LA PORCATA

Pensavamo di averle viste tutte. In Lega Pro, negli stadi non a norma del Sud, con Macalli al timone, fino all’ultima di ieri sera, quando “per problemi strutturali” si è vietato la trasferta al San Paolo ai tifosi dell’Hellas. Ma purtroppo non è così. Questa ci mancava. Stavolta hanno davvero passato il limite. Non c’è commento che possa essere degno di quanto sono riusciti a combinare stavolta. La chiusura della Curva Sud per cori che nessuno ha sentito, che non ci sono nelle immagini televisive, che nessun inviato di giornale o televisione ha raccontato. Una decisione insensata, una specie di roulette russa in cui la pistola alla tempia viene messa un giorno qui e un giorno là, senza un criterio e ormai, senza nemmeno un supporto oggettivo.

Se tremila (sic) persone dentro uno stadio fanno buuh ad un giocatore credo che si sentano, forte e chiaro. Il Milan per due volte, ha sospeso la gara per molto meno. A Busto Arsizio contro la Pro Patria e poi a Cesena furono un centinaio di persone a ululare e le gare vennero fermate. Possibile che se questi cori ci fossero stati anche a Verona nessuno dei rossoneri l’avrebbe fatto?

Non è ammissibile essere trattati così. La procura federale, la stessa che ha archiviato in un secondo la frase di Tavecchio su opti pobà e i mangiabanane,  si è presa oggi una responsabilità enorme. Ha inoltre vanificato un lavoro lungo mesi se non anni. Una decisione al limite del criminale e scusate se uso parole grosse. Non so cosa si possa fare adesso. Questa è un’ingiustizia bella e buona. Verona, per una volta, deve fare quadrato e difendersi unita. Società, tifosi dell’Hellas, cittadini stanchi di essere infangati e infamati, stampa e televisioni, amministratori pubblici e politici. E dimostrare di essere migliore di loro. Non ci vuole molto, peraltro.

IPOCRISIA AL POTERE OVVERO IL POTERE DELL’IPOCRISIA

E’ evidente che ci sono zone di questo paese in cui non si può nè mantenere la legalità nè, tantomeno l’ordine pubblico. Sono zone in cui lo stato si è arreso, ma non vuole ammetterlo. Infatti parla di criticità strutturali di uno stadio che ospita partite di Champions League. E’ il potere dell’ipocrisia o se volete l’ipocrisia del potere. Vietare la trasferta ai tifosi del Verona è l’ennesima presa di coscienza di ciò. Non è un fatto piccolo. Lo è solo per chi s’è tolto dagli impicci e ha trovato questa genialata dei problemi strutturali. E’ anche l’ammissione ormai palese di quanto la tessera del tifoso, o meglio “fidelity card” come quella che danno all’Esselunga, sia stata una “cagata pazzesca” (cit Fantozzi). Non serve a niente e ora è stato svelato. Ha solo allontanato la gente dagli stadi e lo ha fatto con costi elevatissimi per tutti. Funzionari della questura al lavoro per schedare padri, madri, figli invece di essere adibiti ad altri compiti e ad altri servizi magari più importanti per noi cittadini. Mentre i delinquenti si sparano fuori dagli stadi. Bah… E’ triste, ma è l’Italia di oggi.

NESSUN DRAMMA, MA CHE PECCATO NON AVER VISTO IL MIGLIOR VERONA

Non vorrei smentirmi. Dicevo la scorsa settimana che non era scontato battere il Milan. Serviva un’impresa e la partita perfetta. Purtroppo il Verona non è stato perfetto e abbiamo perso. Quindi, non facciamo drammi. Dentro questa partita negativa, in cui s’è rivisto il museo degli orrori in difesa, ci sono state anche tante cose buone.

Peccato però che non abbiamo visto all’opera il miglior Verona. Condizione imperfetta, stanchezza mentale e fisica, insomma squadra rimandata all’esame di maturità delle grandi. Si sono rivisti errori del passato dietro (lasciamo stare la svirgolata di Marques…), qualcosa s’è inceppato davanti, dove Luca Toni ha perso l’aiuto della fortuna più che la lucidità.

Non c’è girata bene, eppure Abbiati è stato il migliore in campo.

Una annotazione: l’anno scorso alla giornata numero sette esplose Iturbe che allestì quel magnifico spettacolo pirotecnico di Bologna.

