SOS, NEMICO CERCASI

AAA, squadra di serie B, seconda in classifica, quattro vittorie consecutive, ben allenata, dotata di giovani di grande prospettiva e vecchi campioni, cerca disperatamente avversario…

L’annuncio non è ovviamente reale, ma sintetizza benissimo l’andamento del Verona in questo campionato. L’Hellas di Pecchia ha annichilito tutte le avversarie dopo la sconfitta con il Benevento e ora sembra quasi cercare un nemico, un avversario, che possa rendere questo torneo almeno interessante. E’ una constatazione, non un atteggiamento da gradassi. Il Verona ha spazzato via Spal, Ternana e Avellino e si è liberata del Frosinone con l’aria di una grande. La superiorità è così imbarazzante che persino gli avversari ad un certo punto sono sconcertati. Nei loro occhi si vede la rassegnazione.

Sarà così sino alla fine? Probabilmente no, ma è certo che andando avanti così, il Verona un avversario se lo dovrà costruire. Magari sarà il Cittadella, straordinaria macchina che per ora sta davanti ai gialloblù. E francamente lo speriamo. Ma, se proprio dobbiamo dirla tutta, il principale nemico del Verona è il Verona stesso. Nel senso che solo il Verona così esageratamente forte in un campionato esageratamente mediocre può crearsi dei problemi. Una cosa è chiara. Questa squadra non è frutto della casualità. Dietro c’è un lavoro intelligente che è coniugato alla profondità della rosa e alle doti tecniche di alcuni giocatori. La summa è un Verona imbarazzante.

Il fatto che ci sia un’alta competizione interna ci mette anche al riparo da eventuali cali. Se Pecchia si permette di tenere fuori Romulo e di farlo rifiatare, senza che la squadra minimamente ne risenta, vuol dire che il livello degli allenamenti, la qualità dei giocatori e del progetto di gioco è tale da essere più forte anche di eventuali rilassamenti.

Mettiamola così, giusto per sfidare il destino (ovvia toccatina al portachiavi in tasca…): se eravamo costruiti per “born to tribular” per quest’anno, come compensazione allo schifo dell’ultima stagione, possiamo prenderci una pausa. Speriamo.

NULLA DI SCONTATO

L’errore più grande che si possa fare dopo la quarta vittoria di fila è pensare che il Verona sia già in serie A. Mi spiego meglio: il Verona è straripante, fortissimo, bello da vedere e ogni scelta che fa Pecchia è baciata in questo momento dal dio del pallone. Ma la forza di questa squadra non è un postulato. E’ il frutto di scelte precise che i lettori di Tggialloblu conoscono bene visto che le abbiamo messe in risalto fin da questa estate a Racines. Ed è il frutto di un lavoro profondo che Pecchia ha fatto su questa squadra.

La lezione di Benevento è servita e oggi il Verona è una squadra matura che per la seconda volta in questo campionato non ha preso gol, in cui non ci sono giocatori imprescindibili, ma solo un’orchestra che suona una musica deliziosa. Andare a Terni senza Romulo, con Valoti ancora in campo e con la novità Maresca, comandare il gioco, e poi essere strabordanti come siamo stati è uno spettacolo per gli occhi e una compensazione davanti alle miserie della scorsa stagione.

Detto questo, continuo a pensare che il nemico del Verona in questo campionato sia il Verona stesso. E’ pur vero che la concorrenza interna che Pecchia ha magistralmente costruito, dovrebbe metterci al riparo da ogni problema. Concorrenza significa alzare il livello degli allenamenti e quindi mettere in campo sempre l’11 migliore. Come d’incanto, dunque, è stato spazzato via il deprimente campionato della scorsa stagione, in cui dirigenti incapaci (e non la sfortuna o l’amaro destino) hanno umiliato il Verona.

Oggi è facile dirlo, ma è sempre semplicissimo affermarlo. Il pesce puzza dalla testa e viceversa. Se funziona la società, funziona tutto. E non è così scontato come appare.

TRE PARTITE, TRE VITTORIE, TRE VERONA DIVERSI

Con l’Avellino il Verona ha vinto di strapotenza, con un po’ di rabbia, con tanta qualità. Con la Spal ha vinto fumando una sigaretta. Con il Frosinone ha vinto randellando.

