NON TUTTE LE BANDIERE SI AMMAINANO

E’ vero che la maglia, il simbolo, i colori sono più forti di tutto e di tutti. Ma le maglie, i simboli e i colori non sono nulla senza gli Uomini che ne scrivono la Storia. E’ ineluttabile e inconfutabile che la Grande Storia dell’Hellas Verona si intreccia perfettamente con quella dei giocatori che l’hanno scritta. Ognuno di noi, nel proprio cuore, ha un un suo eroe a cui è particolarmente legato. Zigoni, Elkjaer, Briegel, Nanu Galderisi e poi via via su, ognuno con il proprio colore gialloblù e il proprio ricordo. Non è tanto che il giocatore sia più importante dell’Hellas è proprio che in un certo momento, in un certo spazio, quella persona, vestendo la maglia del Verona si identifica in essa fino a diventarne parte.

Il lungo preambolo è per parlare di Nicola Ferrari che ho ribattezzato Iron Nick, Nicola d’acciaio, per quel carattere tutto trentino di non mollare mai, di non arrendersi, di risorgere anche davanti ai terremoti della vita. Nicola Ferrari è un buon giocatore. Non è un fuoriclasse. Ma è stato il simbolo del Verona che è risorto dalle ceneri della Lega Pro. Un Verona che non mollava mai, un Verona disperato, un Verona avvilito eppure mai sconfitto. Nicola lo abbiamo amato per questo. Vedevamo in lui la grinta della nostra squadra, l’incredibile capacità di rialzarsi sempre. So con quanto dolore e quanta tristezza Ferrari abbia vissuto questo periodo. Avrebbe pagato di tasca sua per fare anche un solo minuto in serie A con la maglia del Verona. Ho persino evitato di sentirlo in questi giorni. Ne ho avvertito lo sguardo pieno di dolore e forse rabbia sabato al raduno. Qualche minuto fa gli ho mandato un’ sms.

Credo che Nicola abbia fatto la scelta giusta. A 30 anni, è giusto che un ragazzo come lui abbia scelto di andare allo Spezia dove l’attende un biennale utile per se e per la propria famiglia. Nicola non ha mai raccolto quanto meritava nel calcio. A mio avviso tecnicamente valeva più di quanto ha dimostrato. La sua generosità lo ha sempre portato a sacrificarsi e sarà per questo che ha sempre fatto le fortune di chi giocava al suo fianco. Avesse segnato di più, avrebbe guadagnato molto di più. Ma non sarebbe stato Nicola Ferrari d’acciaio.

Nel Verona che se ne va a giocare finalmente in serie A, ci sarà molto di Nicola Ferrari. Perchè alcune bandiere non si ammainano mai.

IL PRIMO GIORNO

E’ come se fosse il primo giorno di scuola. C’è sempre un filo di emozione. Che poi, per noi tifosi, è anche qualcosa di più. Un misto di aspettative, tensione, voglia che si ricominci.

La stagione è ripartita, il Verona affronta la serie A dopo 11 anni allucinanti, in cui è successo di tutto e in cui, serve sempre ricordarlo, siamo stati ad un passo dalla scomparsa.

Undici anni che sono serviti a tutti per capire che i fasti dello scudetto sono lontani anni luce, che si può gioire anche per una salvezza in C1, che non importa in che categoria si gioca perchè tanto il Verona non perderà mai i suoi tifosi.

Devo essere sincero: mi piacerebbe vedere più entusiasmo in questo ritorno in serie A, proprio per tutto quello che abbiamo passato. Ieri ne parlavo con alcuni colleghi e amici. Sento troppi mugugni, troppe polemiche sterili, un piccolo rumore di sottofondo che rischia di guastare l’atmosfera di entusiasmo che sarà una delle nostre armi per il prossimo campionato.

Pare che qualcuno si diverta a criticare a prescindere tutto e tutti. Qualsiasi cosa si faccia diventa negativa. La crociera, le magliette, lo store, gli abbonamenti. C’è un’incapacità congenita in alcuni di noi di godersi la vita, di prenderla con filosofia, dopo aver appurato (io personalmente l’ho fatto) che questa società è qui per crescere e per fare il bene dell’Hellas.