Alla giornata numero sette di quest’anno abbiamo scoperto Nico Lopez. Il quale ha dimostrato, in meno di venti minuti di partita tutto il suo repertorio, senz’altro migliorabile, ma da cui non si può prescindere. El conejo è uno che vede la porta, e che può dare quell’imprevedibilità che ancora manca a questa squadra.

Ci tocca anche parlare di Saviola, perchè è obbligatorio quando uno con il suo nome e con il suo curriculum sta in panchina nel Verona. E’ ovvio che il tifoso si chieda perchè. Mandorlini gli ha preferito, per questioni contingenti al match, Nenè. E Saviola, resta un incompreso. Non è una questione marginale e spero che il buon senso da parte di tutti abbia il sopravvento. Saviola non è un soprammobile e Mandorlini lo dimostrerà nelle prossime gare. Lui però dovrà farsi trovare pronto. E fare molto di più di quanto visto con il Genoa. Da uno con le sue doti è il minimo.

VERONA E’ FATALE, MA NON E’ SCONTATO BATTERE IL MILAN

L’errore più grande che si possa commettere è di sottovalutare il Milan. Come se la gara di domenica avesse un finale già segnato e i rossoneri fossero già battuti. E’ un errore madornale che non bisogna correre. Quella di domenica è una gara durissima e solo un Verona perfetto che sappia approfittare delle debolezze altrui potrà vincere.

Guai, dunque a sottovalutare gli avversari, tantomeno pensare di avere già vinto solo perchè il Bentegodi è stato fatale in altre occasioni al Milan. Inzaghi sa benissimo che la partita è difficilissima e sta caricando i suoi. C’è il rischio di vedere ribaltati i ruoli. Cioè con il Milan che parte addirittura sfavorito e quindi carico a molla nel morale. Non è così. Non sarà il Grande Milan, ma è pur sempre una squadra che costa dieci volte l’Hellas, che ha campioni, giovani e meno giovani, alternative in panchina e che ha anche un entusiasmo ritrovato.

Per compiere l’impresa serve una prova leggendaria, come successe nel ’73, nel ’90 e anche nella scorsa stagione. E serve quel Bentegodi strapieno che sa condurre per mano i gialloblù quando le scalate sono impervie.

(Ps: con la speranza che vengano aperti i settori nuovi, per i quali la società sta attendendo le autorizzazioni… 3500 posti in più sarebbero oro colato. Novità, si spera positive, sono attese a breve).

CHI SIAMO, DOVE ANDIAMO, CHI SAREMO

Chi siamo lo sappiamo benissimo. Una tifoseria appassionata, generalmente poco legata ai risultati della propria squadra, in perenne crisi di nervi. Abbiamo superato tempeste, tenuto duro quando tutto ci andava male, quando la porta sotto la Curva Sud sembrava stregata, quando un cardinale finto voleva acquistare la nostra squadra, quando volevano farci sparire.

Abbiamo parlato di radici profonde perché queste radici sono veramente profonde. Perché quella squadra, c’è poco da fare e da dire o da imitare, siamo noi veronesi, lesso e pearà e poi stadio e Hellas. Tifare Verona è uno stato mentale, è sentirsi veronesi, è essere sempre un po’ soli e un po’ contro tutti, a volte anche contro noi stessi.

Dove andiamo è facile intuirlo. Andiamo lontano perché è questo il nostro destino. Non importa in quale categoria, con che uomini, con quali giocatori. Ma andremo lontano perché il Verona vivrà a prescindere. Oggi lo fa grazie a un imprenditore di Carpi, che, diciamocelo senza timore per la verità, ha capito meglio di noi veronesi quanto il Verona sia importante.

Questo è un grande nodo che la città non ha affrontato.

L’imprenditoria locale ha latitato e continua in gran parte a latitare quando si tratta di condurre per mano la sua creatura più simbolica. Non solo: per anni ha creato una mistificazione: ha voluto scaricare sulle spalle dei suoi tifosi, o di una parte di essi, solitamente i più appassionati, la responsabilità per i mancati investimenti.

