PRESIDENTE SETTI, ADESSO LA PALLA PASSA A LEI

La vittoria contro la Fiorentina mette il Verona (quasi) al sicuro. La squadra scaligera giocherà ancora in serie A. Vuol dire che l’obiettivo minimo di questa stagione è stato raggiunto. Ora quello che tutti i tifosi aspettano è sapere che cosa riserverà il futuro. Con una dirigenza a scadenza a giugno a cui si deve aggiungere la posizione dell’allenatore.

Premessa doverosa: questa società ha centrato tutti gli obiettivi da quando è arrivata. E’ stata promossa, ha fatto 54 punti al primo anno, ha centrato la salvezza nel secondo difficile anno. Non solo: Setti ha strutturato la società portando ottimi professionisti. Il settore giovanile è un fiore all’occhiello e anche lì si sono raggiunti risultati eccezionali e impensabili solo qualche anno fa.

Setti non ha grandi mezzi finanziari. Ma questa non è una sua colpa. Non è un emiro, non è un oligarca russo. E’ un piccolo imprenditore padano che ha la passione del calcio. Sa fare di conto, sa scegliere i collaboratori. Il suo problema è che non può essere presente a Verona e vive di delega. Questo nel calcio non sempre è un bene. Lotito è un presidente di professione, così come Preziosi, Zamparini o De Laurentiis. Anche Campedelli lo è. A maggior ragione deve programmare per sopravvivere.

Dopo tre anni il presidente si è preso una pausa di riflessione. Questo è evidente. Io non escluderei nemmeno l’ipotesi che gli sia passata l’idea di cedere. Forse l’impasse di questo periodo è dovuto a questo, forse no. Non lo sapremo mai, tutti smentiranno ma in questi casi sono più gli indizi che le prove a dire la verità.

Ora però la pausa di riflessione deve finire. C’è in ballo il futuro del Verona. Che va programmato. Con Sogliano o senza Sogliano. Con Gardini o senza Gardini. Con Mandorlini o senza Mandorlini. Ma sono questioni che vanno affrontate ad iniziare dal vertice e poi a cascata. E in fretta. Setti deve ridisegnare il Verona e le competenze. Non si può più aspettare. Ora la palla ce l’ha tra i piedi il presidente. Ha il vantaggio di tre stagioni eccellenti e uno staff eccezionale. Il “suo” staff che aspetta solo un cenno per scatenare l’inferno. Come ha fatto sino ad oggi.

CONDANNATI ALLA MEDIOCRITA’

Mettiamocela via e ringraziamo il cielo che abbiamo 33 punti. Questa è una squadra condannata ad essere mediocre. Mi spiego: i mediocri sono quelli che si accontentano, che cercano alibi, che non riescono ad avere mentalità.

Tranne quando prendono qualche amorevole scapaccione e allora si mettono a correre e a fare il minimo sindacale. Poi però, tornano nella mediocrità. Purtroppo questa squadra non ha nel suo dna null’altro che la mediocrità. Si vede come ha affrontato le ultime due partite. Dopo aver fatto l’impresa con il Napoli è tornata la routine, gli allenamenti a porte chiuse a Peschiera, dorato eremo isolato, e le partite sono tornate a scorrere come prima del piccolo filottino vincente. Il problema è sempre di mentalità.

La squadra rincula, arretra, scivola. Non aggredisce. La difesa è esposta a folate degli avversari da 40 metri, l’equilibrio è una chimera che solo Mandorlini, a parole, insegue. Le ali trasformate a terzini sono un suppellettile inutile se D’Ambrosio fa la partita che ha fatto sabato sera.

Non è il caso di puntare il dito contro nessuno. Non è colpa dei singoli, ma di tutti. Quando si dice che è una questione di mentalità ci si riferisce proprio all’atteggiamento generale. 54 gol sono una mostruosità a cui Mandorlini non ha messo mano. Non si può parlare di singoli e per il futuro, il mister dovrà seriamente affrontare questo aspetto perchè le sue squadre prendono troppi gol, nonostante abbiano cambiato quasi tutti i difensori in questi due anni di serie A. Senza cambiare il prodotto finale. Il Verona è un colabrodo. E Toni non può essere sempre l’uomo della Provvidenza. Se si ferma lui, con questo atteggiamento difensivo è serie B sicura.

L’unica consolazione è che dietro il Verona c’è chi è andato e va pianissimo. Squadre più mediocri della nostra. Per fortuna.

CHE RABBIA AVER SBAGLIATO IL MATCH POINT

Vorrei raccontarvi (e sarebbe più facile) che il Verona ha sbagliato partita, che Mandorlini ha sbagliato formazione, che Luca Toni ha sbagliato un gol. Invece non è possibile.