Dopo la sconfitta con il Benevento (che la lezione sia servita…) Pecchia ha buttato via l’acqua sporca e tenuto il bambino. Un’operazione facile a dirsi, difficile a farsi. Le critiche piroclastiche successive a quella gara erano evidentemente eccessive (siamo da Lega Pro, Pecchia l’è strasso, la difesa da mandare a casa, Pazzini finito, eccetera), in realtà quella sconfitta era figlia di un’espulsione, di qualche gol sbagliato, di poca concretezza in generale. Ma non si può negare che il Verona avesse tentato di giocarsela in dieci contro undici, mettendo anche in difficoltà una squadra che poi, s’è visto, è andata a prendere a pallate il Bari, diventando una delle realtà del campionato.

Dunque, metabolizzata la sconfitta nel migliore dei modi, Pecchia ha messo a frutto la lezione, presentando tre Verona, capaci di vincere ma in tre modi diversi.

Soprattutto contro il Frosinone che era il test più difficile, il Verona ha fatto capire di non essere solo una squadra bella da vedere, che si specchia nella sua capacità tecnica. Stavolta la squadra di Pecchia ha smesso i panni della reginetta del ballo ed è diventata una monellaccia che a schiaffoni ha replicato a schiaffoni, senza dimenticarsi però la sua bellezza di fondo. Quindi una squadra che sa anche vincere in sofferenza, molto pratica, che non disdegna di calarsi nella categoria fino in fondo, senza snaturarsi.

Un grande lavoro partito da Fusco, passato da Pecchia, sicuramente recepito da un gruppo che pare rinato sulle macerie di una pessima stagione e di pessimi dirigenti. Sarà dura, ma siamo sulla strada buona.

VALOTISSIMO

Se hai i piedi buoni non è possibile che non esplodi. Se poi hai anche testa, sei un ragazzo educatissimo, colto, intelligente, beh, la conseguenza è logica: diventerai un campione. E’ da quando è piccolo che Mattia Valoti se lo sente ripetere. Nel calcio lo dicono tutti. Valoti? Un potenziale fuoriclasse. Sogliano, imbattibile in queste intuizioni, lo prese per sessantamila euro. Qualcuno lo criticò, avanzando il sospetto che Sean prendesse Mattia perchè amico del papà Aladino. Per fortuna con quella gente, Verona non ha più nulla da spartire.

Fusco, che è una brava persona, intelligente e onesta, ha lavorato per il Verona. E siccome anche lui sapeva (sa) che uno come Valoti non lo si deve mollare, lo ha tenuto qui. Valoti è un patrimonio dell’Hellas. Giovane e forte, è sbocciato in una serata a sorpresa contro la Spal. Il suo repertorio è vasto e affascinante. Ha due leve lunghe quasi da pivot (cosa c’entra con il papà Aladino, basso e traccagnotto? Pare abbia preso dalla signora Valoti…) ma l’eleganza di un fenicottero. Segna e fa segnare, quando parte è dirompente. E allora che gli manca per diventare veramente un campioncino? Forse solo un pochino di cattiveria, quella sana che fa incazzare. Ma è probabile che questi due anni via da casa, lontano da mamma e papà lo abbiano fatto crescere. E poi la fiducia del Verona, di Pecchia e Fusco hanno fatto il resto. Valoti c’è. E si vede.

PADRONI

Non sempre 2 più 2 nel calcio fa quattro. Ma so per certo che quando si fanno le cose per bene, quando le scelte sono figlie di un’idea e non di compiacenza, quando lavori in profondità, i risultati arrivano.

Pecchia è un lavoratore e Fusco un ds onesto che ama il calcio e non gli affari. Il frutto è questo Verona. Certo a Benevento 2 più 2 ha fatto zero, ma quella sconfitta ha fatto bene alla squadra scaligera. Questa settimana, ne sono certo, non è stata facile a Peschiera. Qualche missile d’avvertimento era arrivato: come sempre quando si fa una rivoluzione c’è chi lavora per la restaurazione e il Verona non sfugge a queste regola.

Ma Fusco e Pecchia hanno continuato diritto per la loro strada, convinti della bontà del lavoro fatto e che non si può buttare via il bimbo con l’acqua sporca.

Con l’Avellino s’è ristabilita la normalità. E cioè che il Verona è una grande squadra (in B) e che il progetto di Pecchia è ambizioso quanto bello. Quindi avanti così, senza dimenticare però la lezione.

