TAXI DRIVER

L’anello di congiunzione tra Mandorlini e Zeman si chiama Tachtsidis. Agli allenatori più diversi del calcio italiano piace lo stesso giocatore. Uno lo ha creato, lo ha piazzato davanti alla difesa e ora sta cercando di culminare l’opera rendendolo anche fine stoccatore. L’altro, che di ragazzi se ne intende assai, sull’altare (del) greco ha sacrificato persino la sua avventura romana, estromettendo il monumento De Rossi, pagando in contanti, sottoforma di esonero e bocciatura eterna (non la città) nel calcio che conta. Veramente meraviglioso quanto misterioso che a risolvere Verona-Cagliari sia stato proprio lui, il granatiere di Nauplia, l’anello di congiunzione. Ci teneva Mandorlini a vincere contro Zeman. Più di quanto avesse detto e fatto vedere. Gli rodeva e non poco quell’etichetta di catenacciaro che gli hanno voluto affibbiare, come se nell’equilibrio tattico, nella capacità studiata di non dare profondità agli avversari, non ci fosse lavoro e intelligenza, ma solo codardia e furbizia. Ora che diranno i giganti dell’opinione nostrana? Saranno capaci di rimangiarsi tutto in un sol boccone, visto che oggi qualcuno in sala stampa ha persino detto che Mandorlini è figlio di Zeman? Magari diranno che è solo fortuna. E dimenticheranno il gol regolare annullato, le due traverse, il secondo tempo, le mosse vincenti come l’ingresso di Hallfredsson e Jankovic (si il tanto vituperato Jankovic…) che hanno spezzato Zemanlandia. Ah proposito: il Verona ha undici punti. Come il Milan. Il prossimo avversario, sempre al Bentegodi…

 

LE SFIDE DI MANDORLINI

Il tritacarne delle tre gare in una settimana non ci ha permesso di parlare a sufficienza della gara casalinga contro il Genoa, dove Mandorlini ha fatto un turn over spinto, ma soprattutto ha cambiato modulo, passando dal 4-3-3 al 3-5-2. Pur sapendo di andare contro al “comune sentire” vorrei andare stavolta controcorrente: nel primo tempo di quella partita ci sono stati tanti segnali confortanti che a mio avviso non andrebbero dispersi e accantonati. I due esterni, per esempio, hanno spinto come poche volte succede col 4-3-3, mentre i centrocampisti si sono inseriti con frequenza. La gara è stata molto divertente e giocata a viso aperto. Non tutto ha funzionato alla perfezione. Ma non è stato solo per colpa del modulo. Marquez avrebbe perso quella palla anche col 4-3-3 (anzi è stato proprio così, perché avevamo già cambiato…), mentre il primo gol è arrivato per meriti dell’avversario e una non perfetta posizione di due centrali. A parte questo, il Verona ha divertito e attaccato. Il cambio di modulo, così ha spiegato Mandorlini, è stato voluto per far giocare Saviola. Anzi: per mettere Saviola nelle migliori condizioni. Il tecnico non lo ritiene un esterno (o meglio: non un esterno per il “suo” 4-3-3)  ed allora ha di fatto creato questo “upgrade” del suo modulo. Credo che sia un’evoluzione necessaria anche al bravissimo Mandorlini. Il quale, necessariamente in serie A, si deve confrontare con tecnici che lo studiano e ormai sanno a memoria i suoi passi. Credo che nel bagaglio di un bravo allenatore ci debba essere anche la duttilità tattica, posto che rispetto molto professionalmente Mandorlini che ha sempre saputo dare idee chiare e concetti precisi alla sua squadra, anche a costo di apparire poco flessibile. Ritengo, però, che la sfida di Mandorlini in questo campionato sia proprio questa. Riuscire a giocare con un modulo diverso dal 4-3-3, primo per mettere nelle condizioni migliori alcuni giocatori (pensate a due esterni come Brivio e Sala, quando starà bene…) e poi per sorprendere gli avversari. Poi certo, a fare la differenza è più l’atteggiamento, l’applicazione dei giocatori e se ci pensate abbiamo visto grandissime partite col 4-3-3 che non va assolutamente abiurato. Ma questo 3-5-2 va riproposto, magari con un’intera settimana a disposizione per prepararlo meglio e magari con un po’ più di titolari in campo.

