LE MIE DIECI EMOZIONI

Ognuno ha una sua lista. Ognuno ha le sue emozioni. Per me il Verona ha rappresentato un lato importante della vita. Certe gioie e certi dolori provati allo stadio restano unici. Provo a buttare giù la mia lista. Voi fate la vostra. Ovviamente da dieci a uno.

10) La caduta dell’Hellas in serie C con tutto lo stadio che applaude e il Conte Arvedi che si arrabbia con me perché attaccai in diretta Cannella

9) Il giorno in cui Martinelli prese il Verona

8 ) Il ritorno in serie B, quando con Nino Gazzini  alle tre di mattina dopo 11 ore di diretta andammo in Bra a festeggiare aspettando la squadra di ritorno da Salerno

7) Il gol di Michele Cossato a Reggio Calabria al 42′ del secondo tempo. Urlai Andiamoooo ma quando mi accorsi che un centinaio di persone si erano voltate minacciosamente a guardarmi mi chinai sotto il banco della Tribuna per non farmi nè vedere nè sentire

6) La vittoria contro la Juventus nell’anno di Prandelli con Cammarata superstar

5) La vittoria contro il Milan di Sacchi dopo aver intervistato Berlusconi sbarcato con l’elicottero all’antistadio

4) La vittoria per 3-2 nel derby contro il Chievo quando Lanna segnò nella sua porta

3) La sera in cui Arvedi fece l’incidente in autostrada. Avevo fatto pace con lui ed ero stato a casa sua una settimana prima: fu come avessero investito mio nonno

2) La festa dello scudetto in Bra e io che vado con i miei amici sotto la casa di Tricella a cantare “Vogliamo Tricella in nazional”

1) Il gol di Elkjaer senza scarpa. Ancora oggi devo rivederlo nelle immagini per credere che sia stato tutto vero

 

CI SONO ANCHE GLI AVVERSARI (E A VOLTE GIOCANO BENE)

La tendenza di un tifoso, assolutamente comprensibile, è pensare che vittorie e sconfitte dipendano solo ed esclusivamente dalla propria squadra. Come se gli avversari non esistessero. Gli avversari, invece, esistono e talvolta sono anche bravi e giocano bene.

Il Brescia, costruito quasi per caso, è diventato nel corso di questi mesi una ottima squadra. Cristian Brocchi sarà un grande allenatore e sebbene abbia iniziato dal Milan, non ha avuto nessuna puzza sotto il naso ad andare in B a mettersi in discussione con una squadra giovanissima.

Il Brescia ha giocato molto bene oggi al Bentegodi. Relativamente alle armi in proprio possesso, Brocchi ha preparato una partita perfetta, scegliendo una strada rischiosa ma forse l’unica percorribile oggi contro l’Hellas: quella di tenere un ritmo forsennato, di rubare palla alle fonti gialloblù, di non lasciare mai che la formazione di Pecchia potesse “prendere” ritmo.

Grazie a molta fortuna (ma a questo non c’è da crederci troppo) il Brescia è andato due volte in vantaggio e il Verona ha rincorso. Il merito dell’Hellas è stato di voler essere più forte anche delle avversità e di voler comunque riemergere. Spesso partite così le perdi.

Ovvio che qualche domanda il Verona se la deve porre (state certi che Pecchia se la porrà, così come dopo Benevento). Se tiri verso la porta avversaria una ventina di volte, con quattro cinque occasioni nitide, non puoi rischiare di perdere. Così come è impossibile andare due volte sugli unici due tiri (due) degli avversari. Non è una bestemmia a volte cambiare proprio identità alla squadra, con gente meno dotata tecnicamente ma con maggiore grinta agonistica (penso a Maresca, Zuculini e lo stesso Troianiello, quest’ultimo, forse più utile di un Gomez reduce da un infortunio). E l’idea di una difesa a tre per affrontare l’assenza di Pisano mi aveva molto solleticato.

Nessun dramma, per carità. Il pareggio in realtà ci può aiutare a trovare una dimensione “umana” e fa comunque classifica. Per il resto, come dice il proverbio: tempo e paja e maura anca le nespole.

NON SIAMO LA JUVE DELLA B

Siamo forti, è indubbio. Molto forti. Ma non siamo la Juve della B. Ecco, questo è meglio mettercelo bene in testa tutti. Società, squadra, allenatore, tifosi. Non è per spegnere l’entusiasmo, sia chiaro. Sono stato il primo a evidenziare l’enorme e imbarazzante differenza tra noi e gli avversari. Ma dire che siamo la Juventus della serie B è fuori dimensione e rischia di creare aspettative esagerate.