Gli errori ci stanno e si può fare sempre meglio, per carità. Ma questa marea di lamentele non fanno bene al Verona. Arriva un anno, un campionato e una stagione in cui bisogna veramente stare tutti uniti e navigare verso l’obiettivo. Questo non significa non criticare e non far notare quello che non va. Ci mancherebbe. Ne andrebbe anche del mio ruolo di giornalista. Ma quando si critica bisogna farlo a ragione veduta.

Ultimo pensiero, stupido forse: ieri sera quando sono entrato nello store dell’Hellas Verona a due passi da Piazza Bra, quando ho visto gli stemmi, l’atmosfera, la gente in attesa, l’Arena sullo sfondo ho ripensato a questi undici anni. E mi sono sentito orgoglioso di tifare Verona.

 

DUE O TRE COSE SUL DERBY CON IL CHIEVO

L’errore più grande che il Verona possa fare il prossimo campionato è di inseguire il Chievo. E’ un errore fatale che abbiamo già commesso con Malesani e che mai si dovrà ripetere. Mi dispiace ma per me le due gare con il Chievo rappresentano solo due partite contro una diretta concorrente per la salvezza. Importantissime in questo senso, quindi. Sono convinto che non rifaremo questo errore che fu, tra gli altri, responsabile di quella retrocessione. I tempi sono profondamente cambiati. Oggi l’outsider (auzzaider) è il Verona. Il Chievo, dopo 12 anni di serie A, è una società che conosce perfettamente i meccanismi della categoria. Persino in certi pareggi incolori ma efficaci per la classifica e per la salvezza c’è da imparare. Anche se da tifoso del Verona mi auguro di non vederne, perchè, diciamoci la verità, quella è la morte del calcio. Ma alla fine, contro l’Empoli, punto che valeva la serie A, nessuno si è sognato di protestare per una gara all’acqua di rose.

Il Chievo in questi anni è diventata l’espressione del potere cittadino. Campedelli ha sfruttato il vuoto dirigenziale del Verona occupando spazi che altrimenti non gli sarebbero stati concessi. Persino il più importante istituto bancario cittadino ha snobbato in questi anni l’Hellas Verona (qualcosa è cambiato solo recentemente…) per appoggiare il Chievo. La vicenda dei simboli e dei colori (scale, Cangrande, il gialloblù) è stata la negazione della storia (meravigliosa) del Chievo per inseguire una storia che non gli apparteneva. Una scelta deleteria per il Chievo. Noto con dispiacere che anche quest’anno Campedelli non ha inserito nessuna maglia con i colori biancoazzurri, i colori originali.  La Diga, il simbolo che compariva sui gagliardetti del Chievo, è sparita dalla circolazione. Per qualcuno possono essere dettagli insignificanti. Ma io credo che con queste cose non si scherza. Non si parla qui della legittimità o meno di prendersi i simboli e i colori che più piacciono. Ma solo di opportunità. Il Chievo in questo senso ha fallito. E’ diventato una brutta copia dell’originale. Mentre doveva rafforzare la propria (meravigliosa, ripeto) identità di squadra di quartiere che è arrivata in A. Non ho capito la scelta. Anzi, forse sì: era una scelta di marketing adottata quando pareva che la fusione fosse cosa fatta. Una follia.

Aggiungo che il Verona sta ritrovando una dimensione importante dopo che Martinelli ha affidato il timone al signor Maurizio Setti. Un imprenditore slegato dalle logiche salottiere veronesi, che probabilmente ha tolto il guinzaglio con cui il Verona è stato tenuto in questi anni. La visione di Setti è molto elevata. E forse, ora, si capisce che cosa voleva dire quando appena arrivato, parlava di una realtà troppo provinciale. Io ero tra quelli che non lo avevano capito perfettamente: pensavo alla nostra provincialità come ad una forza che ci aveva salvato dal fallimento. Setti, invece la intendeva come un freno al nostro sviluppo. Ha ragione lui. Il problema è che noi non siamo abituati a ragionare avendo dall’altra parte una “società normale”. Per noi la normalità erano i fratelli Carino, Cannella, i teatri di Pastorello, Farina alle Torricelle, Galli e Lancini, il truffatore che aveva la salsa di pomodoro scaduta in cantina. Setti, Gardini Sogliano ci stanno facendo riapprezzare il senso della normalità. Per questo il derby col Chievo è una bella pagina di calcio. Non facciamolo diventare la disfida di Barletta. Sarebbe troppo provinciale. E noi abbiamo altro a cui pensare, francamente.