Sia chiaro: qui non si vuole difendere un manipolo di idioti che a volte piscia fuori dal vaso. Ma, non c’è dubbio, che molto spesso ci sono state situazioni strumentalizzate ed enfatizzate a vario scopo. Con il risultato di alterare la comprensione dei fatti, dilatando oltremisura la criminalizzazione di alcuni gruppi o persone. Chi sbaglia paga, e secondo me anche molto salato. Ma, come ho sempre detto, mi sono rotto di sentire che il Bentegodi è una giungla in cui non si può andare, ovvero off-limits per le famiglie. Non è la verità. Ho passato l’estate a Racines, in ritiro e ho visto migliaia di bambini, di mamme e papà, tutti fieramente dell’Hellas.

I miei figli vanno allo stadio, accompagnati da mia moglie e mai hanno avuto un problema. Mi sento veronese, odio gli idioti che a volte si ficcano in trappole mediatiche senza avere una visione con il solo scopo di essere goliardici o spiritosi, odio l’alterazione alcolica che rende offuscati e poco lucidi e quindi esposti a essere usati dai poteri forti, odio la gara parallela, quella di chi crede che oltre alla partita ci sia un’altra battaglia da giocarsi fuori dallo stadio. Ma non sopporto chi vuole farci la lezione, le altre città/tifoserie che si ergono a paladini della giustizia e della civiltà come se non ne avessero, tutti e a sufficienza, da guardare in casa propria.

A Setti e Gardini, che si sono spesi e si stanno spendendo per difendere i veronesi, più di quanto alcuni veronesi influenti abbiano mai fatto, chiedo di non considerare questi tifosi, queste radici, come e soltanto dei clienti. La generosità del tifoso che appunto perché tifoso evita di farsi troppe domande, soprattutto quando deve aprire un portafoglio, va ricompensata e anzi, coltivata. Il tifoso va agevolato, e in questi momenti, pur comprendendo la difficoltà di mantenere una squadra ad alto livello, anche aiutato a livello economico. L’unico errore, vero, fino ad oggi compiuto da questa società è stato l’aumento degli abbonamenti per alcuni settori. Un aumento francamente esagerato e sbagliato nei tempi e nei modi. Spiegato con l’esigenza di avere un incasso forte per poter migliorare la squadra, ma nella sostanza fuori luogo, visto che alla fine la differenza è stata di qualche centinaia di migliaia di euro e non milioni. Ma per il resto, dobbiamo dare a Cesare quel che è di Cesare, non c’è stata competizione. Questa società è la migliore che abbiamo mai avuto e per il semplice motivo che è qui solo per fare calcio e trovare nel calcio le risorse per migliorare. Mi pare di capire che Setti, ciò che guadagna lo vuole rimettere nel Verona, senza arricchimenti personali e senza perdite ingenti. Se ci pensate un attimo è quello che avevamo sempre sognato. Per di più lo ha fatto con un livello di competenza e professionalità che mai avevamo avuto né conosciuto.

E’ dimostrato dai fatti che quando il Verona ha viaggiato compatto per la sua strada, ha ottenuto risultati folli per una provinciale. Ecco: chi saremo è proprio in questa direzione. Stay foolish, diceva Steve Jobs. E nessuno più dei “veronesi tutti mati”, ha sposato questa teoria di vita…

TAXI DRIVER

L’anello di congiunzione tra Mandorlini e Zeman si chiama Tachtsidis. Agli allenatori più diversi del calcio italiano piace lo stesso giocatore. Uno lo ha creato, lo ha piazzato davanti alla difesa e ora sta cercando di culminare l’opera rendendolo anche fine stoccatore. L’altro, che di ragazzi se ne intende assai, sull’altare (del) greco ha sacrificato persino la sua avventura romana, estromettendo il monumento De Rossi, pagando in contanti, sottoforma di esonero e bocciatura eterna (non la città) nel calcio che conta. Veramente meraviglioso quanto misterioso che a risolvere Verona-Cagliari sia stato proprio lui, il granatiere di Nauplia, l’anello di congiunzione. Ci teneva Mandorlini a vincere contro Zeman. Più di quanto avesse detto e fatto vedere. Gli rodeva e non poco quell’etichetta di catenacciaro che gli hanno voluto affibbiare, come se nell’equilibrio tattico, nella capacità studiata di non dare profondità agli avversari, non ci fosse lavoro e intelligenza, ma solo codardia e furbizia. Ora che diranno i giganti dell’opinione nostrana? Saranno capaci di rimangiarsi tutto in un sol boccone, visto che oggi qualcuno in sala stampa ha persino detto che Mandorlini è figlio di Zeman? Magari diranno che è solo fortuna. E dimenticheranno il gol regolare annullato, le due traverse, il secondo tempo, le mosse vincenti come l’ingresso di Hallfredsson e Jankovic (si il tanto vituperato Jankovic…) che hanno spezzato Zemanlandia. Ah proposito: il Verona ha undici punti. Come il Milan. Il prossimo avversario, sempre al Bentegodi…

