LA MANOVRA DELLE TRE CARTE

 

Per metà pomeriggio mi ero illuso di aver 100 euro in più. Nella manovra che il governo stava per varare era infatti annunciata la cancellazione di 13 ordini professionali su 19, compreso quello dei giornalisti, e avrei quindi risparmiato l’iscrizione annuale. Ma nel giro di tre ore, questa manovra vergognosa incentrata sul gioco delle tre carte, aveva già cancellato la cancellazione e ripristinato gli ordini professionali, alias corporazioni di origine fascista che non trovano riscontro nel mondo civile.

Non sto a dire quanto sarebbe importante concellarli tutti, gli ordini professionali, per sgessare il Paese, ripristinare il merito e la mobilità sociale, dare attuazione al dettame costituzionale che contempla la libertà d’impresa. Sottolineo solo la codardìa dei nostri governanti, della trimurti Berlusconi-Bossi-Tremonti: è bastato che il presidente dell’ordine dei giornalisti, piuttosto che dei medici o degli psicologi, alzassero il ditino minaccioso perchè questi cacasotto dei nostri governanti facessero dietro front.

Uso questi termini perchè non c’è viltà più grande che annunciare i sacrifici da lacrime e sangue, le manovre da 40 miliardi e oltre, salvo demandarne l’applicazione concreta ai…governanti che verranno; a dopo le prossime elezioni politiche quando non si sa chi governerà e se confermerà o meno la manovra.

Tutti ricordiamo il furto legalizzato di Giuliano Amato che, a notte fonda, mise le mani nei conti correnti degli italiani. Fu un’infamia. Ma gli va riconosciuto il coraggio di essersene assunta la piena paternità e responsabilità: perchè la attuò subito, nel ’92 quand’era presidente del consiglio in carica. Non la demandò ad un ignoto sucessore. E dire che Giuliano Amato era soprannominato Topo Gigio…ma un topino col coraggio da leone in confronto all’attuale trimurti.

Un trio che non ha nemmeno il coraggio di stangare dove ha competenze dirette, che delega cioè alla gestione regionale della sanità l’introduzione dei ticket! Che annuncia il taglio degli stipendi dei ministri per farlo poi scomparire (ridurlo ad una limatina prossima ventura) col solito gioco delle tre carte. Senza capire che, se vuoi risultare credibile agli occhi dei cittadini ai quali chiedi sacrifici, devi anzitutto imporli alla classe politica: ad esempio equiparando da subito gli stipendi dei nostri parlamentari a quelli dei tedeschi o degli inglesi.

Insomma un vergognoso gioco a nascondino , dov’è scomparsa anche la riforma fiscale. Ed è il male minore, una scelta perfino seria. Perchè o hai il coraggio di fare le due aliquote 23 e 33% tanto care al Berlusconi che fu, oppure, se devi limitarti a togliere un punticino d’Irpef per aumentare un punticino d’Iva, tanto vale non fare nulla che almeno risparmi la presa in giro del contribuente.

Credono di salvarsi così? Di evitare la batosta elettorale giocando alle tre carte? Questo credono il veneto Tremonti (originario del bellunese) e i lombardi Bossi e Berlusconi? Aveva ragione il siciliano Leonardo Sciascia: la “linea della palma” sale sempre più a Nord. Ormai ha raggiunto il Lombardo-veneto…


“LEGATO” BRICOLO VADE RETRO!

 Lo ha capito Eugenio Scalfari, speriamo lo capisca anche Umberto Bossi.

E’ sacrosanto che sulla testata di Repubblica resti scolpito da qui all’eternità “Fondatore Eugenio Scalfari”, perchè dalla morta gora della carta stampata lui riuscì a far emergere un quotidiano che se non è il primo per copie vendute è di certo il secondo. Ma Scalfari non pretende di essere lui che oggi sceglie il direttore di Repubblica e nemmeno il caposervizio dell’edizione di Bologna.