Il Verona comandava al 17′ del secondo tempo per 3-0, implacabile, e il Cesena era morto e sepolto. Poi il calcio che è materia bellissima e affascinante, ci ha dimostrato che nessuno partita è vinta fino all’ultimo.

Il Cesena ha trovato due gol splendidi e imponderabili, come il missile di Carbonero e la punizione di Brienza. A quel punto il match si è riaperto e in quel momento, lì esattamente, il Verona ha mentalmente accusato il colpo incapace di contrattaccare, ma soprattutto col braccino troppo corto.

Così il Cesena ha pareggiato, incredibilmente, tanto che è difficile adesso “razionalizzare” questa partita dentro un commento e un’analisi. Sono d’accordo col mister: a volte nel calcio va così, anche se quest’anno tante volte il Verona non ha avuto la capacità di “ammazzare l’avversario” (ovviamente sportivamente parlando). Non l’ha fatto con l’Inter, col Milan, col Napoli all’andata. La differenza è che stavolta c’era davanti il Cesena a cui sei stato nettamente superiore.

Forse è la mentalità che manca, forse è l’incapacità di gestire le partite, forse è perché non sappiamo difendere (il terzo gol è una somma di errori che nemmeno a calcio balilla si vedono). Fatto sta che abbiamo sbagliato il colpo del match point. Potevamo già festeggiare la salvezza e poi vedere che razza di campionato sarebbe uscito.

Invece siamo ancora qui a dover remare con fatica. Peccato. Ma sarà ancora più bello farlo sabato con l’Inter, squadra a cui Mandorlini è legatissimo. Che bello sarebbe fare uno scherzetto ai nerazzurri e riprenderci quanto perso con questa pazzesca partita…

DERBY PER I CINESI

Li chiamano “effetti collaterali”. E poco importa se hanno distrutto il calcio. Se non li accetti non sei “moderno”. E poco importa che gli stadi siano vuoti. E che le televisioni a pagamento impongano il loro calendario adeguato ai palinsesti televisivi. Il calcio deve essere “venduto”. In Cina e in Thailandia. Senza televisioni, dicono, non c’è calcio. E prima? Prima di Sky e Berlusconi? Non c’era il calcio? Certo che c’era ed era bellissimo. E il Bentegodi era zeppo ogni domenica. Si giocava tutti alle due e trenta del pomeriggio. Tutti. Ed era una festa. Collettiva. Vera.

Il derby con il Chievo andrà in onda alle 12.30. Orario di pranzo. Dicono che sia per farlo vedere in Cina. E’ il calcio moderno, bellezza, ci ha spiegato GG, Giovanni Gardini. E siccome tutto sommato il Bentegodi è ancora uno dei pochi stadi in cui non si devono mettere le sagome di cartone al posto degli spettatori, ecco che anche al ritorno il derby si gioca all’ora di pranzo.

Nemmeno Campedelli è più quello di una volta. Dice che non gliene frega niente di arrivare prima del Verona. Vada a dirlo ai cinesi che qui non ci crede nessuno.

LAZIO PIU’ FORTE MA VERONA SENZA ANIMA

Ci sono gare in cui l’avversario è più forte di te. La Lazio lo è. Senza dubbio. In questo momento, probabilmente è la squadra che gioca il miglior calcio in Italia. Fatto questo doveroso preambolo c’è da chiedersi se quello sceso in campo all’Olimpico è stato il miglior Verona.

Rispetto alla gara con il Napoli si sono fatti mille passi indietro. Purtroppo questa squadra sembra incapace di assorbire alcune assenze. Ora appare abbastanza ridicolo dire che senza Sala siamo un’altra squadra, ma è così. Il giovane esterno pare imprescindibile con i suoi cambi di passo, così come sono imprescindibili Gomez e Jankovic, due onesti gregari che sono fondamentali per il gioco di Mandorlini.

Mancando loro, Mandorlini è apparso incapace di adattare il suo modulo agli uomini a disposizione. Nico Lopez è rimasto in panchina, Lazaros è una grande incompiuta, Hallfredsson esterno alto e in serata no, è stato un lontano parente di quello che ha preso a martellate i napoletani, Toni isolato e solo ha avuto zero palle giocabili.

Solo Obbadi e Tachtsidis hanno dato un pochino di ordine e di verve al centrocampo, discreto Pisano sulla fascia, ma in generale è un Verona che si è nuovamente involuto e che è tornato indietro dal punto di vista della mentalità, quasi rassegnato davanti alla forza della Lazio.

