E’ un piccolo pertugio. Laggiù, in fondo ad un tunnel lungo undici anni. C’è una luce intensa alla fine di quel tunnel. Ma noi ci siamo ancora dentro. Perchè non è ancora sufficiente, perchè la nostra sofferenza deve ancora allungarsi nel tempo e nello spazio. Cosa ricordare di questi undici anni? I miei flash adesso vanno ad una conferenza stampa in corte Pancaldo e Pastorello che mostrava le locandine dell’Arena che dicevano che i giocatori non volevano firmare le liberatorie per l’iscrizione al campionato e solo dopo una notte Malesani li convinse a farlo. Tra questi non c’era Mutu, che avrebbe avuto più motivi di tutti per non firmare, visto che era la stella supersitite della squadra (ma sarebbe stato ceduto a brevissimo…).
Altro flash: una telefonata del Conte Arvedi presa mentre ero sul mio terrazzino dopo un temporale: “Ho comprà el Verona assieme a dei banditi… Bisogna che te me aiuti”. Vicino a lui c’era Peppe Cannella da Nocera che ascoltava la telefonata in viva voce e poi mi rimproverò di aver detto al Conte: “Ferma tutto, Piero, pensaci su”. 23 dicembre, l’esonero del mio amico Ficcadenti. Cannella (e Arvedi) non ebbero il coraggio di farlo davanti alle telecamere dopo che avevano già deciso tutto. Sapevo di quanto Cannella, aiutato anche da qualche “collega” e con l’appoggio di qualche giocatore (troppi…) aveva lavorato ai fianchi nello spogliatoio il gladiatore Massimo. La ritenevo un’ingiustizia, avevo capito che il Verona era finito perchè stava saltando l’ultimo baluardo. Finimmo in Lega Pro, dopo una falsa rimonta perchè Cannella, nel tentativo di cacciare Ficcadenti aveva fatto perdere troppi punti per strada alla squadra.
E poi mi rivedo nell’ufficio di Prisciantelli nell’anno in cui Previdi aveva preso in mano la situazione dopo aver rischiato la C2. Dopo tante stagioni di oblio c’era un ds che mi faceva vedere la squadra con i possibili moduli e due alternative per ogni ruolo. Qui metto Bergamelli, qui Parolo, qui Girardi e qui Gomez. Non ne conoscevo uno, ma apprezzai che per la prima volta ci fosse un disegno su una carta e qualche idea di mercato che poi, tra l’altro si rivelò ottima.
La memoria mi porta adesso una sera a casa di Arvedi, villa deserta, non c’è nessuno, solo io e Piero. E Piero che mi tira fuori progetti, carte, mi fa vedere i terreni che ha in Montenegro, dove ha una regione tutta sua e dove vuole costruire una pista d’atterraggio per piccoli aerei dove portarci i cacciatori veronesi in cerca di quaglie e di qualche montenegrina (Arvedi faceva tutto un pacchetto…). Mi riempì di tristezza quella sera, perché vidi un uomo solo, terribilmente solo e capii che il Verona altro non era che il suo ultimo appiglio alla vita.
E’ mattina presto quando dopo una notte insonne sono al Carlo Poma di Mantova. Arvedi è in fin di vita, investito da un polacco ubriaco. Per tutto il giorno faccio collegamenti e metto notizie on -line sul sito Tggialloblu.it, la prima grande novità editoriale internet che i veronesi hanno iniziato ad apprezzare e a visitare in massa. Arvedi in fin di vita e il Verona sta per finire. Previdi sta male, Prisciantelli fa la spola tra l’ospedale, la sede e Modena dove anche Previdi ha i giorni contati.
Sono adesso al bancone di un bar in via San Fermo. Brindo con il nuovo padrone del Verona, Giovanni Martinelli. Gli chiedo dell’Hellas, mi sembra spaesato. Esco, prendo una telefonata, dall’altro capo un amico mi dice: non esultare, questi vogliono fare una sola squadra, Martinelli e Campedelli sono già d’accordo, chiediti chi è Davide Bovo… Non volli ascoltarlo, volevo solo pensare che era finita e che il Verona, l’Hellas, il mio Hellas aveva un futuro.
Adesso sono all’antistadio e vedo tre tifosi che circondano Martinelli dopo che Bovo (quel Bovo…) alla sera aveva fatto capire ad un calcio club che la fusione era cosa fatta e imminente. Vedo Martinelli e Ficcadenti. Capisco che è un punto di non ritorno. Non so cosa si siano detti. So che Bovo il giorno dopo sparirà dall’organico del Verona e da quel momento non si parlò più di fusione.
Mi rivedo in Piazza Bra alle 4 di mattina dopo Salerno. Ho appena terminato una diretta fiume durata più di tredici ore. Sono con il mio amico Nino Gazzini e con il mio fedelissimo pard Stefano Rasulo. Adesso ho solo voglia di festeggiare, come un tifoso qualunque. Arriva la squadra e intono cori.
L’ultimo flash: Verona-Varese è appena finita, Massa ha appena compiuto un misfatto. Sto guardando il monitor mentre scorrono le immagini di Sassuolo-Sampdoria. Vedo assegnato un rigore vergognoso. Capisco tutto. E’ una buffonata orchestrata per tirare su la squadra più blasonata. Mi imbufalisco e dico tutto in video. Il giorno dopo qualcuno negherà l’esistenza di complotti. E mi incazzerò ancora di più.
Ora sono qui: fermo nel limbo. Aspetto dopo undici anni di ritornare in serie A. Per asciugare le lacrime di Piacenza. E dimenticare tutto. C’è la luce in fondo a questo tunnel, ma la strada non si è ancora conclusa. Lo so, lo sappiamo: sei dell’Hellas? Devi soffrire. Ma ci siamo abituati. E’ più bello così…