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L’ISLAM E IL DECOLLETE’ DI SCALFARO

 Di fronte alle migliaia di fondamentalisti islamici che in questi giorni occupano le nostre piazze “maschilmente” (avete notato che in mezzo a loro a pregare proni verso la Mecca non vedi una donna che sia una?), è utile pensare ai fondamentalisti cristiani: oggi sono praticamente estinti, ma nel recente passato erano numerosi e combattivi. E anche loro “turbati” dalle presenze femminili. Ricordarli forse serve a capire meglio gli islamici.

A proposito di turbamenti indotti dalle presenze femminili, i vecchi come me non dimenticano quello clamoroso di Oscar Luigi Scalfaro che, negli anni Cinquanta, di fronte al “generoso décolleté” (allora si chiamava così, era indecente parlare di “seno prosperoso”) di una signora che aveva avuto la sventura di cenare nel suo stesso ristorante, non esito a schiaffeggiarla. Allora era intollerabile che una signora si presentasse scollacciata in un locale pubblico. Intollerabile non solo per il futuro presidente della Repubblica, ma per il comune senso del pudore, cioè per il comune sentire cattolico (e anche laico) di quegli anni.

Sul piano personale il turbamento di Scalfaro va capito: ciò che intravvedeva nel décolleté era così contrario alla sua cultura, alla sua educazione, ai suoi sentimenti religiosi da scatenargli una tempesta di emozioni, un maremoto fisico e psichico, che ci fa comprendere la reazione, ossia il tentativo di eliminare – quantomeno dalla vista a suon di schiaffi – la responsabile di tanto turbamento. Uno come Scalfaro poteva vivere relativamente sereno nell’Italia degli anni Cinquanta, dove erano rare le donne che esibivano in pubblico seni prosperosi. Per lui sarebbe stato un tormento costante trasferirsi in una Las Vegas dove donne dal décolleté generoso le incontravi già allora in ogni momento, e per giunta libere di divorziare, di accoppiarsi con chiunque, di schiaffeggiare loro gli uomini. Per Scalfaro Las Vegas sarebbe stata (se mai ci fosse andato) un autentica Sodoma e Gomorra. Non ci sarebbe mai andato spontaneamente. A meno che l’Azione cattolica (per dire di una qualunque autorità religiosa) non ce lo avesse mandato, in terra di missione, col compito di convertire i peccatori. (E le peccatrici in décolleté).

Messo a fuoco il ricordo dei nostri fondamentalisti, arriviamo al dunque: cosa ci vengono a fare decine di migliaia di fondamentalisti islamici (tutti quelli che vediamo pronti a pregare cinque volte al giorno) in questa Sodoma e Gomorra che per loro è il nostro Paese? Dove non solo le donne – che loro nemmeno portano alle manifestazioni di piazza con preghiera – sono completamente libere, nei vestiti e nei costumi? Dove sono liberi perfino i gay? Dove la nostra vita quotidiana è un insulto alla loro cultura e ai dettami della fede in cui credono? Vangono forse a soffrire come soffriva Scalfaro? Vengono in terra di missione convinti che Sodoma e Gomorra saranno distrutte e che tutti noi verremo convertiti alla vera fede? Convertiti spontaneamente o come i nostri missionari convertivano gli indios?

Tanti nostri telespettatori (spesso persone comuni, che ragionano alla Enzo Flego) lanciano l’allarme: dicono che in atto l’invasione, che vogliono colonizzarci, che aveva ragione Oriana Fallaci a parlare di Eurabia. Ogni volta ci sono ospiti che replicano loro sostenendo che non è il caso di essere così allarmisti, che è paranoico parlare di una invasione programmata. Anche a me certi scenari continuano a sembrare apocalittici. Però non so nemmeno darmi una risposta: cosa ci vengono a fare decine di migliaia di Scalfaro islamici in queste Sodoma e Gomorra che per loro sono le nostre città? Che progetti coltivano a medio termine: concedere la scollatura alle proprie donne o mettere il burqa alle nostre?

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