Continuo a pensare che la tranquillità sia una grande nemica di questa squadra che ha sempre bisogno di qualche buon motivo e di qualche scrollone per rendere al massimo. Come se la dolce e rilassata atmosfera di Peschiera addormentasse i muscoli dei nostri eroi.

Beh, c’è poco da stare tranquilli: dopo la sosta arriva la gara più importante della stagione. M’è piaciuto Mandorlini quando ha detto che la sfida contro il Cesena è una sfida decisiva. Se siamo quelli che hanno steso il Napoli non ci sarà problema. Se siamo quelli dell’Olimpico saranno guai.

PARTI-TONI

Non credevo fosse possibile che ci potesse essere un gialloblù capace di avvicinarsi alla grandezza degli eroi dello scudetto. Nessuno era neanche lontanamente paragonabile a quelle specie di semidei che sono appartenuti alla nostra adolescenza. Elkjaer, Briegel, Elkjaer, Tricella, Volpati, Sacchetti e Nanu Galderisi… erano come gli dei dell’Olimpo, mitici esseri per sempre scolpiti nelle nostre anime di tifosi del Verona.

Poi venne Luca Toni. E lui ci è riuscito. Spero che i ragazzi di oggi ne stiano apprezzando la grandezza sportiva, così come io e i miei amici quando avevamo vent’anni, guardavamo alle gesta dei nostri eroi.

Luca Toni, appartiene di diritto, alla schiera di questi grandissimi della storia del Verona. Il fatto che abbia raggiunto e superato uno come Elkjaer nelle segnature con la maglia dell’Hellas non è un fatto solo statistico.

Si è al cospetto di un giocatore immenso, infinito, ma anche uno di quei giocatori che quando li incontri capisci che il loro spessore, umano prima che agonistico, è molto profondo.

Lo penso anche al giovedì sera, quando ho la fortuna di avere al mio fianco, un grande campione come Nico Penzo. Ogni volta che bomber Nico apre la bocca ed esprime un parere, al microfono o fuori, capisco che non fu casuale il suo record e che la sua valenza umana vale anche di più del suo peso come giocatore.

Lo stesso è per Toni. Ho avuto la fortuna di conoscerlo al di fuori del campo, di osservarlo da vicino e di capirne tutto lo spessore. Ciò che si vede sul campo, i record, i gol, altro non sono che la sua vita. Un ragazzo solare, sorridente, attaccato ai valori, che sa dare importanza ai soldi, che sa da dove viene, che ha imparato a stare al mondo e che è stato ed è un costante punto di riferimento per il Verona.

A volte quest’anno, quando le cose andavano veramente male, mi chiedevo sinceramente chi glielo faceva fare. Lui campione del mondo, lui che ha vinto ovunque, lui che poteva fregarsene. Invece, c’era lui a Torino dopo i dieci gol con la Juve a rincuorare tutti i compagni e a metterci la faccia e pensate che voleva presentarsi pure dopo la gara con il Genoa, quando invece qualcuno gli disse: “No, Luca, oggi non è giusto che vai tu”.

E c’era lui al ritorno del pullman a Peschiera quando i tifosi vollero giustamente guardare negli occhi la squadra che stava precipitando. E fu lì che qualcuno gli disse: “Ti te sì l’unico che non g’ha da domadar scusa…”. Ma lui era il capitano e andò davanti a tutti per difendere i suoi compagni.

Toni ha un valore che va al di là dei gol e delle prestazioni eccezionali sul campo. I suoi parti-toni con la maglia del Verona sono ormai nella nostra memoria, così come le cavalcate di Elkjaer, i lanci di Di Gennaro, i bolidi di Briegel, i gol del Nanu. Nella storia, come solo i grandi sanno entrare. E chissà se siamo alla fine, oppure questo è solo un nuovo inizio di una storia (quella di Luca), che forse non ha ancora visto i titoli di coda. Infinita, appunto.

 

POTENZIALE SOTTOSTIMATO

A costo di essere impopolare e andare controcorrente, dirò che resto della mia idea. Il potenziale di questo Verona è stato ampiamente sottostimato. La squadra vale di più dei 29 punti che ha in classifica e se quest’anno tutti (tutti intendo Mandorlini, tifosi e società) se ne fossero convinti prima invece di avvilupparsi nello sterile e inutile dibattito sul tecnico (pro o contro Mandorlini, pro o contro la società, pro o contro la squadra) i punti raccolti potevano essere molti di più.

Così non sai se ridere o piangere per il pareggio contro il Milan. C’è da ridere per com’è arrivato. C’è da piangere perchè questa era una partita da vincere.