Così il nome di Umberto Bossi merità di restare scolpito come “Fondatore” sul simbolo della Lega Nord, perchè dal nulla senza soldi, senza banche, senza poteri più o meno forti alle spalle, riuscì a dar vita ad un partito che ora (in Veneto) è il primo partito politico. Ma non pretenda di contuinuare a dirigerlo, di gestirlo come fosse cosa sua, di inventarsi una sucessione nordcoreana, di mandare “legati” in Veneto…

Oggi la Lega è diventato un moderno partito del Nord Italia. Che governa regioni, grandi città, provincie, che entra nei cda delle banche. Giustamente perchè, se vuoi governare, devi avere in mano le leve del potere reale. Ma non puoi più farlo, con le ampolle, le camice verdi, le corna in testa, i prati di Pontida, i “legati” e i “cerchi magici”…Vi pare che un grande partito possa essere guidato dal Trota, dalla Martini e da Rosy Mauro con Manuela Bossi dietro le quinte? Mettiamoci anche Elisabetta Tulliani, ed è certo che la Lega non avrà né Futuro né Libertà…

Fra i tratti folcloristici della Lega d’antan, preoccupata di darsi una infarinatura culturale, c’era il recupero di questo termine dal diritto romano: i legati. Che sarebbero i commissari inviati a domare i leghisti “ribelli”, cioè non allineati ai lombardi. E così adesso si parla di un Federico Bricolo “legato” della Lega Veneta. Da un anno circa Bricolo già lega i leghisti padovani, cioè impedisce loro di scegliersi un segretario che non sia pronto a baciare la pantofola al “cerchio magico” passando dalla via del prosecco di Paolo Gobbo. Adesso vorrebbe (o dovrebbe) legare allo stesso carro di sicofanti anche tutti gli altri leghisti veneti.

A questo punto mi sia consentita una breve digressione. Tanti anni fa mi sono laureato con Gianfranco Folena, padre dell’on. Pci-Pds Pietro Folena, un docente universitario straordinario (il padre). Qualche anno fa avevo un frastidioso mal di schiena, che né clinici né ospedalieri riuscivano a curarmi; Albino Bricolo, padre di Federico, me l’ha risolto in cinque minuti. Un grandissimo medico.

Per me i Folena e i Bricolo, quelli veri, restano i padri. Sui figli ho qualche perplessità.

Anche Folena junior finì a fare il “legato”, cioè il commissario del suo partito in Sicilia e non gli disse bene: fu l’inizio della sua fine politica (fece un ultimo passaggio parlamentare con Rifondazione e poi a casa). Un esito da non augurare all’attuale presidente dei senatori della Lega Nord.

Che Bricolo non contribuisca a farla diventare una Lega Nord…coreana. Che non si impegni a cercar di ridurre i leghisti veneti in lecchini di pantofole lombarde. A meno che la sua ambizione non sia trasformarsi nella controfigura di Gobbo…


SOLDI IN TASCA AL CITTADINO

 

 

Se Silvio Berlusconi fosse uno statista liberale ( e non quel pacioso post democristiano che è) al posto della stitica riformetta fiscale di cui si ciancia, attuerebbe la stessa rivoluzione del welfare che sta attuando in Gran Bretagna il premier David Cameron.

Una rivoluzione quella di Cameron talmente lontana dalla cultura politica italiana (ultimo Paese, il nostro, dove il socialismo reale è spravvissuto al crollo dell’Unione sovietica) che i media nemmeno riescono a raccontarcela. E sì che il cardine, il perno della rivoluzione è semplicissimo: rimettere i soldi in tasca al cittadino, invece che costringerlo a versarli nella casse pubbliche.

Si ottengono così due effetti precisi: si rida potere e dignità al cittadino, che non è più in balia dei cosiddetti “servitori dello Stato” che trattano lui, il cittadino, come un servo; e si migliora la qualità dei servizi, che devono migliorarsi nella competizione se vogliono che il cittadino li compri e li paghi.

Per quanto ci sforziamo di non comprenderlo (lo rifiutiamo, abbiamo il rigetto, essendo un corpo estraneo alla nostra tradizione cattolica e comunista) il meccanismo è elementare: non è più il pubblico che spende le cifre enormi prelevate con le tasse, dicendo che così garantisce “gratis” al cittadino la scuola, la mutua, la sanità e l’assistenza; il pubblico restituisce i soldi al privato cittadino che ci pensa lui a spenderli per ottenere le stesse cose dove trova più conveniente spenderli.

Perchè, se andiamo in un ottima pensione a Rimini, ci costa massimo 50 euro al giorno e veniamo trattati con mille attenzioni? Perchè il proprietario guadagna sulla nostra presenza ed ha tutto l’interesse a far sì che ritorniamo anche l’estate prossima. Perchè se andiamo in ospedale costiamo – di pura retta alberghiera, esclusa ogni prestazione sanitaria – 300 euro al giorno, alloggiati in camerate da 6-8 letti e rischiando di morire per quello che ci danno da mangiare? Perchè tutti gli addetti del servizio sanitario nazionale sono pagati a prescindere e non gliene frega niente che torniamo o meno a ricoverarci.