LUCA TONI, FINALMENTE

E’ arrivato. E mentre guardo il primo sms del mio cellulare (“Ti ricordi quando presentavamo Morante?), mi appresto a fargli la prima intervista. E’ simpatico, disponibile. Come tutti i grandi campioni. Ha gli occhi emozionati. E si vede.Mi basta per dire che può essere un buon acquisto. Toni è tutto quello che ci serve adesso. Un ragazzo serio, di grande esperienza, che può darci una mano tatticamente, nello spogliatoio, in campo. Mediaticamente è un colpo divino. Non dico che è alla pari di Cassano a Parma, ma quasi. Toni è un campione del mondo. Non credo venga a Verona a svernare. Non mi pare il tipo. Certo, solo il campo ci potrà dire se è stato un colpo di mercato. Ma sulla carta Toni ci può far sognare. Qualcuno si lamentava che il Verona non si stesse muovendo sul mercato. Beh: dopo aver confermato Martinho, Laner e Agostini, aver preso Donati e Alejandro Gonzalez e praticamente preso Pablo Gonzalez, ora, con l’arrivo di Toni, mi pare che ci stiamo divertendo. In fondo qualche anno fa presentavamo Morante…

SBATTI IL MOSTRO IN PRIMA PAGINA

E’ sempre stata la regola del giornalismo spazzatura. Prendi il mostro e sbattilo in prima pagina. Poco importa che sia vero. Basta farlo credere. E ripeterlo. Ossessivamente. Leggo oggi una domanda a Sannino, il neo allenatore del Chievo,  in un’intervista della Gazzetta: “Chievo-Verona invece promette bene. Un allenatore nato in provincia di Napoli contro uno famoso per un coro contro la gente del Sud”. Domanda evidente capziosa. Cattiva. Subdola. Coro contro la gente del Sud? Ma di che parliamo? Della canzoncina degli Skiantos cantata da Mandorlini dopo le botte prese a Salerno, dopo il piscio tirato in testa ai tifosi, dopo che il presidente Martinelli ammalato e debole fu costretto a lasciare la tribuna stampa perchè minacciato?

E il derby di una città del nord, una città di provincia che ha due squadre in serie A, l’unica città che ha vinto uno scudetto, merita davvero una domanda del genere? Con tutto quello che si poteva chiedere a Sannino (i rapporti con Sogliano, le vittorie a Varese, come ha intenzione di far giocare il Chievo…) la cosa importante e basilare per la Gazzetta è questa. E’ un piccolo esempio. Ma pensate quante trappole dovremo schivare quest’anno. Già me le immagino certe trasmissioni Rai a fine gara, con i collegamenti dagli spogliatoi… E le provocazioni in settimana… Prepariamoci. Noi siamo i mostri da sbattere in prima pagina. E loro non vedono l’ora di farlo. Ma forse possiamo sorprenderli.

LA CHIAREZZA DI SOGLIANO

C’è un aspetto di Sogliano che apprezzo più di tutto. La chiarezza. Con noi giornalisti e con i giocatori. Sogliano ha metodi sbrigativi, appare anche un po’ burbero, in realtà è un professionista che sa benissimo che non si può ammettere il “grigio” soprattutto quando si lavora in una società come il Verona, con un budget limitato e con l’imperativo categorico della salvezza. Sogliano ha voluto chiarezza con Mandorlini che è uscito molto rafforzato e legittimato dal confronto. Ma ancora prima chiede questa chiarezza ai giocatori che dovranno vestire il gialloblù. Per questo Sogliano “testa” personalmente le motivazioni. Ha voluto parlare con Toni prima di ingaggiarlo per verificare “a pelle” che sensazioni gli trasmettesse il vecchio bomber. Nonostante non ami giocatori anziani e ormai a fine carriera, Sogliano è rimasto colpito da Toni e dal suo entusiasmo. Sarà arruolato nel Verona. Viceversa non arriverà nessuno che ingaggi un tira e molla. Sogliano non sopporta il gioco al rialzo, sa cosa può offrire il Verona non si discosta da quell’offerta. Chi viene a Verona deve farlo perché è convinto della piazza, della società, dell’ambiente. Se uno comincia con i dinieghi e i “ni”, viene subito scaricato dal ds. E’ un modo di fare che mi trova d’accordo. Meglio una truppa che non sia eccelsa dal punto di vista tecnico, ma che abbia nel dna la battaglia, che “giocatori-fenomeni” che vengano qui a svernare.

