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MA ELUANA NON E’ WELBY

 

Arrivo ad Eluana partendo da una premessa: rivendico il diritto di poter decidere come vivere, come e fino a che punto farmi curare, come e quando morire. Trovo assurdo considerare il suicidio un reato perché non appartengo allo Stato; la mia individualità viene prima del contratto sociale. (Mi domando se, anche chi sente di appartenere a Dio, debba preoccuparsi di rispondere a Lui della sua vita, di ciò che ha fatto e di come ha vissuto, o di come e quando è morto). Per quanto mi riguarda sono favorevole all’eutanasia appunto perchè rivendico – anche senza particolare sofferenza fisica o psichica – il diritto di essere io a decidere della mia morte. Io. Non mio padre né mio figlio, né il mio medico di fiducia, né il mio amico o la mia amica del cuore. Io e solo io.

Ed è proprio questo il punto che non mi convince nel caso di Eluana Englaro e nella sentenza finale dei giudici della Cassazione i quali – al di là di cavilli ed iter giuridici – di fatto hanno accolto la richiesta del papà di poter staccare il sondino alla figlia. Quindi ha deciso Peppino, non Eluana. Si è sancito l’esatto contrario della libertà di scelta: cioè la facoltà che decida un altro al posto del diretto interessato. Quindi l’eutanasia non c’entra in nessun modo. E’ sorprendente che non solo molti mezzi d’informazione, ma la stessa Chiesa, non si rendano conto di usare il termine eutanasia del tutto a sproposito. E’ sorprendete che i radicali evochino il precedente di Piergiorgio Welby che è, questo sì, un caso da manuale di eutanasia: perchè lui mille volte e fino alla fine ha espresso la volontà di farla finita; non è stata sua moglie a raccontarci che Piergiorgio vent’anni prima avrebbe detto…

Anche quando si parla di “testamento biologico”, altra iniziativa che condivido in pieno, si intende che sia il diretto interessato a mettere per iscritto la propria volontà in caso di malattia invalidante. Lui, con firma autenticata. Non un qualsiasi congiunto per procura e per sentito dire. Non mi sogno di discutere la completa buonafede di Peppino Englaro; ma sul piano delle regole è una follia delegare ad un’altra persona la decisione sulla propria vita e la propria morte. Si profilano infatti scenari più che inquietanti: dalle autorità sanitarie che, per questioni di bilancio, “tagliano” i pazienti più costosi spiegandoci che lo fanno per “lenire le loro sofferenze”, fino ai parenti a vario titolo interessati ad “accelerare” il decorso dei loro congiunti…Immaginatevi, tanto per dire, i genitori di un Pietro Maso in coma a causa di un incidente auto: c’è un dubbio che il figliol prodigo, in spasmodica attesa di eredità, avrebbe spergiurato sulla loro “volontà di non tirare avanti da vegetali”?…

Solo lo Stato può decretare la morte di una persona, e solo in quei Paesi dove esiste la pena capitale. Se la morte viene decretata da un qualunque altro soggetto si chiama omicidio. Se passa attraverso organi dello Stato, come la magistratura, dove non esiste la pena capitale è un omicidio di Stato. In ogni caso non ci si può nascondere dietro l’alibi della battaglia per introdurre l’eutanasia che è e resta indissolubilmente legata alla volontà espressa dall’unico vero soggetto interessato: il morituro.

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