Perchè per un semplice prelievo di sangue aspettiamo minimo un oretta, mentre se entriamo in un negozio si precipitano subito ad offrirci le scarpe piuttosto che il televisore? Perchè nel primo caso siamo utenti, nel secondo clienti.

Non si tratta di criminalizzare i pubblici dipendenti, perchè è il meccanismo che rende quasi tutti irresponsabili e menefreghisti: se il propritario della pensione di Rimini fosse pagato a prescindere, si comporterebbe esattamente come i direttori dei ristoranti e degli alberghi pubblici della Croazia ai tempi di Tito.

Ce lo riordiamo o no che cessi erano quei pubblici esercizi statali dell’ex Juguslavia? E perchè le nostre scuole pubbliche, i nostri ospedali, le case di riposo dovrebbero essere qualcosa di diverso?

L’unico sistema per costringere il pubblico a migliorarsi è metterlo in concorrenza con gli stessi servizi offerti dal privato. Ma questo può avvenire solo se c’è il cittadino, con in soldi in tasca, che decide dove andare a spenderli in base al rapporto qualità\prezzo più vantaggioso.

L’ultima ridotta della resistenza statalista consiste nel sostenere che certi beni sono troppo preziosi – la scuola, la sanità, l’acqua – per consentire che vadano in mano ai privati. Non si vuol capire che la regola è esattamente la stessa che si tratti di jeans, di salute, di salami, di istruzione o di alberghi: sono comunque prodotti, e il privato li confeziona meglio e a costi inferiori rispetto al pubblico.

Il bene che molti di noi considerano il più prezioso di tutti, l’automobile, ci interessa forse che sia italiana o tedesca o francese o prodotta da un’azienda statale? Assolutamente no: compriamo quella che riteniamo più consona e vantaggiosa per le nostre esigenze. Facessimo lo stesso ragionamento che per l’acqua, gireremmo tutti in Alfa sud…

Tornando a Cameron, sia chiaro che per noi guardare alla sua rivoluzione è pura utopia: nell’ultimo Paese del socialismo reale tutto proseguirà come sempre continuando a peggiorare gradualmente: sempre più tasse, servizi pubblici sempre più scadenti, finchè tutto salterà in aria…


LEGA VENETA SERVETTA DI BOSSI

 

Non c’è dubbio che una crisi profonda, dopo la duplice batosta amministrativa e referendaria, abbia investito, oltre al Pdl, anche la Lega Nord. E lo dimostra il fatto che, alla vigilia di Pontida, sia entrata in fibrillazione perfino la Lega Veneta fin’ora sempre paciosa, silente e allineata.

L’assessore regionale Franco Manzato, bossiano di stretta osservanza, sostiene che bisogna cacciare “gli eretici”. Sarebbero – per capirci – quei leghisti veneti che al cospetto dell’Umberto non rispondono comunque e sempre :”Si capo, giusto capo, hai ragione capo”. Per essere ancora più chiari quelli che non fanno come il segretario “nazionale” veneto Giampaolo Gobbo.

Si capisce però come – almeno in teoria – esista anche un’alternativa: o cacci via dalla Lega Nord del Veneto gli eretici, oppure cacci via gli yes man, quelli che hanno rinunciato comunque ad avere un giudizio politico autonomo. Per chiamarli col loro nome: cacci via i servi di Bossi e dei lombardi.

Val la pena di ricordare che la Lega in Veneto raccoglie, in percentuale, il doppio dei consensi della Lombardia. Ma non ha mai messo sul piatto questo peso elettorale. Non si sogna di pretendere un rapporto paritario all’interno della federazione Lega Nord, non sa imporre nemmeno un po’ di rispetto per i suoi leader e i suoi elettori veneti. E così non conta nulla, non ha ministri, viene sistematicamente esclusa dai tavoli delle decisioni. La si consulta solo dopo, per avvallare le decisioni prese da Bossi. E già è andata bene che il Senatùr abbia risparmiato al Veneto di ritrovarsi con il Trota al vertice di Palazzo Balbi…

L’ultimo, clamoroso, esempio di questa esclusione sistematica della Lega Veneta anche dai tavoli delle decisioni, è arrivato l’altro lunedì ad Arcore alla riunione convocata da Berlusconi per cercare si un individuare una via d’uscita dopo la prima batosta alle amministrative.