Voglio dire: se domenica si vincesse solo 1-0 con il Brescia? Sarebbe deludente? E se pareggiassimo? O peggio perdessimo? Sarebbe una catastrofe? Evidentemente no, essendo solo all’ottava giornata di campionato, ma proprio per l’enorme aspettativa che si è creata magari una battuta d’arresto sarebbe vista in questa ottica.

Il Verona è naturalmente la più forte di tutte non per dna, ma perché, semplicemente, ha fatto ottime scelte di mercato,  e affidato la squadra ad un allenatore che ha lavorato molto in profondità, con un’idea di calcio spettacolare e ambiziosa ma che è frutto di lavoro, applicazione, sudore e sacrificio. Non è una banalità né tantomeno retorica. Pecchia ha saputo ricreare l’entusiasmo dell’ambiente con l’unica strada che in questi casi va percorsa. Quella dell’allenamento e del lavoro. Che poi, come abbiamo visto in quella splendida clip del gol di Troianiello con la rabona,  diffusa dalla società, si traduce in divertimento e quindi in circolo virtuoso.

Ma se ci dimentichiamo solo per un istante da dove arriviamo, tutti ripiomberanno nella mediocrità come nella scorsa stagione. E se proprio vogliamo imitare la Juventus imitiamola proprio in questo. Non sentirsi mai arrivati, avere sempre una fame feroce, la voglia di vincere scolpita dentro. Essere grandi, non pensare di esserlo.

SOS, NEMICO CERCASI

AAA, squadra di serie B, seconda in classifica, quattro vittorie consecutive, ben allenata, dotata di giovani di grande prospettiva e vecchi campioni, cerca disperatamente avversario…

L’annuncio non è ovviamente reale, ma sintetizza benissimo l’andamento del Verona in questo campionato. L’Hellas di Pecchia ha annichilito tutte le avversarie dopo la sconfitta con il Benevento e ora sembra quasi cercare un nemico, un avversario, che possa rendere questo torneo almeno interessante. E’ una constatazione, non un atteggiamento da gradassi. Il Verona ha spazzato via Spal, Ternana e Avellino e si è liberata del Frosinone con l’aria di una grande. La superiorità è così imbarazzante che persino gli avversari ad un certo punto sono sconcertati. Nei loro occhi si vede la rassegnazione.

Sarà così sino alla fine? Probabilmente no, ma è certo che andando avanti così, il Verona un avversario se lo dovrà costruire. Magari sarà il Cittadella, straordinaria macchina che per ora sta davanti ai gialloblù. E francamente lo speriamo. Ma, se proprio dobbiamo dirla tutta, il principale nemico del Verona è il Verona stesso. Nel senso che solo il Verona così esageratamente forte in un campionato esageratamente mediocre può crearsi dei problemi. Una cosa è chiara. Questa squadra non è frutto della casualità. Dietro c’è un lavoro intelligente che è coniugato alla profondità della rosa e alle doti tecniche di alcuni giocatori. La summa è un Verona imbarazzante.

Il fatto che ci sia un’alta competizione interna ci mette anche al riparo da eventuali cali. Se Pecchia si permette di tenere fuori Romulo e di farlo rifiatare, senza che la squadra minimamente ne risenta, vuol dire che il livello degli allenamenti, la qualità dei giocatori e del progetto di gioco è tale da essere più forte anche di eventuali rilassamenti.

Mettiamola così, giusto per sfidare il destino (ovvia toccatina al portachiavi in tasca…): se eravamo costruiti per “born to tribular” per quest’anno, come compensazione allo schifo dell’ultima stagione, possiamo prenderci una pausa. Speriamo.

NULLA DI SCONTATO

L’errore più grande che si possa fare dopo la quarta vittoria di fila è pensare che il Verona sia già in serie A. Mi spiego meglio: il Verona è straripante, fortissimo, bello da vedere e ogni scelta che fa Pecchia è baciata in questo momento dal dio del pallone. Ma la forza di questa squadra non è un postulato. E’ il frutto di scelte precise che i lettori di Tggialloblu conoscono bene visto che le abbiamo messe in risalto fin da questa estate a Racines. Ed è il frutto di un lavoro profondo che Pecchia ha fatto su questa squadra.