L’IGNORANZA E IL CATENACCIO

Il catenaccio si affaccia in Italia nel campionato di Serie A 1941-42 con Mario Villini, allenatore della Triestina. Nel Campionato Alta Italia del 1944, Ottavio Barbieri fa adottare il catenaccio alla sua squadra, VV.FF. La Spezia, che sorprendentemente vincerà la competizione, imponendosi sul Torino di Valentino Mazzola. Giuseppe “Gipo” Viani, nel torneo di Serie B del 1946-47 schiera la sua Salernitana con il catenaccio, ottenendo una lusinghiera promozione in Serie A.

La stampa sportiva conia il nome di “Vianema” per indicare la tattica della squadra campana. Alfredo Fonisarà il primo tecnico a vincere uno scudetto utilizzando il catenaccio. Nel campionato di Serie A 1952-53 applica questa tattica all’Internazionale, schierando il terzino destro Blason nel ruolo di libero ed arretrando l’ala destra Armano a terzino. Ma i più grandi interpreti del catenaccio in Italia furono Nereo Rocco ed Helenio Herrera.

Nereo Rocco fu tra i primi ad applicare il catenaccio in Italia, fin dal 1946-47, sua prima stagione come tecnico della Triestina. Il modulo di Rocco, cui talora ci si riferisce come il “vero” catenaccio, prevedeva comunemente una formazione del tipo 1-3-3-3 con un atteggiamento rigidamente difensivo. Alcune variazioni sul tema prevedevano schemi come l’1-4-4-1 e 1-4-3-2. Valendosi di questo schema Rocco riuscì addirittura a portare la squadra giuliana ad un sorprendente secondo posto finale nel campionato 1947-48, ripetendosi dieci anni dopo col Padova, giunto terzo nella stagione 1957-58. Una volta passato sulla panchina del Milan, riuscì a vincere nel decennio dei sessanta due titoli italiani, due Coppe dei Campioni, una Coppa intercontinentale ed una Coppa delle Coppe.

Negli anni sessanta Helenio Herrera vinse tre scudetti, due Coppe dei Campioni e due Coppe Intercontinentali con l’Internazionale. Il modulo di Herrera prevedeva lo schieramento di tre difensori cui erano assegnati compiti di stretta marcatura sull’uomo con un libero alle loro spalle. Davanti al pacchetto arretrato si posizionava un regista capace di lunghi e precisi passaggi per superare il centrocampo avversario e servire i centrocampisti avanzati e le punte.

(da wikipedia, IL CATENACCIO IN ITALIA)

Ps. Il Verona mi è piaciuto molto e meritava molto di più contro la Roma.

Ps2: Se il giornalista di Roma intendeva essere dispregiativo con la domanda sul catenaccio a Mandorlini, cioè su una delle più nobili tattiche del calcio italiano, si faccia una cultura. E si vergogni.

 

NON MOLLIAMO MAI

Può piacere o non piacere, ma di certo questa squadra ha grinta, cuore e palle grandi così. E’ una squadra che non molla mai, che quando va sotto riemerge, si aggrappa al suo pubblico, resta a galla.

Non è un Verona bellissimo, ma è un Verona che rispecchia lo spirito del suo allenatore. Queste doti a 8 punti sono quelle che dobbiamo apprezzare di più. Perchè quando una squadra ha questo spirito metà del lavoro è fatto. E questo non è casuale. E’ frutto di uno spogliatoio sano, di lavoro, di concetti calcistici, ma anche di hombre vertical che possono sbagliare (vero Marquez?), ma che hanno carattere da vendere. Moras, Tachtsidis, il piccolo Gollini, Gomez e Luca Toni. E poi il fantastico Ionita che a questo punto non può essere casuale. Aspettiamo tutti e anche il gioco. Intanto siamo al terzo posto con due punti in più della scorsa stagione. Andiamo a Roma con l’animo leggero di chi sa che si può perdere ma anche che nulla è impossibile per questa squadra.