A villa San Martino si presentarono: Bossi con figlio Renzo (sic) detto il Trota, il ministro Maroni, il capogruppo alla Camera Reguzzoni, il segretario della Lega Lombarda Giancarlo Giorgetti e il presidente del Piemonte Roberto Cota. In sintesi: cinque lombardi, un piemontese, nessun veneto.

Bossi deve aver pensato che era inutile portarsi appresso anche…i camerieri. Può darsi che Gobbo l’abbia mandato il giorno dopo a sparecchiare i tavoli e lavare i piatti. Di certo quando si discutevano scelte fondamentali per il futuro del Carroccio la sua presenza è stata ritenuta superflua.

Penso ai tavoli da sparecchiare e ai piatti da lavare perchè, da vecchio che sono, ricordo come venivano rappresentati i veneti nei primi film della commedia all’italiana: i maschi da bravi ragazzi un po’ tonti che finivano a fare i carabinieri in Sicilia; mentre le ragazze venete erano lo stereotipo delle servette, cameriere tutto fare di facoltosi padroni romani o milanesi cui fornivano ogni genere di servizio e servizietto (e senza pericolo che loro, i padroni, facessero la fine di Strauss Kahn…)

Oggi, cinquant’anni dopo, la Lega Veneta è ridotta a fare la servetta di Bossi e della Lega Lombarda: ascari che ramazzano voti da offrire come “onoranse” al Senatùr

Bossi ha un unico pensiero, una sola preoccupazione, più che comprensibile dal suo punto di vista: che i leghisti veneti restino servette e non si sognino di alzare la testa e rivendicare i dividendi elettorali. Per questo ha concentrato tutti i suoi interventi al fine di impedire che emerga la realtà, cioè che il vero leader della Lega in Veneto è Flavio Tosi. Lo ha impedito negandogli la presidenza della Regione, bloccando per anni il congresso regionale, quelli provinciali, mandando il”cerchio magico” (ma imbelle) a cercare di sovvertire anche il congresso provinciale del Carroccio di Verona.

E l’Umberto ha perfettamente ragione perchè, con Tosi leader consacrato, basta ascari, basta leghisti veneti ridotti a sparecchiare il tavolo e lavare i piatti. Invece con Gobbo tutto a posto, tutto tranquillo come da anni e anni, proni e pronti a rispondere sempre: obbedisco sior capo!

Mentre ad Arcore si decideva il futuro del governo e della stessa Lega, il segretario “nazionale” veneto sarà rimasto a Treviso a bersi un prosecco, pensando felice: finché obbedisco a Bossi continuo a fare il sindaco, il segretario e anche l’eurodeputato. Che culo!…

Proseguirà nella Lega Veneta l’era dei maggiordomi, ben ricompensati per servigi e fedeltà; o arriverà il tempo della rabbia e dell’orgoglio?







MARONI E LE RIFORME IMPOSSIBILI

 

 

Nel giorno in cui il centrodestra è riuscito nell’impresa di riesumare anche l’istituto referendario (che da tempo immemorabile falliva il quorum), aggiungendo così un’altra cocente sconfitta a quella appena maturata alle amministrative, il ministro Maroni ha lanciato attraverso il Corriere un ultimatum a Berlusconi. O il governo ottiene quattro obiettivi precisi, oppure è meglio andare subito ad elezioni anticipate perchè – ha spiegato l’esponente leghista – “tirare a campare equivale a tirare le cuoia” .

L’assunto di Maroni è indiscutibile: se non combini nulla gli elettori ti mandano a casa a calci nelle urne. Ma si tratta di vedere se sono realisticamente raggiungibili i quattro punti dell’ultimatum

In politica estera chiede che l’Italia cessi di bombardare la Libia e che le navi Nato blocchino l’esodo dei profughi dalle coste libiche stesse. Richieste sacrosante. Ma, se solo Berlusconi osasse avanzarle al tavolo degli alleati, otterrebbe un unico effetto: gli aerei Nato, oltre a continuare a dare la caccia a Gheddafi, metterebbero anche lui nel mirino cominciando a bombardare Palazzo Grazioli e villa San Martino…Meglio lasciar perdere.

Maroni invoca poi una drastica riforma fiscale che abbassi la pressione e garantisca il quoziente famigliare. Riforma tanto sacrosanta quanto fondamentale. Ma qui entra in ballo quello che domenica, sempre sul Corriere, ha scritto Galli della Loggia: che tanto la destra quanto la sinistra da vent’anni parlano di riforme; parlano, parlano e non riescono ad attuarne nemmeno una perchè vengono blaccate dai “tre pilastri dell’immobilismo” che sono “il privilegio, il corporativismo, la demagogia”.