Il Verona è così esageratamente bello e forte in alcuni frangenti della partita che sembra assoluto padrone del destino suo e degli avversari. Questo porta l’analisi sempre e solo sui meriti e demeriti dei gialloblù. Mi spiego meglio: oggi Pecchia ha detto che ci sono anche gli avversari, ed è vero. Il fatto è che quando il Verona mulina gioco pare non essercene per nessuno. Ecco perchè sembrano inspiegabili quelle pause, come se questa squadra volesse talvolta giocare ad handicap per avere un po’ di gusto.

Così a Salerno ha fatto segnare la Salernitana e a Benevento è rimasta in dieci. Oggi, invece, ha scelto di essere ripresa dall’Avellino, tranne poi chiudere la pratica in due accelerate. Questo è un limite. Il Verona deve avere la personalità di asfaltare l’avversario, di continuare sempre a giocare, perchè questo sta scritto nel proprio dna. Ma, dico davvero, è proprio cercare il pelo nell’uovo, in mancanza di altri argomenti…

 

CHE NE SANNO I DUEMILA (DELL’AVELLINO)

C’è questa canzone che ha imperversato per tutta l’estate. E’ un elogio agli anni ’90 ed è rivolta alla generazione 2000 che (forse) ignora la bellezza di quegli anni. Io che sono più vecchio penso che gli anni più belli siano stati gli anni ’80. Forse perchè avevo 20 anni e tutto aveva un sapore diverso. Però è allora che il Verona vinse lo scudetto. E questa è una gioia che nessuno, oggi, può riuscire a comprendere se non l’ha vissuta. Credo che sia stata la fortuna della mia vita: aver visto l’Hellas vincere il tricolore. Allora sembrava quasi normale. Non lo fu. Penso per questo che sia quasi una “missione” quella di tramandare l’impresa dello scudetto. Un modo per condividere quella fortuna.

Per esempio: se dico Avellino a un ragazzo di oggi può darsi che nemmeno sappia di che cosa parlo. Al massimo, qualcuno potrà ricordare il 6-0 dell’Avellino di Zeman. Ma se dico Avellino ad uno della mia età, tutti mi diranno: prima sconfitta del Verona di Bagnoli nel girone d’andata del 1984-’85, campo ghiacciato, Angelillo, il tiro di Colombo che forse Garella non vide partire. C’erano Diaz e Bardillo in quell’Avellino che il re delle lenzuola, Antonio Sibilia, detto Antonino, aveva portato tra le prime squadre d’Italia.

Ad Avellino c’era anche un ras della Dc, la potente Democrazia Cristiana, Ciriaco De Mita, i soldi del post terremoto, gli appalti, un sacco di industrie che grazie ad una legge avevano scelto l’Irpinia, per poi abbandonarla di nuovo appena i benefici finirono. Anche Tanzi, quello del crack Parmalat, sponsor di De Mita, mise su una fabbrica da quelle parti. Sibilia aveva rapporti con le Fs che erano un’azienda di stato, vendeva lenzuola per le cuccette. Una volta, fece avere a Cutolo, capo della Nuova Camorra Organizzata, una maglia dell’Avellino di cui il boss era tifosissimo. Il Verona perse 2-1 ad Avellino. Segnò prima Diaz, poi Marangon trovò il pareggio, ma Colombo che non doveva nemmeno giocare perchè aveva un piede dolorante a causa di scarpini troppo stretti, beffò Garella con un tiraccio da fuori area. Bagnoli diede la colpa al campo pesante, che penalizzò la sua squadra, abituata ad uscire dalla propria metà campo con la palla al piede. Era un gran Verona che quella domenica si prese una pausa. Nessuno fece drammi. Non c’era facebook e nemmeno la rabbia repressa di questi giorni. C’era solo gioia per la nostra fantastica squadra che comandava la classifica.

A volte mi chiedo cosa si sarebbe detto o scritto oggi di quella sconfitta. Forse si sarebbe dato dell’incapace a Bagnoli, Garella sarebbe stato sbranato dai leoni da tastiera, sicuramente sarebbe stato battezzato come “il portiere più strasso che mai abbia vestito la maglia del Verona”. Invece, come era giusto, quella sconfitta fu presa solo come un piccolo incidente di percorso e il Verona alla fine vinse lo scudetto. La festa, guarda caso, con goleada finale, fu proprio al Bentegodi contro l’Avellino.

Ma questo i duemila, purtroppo, non lo sanno.

CHE SERVA DI LEZIONE

Porca miseria! Quanto vorrei sbagliarmi qualche volta… Lo sapevo e lo avevo scritto che questa gara con il Benevento era quella più pericolosa… Detto, fatto… E’ arrivata la prima sconfitta dell’era Pecchia, una sconfitta che pone alcune questioni e che merita una riflessione.