 

LE SFIDE DI MANDORLINI

Il tritacarne delle tre gare in una settimana non ci ha permesso di parlare a sufficienza della gara casalinga contro il Genoa, dove Mandorlini ha fatto un turn over spinto, ma soprattutto ha cambiato modulo, passando dal 4-3-3 al 3-5-2. Pur sapendo di andare contro al “comune sentire” vorrei andare stavolta controcorrente: nel primo tempo di quella partita ci sono stati tanti segnali confortanti che a mio avviso non andrebbero dispersi e accantonati. I due esterni, per esempio, hanno spinto come poche volte succede col 4-3-3, mentre i centrocampisti si sono inseriti con frequenza. La gara è stata molto divertente e giocata a viso aperto. Non tutto ha funzionato alla perfezione. Ma non è stato solo per colpa del modulo. Marquez avrebbe perso quella palla anche col 4-3-3 (anzi è stato proprio così, perché avevamo già cambiato…), mentre il primo gol è arrivato per meriti dell’avversario e una non perfetta posizione di due centrali. A parte questo, il Verona ha divertito e attaccato. Il cambio di modulo, così ha spiegato Mandorlini, è stato voluto per far giocare Saviola. Anzi: per mettere Saviola nelle migliori condizioni. Il tecnico non lo ritiene un esterno (o meglio: non un esterno per il “suo” 4-3-3)  ed allora ha di fatto creato questo “upgrade” del suo modulo. Credo che sia un’evoluzione necessaria anche al bravissimo Mandorlini. Il quale, necessariamente in serie A, si deve confrontare con tecnici che lo studiano e ormai sanno a memoria i suoi passi. Credo che nel bagaglio di un bravo allenatore ci debba essere anche la duttilità tattica, posto che rispetto molto professionalmente Mandorlini che ha sempre saputo dare idee chiare e concetti precisi alla sua squadra, anche a costo di apparire poco flessibile. Ritengo, però, che la sfida di Mandorlini in questo campionato sia proprio questa. Riuscire a giocare con un modulo diverso dal 4-3-3, primo per mettere nelle condizioni migliori alcuni giocatori (pensate a due esterni come Brivio e Sala, quando starà bene…) e poi per sorprendere gli avversari. Poi certo, a fare la differenza è più l’atteggiamento, l’applicazione dei giocatori e se ci pensate abbiamo visto grandissime partite col 4-3-3 che non va assolutamente abiurato. Ma questo 3-5-2 va riproposto, magari con un’intera settimana a disposizione per prepararlo meglio e magari con un po’ più di titolari in campo.

L’IGNORANZA E IL CATENACCIO

Il catenaccio si affaccia in Italia nel campionato di Serie A 1941-42 con Mario Villini, allenatore della Triestina. Nel Campionato Alta Italia del 1944, Ottavio Barbieri fa adottare il catenaccio alla sua squadra, VV.FF. La Spezia, che sorprendentemente vincerà la competizione, imponendosi sul Torino di Valentino Mazzola. Giuseppe “Gipo” Viani, nel torneo di Serie B del 1946-47 schiera la sua Salernitana con il catenaccio, ottenendo una lusinghiera promozione in Serie A.

La stampa sportiva conia il nome di “Vianema” per indicare la tattica della squadra campana. Alfredo Fonisarà il primo tecnico a vincere uno scudetto utilizzando il catenaccio. Nel campionato di Serie A 1952-53 applica questa tattica all’Internazionale, schierando il terzino destro Blason nel ruolo di libero ed arretrando l’ala destra Armano a terzino. Ma i più grandi interpreti del catenaccio in Italia furono Nereo Rocco ed Helenio Herrera.