ASCENSORE AL TERZO PIANO

Sette punti, due meno delle corazzate Juve e Roma. Potrei finire qui questo post. Che altro c’è da dire? Due vittorie, un pareggio un gol solo subito, terza forza del campionato. Abbiamo finito dove avevamo lasciato, anzi meglio. Il Verona è sempre quello, la firma sempre quella: puoi dire quello che vuoi, può stare antipatico o simpatico. E’ musone, testone, a volte fa incazzare, sicuramente fa discutere. Ma non è mai banale e soprattutto… VINCE. Questa è l’unica legge che vale nello sport e nel calcio. Non le parole, gli atteggiamenti, la simpatia: sono i risultati che fanno la differenza. E Mandorlini vince. Sono quattro anni che lo fa, ha ripresentato un Verona vincente tanto da essere salito già al terzo piano. effimero finchè si vuole, ma se una settimana fa a Milano rompono le palle con i trombettieri gazzettieri che parlano di “Gran Milàn”, allora perdonatemi, lasciateci sognare un pochino anche noi che veniamo dalla provincia, siamo umili, siamo anche un po’ contadini ma qualcosina nel calcio abbiamo fatto… Oh, chiaro che è troppo presto e che la salvezza è per ora la nostra unica meta. Nessuno si monti la testa. Siamo saliti al terzo piano con l’ascensore Mandorlini e una società modello che il mondo ci invidia. Abbiamo un portiere fantastico e una panchina che fa la differenza. Arriverà anche il tempo di Saviola. E ci divertiremo ancora di più…

IL BICCHIERE MEZZO PIENO

Detto di un Verona non brillante, vediamo invece, perchè c’è da essere ottimisti per il futuro.

– Spirito di squadra. Quando vinci partite così non lo fa per caso. Lo fai perchè stai unito, perchè capisci la difficoltà, perchè lotti su ogni pallone. E’ quello che è successo contro il Palermo. Non solo il Verona ha avuto il coraggio/fortuna/bravura di trovare il pareggio, ma poi ha voluto vincere la partita, avvertendo le difficoltà dei palermitani. Creare lo spirito di squadra è la cosa più difficile. Siamo sulla buona strada.

-In difesa siamo copertissimi. Rafa Marquez è un campione e solo uno stolto poteva metterlo in dubbio. Vicino a lui c’è un Moras mai a questi livelli. Il greco (forse proprio per la presenza di Marquez) è perfetto. Siamo bravi nel gioco aereo, perfetti nell’anticipo, soffriamo nell’1 contro 1 dove nè Marquez nè Moras hanno velocità. Ma basta la loro intelligenza tattica per evitare questa situazione. Il gol è accidentale, frutto di carambole e di rimpalli. Ottimo anche l’apporto che Marquez e Moras danno alla manovra in generale. In più Martic sta dimostrando di poterci stare, molto più attento e ordinato rispetto al precampionato quando doveva ancora carburare e capire i meccanismi.

– Le verticalizzazioni di Tachtsidis. Perde tanti palloni, ma le azioni importanti sono tutte sue idee. Il mister l’ha detto: azzarda la giocata ma a me sta bene così. Vuol dire che il ragazzo ha personalità (bravo nel venire in sala stampa e dire che per vedere il miglior Tachtsidis serve ancora tempo) ed è giusto proteggerlo. Anche lui, però si deve svegliare ed essere più reattivo e continuo.

– Quante frecce nell’arco. Mandorlini ha lasciato in panchina Saviola e messo in campo Lopez per un quarto d’ora. E’ ovvio che due giocatori del genere non possono star fuori. Ci sarà tempo e spazio anche per loro questo è certo. Lopez ha avuto una palla gol, servitagli da Campanharo, uno che il mister sta apprezzando come fece con Jorginho (dicono a Peschiera che i piedi siano anche più buoni…). E poi c’è sempre Jankovic che sicuramente tra Torino, Genoa e Roma tornerà a giocare. Tante alternative anche per cambiare faccia alla squadra.

OTTIMA VITTORIA, MA ALCUNI SEGNALI NEGATIVI DA NON SOTTOVALUTARE

Questa vittoria vale tantissimo. Esattamente quanto quella del Sassuolo dello scorso anno. A caval donato non si guarda in bocca e questi tre punti sono oro colato. La premessa è doverosa ma ciò non toglie che il Verona non mi è piaciuto. Troppo compassati, ma soprattutto tanta, troppa confusione. Passare sotto silenzio i segnali che ci arrivano dal campo non mi pare giusto. E non parlo solo della scelta iniziale di Mandorlini di tenere fuori Saviola e Lopez. Ci sarà tempo per discuterne. Il problema è a centrocampo, non c’è dubbio. La manovra non fila, le coperture funzionano a singhiozzo, Taxi è lontano parente di quello che era partito. Ma non è l’unico che non va. Anche Obbadi è involuto rispetto al precampionato. Va detto che la sosta non ha giovato, i nazionali sono arrivati giovedì, molti erano stanchi. Paradossalmente mi è piaciuto di più Campanharo che quando è entrato ha dato una palla d’oro a Lopez. Può essere una buona alternativa. Anche il gioco sulle fasce non è sgorgato. Terzini bloccati, esterni alti troppo statici, zero sovrapposizioni. Anche la difesa è andata un po’ in affanno.