BATTAGLIE VERE E BATTAGLIE FIGURATE

Da sempre il calcio è un guerra figurata. Desmond Morris, sociologo inglese, descrive una partita di calcio come se fosse una battuta di caccia in cui il pallone è una preda e le due squadre, tribù che voglio catturarla. L’oplita greco che il Verona ha scelto per la propria campagna abbonamenti rimanda a questo immaginario. Una guerra figurata, perchè quella che ci aspetta il prossimo anno è una lunghissima battaglia.

Lo sport è questo: una guerra con regole precise in cui uno dei contendenti deve prevalere sull’altro. E in cui a fine gara, così dovrebbe essere, il migliore vince. Tutto deve avvenire dentro al campo di gioco. Gli inglesi, padri dello sport, ritengono lo stadio e il suo terreno sacro e inviolabile. Giustamente. Pensare di spostare la “battaglia” fuori dal rettangolo di gioco è qualcosa che non ho mai capito. Se mi identifico con la mia squadra di calcio, se accetto le regole, perché io devo ingaggiare una battaglia parallela ed esterna al terreno di gioco, a quelle regole?

Considero il calcio lo sport più bello. Quello che riesce più di ogni altro a identificarsi con la vita e le sue battaglie. Forse l’unico sport in cui anche uno 0-0 può essere meraviglioso, dove i campioni sono Maradona e Messi, due nanetti di pochissimo appeal fisico, dove può vincere il più furbo e non solo il più forte, dove la fortuna, proprio come nelle nostre esistenze gioca una parte affascinante e imperscrutabile. Troppo bello per essere rovinato con altre battaglie.

Mio modesto parere.

 

SOLO SALVEZZA

Mi sento di dirlo oggi che siamo appena a giugno. Il prossimo campionato sarà il più importante di sempre. C’è il bisogno di consolidarsi, c’è la necessità di dare vita a una nuova fase. Il primario e unico obiettivo del Verona deve essere quello della salvezza. Nè vincere il derby con il Chievo nè arrivare davanti a loro, nè altri pensieri devono essere oggi percorsi. E’ importante che l’ambiente sia consapevole di questo. Il Chievo è in serie A da undici anni. Tranne una parentesi che lo ha visto vincere alla grande un campionato di serie B, ha acquisito mentalità e si è dato una struttura che il Verona non ha. Dobbiamo ammettere questo, per essere realisti e avere una chance. La serie A è un altro pianeta, come dice Sogliano è “un altro sport”. Se non combatti sempre con il coltello tra i denti, se l’attenzione non fosse massima da mattina a sera, se tutti gli allenamenti della settimana non fossero fatti al cento per cento e soprattutto se le polemiche vuote e fatue come quella sulla terza maglia avessero il sopravvento, faremo poca strada.

Il Verona ha il vantaggio di aver visto in faccia la terribile realtà della Lega Pro. E’ stata una traversata nel deserto che forse ha allontanato per sempre il peso di aver vinto lo scudetto. Quell’impresa, sensazionale e storica ha sempre terribilmente condizionato la nostra percezione. Nulla era in confronto a quella fantastica cavalcata. Tutto veniva sempre rapportato ai tempi, irripetibili e magici, di Osvaldo Bagnoli. A mio avviso la Lega Pro ci ha riportato sulla terra, ci ha fatto apprezzare vittorie che non avremmo mai apprezzato se non avessimo visto la morte (della società, intendo…) in faccia.

Per questo vorrei dire a tutti di viverci questa A con entusiasmo, cercando di andare alla sostanza delle cose (il risultato) e abbandonando il pettegolezzo. Sarà durissima, credetemi e dovremo essere veramente bravi a gestire sconfitte e momenti difficili. Anche dal punto di vista comportamentale servirà un’attenzione massima. Ci aspetteranno al varco, con provocazioni e trappole mediatiche. Le hanno tentate tutte anche quest’anno e qualche volta ci siamo finiti dentro come babbei. Ecco, spero che la lezione sia servita…

