Dove sta l’eccezionalità? A volte nell’essere normali. Non è facile nel mondo dei Balotelli, dei selfie, di Twitter e Facebook. Essere normali e campioni è l’esercizio più difficile del mondo, credetemi. Eppure è in quella normalità che si nasconde il campione. Ho raccontato di Rafa Marquez, 19 trofei vinti, una leggenda in centro e sud America, ambasciatore della Nike per il Messico, capitano della nazionale del suo paese, un mito per il Barcellona che pure qualche “giocatorino” ha avuto nella sua storia.
Un campione come a Verona non ne sono mai sbarcati. Ha 35 anni Marquez e a quell’età non ci arrivi competitivo se non sei “perfetto”. Ho visto Marquez finire dentro un “frullatore” mediatico e organizzativo che avrebbe piegato un cavallo. Ma per lui è stato tutto normale. Ho raccontato una cosa banale (e normale…) come il suo comportamento a tavola. Acqua liscia, attenzione ai carboidrati, un perfetto nutrizionista di se stesso. Accompagna la sedia quando si alza, la ripone sotto il tavolo, piega il tovagliolo. Normalità. Ma quanti lo fanno? Il comportamento di un campione di questo livello innalza l’asticella di tutti. Anche con questi piccoli comportamenti. Marquez, come Luca Toni del resto, arriva sempre puntuale all’allenamento, sempre perfetto dentro lo spogliatoio e nel rapporto con tutto lo staff.
Mi ha impressionato che al primo giorno, alla prima partitella di Bad parlasse già l’italiano. Normale, ma non troppo se c’è chi da anni in Italia, non riesce ancora a esprimere un concetto nell’idioma della nazione che lo ospita. Ho scambiato qualche parola con lui in aereo. Abbiamo parlato del Messico e lui mi ha risposto in italiano. Lì per lì non c’ho fatto caso. Mi pareva normale. Poi ci ho riflettuto: Era in Italia da 48 ore, anzi meno visto che stavamo tornando dall’Inghilterra.
Tornato da Barcellona, dove ha giocato il Gamper, praticamente organizzato per festeggiarlo, ha voluto essere a Trento con il resto della squadra. Parla poco Marquez. E’ asciutto, nel fisico e nei comportamenti, quasi austero. Ma è questo il suo carisma. Quando parlerà, nello spogliatoio, lo ascolteranno. Non si atteggia da divo e sa che nel calcio, più ancora della vita, bisogna sempre dimostrare qualcosa.
Non è a Verona per svernare o guadagnare gli ultimi soldi della carriera. Non ne ha bisogno. E’ un acquisto vero, a tutti gli effetti. Un campione. Di normalità. Non è eccezionale?