La prima cosa che va detta, e con forza, è che non è un dramma. Una sconfitta ci sta e può anche far bene se vista nel modo giusto. Usare toni da tregenda, come ho sentito da qualche parte, non aiuta e anzi c’è il rischio che diventi un darsi sugli zebedei come Tafazzi. Dunque, serve tranquillità e lucidità nel ragionamento.

Il Verona è rimasto in dieci, l’espulsione di Caracciolo, lasciata all’interpretazione di un mediocre arbitro, è il frutto di un congenito difetto della nostra difesa che va in tilt non appena gli avversari verticalizzano in mezzo ai due centrali. Su questo Pecchia deve lavorare, così come ci ha lavorato Baroni per prenderci in castagna. Dopo questo episodio io ho visto un ottimo Verona, che ha preso in mano la partita e s’è buttato all’attacco. Forse Pecchia poteva cambiare un esterno con Cherubin, ma credo che il gol del Benevento sarebbe arrivato lo stesso.

Poi c’è stato il secondo tempo e soprattutto la seconda metà del secondo tempo, in cui il nostro allenatore si è un po’ avviluppato sulla sua enorme voglia di riportare la partita in parità. Tolto Fossati, il Verona è rimasto praticamente senza centrocampo, con una squadra sconclusionata, che non ha più saputo creare occasioni nonostante le tante punte in campo (Fares, Gomez, Cappelluzzo e Luppi). Fares in disimpegno ha ancora una volta dimostrato come non possa mai essere lui l’ultimo uomo.

Fine dell’analisi. Ecco le mie considerazioni. Il Verona è bello ma poco concreto. Deve essere più bastardo dentro e per esserlo deve avere uomini che siano così. Maresca e Zuculini (che non c’era a Benevento) sono giocatori che posso dare questa “garra”, che soprattutto in certe partite è indispensabile. Il modulo di Pecchia è efficace se gli esterni creano superiorità e sono di qualità. Luppi lo è stato fino ad oggi, Siligardi resta un’incompiuta. E allora è meglio mettere l’esperienza di Gomez, o la freschezza di Fares. Infine Ganz: non va mai cambiato (in assenza di Pazzini), perchè è il classico giocatore alla De Vitis. Può anche non fare niente per una gara intera ed essere poi decisivo nell’unica mezza occasione che conta.

 

IL VERO PERICOLO E’ IL BENEVENTO

Dopo aver superato indenne la gara con la Salernitana, all’orizzonte del Verona si staglia un’altra gara molto difficile. Seconda trasferta consecutiva e vi dico subito che è una gara che non mi piace per niente.

Anzi: credo che il Benevento rappresenti un rischio molto più alto rispetto alla Salernitana. Si arriva in un ambiente caricato a molla, dove non si è lesinato per il mercato, dove c’è un bravissimo allenatore (Baroni, già stopper dell’Hellas, già vice di Malesani) e dove sarà il Verona ad avere tutto da perdere.

Ovviamente non c’è partita a guardare gli organici, ma come s’è visto anche a Salerno, l’Hellas non può certo mettersi a fare il compitino. E’ bene dirlo, perchè l’attenzione mediatica su questa partita si è abbassata notevolmente, invece è bene tenerla desta. Non è una formalità e le insidie sono maggiori, ripeto, rispetto a Salerno.

Non credo che si possa incorrere nell’errore di sottovalutare l’avversario. Pecchia avrà di certo studiato i rivali di sabato e visto che sono una squadra di ben altro spessore, anche tattico, rispetto alla Salernitana. E l’ambiente che aspetta il Verona sarà peraltro molto simile a quello di domenica scorsa.

Il Benevento aspetta questa gara come se fosse una finale, il Verona deve giocarla con le gambe e con la testa. Cercando di portare quella mezz’ora strepitosa giocata all’Arechi almeno a quarantacinque minuti. Crescere e in fretta, dice Pecchia. Benevento è una tappa fondamentale.

PERSI DUE PUNTI

Quando si fa una partita così, bisogna portare a casa la vittoria. E’ un peccato aver buttato via quel primo tempo strepitoso per bellezza e superiorità. E’ un peccato, ma ci sta. Solo che una squadra come il Verona che “deve migliorare e crescere in fretta” (Pecchia dixit), non può sprecare simili occasioni. Il mio è un discorso dettato dal rammarico ma che ha una finalità: la mentalità vincente. Se ci accontentiamo del punto (o del bel gioco) non cresceremo mai. Se invece alziamo l’asticella (Pecchia ri-dixit) e pretendiamo che la nostra squadra sia bella ma anche concreta questo campionato lo vinciamo a mani basse. Per questo a Salerno credo che abbiamo perso due punti.