I TAFAZZI GIALLOBLÙ

Posso scrivere con meno eleganza stilistica di Francesco Barana che molti tifosi del Verona hanno la capacità sadica di martellarsi da soli gli zebedei? Resto basito davanti alle sterili polemiche sulla terza maglia. Barana sproloquia persino parlando di crisi d’identità e simboli perduti. Perdonami Francesco ti reputo molto più intelligente di questa ovvia banalità che pare più un rigurgito da no global no tav no multinazionali no a tutto, che una seria e approfondita analisi. Tralascio per noia il commento puramente estetico. A me la maglia piace e non mi ricorda nessun ventennio. Dico solo che mi aiuta a sembrare più magro e questo mi pare già un buon motivo di apprezzamento. A parte gli scherzi,vorrei ricordare a Francesco che la crisi d’identità era molto più sentita nel 2005 quando Pastorello latitava e la squadra partì all’alba per il ritiro, o quando Cannella faceva la guerra a Ficcadenti appoggiato da chi oggi punzecchia Setti. Vorrei ricordare a tutti che siamo in serie A e che si potrebbe anche trovare piacere in questo e non necessariamente dal martellarsi sempre e comunque le palle.
Ps: a qualche maligno forse invidioso del fatto che Telenuovo sta seguendo la crociera dell’Hellas volevo far sapere che il mio biglietto e quello dei due tecnici che mi seguono è stato regolarmente pagato dalla mia azienda che ha deciso di tenervi aggiornati per un’intera settimana su questa inedita e simpatica iniziativa.

MANDORLINI 3, L’EVOLUZIONE DELLA SPECIE

Il primo Mandorlini fu quello che prese in mano la squadra, l’ambiente e la città. Un leader che trascinò una squadra senza anima e senza obiettivi in serie B. Quel Mandorlini continuò l’opera sfiorando la serie A. Sempre in sella al suo destriero, pronto a sferrare stoccate a destra e a manca, una specie di Zorro notturno che compensava alla mancanza di peso politico con scorribande e veloci blitz. Questo Mandorlini ha lasciato il passo a quello di “governo” dell’ultimo semestre. Un Mandorlini che pian piano ha capito che Zorro doveva mettere il mantello in soffitta per lasciare posto solo al grande professionista.

Già, perché nessuno lo dice, ma Mandorlini ha soprattutto dimostrato in questi mesi di essere un buon allenatore. Idee chiare, identità, gioco, equilibrio della squadra. Ed è questo che dovrà essere il Mandorlini 3, quello che Sogliano ha scelto per continuare a guidare il Verona.

Dopo le 48 ore di riflessione, Mandorlini è più forte di prima. Certo, i guastatori di professione hanno già iniziato la litania, incassata loro malgrado la conferma del mister che fino a 10 ore prima loro avevano dato sulle panchine di mezzo mondo. E’ rimasto ma la fiducia è a tempo… E’ rimasto ma Setti… E’ rimasto ma verrà esonerato… Poveri loro: non hanno veramente capito come funziona. Questo tentativo di dividere affinché loro possano imperare con le loro idee e le loro tesi è stucchevole. Io non voglio invocare ogni volta che dovrebbe essere solo il bene del Verona la stella polare che ci dovrebbe guidare. E se Mandorlini non ha fatto in questi tre anni il bene del Verona ditemi chi lo ha fatto.

Ma non posso dimenticare la società. Ho scritto e lo sostengo con coerenza che la pausa di riflessione è stata una cosa buona e giusta. E che avremmo dovuto rispettare Sogliano e Setti anche se non avessero confermato Mandorlini. E’ una questione di mentalità. Ho rabbrividito negli scorsi giorni quando qualcuno ha scritto anche in questo blog “se non resterà Mandorlini non farò l’abbonamento”. Possibile che in questi anni certa gente non abbia capito nulla? Possibile che non si sia capito che il Verona ha resistito a Cannella, Galli, Lancini e compagnia cantando e resisterà anche se l’allenatore più amato dopo Bagnoli se ne dovesse andare?

Ora Mandorlini ha una terza vita a Verona, che potremo definire un’evoluzione delle altre due. Andrea ha l’occasione più importante della sua carriera. Una carriera che in serie A, per un motivo o per l’altro non l’ha ancora consacrato. Può farlo senza gli eccessi che ne hanno condizionato alcuni passaggi della sua vita (spesso per eccesso di generosità, qualche volta per ingenuità a volte per spirito goliardico…) e che lo hanno pesantemente penalizzato. Semplicemente facendo quello che gli riesce meglio. Allenare una squadra di calcio.