“In Italia – scrive Galli della Loggia – qualunque individuo così come qualunque istituzione, qualunque impresa capitalista, non sopporta né il merito né la concorrenza né controlli indipendenti. Qualunque categoria, qualunque organismo non sogna altro che monopoli, numeri chiusi, carriere assicurate, condoni, esenzioni, ope legis, proroghe, trattamenti speciali, pensioni ad hoc, comunque condizioni di favore”.

Inutile, insomma, prendersela con i politici come se fossero gli unici a godere dei privilegi. Di fatto abbiamo la somma di tutti i privilegi delle varie corporazione che fanno la maggioranza degli italiani. Una maggioranza conservatrice, che non vuole le riforme, per continuare ad avere privilegi e a “saccheggiare le casse pubbliche”

Un saccheggio – spiega sempre Galli della Loggia, che avviene – ecco la demagogia – in nome de “i diritti, la democrazia, la solidarietà: parole d’ordine, discorsi che, agitando ogni volta la bandiera del bene, sono serviti unicamente a promuovere il più spietato particolarismo”.

Ci vorrebbe – conclude l’editorialista del Corriere – “la più difficile tra le rivoluzioni: quella culturale”. Solo così, dopo la rivoluzione culturale che introduca merito concorrenza vera e controlli, le riforme tornerebbero ad essere un obiettivo concreto e non una vuota chiacchera.

Nell’attesa anche Roberto Maroni è solo l’ultimo dei tanti che continuano a parlare di riforme, “il grande mito della politica italiana”.

 


INUTILE SCIMMIOTTARE LE PRIMARIE

 Mi vien da pensare che tra i tanti che, nel centrodestra, hanno perso la testa dopo la sconfitta alle amministrative ci sia anche l’eminenza grigia del Cavaliere, il suo primo consigliere politico: Giuliano Ferrara.

Il direttore del Foglio ha infatti individuato nelle primarie il perno per il rilancio. E continua ossessivamente a ripetere che il Pdl deve indirle per l’inizio del prossimo Ottobre. Come se la riscossa di Berlusconi potesse avvenire copiando il Pd, facendo propria la battaglia di Nichi Vendola

Le primarie hanno funzionato a sinistra, sono servite a immettere energie nuove in uno schierameto che era soffocato dall’oligarchia identica a se stessa da quarant’anni (da tanto sono sulla scena D’Alema, Bindi, Veltroni, Bersani & c.) e intenta solo a tagliare la testa a qualunque nuovo concorrente emergente. Grazie alle primarie gli emergenti di sinistra sono finalmente emersi.

Completamente diversa la situazione della destra dove il leader è già emerso ed ha già attuato l’unica rivoluzione possibile: cancellare il partito tradizionale, trasformandolo in un semplice comitato elettorale. Ferrara adesso vorrebbe che Berlusconi tornasse indietro: cioè riesumasse il partito radicato sul territorio, con le primarie per scegliere i vertici nazionali e locali del partito, magari anche i candidati al parlamento e alla guida del governo.

Ma vi pare che Pdl (e Lega) abbiano perso perchè la base non aveva potuto scegliere il coordinatore di Verona, di Padova o del Veneto? Perchè non ha potuto indicare Tizio invece di Caio da mandare al Parlamento?

Come insegna la grande tradizione del Pci, che nessuno conosce meglio di Ferrara, deputati e senatori sono sempre stati scelti dal vertice: funzionari di partito ligi e affidabili, perfetti yes-man con i quali non correvi il rischio che a Roma si montassero la testa…

Quanto alla batosta elettorale ha riguardato tanto un partito “di plastica”, il Pdl, quanto quello ben radicato sul territorio, la Lega. Ed il motivo non sono certo le primarie né la riorganizzazione, ma le riforme che nessuno riesce a fare in questo nostro Paese ingovernabile.

Come conferma anche l’incontro di ieri ad Arcore con Tremonti, Berlusconi non riuscirà mai a fare la riforma fiscale, ad abbassare le tasse in modo singificativo (cioè premiante nelle urne). Non ci riuscirà perchè bisognerebbe tagliare drasticamente la spesa pubblica, cioè falcidiare la grande armata dei pubblici dipendenti. Bisognerebbe abolire i privilegi delle coorporazioni, e il povero Bersani non c’è riuscito nemmeno con quella, sgangherata, dei tassisti…Figuriamoci se si può farlo con notai, avvocati, medici, magistrati, giornalisti.