Poi resta l’analisi del match. Abbiamo giocato un primo tempo fantastico, quaranta passaggi consecutivi, inserimenti dei centrocampisti, raddoppi sulle fasce. Una meraviglia a cui non è corrisposto il giusto risultato. Così la Salernitana ha potuto rimettersi in corsa trovando persino il pareggio con Coda.

Pareggio che se guardato nell’ottica del campionato è un buon punto, s’intende. Nulla di meglio in B che vincere in casa e pareggiare fuori. E’ la media che fa la differenza, non gli acuti. Mi piace terribilmente questo modo di intendere il calcio di Pecchia. Ho l’impressione che questa squadra farà delle partite epiche e che ci farà molto divertire. Ma ho anche l’impressione che il titolo di questo blog mi toccherà riproporlo più volte. E’ la coperta corta o se volete il vecchio proverbio della botte piena (bel gioco) e della moglie ubriaca (tre punti). Impossibile avere entrambe, ma questo deve essere (sempre) il nostro obiettivo.

TRA IL LUSCO E IL BRUSCO… ECCO FUSCO

Ha lavorato, cesellato, operato. Un po’ con la scure, un po’ con il napalm, un po’ con il fioretto. Ne è uscito un risultato positivo. A spanne potrebbe essere così: Nicolas; Pisano, Cherubin/Bianchetti, Caracciolo, Souprayen; Romulo, Fossati, Bessa; Luppi/Gomez; Pazzini/Ganz, Fares/Siligardi. In più aggiungeteci la panchina dove siederà gente come Zuculini e Greco (sempre che non siano titolari anche loro). Oggettivamente e soprattutto relativamente a questa serie B, mi pare tanta roba.

In mezzo alle ombre (il lusco e il brusco…) di  quel casino che era l’ultimo Verona, Fusco è apparso come la Madonna nella grotta di Lourdes. Ha venduto (e bene…) il vendibile (Gollini, Ionita, Wszolek), ha sfrondato quello che c’era da sfrondare, ha ceduto chi non voleva restare (Helander e soprattutto Viviani), ma soprattutto ha dato una logica da categoria ad una squadra che ora Pecchia potrà finalmente plasmare senza più nessuno che gli chieda del mercato.

Non credo che ci dobbiamo fasciare la testa se sono partiti Helander, Viviani e Wszolek. I tre erano delle scommesse, non certo delle certezze. Wszolek è un’invenzione di Delneri, discreto nel 4-4-2, inadeguato nel modulo di Pecchia. Viviani è stato una gigantesca incompiuta. Fusco ha un po’ “barato” quando sosteneva che se ne sarebbe andato solo se il Verona avesse ricevuto la stessa cifra che lo aveva pagato (4 milioni e ducentomila, una follia che nemmeno chi li aveva spesi, s’è sentito adesso di far spendere alla sua nuova società). Diciamo che il ds del Verona ci ha provato. E alla fine, in mancanza di reali offerte, ha dato Viviani al Bologna, con la speranza che là l’Hellas non perda del tutto il suo investimento.

Fusco si è affidato alle sue “certezze” nel mercato in entrata. Prima di tutto ha voluto sapere chi era veramente convinto di restare. E ha incassato il sì di Pazzini che si è persino tagliato l’ingaggio. Poi ha portato una truppa di giocatori di categoria che hanno irrobustito il carattere della squadra. Da Zuculini, all’ultimo Troianiello, passando per Luppi. E si è pure tolto lo sfizio con Bessa (che il Verona ha acquistato a 1.2 con 18 presenze minime) che è un potenziale crack.

Un piccolo rifiuto d’altri tempi, infine, mi ha commosso. Quello di Bianchetti che ha detto di no alla serie A per restare qui e continuare a lavorare per il Verona. A Setti sarà costato tre milioni, ma a me è piaciuto il romanticismo, forse pure condito da un calcolo intelligente. A memoria non me ne vengono in mente tanti di giocatori così negli ultimi anni. Credo che Bianchetti vada visto sotto una luce diversa d’ora in poi. Anche per lui, come per l’Hellas, questo è l’anno zero. Buon campionato a tutti.