A quattro punti si sta bene e si può ragionare con pacatezza e tranquillità. Lo farà sicuramente Mandorlini che non può essere soddisfatto di questa partita. Se vogliamo essere ottimisti ci sono così tanti margini di miglioramento che ipotizzare adesso che campionato faremo è veramente fuori luogo.

LA QUESTIONE STADIO

Tenendo fede all’impegno preso con i tifosi, il Verona sta sistemando il Bentegodi. Come avete visto nell’articolo in homepage tra breve (si spera un mese…) ci saranno quattromila posti in più. Tremila in Curva Nord, restituita ai tifosi dell’Hellas e altri mille in parterre est. La strada presa è quella giusta. Rendere più confortevole l’attuale casa dell’Hellas, ormai vetusta e decrepita. Certo. molti tifosi chiedono (a ragione anche…) di poter avere una visuale migliore, in uno stadio nuovo. Setti, che ama fare più che parlare, ha detto che per ora a lui questo non interessa. Il perché è semplice: a Setti piace fare calcio e non importa nulla di nessun altro tipo di business, sia esso commerciale o edilizio. L’impresa è il Verona e non altre attività collaterali. Quindi tutto parte dal Verona e non da altri interessi. Quando il Verona avrà la solidità finanziaria giusta (5/10 anni) si potrà riparlarne. In effetti sino ad oggi la costruzione di uno stadio, oltre a richiedere capitali ingenti (e con i chiari di luna che ci sono…), sembrava una specie di grimaldello per ottenere altre cose. Vuoi appartamenti, centri commerciali o lo sblocco di alcune aree. Non era uno scandalo, lo scrissi allora, lo ribadisco oggi. Ma così, mi piace di più. Anche eticamente, da cittadino. Il Bentegodi è vecchio, ma se ogni anno un tassello venisse veramente rifatto, potrebbe tornare a splendere. Qualcosa si muove, e questo mi sembra la cosa importante. Ora, spero che in questi quattromila posti vengano messi prezzi veramente “popolari”. Anche questa una promessa del dg Gardini. Un altro a cui piace fare più che parlare.

SIAMO UOMINI O MODULI?

Dice Mandorlini (e con qualche ragione…) che da nessuna parte si parla del modulo come a Verona. In effetti a volte il dibattito si focalizza troppo su quell’espressione numerica (4-4-2, 4-3-3, 3-5-2) che vuol dire qualcosa ma non vuol dire tutto. Le varianti sul tema sono infinite e ancora più importante del numero sono due aspetti: come si interpreta quella disposizione in campo e gli uomini che hai a disposizione per interpretarla.

Un maestro di calcio come Bagnoli ha spiegato così, con la consueta semplicità la sua formula vincente: “Chiedevo ai miei giocatori dove volessero giocare e quali erano le loro caratteristiche migliori. Siccome io sono stato giocatore, sapevo benissimo quanto era importante questo e quanto faccia piacere ad un calciatore essere messo nel posto giusto”. Nacque così il Verona dello scudetto, dove i “terzini facevano i terzini e le ali facevano le ali”.

Da quel calcio molta acqua è passata sotto i ponti, la zona e Sacchi hanno spazzato via molti di quei concetti, ma non tutti.

Mandorlini appartiene alla scuola di Mazzone e di Trapattoni. Non è un sacchiano, sa che ci sono risorse umane da sfruttare al meglio. Ma è anche un allenatore moderno che applica alla sua squadra un concetto chiaro di gioco e un’identità precisa. Invece di applicare al suo calcio la filosofia “tante idee ma confuse”, Mandorlini è della scuola “poche idee ma chiare”. In questi anni a Verona ha sempre giocato col 4-3-3, ma con diverse varianti. Non è sempre stato il solito Verona. A volte ha tenuto tanto il pallone, a volte è ripartito con brucianti contropiede, a volte è arrivato al gol con i cross, a volte con il gioco a terra.