La Lega ha perso perchè i clandestini continuano ad arrivare. E continuano ad arrivare perchè tanti, troppi, hanno interesse a farli arrivare: imprenditori di varie risme che vogliono manodopera a basso costo e orario illimitato, associazionismo cattolico e laico che tanto più è “accogliente” tanto più riesce a lucrare denaro pubblico…Grazie ai clandestini è resuscitata perfino Rifondazione comunista, che è riuscita a trovare uno spazietto politico e di visibilità con le sue “brigate della solidarietà”.

Insomma i clandestini sono utili a troppi per applicare quelle politiche di rigore tipo Francia o Spagna. E per questo ha perso la Lega, non perchè non fa le primarie o perchè non ha nominato segretario generale un Alfano padano…

Durante la prima Repubblica si mascherava l’impotenza cambiando governo ogni dieci mesi. Adesso invece – ahimè – i governi durano, durano anni, durano l’intera legislatura; e gli elettori si accorgono che il re è nudo: cioè che nessuno riesce a governare nel senso serio e pieno della parola.


 

NEL DOPO SILVIO TUTTO CAMBIA

 

La sconfitta di Berlusconi è completa e indiscutibile. Tutte le grandi città capoluogo delle regioni del Nord – Trieste, Venezia, Milano, Torino, Genova – sono oggi amministrate dalla sinistra. Ha perso perfino nella sua Arcore.

Voglio sperare che i suoi concittadini e gli elettori delle altre città non gli abbiano negato il voto per via di quei dopo cena più o meno a luci rosse. Voglio cioè sperare di non essere nella repubblica bigotta prefigurata da Repubblica. E che, quindi, Berlusconi sia stato punito per la sua vera colpa politica: cioè per non aver governato.

Per non aver attuato nessuna delle grandi riforme che dovevano innescare la rivoluzione liberale: fisco, pubblica amministrazione, privatizzazioni, economia, servizi, giustizia. Tutto è rimasto come prima, peggio di prima.

Ma adesso tutto cambierà. Il governo di sinistra prossimo venturo ridarà dignità allo Stato italiano con i fatti, non con le parole e le vane promesse. Magari non attuerà quelle riforme liberali che io agogno, ma di certo avremo finalmente dei servizi pubblici al servizio dei cittadini e non dei propri addetti; avremo una scuola pubblica a livello degli altri grandi Paesi occidentali e asiatici. Può darsi che le tasse non diminuiranno, ma crescerà di sicuro la qualità dei servizi stessi. Insomma l’Italia diventerà un Paese un po’ socialista ma in compenso molto civile, e non sarà più la terra brada delle corporazioni e del familismo mafiosetto…

Possiamo credere che, mandato a casa Berlusconi, avverranno questi cambiamenti? O è più probabile che arrivi un nuovo governo x che continuerà a non governare, cosi come accaduto con i governi Berlusconi, Prodi, con la miriade di governi della prima Repubblica che duravano il tempo di un riassetto di potere interno alla Dc?

Di certo cambierà il linguaggio. Basta premier che raccontano barzellette a go go, e per giunta spesso sconce. Massimo sarà consentita l’ironia di Bersani (“abbiamo pareggiato 4 a 0!”). Ma il tono sarà serio e austero. Il tono del Colle, tanto per intenderci.

Il tono giusto, per riaccreditarci sul piano internazionale. Le parole d’ordine saranno: onestà, competenza, rigore, etica. Le parole, appunto…E i fatti? I fatti resteranno quelli di sempre: impalpabili e putrescenti

Perchè, per cambiare davvero il nostro Paese, non basta mandare a casa Berlusconi: bisognerebbe riuscire a mandare a casa…gli italiani. Programma vasto, troppo vasto…

E allora accontentiamoci: al posto di un Calderoli che diceva di voler portare a Milano anche il Quirinale, adesso è arrivato Vendola a dirci che Milano è riconquistata, è liberata, è aperta “ai fratelli rom e ai fratelli mussulmani”. Le due facce della stessa medaglia, coniata sulle vuote chiacchiere.


 


LUNGA VITA AL CAIMANO

 In attesa dell’esito dei ballottaggi di Milano e Napoli, dai quali sicuramente dipende anche il futuro politico di Berlusconi, mi sembra di sentire, al di là del clamore degli attacchi, un grido contrario, quasi una auspicio inconfessabile: lunga vita al Caimano.

