano ammoniti ed espulsi, l’intervento di Zaccagni non era nè più nè meno grave rispetto a quelli che attimi prima avevano subito i nostri ad opera dei due sopra menzionati. Al Benevento che ha i nostri stessi punti hanno regalato un rigore all’88’.  Sono cose che adesso fanno la differenza. Non un alibi.

Il Verona ha un difetto: crea un sacco di gioco ma non è concreto. Tira tanto, ma non prende la porta. E a dispetto del gioco creato, della supremazia territoriale, del possesso palla, non raccoglie quando semina. E’ un difetto congenito di questa squadra, figlio della mentalità del suo allenatore e delle caratteristiche tecniche della squadra. Fermato Pazzini, si ferma il Verona. Questo è il dato più preoccupante a cui Pecchia deve mettere subito mano con lavoro e cambio di mentalità.

Il Verona con la Spal ha aperto il paracadute (non quello dei soldi), ma ora deve riattivare i retrorazzi per ripartire. A Frosinone sarà battaglia e loro passeranno la settimana a ricordare i due rigori dell’andata. Sperando in un arbitro all’altezza, il resto ce lo dovremo mettere noi. Quello che di buono si è visto con la Spal, purtroppo, non è ancora sufficiente.

PAZZINI C’E’. E GLI ALTRI?

La prima cosa che voglio dire è che io non credevo a Pazzini. Quando Setti mi disse a maggio che lo avrebbe tenuto mi vennero i brividi. Pensavo che fosse finito, che le sue ginocchia martoriate non tenessero, che fosse insomma il primo mattone di una casa destinata a franare. Dico questo per fugare i dubbi su presunte ruffianerie nei suoi confronti e anche per chierdergli un po’ scusa, semmai a lui fregasse qualcosa di cosa pensassi io.

Oggi ho sentito Pazzini parlare nel momento più difficile del campionato del Verona, l’ho sentito dopo aver visto, come tutti voi, quello che ha fatto in campo e anche cosa (non) ha combinato il Verona quando lui mancava.

Meno male che Pazzini c’è. Lo dico chiaro e tondo, smentendo in questa sede, anche un altro mio post precedente: il Verona non è Pazzini-dipendente. Una speranza forse, che si è squagliata contro la realtà. Il Verona è assolutamente Pazzini-dipendente e senza di lui questa è una squadretta che può prenderle dal Latina (dove peraltro era in campo anche lui) e dall’Avellino.

Pazzini è l’uomo più importante del Verona, lo dicono i numeri, lo dicono i gol, lo dice questo campionato. Ma è importante soprattutto per lo spirito che ha messo in questo torneo e che dovrebbe rappresentare anche un esempio, se non uno stimolo, per i suoi compagni di squadra.

Pazzini potrebbe anche fregarsene, diciamoci la verità, forte del suo quinquennale e del suo passato. Ma chi glielo fa fare di andare a lottare con quattro difensori-scarponi della serie B? Invece è successo proprio il contrario. Pazzini si è così calato in questa realtà che prende botte, s’incazza, protesta, lotta. Nessuno come lui lo fa nel Verona. Ed è un peccato che il nostro bomber resti un esempio isolato, mentre altri compagni, bravissimi ragazzi per carità, a volte vestono il frack come se partecipassero a un festino e non a una partita di calcio.

Guardate solo per un secondo la faccia del “Pazzo” quando gli chiedo se ha parlato ai compagni nello spogliatoio. Il suo sguardo, poi il suo sorriso ironico. Non serviva altro, nè le parole avrebbero avuto la stessa efficacia. Guardatelo bene e pensate a che cosa abbia detto là a Peschiera nel chiuso dello spogliatoio. Pazzo c’è. E gli altri?

IL RISCHIO DI GIOCARE CON IL FUOCO

Purtroppo il calcio non perdona. Non puoi sbagliare valutazione. Se lo fai, prima o poi paghi dazio. Il male del Verona è che non ha rafforzato alla squadra a gennaio. Si poteva fare, non si è voluto fare. La valutazione da non sbagliare era quella. Lo avevamo chiesto in ginocchio a Setti, Fusco, Pecchia. Chiudetevi in una stanza, tra di voi non raccontatevi frottole, dite la verità, avevamo scritto.

La valutazione che era emersa l’ha spiegata Fusco in quella conferenza stampa. Il miglior acquisto del Verona è la continuità, disse. E ancora: Gomez è il miglior acquisto di gennaio. E via di questo passo. Filippo è un gran signore e continuo a stimarlo. Ne ha azzeccate molte, ma questa volta mi dà l’idea che se l’è un po’ suonata un po’ cantata. Siccome Setti non ha aperto il portafoglio, lui è stato più realista del re. E invece di vedere le nudità (del re) ha fatto finta che sua maestà fosse ancora vestito. Lo fanno i sudditi, non le persone intelligenti e di personalità. Nella vita, per come la vedo io,  è meglio essere un rompicoglioni che un signorsì. Purtroppo a chi ha in mano il potere (e il portafoglio) non sempre queste figure piacciono. Preferiscono circondarsi di stupidi camerieri a cui, peraltro, scaricano la colpa quando le cose non funzionano.