La lezione di Benevento è servita e oggi il Verona è una squadra matura che per la seconda volta in questo campionato non ha preso gol, in cui non ci sono giocatori imprescindibili, ma solo un’orchestra che suona una musica deliziosa. Andare a Terni senza Romulo, con Valoti ancora in campo e con la novità Maresca, comandare il gioco, e poi essere strabordanti come siamo stati è uno spettacolo per gli occhi e una compensazione davanti alle miserie della scorsa stagione.

Detto questo, continuo a pensare che il nemico del Verona in questo campionato sia il Verona stesso. E’ pur vero che la concorrenza interna che Pecchia ha magistralmente costruito, dovrebbe metterci al riparo da ogni problema. Concorrenza significa alzare il livello degli allenamenti e quindi mettere in campo sempre l’11 migliore. Come d’incanto, dunque, è stato spazzato via il deprimente campionato della scorsa stagione, in cui dirigenti incapaci (e non la sfortuna o l’amaro destino) hanno umiliato il Verona.

Oggi è facile dirlo, ma è sempre semplicissimo affermarlo. Il pesce puzza dalla testa e viceversa. Se funziona la società, funziona tutto. E non è così scontato come appare.

TRE PARTITE, TRE VITTORIE, TRE VERONA DIVERSI

Con l’Avellino il Verona ha vinto di strapotenza, con un po’ di rabbia, con tanta qualità. Con la Spal ha vinto fumando una sigaretta. Con il Frosinone ha vinto randellando.

Dopo la sconfitta con il Benevento (che la lezione sia servita…) Pecchia ha buttato via l’acqua sporca e tenuto il bambino. Un’operazione facile a dirsi, difficile a farsi. Le critiche piroclastiche successive a quella gara erano evidentemente eccessive (siamo da Lega Pro, Pecchia l’è strasso, la difesa da mandare a casa, Pazzini finito, eccetera), in realtà quella sconfitta era figlia di un’espulsione, di qualche gol sbagliato, di poca concretezza in generale. Ma non si può negare che il Verona avesse tentato di giocarsela in dieci contro undici, mettendo anche in difficoltà una squadra che poi, s’è visto, è andata a prendere a pallate il Bari, diventando una delle realtà del campionato.

Dunque, metabolizzata la sconfitta nel migliore dei modi, Pecchia ha messo a frutto la lezione, presentando tre Verona, capaci di vincere ma in tre modi diversi.

Soprattutto contro il Frosinone che era il test più difficile, il Verona ha fatto capire di non essere solo una squadra bella da vedere, che si specchia nella sua capacità tecnica. Stavolta la squadra di Pecchia ha smesso i panni della reginetta del ballo ed è diventata una monellaccia che a schiaffoni ha replicato a schiaffoni, senza dimenticarsi però la sua bellezza di fondo. Quindi una squadra che sa anche vincere in sofferenza, molto pratica, che non disdegna di calarsi nella categoria fino in fondo, senza snaturarsi.

Un grande lavoro partito da Fusco, passato da Pecchia, sicuramente recepito da un gruppo che pare rinato sulle macerie di una pessima stagione e di pessimi dirigenti. Sarà dura, ma siamo sulla strada buona.

VALOTISSIMO

Se hai i piedi buoni non è possibile che non esplodi. Se poi hai anche testa, sei un ragazzo educatissimo, colto, intelligente, beh, la conseguenza è logica: diventerai un campione. E’ da quando è piccolo che Mattia Valoti se lo sente ripetere. Nel calcio lo dicono tutti. Valoti? Un potenziale fuoriclasse. Sogliano, imbattibile in queste intuizioni, lo prese per sessantamila euro. Qualcuno lo criticò, avanzando il sospetto che Sean prendesse Mattia perchè amico del papà Aladino. Per fortuna con quella gente, Verona non ha più nulla da spartire.