Solo che stavolta (la differenza è questa), il Verona c’ha provato davvero, fermata solo dal mediocre arbitro Giacomelli, pessimo in tutte le scelte che ha fatto, tranne che nel solare e lampante penalty fischiato a favore del Verona.

Pessimo quando non ha espulso Muntari che andava ammonito per un fallaccio pre rigore, pessimo quando ha dato la punizione per una mano di Pisano che poi ha portato al rigore, pessimo quando ha fischiato il rigore (Jankovic sbilancia appena Mexes nel tentativo di anticiparlo ma l’attaccante inciampa due metri più in là e sul pallone…), pessimo quando non ha fermato l’azione del secondo gol milanista viziata da un fallacio di Pazzini su Marques.

Inzaghi ha insegnato ai suoi l’unico schema di cui è stato capace nella sua brillante carriera: “Butta la palla in area e tuffati come Cagnotto e Di Biasi ogni volta che senti un avversario che ti sfiora”. A volte, quando giochi a San Siro e magari indossi la maglia rossonera, ti va bene.

Non gli è andata bene, perchè il Verona ha estratto dal cilindro Nico Lopez, uno dei tanti che avrebbe potuto dare di più anche se ha segnato cinque gol, quattro dalla panchina, record della serie A. Ed ecco perchè dico che il Verona ha ancora potenziale da esprimere. Sarebbe bellissimo vederlo uscire (il potenziale) tutto in questo finale di campionato. Penso a Lazaros che è ancora un’incompiuta, a Obbadi che abbiamo recuperato solo ora, a Saviola, a Sala, ma anche a Gollini e perchè no? a Fares che Mandorlini vorrebbe buttare nella mischia in questa fase finale non appena la classifica si sarà completamente assestata.

Dice Mandorlini che ora il Verona gioca bene perchè è tranquillo. Non sono d’accordo. Il Verona gioca meglio perchè proprio perchè secondo me non è tranquillo. La scossa che gli è arrivata dopo la gara con il Genoa è stata salutare. Gli allenamenti hanno perso quella routine che aveva prodotto bassa intensità e scarsa forma. C’è attenzione, voglia di arrivare al risultato, attenzione ai particolari. Spero che la tranquillità non venga mai trovata da questa squadra. E se gli allenamenti a porte aperte, davanti ai tifosi che vigilano (in campo e fuori…) hanno portato a cinque punti in tre partite con due trasferte e dopo aver incontrato Roma e Milan, di che cosa parliamo?

Giusto per capirci: c’è il Napoli dietro l’angolo e quel 6-2 brucia ancora tantissimo. E sebbene aprire il Bentegodi o l’antistadio sia affare più complicato della frattura Tosi-Salvini, sarebbe bellissimo rivedere l’Hellas in città questa settimana. Gardini, maestro nel trovare le soluzioni all’interno della macchina burocratica, si metta al lavoro, please…

BASTA INDUGI: BISOGNA RIPARTIRE DA SOGLIANO E MANDORLINI

Lo dico da tempo. Per mesi ci siamo scannati su un concetto sbagliato legato alla figura di Mandorlini. Per carità: il mister è uno che divide, le sue paure che diventano “granitiche certezze” non sempre hanno fatto il bene della squadra, ma siccome nel calcio contano i risultati, c’è da dire che Mandorlini anche quest’anno li ha ottenuti.

A Verona Mandorlini ha raggiunto: due promozioni, ha disputato un campionato in A sfiorando l’Europa League e sta per portare in porto la salvezza (mancano ancora una decina di punti…). Cosa gli si può imputare?

Ma se Mandorlini, che in A aveva allenato poco e male, entrando in conflitto con tutti gli ambienti dove era stato, tanto da incollarsi addosso l’etichetta di piantagrane e di allenatore da serie minori, ha fatto tutto questo il merito è anche di Sogliano.

Il ds, dotato di carattere focoso è un tipo sbrigativo ma anche molto onesto e coerente. Diciamoci la verità. Avesse voluto far saltare il mister quest’anno avrebbe avuto tremila occasioni. Sean, invece, che ha valorizzato tecnici come Mangia e Sannino che poi, senza di lui si sono persi, ha tenuto duro e non ha mai remato contro.

Anzi: ha sempre spinto nelle direzione giusta. Facendo capire a Mandorlini dove sbagliava, aiutandolo ad avere una “visione” diversa anche dello spogliatoio, dove il mister non brilla per la capacità di dialogo.