Purtroppo non era così. L’ottimo lavoro di giugno (cessione di TUTTE le possibili plusvalenze e rivalutazione di ciò che era rimasto) aveva necessità di un serio mercato a gennaio. Le crepe che la squadra dopo Spezia ha evidenziato si sono allargate fino a diventare voragini. Al netto di sfiga (ce l’hanno tutti, mica solo noi) e di arbitri (giusto lo sfogo dopo Benevento), il Verona di Pecchia si è involuto sempre di più fino a diventare una massa informe, senza capo né coda. Cioè quel “mostro” sceso in campo ad Avellino. Una squadra che crea ma che non segna. Che senza Pazzini è persa. Che non ha ricambi sulle fasce. Che ha limiti INDIVIDUALI pazzeschi in difesa.

Fusco che è grande amico di Pecchia, in realtà non ha fatto il suo bene. Il mister, che pure ha avvallato tutte le scelte della società, è costretto a cambiare, cambiare, cambiare e alla fine ha smarrito la via. Il bel Verona che aveva come principale obiettivo quello di giocare bene, vincere e convincere, è un nomade senza patria, senza guida, errante e smarrito.

In più, per caratteristica cercata e voluta, questa è una squadra da fioretto, a cui non puoi chiedere di imbracciare la clava. Una squadra che quando prende una mazzata in testa non sa più cosa fare, come ritrovarsi. E oggi non c’è più nemmeno l’appiglio della retorica: “In fondo siamo primi”. Non lo siamo più e il contraccolpo sarà durissimo da assorbire. Oggi è il momento più duro del nostro campionato, mentre la gara con la Spal al Bentegodi sarà già uno spartiacque. Ora è tempo di vedere chi sono gli uomini veri e di che pasta è fatta questa squadra. Il bonus è finito.

DI CHE COSA PARLIAMO?

Dico subito che Fusco ha fatto bene a sollevare la questione arbitrale. A Verona diciamo “boni si ma non c…”. E’ da tempo che la classe arbitrale diretta dal signor Farina (qualcuno di voi ricorda????) sembra avercela con l’Hellas. Dopo Frosinone e i due rigori dati con manica larga c’è stato poco o niente. Avanzavamo l’ipotesi in un articolo di Tggialloblu della settimana scorsa che pare quasi che il “sistema” voglia impedire al Verona di scappare per non far crollare l’interesse del campionato. Quasi che si facesse pagare a Setti l’istituzione del paracadute che la B e il presidente Abodi non hanno mai digerito.

Fosse così sarebbe gravissimo e ci rifiutiamo francamente dal pensarlo. E’ un dato oggettivo però che il pessimo Abisso ha voluto compensare l’espulsione di Cissè buttando fuori in maniera pretestuosa anche Pazzini. Un danno gravissimo per il Verona in vista delle prossime due gare. Senza contare che se il gioco resta fermo cinque minuti e ci sono sei sostituzioni non puoi dare cinque minuti di recupero.

Giusto quindi farsi rispettare, giusto salire in sala stampa, giusto il cambio di passo nella narrazione che Gardini aveva imposto (mai parlare male degli arbitri in pubblico). Visti i risultati un’altra fallimentare decisione dell’ex dg. Detto questo, il Verona ha rischiato di perdere con il Benevento. Ed è di ciò che è giusto parlare in questa sede.

Perché il Verona non è più bello come qualche mese fa, perché c’è un divario netto tra i punti conquistati fino alla gara con lo Spezia e quelli conquistati dopo, perché c’è un’involuzione generale e anche in alcuni singoli. Sinceramente speravo e pensavo che la gara con il Cesena avesse sancito la fine della crisi, invece si è rivelata un fuoco di paglia. Latina, poi la gara vinta con la Salernitana e ora questo pareggio con il Benevento lasciano l’impressione di una squadra che sta facendo fatica. Molta fatica. Troppa fatica. Qualcuno dirà (e tra questi mister Pecchia) che ci sta anche la sofferenza, che non sempre si può vincere, convincere, segnare tanto e dare spettacolo soprattutto in serie B. E’ verissimo ma non si può far finta di niente e dire che va tutto ben madama la marchesa.

A questo punto del campionato dovrebbe uscire il lavoro fatto fino ad oggi, il gioco dovrebbe scorrere piacevole, dovrebbero vedersi dei progressi e un’evoluzione. Invece l’allenatore, messo in crisi dal mercato poco “aggressivo”, e con il problema più volte segnalato degli esterni che non vanno, sta cercando di ricucire una tela che è meno bella, meno convinta, meno affascinante dell’inizio di stagione. Purtroppo torno alla valutazione diversa che Setti e Fusco hanno dato della loro squadra. Forte ma non fortissima, sicuramente da ritoccare maggiormente a gennaio, quando un vero colpo davanti avrebbe garantito a Pecchia di poter schierare una squadra logica e meno sperimentale di quella odierna. Per quello invitavo seriamente la dirigenza a pensarci, a rifletterci, a valutare attentamente. Perché poi una decisione sbagliata, una valutazione superficiale, o comunque un rischio calcolato (cit. Barana), te li porti dietro fino alla fine.

C’è andata molto bene con il Benevento. Il punto è oro colato perché la squadra di Baroni ci è stata superiore. Ha giocato meglio, con più personalità, con meno paura. Questa è la verità e quello di cui vorremmo discutere. Abisso del resto è solo un punto profondo di un oceano. Laddove il Verona, primo in classifica, non vuole certo finire.