Nereo Rocco fu tra i primi ad applicare il catenaccio in Italia, fin dal 1946-47, sua prima stagione come tecnico della Triestina. Il modulo di Rocco, cui talora ci si riferisce come il “vero” catenaccio, prevedeva comunemente una formazione del tipo 1-3-3-3 con un atteggiamento rigidamente difensivo. Alcune variazioni sul tema prevedevano schemi come l’1-4-4-1 e 1-4-3-2. Valendosi di questo schema Rocco riuscì addirittura a portare la squadra giuliana ad un sorprendente secondo posto finale nel campionato 1947-48, ripetendosi dieci anni dopo col Padova, giunto terzo nella stagione 1957-58. Una volta passato sulla panchina del Milan, riuscì a vincere nel decennio dei sessanta due titoli italiani, due Coppe dei Campioni, una Coppa intercontinentale ed una Coppa delle Coppe.

Negli anni sessanta Helenio Herrera vinse tre scudetti, due Coppe dei Campioni e due Coppe Intercontinentali con l’Internazionale. Il modulo di Herrera prevedeva lo schieramento di tre difensori cui erano assegnati compiti di stretta marcatura sull’uomo con un libero alle loro spalle. Davanti al pacchetto arretrato si posizionava un regista capace di lunghi e precisi passaggi per superare il centrocampo avversario e servire i centrocampisti avanzati e le punte.

(da wikipedia, IL CATENACCIO IN ITALIA)

Ps. Il Verona mi è piaciuto molto e meritava molto di più contro la Roma.

Ps2: Se il giornalista di Roma intendeva essere dispregiativo con la domanda sul catenaccio a Mandorlini, cioè su una delle più nobili tattiche del calcio italiano, si faccia una cultura. E si vergogni.

 

NON MOLLIAMO MAI

Può piacere o non piacere, ma di certo questa squadra ha grinta, cuore e palle grandi così. E’ una squadra che non molla mai, che quando va sotto riemerge, si aggrappa al suo pubblico, resta a galla.

Non è un Verona bellissimo, ma è un Verona che rispecchia lo spirito del suo allenatore. Queste doti a 8 punti sono quelle che dobbiamo apprezzare di più. Perchè quando una squadra ha questo spirito metà del lavoro è fatto. E questo non è casuale. E’ frutto di uno spogliatoio sano, di lavoro, di concetti calcistici, ma anche di hombre vertical che possono sbagliare (vero Marquez?), ma che hanno carattere da vendere. Moras, Tachtsidis, il piccolo Gollini, Gomez e Luca Toni. E poi il fantastico Ionita che a questo punto non può essere casuale. Aspettiamo tutti e anche il gioco. Intanto siamo al terzo posto con due punti in più della scorsa stagione. Andiamo a Roma con l’animo leggero di chi sa che si può perdere ma anche che nulla è impossibile per questa squadra.

ASCENSORE AL TERZO PIANO

Sette punti, due meno delle corazzate Juve e Roma. Potrei finire qui questo post. Che altro c’è da dire? Due vittorie, un pareggio un gol solo subito, terza forza del campionato. Abbiamo finito dove avevamo lasciato, anzi meglio. Il Verona è sempre quello, la firma sempre quella: puoi dire quello che vuoi, può stare antipatico o simpatico. E’ musone, testone, a volte fa incazzare, sicuramente fa discutere. Ma non è mai banale e soprattutto… VINCE. Questa è l’unica legge che vale nello sport e nel calcio. Non le parole, gli atteggiamenti, la simpatia: sono i risultati che fanno la differenza. E Mandorlini vince. Sono quattro anni che lo fa, ha ripresentato un Verona vincente tanto da essere salito già al terzo piano. effimero finchè si vuole, ma se una settimana fa a Milano rompono le palle con i trombettieri gazzettieri che parlano di “Gran Milàn”, allora perdonatemi, lasciateci sognare un pochino anche noi che veniamo dalla provincia, siamo umili, siamo anche un po’ contadini ma qualcosina nel calcio abbiamo fatto… Oh, chiaro che è troppo presto e che la salvezza è per ora la nostra unica meta. Nessuno si monti la testa. Siamo saliti al terzo piano con l’ascensore Mandorlini e una società modello che il mondo ci invidia. Abbiamo un portiere fantastico e una panchina che fa la differenza. Arriverà anche il tempo di Saviola. E ci divertiremo ancora di più…