Non è un grido che giunga dai suoi elettori, meno che mai dal suo stato maggiore che, convinto di vivere un 24 Luglio, è già alla ricerca del Grandi della situazione.

Il dato è che l’uscita di scena del Berlusca, la sua morte politica, rischia di lasciare i suoi più fieri avversari orfani di quel bersaglio sul quale hanno costruito la proprio fortuna. E non penso agli avversari politici.

Prendiamo Marco Travaglio. Non sono io a tesserne l’elogio, che non ce n’è proprio bisogno, è il vituperato mercato (vituperato dalla sinistra, in quanto tipico parametro e strumento capitalista). Bene Travaglio costruisce così bene il Fatto, scrive ogni giorno degli editoriali così graffianti e calibrati per soddisfare il popolo dei suoi lettori, da aver compiuto un autentico miracolo: ha dimostrato che c’è una carta stampata capace di reggersi sulle proprie gambe, che non ha bisogno di contributi pubblici, che addirittura chiude i bilanci in attivo (oltre 5 milioni di euro quello del Fatto Quotidiano!).

Sono così bravi Travaglio e la pattuglia di giornalisti del Fatto che stanno diventando i becchini de L’Unità di Concita e del Manifesto. E perfino Repubblica trema. Bravi ad utilizzare al meglio i cavalli di battaglia che tanto piacciono ai loro lettori: l’attacco (al Caimano) e la denuncia dell’illegalità dilagante.

Ora provate ad immaginare l’imbarazzo di Travaglio e c. se domenica a Napoli dovesse vincere il loro campione per antonomasia, l’emblema della giustizia che non guarda in faccia a nessuno e non teme i potenti: l’ex pm Luigi De Magistris. Da Martedì il Fatto dovrebbe cominciare a scrivere che a Napoli tutto funziona bene, che i rifiuti sono scomparsi,che la camorra è sbaragliata, che la legalità regna sovrana.

Esagero. Ma di sicuro il Fatto avrebbe più opportunità di accontentare il palato dei suoi lettori con la vittoria di Lettieri: inchieste a raffica sulla camorra che ha orientato il voto, sulla trattativa tra i camorristi e Berlusconi, interventi sdegnati e strazianti di Saviano che nella sua Napoli, in mano alla destra, non può far ritorno…

Pur imbarazzante per ragioni simili, l’eventuale vittoria a Milano di Pisapia lo sarebbe di meno. Avremmo però il combinato disposto della sconfitta del Berlusca in entrambi i ballottaggi, con sua conseguente probabile uscita di scena.

E, a questo punto, contro chi potrebbe indirizzzare i suoi splendidi editoriali Marco Travaglio? Già con un Tremonti presidente del consiglio tutto diventerebbe più arduo. (Dove trovarlo un Ciancimino jr. che racconti gli incontri tra Giulio e i boss? Come dimostrare che la mafia gli ha finanziato cosa… l’apertura dello studio da commercialista?)

Dopo di che un autentico genio del giornalismo come Travaglio saprebbe sicuramente inventarsi qualcosa, che io non riesco ad immaginare, per evitare il tracollo delle copie del Fatto. Ma perchè dover inventare quando tutto può procedere – splendidamente – come è andato fin’ora? Lunga vita al Caimano. Per fortuna che Silvio c’è e speriamo che ci resti a garantire le magnifiche sorti e progressive del Fatto Quotidiano.


ACHILLE LAURO ALLA RICONQUISTA DI MILANO

 

Come postato sul blog de l’Indiscreto, mai avrei pensato che Berlusconi e Bossi sarebbero caduti così in basso da costringermi a dare ragione all’amico Lillo. Ed in effetti Aldegheri ha perfettamente ragione a parlare di ritorno de “o’ Comadante” di fronte alla vergognosa promessa di B&B di cancellare le multe e portare a Milano dei ministeri. Credono davvero di vincere così il ballottaggio, riesumando il cadavere di Achille Lauro e mandandolo alla riconquista della Capitale del Nord?

Siamo di fronte a qualcosa di più grave ancora degli insulti agli avversari politici: siamo agli insulti ai propri elettori. Il leader della Lega e il presidente del consiglio pensano di poter comprare così il voto dei milanesi? Lillo giustamente ricorda che i metodi del o’ Comandante funzionavano nella Napoli degli Anni Cinquanta. Magari possiamo credere che là funzionino anche oggi, e risponde ad una logica perversa, che però resta una logica, la promessa del Cavaliere di non demolire le case abusive…Ma a Milano no. Questi metodi e queste promesse non funzionano oggi e non funzionavano nemmeno cinquant’anni fa, che altrimti non sarebbe mai diventata la Capitale morale d’Italia.