Fusco, che è una brava persona, intelligente e onesta, ha lavorato per il Verona. E siccome anche lui sapeva (sa) che uno come Valoti non lo si deve mollare, lo ha tenuto qui. Valoti è un patrimonio dell’Hellas. Giovane e forte, è sbocciato in una serata a sorpresa contro la Spal. Il suo repertorio è vasto e affascinante. Ha due leve lunghe quasi da pivot (cosa c’entra con il papà Aladino, basso e traccagnotto? Pare abbia preso dalla signora Valoti…) ma l’eleganza di un fenicottero. Segna e fa segnare, quando parte è dirompente. E allora che gli manca per diventare veramente un campioncino? Forse solo un pochino di cattiveria, quella sana che fa incazzare. Ma è probabile che questi due anni via da casa, lontano da mamma e papà lo abbiano fatto crescere. E poi la fiducia del Verona, di Pecchia e Fusco hanno fatto il resto. Valoti c’è. E si vede.

PADRONI

Non sempre 2 più 2 nel calcio fa quattro. Ma so per certo che quando si fanno le cose per bene, quando le scelte sono figlie di un’idea e non di compiacenza, quando lavori in profondità, i risultati arrivano.

Pecchia è un lavoratore e Fusco un ds onesto che ama il calcio e non gli affari. Il frutto è questo Verona. Certo a Benevento 2 più 2 ha fatto zero, ma quella sconfitta ha fatto bene alla squadra scaligera. Questa settimana, ne sono certo, non è stata facile a Peschiera. Qualche missile d’avvertimento era arrivato: come sempre quando si fa una rivoluzione c’è chi lavora per la restaurazione e il Verona non sfugge a queste regola.

Ma Fusco e Pecchia hanno continuato diritto per la loro strada, convinti della bontà del lavoro fatto e che non si può buttare via il bimbo con l’acqua sporca.

Con l’Avellino s’è ristabilita la normalità. E cioè che il Verona è una grande squadra (in B) e che il progetto di Pecchia è ambizioso quanto bello. Quindi avanti così, senza dimenticare però la lezione.

Il Verona è così esageratamente bello e forte in alcuni frangenti della partita che sembra assoluto padrone del destino suo e degli avversari. Questo porta l’analisi sempre e solo sui meriti e demeriti dei gialloblù. Mi spiego meglio: oggi Pecchia ha detto che ci sono anche gli avversari, ed è vero. Il fatto è che quando il Verona mulina gioco pare non essercene per nessuno. Ecco perchè sembrano inspiegabili quelle pause, come se questa squadra volesse talvolta giocare ad handicap per avere un po’ di gusto.

Così a Salerno ha fatto segnare la Salernitana e a Benevento è rimasta in dieci. Oggi, invece, ha scelto di essere ripresa dall’Avellino, tranne poi chiudere la pratica in due accelerate. Questo è un limite. Il Verona deve avere la personalità di asfaltare l’avversario, di continuare sempre a giocare, perchè questo sta scritto nel proprio dna. Ma, dico davvero, è proprio cercare il pelo nell’uovo, in mancanza di altri argomenti…

 

CHE NE SANNO I DUEMILA (DELL’AVELLINO)

C’è questa canzone che ha imperversato per tutta l’estate. E’ un elogio agli anni ’90 ed è rivolta alla generazione 2000 che (forse) ignora la bellezza di quegli anni. Io che sono più vecchio penso che gli anni più belli siano stati gli anni ’80. Forse perchè avevo 20 anni e tutto aveva un sapore diverso. Però è allora che il Verona vinse lo scudetto. E questa è una gioia che nessuno, oggi, può riuscire a comprendere se non l’ha vissuta. Credo che sia stata la fortuna della mia vita: aver visto l’Hellas vincere il tricolore. Allora sembrava quasi normale. Non lo fu. Penso per questo che sia quasi una “missione” quella di tramandare l’impresa dello scudetto. Un modo per condividere quella fortuna.

Per esempio: se dico Avellino a un ragazzo di oggi può darsi che nemmeno sappia di che cosa parlo. Al massimo, qualcuno potrà ricordare il 6-0 dell’Avellino di Zeman. Ma se dico Avellino ad uno della mia età, tutti mi diranno: prima sconfitta del Verona di Bagnoli nel girone d’andata del 1984-’85, campo ghiacciato, Angelillo, il tiro di Colombo che forse Garella non vide partire. C’erano Diaz e Bardillo in quell’Avellino che il re delle lenzuola, Antonio Sibilia, detto Antonino, aveva portato tra le prime squadre d’Italia.