L’effetto che abbiamo davanti è che questa “strana” coppia è andata avanti comunque, superando momenti terribili come il dopo Genoa, in cui veramente la barca ha vacillato pericolosamente.

Avranno entrambi mille difetti, ma hanno sempre lavorato per il bene del Verona, questo bisogna riconoscerlo. E soprattutto hanno portato tanti risultati.

Ora, il fatto che entrambi abbiano il contratto in scadenza a giugno è un po’ un controsenso. E’ vero, come dice Sean che i contratti valgono poco se manca poi l’affinità con le persone. E non so che cosa abbia in mente Setti che rischia di perderli entrambi.

Io, fossi in lui, un pensierino in questo senso, per il bene del Verona, comincerei a farlo…

SPARTIACQUE

Ricorderemo questa vittoria con il Cagliari come lo spartiacque di questo campionato. Il Verona fa un passo decisivo verso la salvezza, mettendo otto preziosi punti tra sè e i sardi terz’ultimi. Lo ha fatto con una gara d’altri tempi, impastata di sofferenza e di vecchio catenaccio. Non una gara bella esteticamente ma che ha vissuto epici momenti.

E’ affascinante che l’icona di questo successo sia Francesco Benussi, sette giorni fa sul banco degli imputati per il pareggio con la Roma, ed oggi eroe di giornata, sebbene non “titolare” ma semplice riserva di Rafael, così come da enigmatica risposta più volte pronunciata da Mandorlini.

Normale, invece, anche se normale non è, che la firma della vittoria porti il nome di uno straordinario campione che abbiamo la fortuna di ammirare, serio e determinato, in questo scorcio finale di carriera: Luca Toni.

Mandorlini ha rimesso nella mischia anche Jacopo Sala, campione di cristallo, speriamo d’ora in poi prezioso supporto di questo Verona. Uno come Sala, l’abbiamo detto ogni volta ha rifatto capolino in questa squadra, è mancato come l’acqua ai beduini del deserto.

Un campionato strano come questo, in cui tre punti fanno la differenza tra il paradiso e l’inferno, ci fa capire quante occasioni abbia fallito il Verona per poter dare una dimensione diversa al proprio cammino. Ma l’acqua passata non macina più ed è inutile esercizio adesso girarci indietro e interrogarci su quello che è stato o non è stato.

La cosa più importante è che il vecchio Hellas abbia portato a casa una vittoria fondamentale. Tutti assieme, come una squadra vera. Conta solo quello. Il resto dell’analisi lo lasciamo a tutti coloro che hanno sparato a palle incantenate contro questa squadra mettendone in dubbio il valore fin dalla prima giornata. Loro avranno stasera la risposta giusta.

Noi umilmente ce la godiamo, felici di aver sollevato l’allarme quando l’aereo pareva precipitare senza che nessuno lo pilotasse. Magari diranno che non era il caso (anzi l’hanno detto). Invece è servito. Mamma mia quanto è servito…

CADUTA ARRESTATA, L’AEREO E’ DI NUOVO SULLA ROTTA GIUSTA. MA…

I piloti hanno superato brillantemente la tempesta. L’aereo è di nuovo stabile, sulla rotta giusta. La caduta è stata arrestata. Questa gara con la Roma è stata una specie di corroborante per il Verona. C’è persino il rammarico di non averla vinta.

Se Mandorlini cercava delle risposte le ha avute. Alla pari della società. La squadra risponde ancora alle sollecitazioni dell’allenatore e questa è la migliore notizia dopo le tre sconfortanti gare precedenti.

Questa gara dovrebbe sgombrare il campo da tanti dubbi e invece me li ha aumentati. Mi chiedo perchè allora il Verona non abbia sempre giocato così. Quale sia il valore di questa squadra. Mi chiedo anche se non sia l’ennesimo fuoco di paglia. Come la gara di Udine, quando pareva che tutto fosse stato risolto con quella rimonta.

Mi dispiace ma non ci credo. Non sono convinto che da adesso in poi tutto sia in discesa. Mi chiedo ora che Verona scenderà in campo col Cagliari: quello che barcollava con il Genoa? O quello del secondo tempo con la Roma? Quello che ha vinto con l’Atalanta dopo essere stato ripreso? O quello che è stato preso a pallonate dal Torino?

Nulla è stato ancora fatto e solo tornando da Cagliari con tre punti questo campionato può diventare meno misterioso e più normale. Già, normale come quelle porte aperte a Peschiera… Hai visto mai che per fare una gara decente bastava questa piccola ma significativa mossa? Magari adesso anche questa squadra ha capito per chi gioca e che valore ha la maglia gialloblù.