A Milano funziona il lavoro, non i condoni, non la promessa di posti pubblici. Non i ministeri che inquinano più di Fukushima, con torme di dirigenti strapagati, con eserciti di stipendiati che cazzeggiano. Portare i ministeri al Nord significa distruggere ciò che resta della cultura del lavoro. Prendiamoci piuttosto tutti i rifiuti di Napoli, ma lasciamo i dicasteri a Roma!

Sarebbe questa la rivoluzione liberale di Berlusconi? Posti pubblici a go go e multe condonate? Il Cavaliere che diventa o’Comandante…Mentre la Lega di Bossi getta la maschera e mostra il vero volto del federalismo: impestare il Nord con posti pubblici sottratti al Sud, toglierli alla Sicilia non per ridurli ma per portarli in Lombardia.

Per fortuna che c’è anche una Lega diversa, più seria. Quella di Maroni e Tosi.

Se per riconquistare Milano si riesuma Achille Lauro, l’auspicio non può che essere uno: che vinca Pisapia e che si apra la resa dei conti per rifondare un centrodestra più credibile.


IO TI BATTEZZO PROFUGO

 

 

L’ondata di profughi giunti in Veneto, oltre ad aver spaccato la Lega, ha sollevato – specie a Vicenza, Padova e Treviso – la protesta trasversale dei sindaci. Trasversale nel senso che prescinde dal loro colore politico (non li vogliono nemmeno i primi cittadini del Pd).

Un rifiuto che ha tante motivazione ed una principale. I sindaci e i cittadini da loro amministrati si domandano: ma che “profughi” sono questi che arrivano dalla Tunisia? Obama ci ha forse ordinato di bombardare anche Tuinisi?

L’inviato del Gazzettino a Santo Stefano di Cadore, dove erano stati accolti 90 “profughi”, ha scritto che provenivano: dal Bengladesh, dalla Nigeria e dal Pakistan. Di profughi veri, cioè di libici, nemmeno uno. Eppure tutti, i mezzi d’informazione, le autorità, Maroni, continuano a chiamarli “profughi”.

Così mi è venuta in mente la vecchia barzelletta che si raccontava quando i preti erano preti (e dovevano dare il buon esempio) e noi eravamo bravi cattolici, cioè rispettosi del precetto di astinenza dalle carni il venerdì. Barzelletta: un prete, carnivoro assatanato, non riesce a rinunciare alla costata nemmeno il venerdì; e allora cosa fa? La prende, fa il segno della croce sopra la costata pronunciando la formula: io ti battezzo pesce. E così se la mangia…

Hanno fatto qualcosa del genere con i clandestini: li hanno battezzati profughi per darcela a bere che abbiano il diritto ad essere accolti e ospitati. Diritto che invece la legislazione internazionale riconoscve solo a chi proviene da un Paese in guerra. Chiamandoli “profughi” si spera che appaiano come poveri derelitti innocqui. Mentre il termine clandestini evoca il pericolo del giovane immigrato entrato illegalmente nel nostro Paese. Nessuno la beve, ma Maroni & c. ci provano.

Ne vale dire che questi tunisini, pakistani, nigeriani erano tutti lavoratori immigrati in Libia e scappati allo scoppio della guerra. Se è così, aiutiamoli – se mai – a rientrare nei loro Paesi d’origine. Ma non c’è una ragione per cui dobbiamo ospitarli nel nostro.

Ricordo che in Libia lavoravano anche migliaia di italiani costretti a rientare in Patria. Sono forse profughi? Diamo anche a loro 43 euro al giorno?

E qui c’è l’altra storia che vogliono darci da bere. Che questa somma serva per i profighi: 43 euro al giorno che, moltiplicato 30, fa oltre 1.200 al mese. Quello che guadagna un impiegato o un operaio. I quali però, con questa cifra, pagano l’affitto e magari mantengono anche una famiglia.

Chiaro che per dare un pasto e un letto ad ogni “profugo” serve molto meno. Chiaro che il grosso della cifra se la pappano i professionisti dell’accoglienza, associazioni religiose e laiche che ben conosciamo…Ma anche con loro procediamo al battesimo. Altroché accoglienti, bravi cristiani dal cuore d’oro aperti al messaggio del Papa: io li battezzerei “approfittatori”…