Ad Avellino c’era anche un ras della Dc, la potente Democrazia Cristiana, Ciriaco De Mita, i soldi del post terremoto, gli appalti, un sacco di industrie che grazie ad una legge avevano scelto l’Irpinia, per poi abbandonarla di nuovo appena i benefici finirono. Anche Tanzi, quello del crack Parmalat, sponsor di De Mita, mise su una fabbrica da quelle parti. Sibilia aveva rapporti con le Fs che erano un’azienda di stato, vendeva lenzuola per le cuccette. Una volta, fece avere a Cutolo, capo della Nuova Camorra Organizzata, una maglia dell’Avellino di cui il boss era tifosissimo. Il Verona perse 2-1 ad Avellino. Segnò prima Diaz, poi Marangon trovò il pareggio, ma Colombo che non doveva nemmeno giocare perchè aveva un piede dolorante a causa di scarpini troppo stretti, beffò Garella con un tiraccio da fuori area. Bagnoli diede la colpa al campo pesante, che penalizzò la sua squadra, abituata ad uscire dalla propria metà campo con la palla al piede. Era un gran Verona che quella domenica si prese una pausa. Nessuno fece drammi. Non c’era facebook e nemmeno la rabbia repressa di questi giorni. C’era solo gioia per la nostra fantastica squadra che comandava la classifica.

A volte mi chiedo cosa si sarebbe detto o scritto oggi di quella sconfitta. Forse si sarebbe dato dell’incapace a Bagnoli, Garella sarebbe stato sbranato dai leoni da tastiera, sicuramente sarebbe stato battezzato come “il portiere più strasso che mai abbia vestito la maglia del Verona”. Invece, come era giusto, quella sconfitta fu presa solo come un piccolo incidente di percorso e il Verona alla fine vinse lo scudetto. La festa, guarda caso, con goleada finale, fu proprio al Bentegodi contro l’Avellino.

Ma questo i duemila, purtroppo, non lo sanno.

CHE SERVA DI LEZIONE

Porca miseria! Quanto vorrei sbagliarmi qualche volta… Lo sapevo e lo avevo scritto che questa gara con il Benevento era quella più pericolosa… Detto, fatto… E’ arrivata la prima sconfitta dell’era Pecchia, una sconfitta che pone alcune questioni e che merita una riflessione.

La prima cosa che va detta, e con forza, è che non è un dramma. Una sconfitta ci sta e può anche far bene se vista nel modo giusto. Usare toni da tregenda, come ho sentito da qualche parte, non aiuta e anzi c’è il rischio che diventi un darsi sugli zebedei come Tafazzi. Dunque, serve tranquillità e lucidità nel ragionamento.

Il Verona è rimasto in dieci, l’espulsione di Caracciolo, lasciata all’interpretazione di un mediocre arbitro, è il frutto di un congenito difetto della nostra difesa che va in tilt non appena gli avversari verticalizzano in mezzo ai due centrali. Su questo Pecchia deve lavorare, così come ci ha lavorato Baroni per prenderci in castagna. Dopo questo episodio io ho visto un ottimo Verona, che ha preso in mano la partita e s’è buttato all’attacco. Forse Pecchia poteva cambiare un esterno con Cherubin, ma credo che il gol del Benevento sarebbe arrivato lo stesso.

Poi c’è stato il secondo tempo e soprattutto la seconda metà del secondo tempo, in cui il nostro allenatore si è un po’ avviluppato sulla sua enorme voglia di riportare la partita in parità. Tolto Fossati, il Verona è rimasto praticamente senza centrocampo, con una squadra sconclusionata, che non ha più saputo creare occasioni nonostante le tante punte in campo (Fares, Gomez, Cappelluzzo e Luppi). Fares in disimpegno ha ancora una volta dimostrato come non possa mai essere lui l’ultimo uomo.

Fine dell’analisi. Ecco le mie considerazioni. Il Verona è bello ma poco concreto. Deve essere più bastardo dentro e per esserlo deve avere uomini che siano così. Maresca e Zuculini (che non c’era a Benevento) sono giocatori che posso dare questa “garra”, che soprattutto in certe partite è indispensabile. Il modulo di Pecchia è efficace se gli esterni creano superiorità e sono di qualità. Luppi lo è stato fino ad oggi, Siligardi resta un’incompiuta. E allora è meglio mettere l’esperienza di Gomez, o la freschezza di Fares. Infine Ganz: non va mai cambiato (in assenza di Pazzini), perchè è il classico giocatore alla De Vitis. Può anche non fare niente per una gara intera ed essere poi decisivo nell’unica mezza occasione che conta.