Quest’anno, pare, il Verona mirerà ad avere un possesso palla più alto. Marquez, giustamente, sarà l’uomo da cui iniziare l’azione. Toni il terminale offensivo, ma forse meno esclusivo rispetto alla passata stagione. Gran parte del nuovo Verona e del suo gioco verterà su come gli esterni si adatteranno a Mandorlini e alla sua idea di 4-3-3 e viceversa. Se il tecnico si aspetta da Saviola e da Nico Lopez lo stesso lavoro garantito da Iturbe e Gomez, beh state sicuri che i due assieme giocheranno poco. Per come la vedo io, o gioca uno o gioca l’altro. E solo in alcuni frangenti della partita e soprattutto dopo opportuni rodaggi andranno a coesistere con Toni per un Verona tutto trazione anteriore. Già l’anno scorso quando paventavo a Mandorlini l’idea di giocare con Toni e Cacia e magari un trequartista la sua risposta fu: “E poi chi torna a coprire?”. Infatti quella soluzione non decollò mai.

Però c’è anche da dire che questo Verona è più solido dietro. Ha messo su centimetri e peso con Tachtsidis, che sempre di più appare come il perno centrale da cui dipenderà il futuro tattico della squadra. E Obbadi (ancora più di Hallfredsson che conosciamo bene nei suoi pregi e nei suoi difetti), avrà meno compiti di percussione rispetto a Romulo che era invece quasi una vera e propria ala destra in certi frangenti.

Come sempre, insomma, e come diceva Bagnoli, gli uomini conteranno più dei moduli. Il resto tocca a Mandorlini. Che non ha un compito facile. Per vedere il vero Verona e capire qualcosa di questa squadra prevedo una decina di partite. Solo dopo tireremo opportune considerazioni.

ABBONATI: PERCHE’ PARLARE DI FALLIMENTO?

Faccio una premessa a scanso di equivoci: fossi stato nella società non avrei alzato il costo degli abbonamenti. In un momento così duro per le famiglie e per i tifosi si poteva evitare. Capisco le ragioni (la principale è che manca un settore popolare in uno stadio che sarebbe da rifare o comunque da restaurare pesantemente), ma quell’aumento non è stato giusto. Per un sacco di motivi, ma il principale è proprio quello economico, anche se, bisogna aggiungere, passare una domenica in Curva Sud resta uno dei divertimenti più economici che ci sono in giro.

Detto questo. Abbiamo raggiunto quota 14.055 che è minore rispetto ai 16.129 abbonati della scorsa stagione. Un calo di quasi duemila unità che a qualcuno ha fatto gridare immediatamente al “fallimento” della campagna abbonamenti. In realtà non è così. Anzi: Verona si conferma in netta controtendenza rispetto ad altre piazze, ma soprattutto questo dato è uno dei migliori di sempre.

Attingendo ai dati di Hellastory.net che ha un’apposita statistica sugli abbonamenti (complimenti ai gestori del sito) si può facilmente capire che i 14.055 abbonati di quest’anno poche volte si sono visti nella storia del Verona, almeno da quando esistono gli abbonamenti. Per trovare per la prima volta cifre simili bisogna andare al 1973-’74 quando si superarono (di poco) i 10 mila abbonati (10.946). O al 1975-’76 quando venne battuto un record superando le 13 mila unità (13.524).

In mezzo molte cifre deludenti, anche prima dell’era Bagnoli: nel 1980-81 furono appena 2.900 i veronesi che si abbonarono e l’anno dopo, quello della promozione in serie A, appena 4.764 tifosi si fecero l’abbonamento. Ci fu un incremento quasi del 50 per cento l’anno dopo, il primo stupefacente di Bagnoli in serie A. Ma non sufficiente a superare i 10 mila abbonati (9.129).

Il record fu stabilito nel 1984-’85 (guarda caso), quando si vinse lo scudetto: 17.553 abbonati. Successo (quasi) bissato l’anno dopo con 16.185 tessere, secondo miglior risultato di sempre. La quota raggiunta lo scorso anno (16.129), quindi, va a stabilire il terzo miglior risultato della storia del Verona. Quello di quest’anno si piazza (di poco) al quinto posto, dietro al campionato 1987-’88 (14.143).

Curioso anche vedere gli anni di Lega Pro: dopo la caduta dalla B, (con gli abbonamenti ad 1 euro per donne e bambini) furono 9.635 gli abbonati. L’anno dopo, con la contestazione di una parte della Curva Sud che non si abbonò, furono 7.890. Poi si risale sopra quota 10 mila con l’avvento di Martinelli (10.448) ma si ritorna sotto dopo la delusione con il Portogruaro (7.955).

Dire quindi che 14.055 abbonati sono un fallimento è una falsità.