LUNGA VITA AL CAIMANO

 In attesa dell’esito dei ballottaggi di Milano e Napoli, dai quali sicuramente dipende anche il futuro politico di Berlusconi, mi sembra di sentire, al di là del clamore degli attacchi, un grido contrario, quasi una auspicio inconfessabile: lunga vita al Caimano.

Non è un grido che giunga dai suoi elettori, meno che mai dal suo stato maggiore che, convinto di vivere un 24 Luglio, è già alla ricerca del Grandi della situazione.

Il dato è che l’uscita di scena del Berlusca, la sua morte politica, rischia di lasciare i suoi più fieri avversari orfani di quel bersaglio sul quale hanno costruito la proprio fortuna. E non penso agli avversari politici.

Prendiamo Marco Travaglio. Non sono io a tesserne l’elogio, che non ce n’è proprio bisogno, è il vituperato mercato (vituperato dalla sinistra, in quanto tipico parametro e strumento capitalista). Bene Travaglio costruisce così bene il Fatto, scrive ogni giorno degli editoriali così graffianti e calibrati per soddisfare il popolo dei suoi lettori, da aver compiuto un autentico miracolo: ha dimostrato che c’è una carta stampata capace di reggersi sulle proprie gambe, che non ha bisogno di contributi pubblici, che addirittura chiude i bilanci in attivo (oltre 5 milioni di euro quello del Fatto Quotidiano!).

Sono così bravi Travaglio e la pattuglia di giornalisti del Fatto che stanno diventando i becchini de L’Unità di Concita e del Manifesto. E perfino Repubblica trema. Bravi ad utilizzare al meglio i cavalli di battaglia che tanto piacciono ai loro lettori: l’attacco (al Caimano) e la denuncia dell’illegalità dilagante.

Ora provate ad immaginare l’imbarazzo di Travaglio e c. se domenica a Napoli dovesse vincere il loro campione per antonomasia, l’emblema della giustizia che non guarda in faccia a nessuno e non teme i potenti: l’ex pm Luigi De Magistris. Da Martedì il Fatto dovrebbe cominciare a scrivere che a Napoli tutto funziona bene, che i rifiuti sono scomparsi,che la camorra è sbaragliata, che la legalità regna sovrana.

Esagero. Ma di sicuro il Fatto avrebbe più opportunità di accontentare il palato dei suoi lettori con la vittoria di Lettieri: inchieste a raffica sulla camorra che ha orientato il voto, sulla trattativa tra i camorristi e Berlusconi, interventi sdegnati e strazianti di Saviano che nella sua Napoli, in mano alla destra, non può far ritorno…

Pur imbarazzante per ragioni simili, l’eventuale vittoria a Milano di Pisapia lo sarebbe di meno. Avremmo però il combinato disposto della sconfitta del Berlusca in entrambi i ballottaggi, con sua conseguente probabile uscita di scena.

E, a questo punto, contro chi potrebbe indirizzzare i suoi splendidi editoriali Marco Travaglio? Già con un Tremonti presidente del consiglio tutto diventerebbe più arduo. (Dove trovarlo un Ciancimino jr. che racconti gli incontri tra Giulio e i boss? Come dimostrare che la mafia gli ha finanziato cosa… l’apertura dello studio da commercialista?)

Dopo di che un autentico genio del giornalismo come Travaglio saprebbe sicuramente inventarsi qualcosa, che io non riesco ad immaginare, per evitare il tracollo delle copie del Fatto. Ma perchè dover inventare quando tutto può procedere – splendidamente – come è andato fin’ora? Lunga vita al Caimano. Per fortuna che Silvio c’è e speriamo che ci resti a garantire le magnifiche sorti e progressive del Fatto Quotidiano.


ACHILLE LAURO ALLA RICONQUISTA DI MILANO

 

Come postato sul blog de l’Indiscreto, mai avrei pensato che Berlusconi e Bossi sarebbero caduti così in basso da costringermi a dare ragione all’amico Lillo. Ed in effetti Aldegheri ha perfettamente ragione a parlare di ritorno de “o’ Comadante” di fronte alla vergognosa promessa di B&B di cancellare le multe e portare a Milano dei ministeri. Credono davvero di vincere così il ballottaggio, riesumando il cadavere di Achille Lauro e mandandolo alla riconquista della Capitale del Nord?

Siamo di fronte a qualcosa di più grave ancora degli insulti agli avversari politici: siamo agli insulti ai propri elettori. Il leader della Lega e il presidente del consiglio pensano di poter comprare così il voto dei milanesi? Lillo giustamente ricorda che i metodi del o’ Comandante funzionavano nella Napoli degli Anni Cinquanta. Magari possiamo credere che là funzionino anche oggi, e risponde ad una logica perversa, che però resta una logica, la promessa del Cavaliere di non demolire le case abusive…Ma a Milano no. Questi metodi e queste promesse non funzionano oggi e non funzionavano nemmeno cinquant’anni fa, che altrimti non sarebbe mai diventata la Capitale morale d’Italia.

A Milano funziona il lavoro, non i condoni, non la promessa di posti pubblici. Non i ministeri che inquinano più di Fukushima, con torme di dirigenti strapagati, con eserciti di stipendiati che cazzeggiano. Portare i ministeri al Nord significa distruggere ciò che resta della cultura del lavoro. Prendiamoci piuttosto tutti i rifiuti di Napoli, ma lasciamo i dicasteri a Roma!

Sarebbe questa la rivoluzione liberale di Berlusconi? Posti pubblici a go go e multe condonate? Il Cavaliere che diventa o’Comandante…Mentre la Lega di Bossi getta la maschera e mostra il vero volto del federalismo: impestare il Nord con posti pubblici sottratti al Sud, toglierli alla Sicilia non per ridurli ma per portarli in Lombardia.

Per fortuna che c’è anche una Lega diversa, più seria. Quella di Maroni e Tosi.

Se per riconquistare Milano si riesuma Achille Lauro, l’auspicio non può che essere uno: che vinca Pisapia e che si apra la resa dei conti per rifondare un centrodestra più credibile.


IO TI BATTEZZO PROFUGO

 

 

L’ondata di profughi giunti in Veneto, oltre ad aver spaccato la Lega, ha sollevato – specie a Vicenza, Padova e Treviso – la protesta trasversale dei sindaci. Trasversale nel senso che prescinde dal loro colore politico (non li vogliono nemmeno i primi cittadini del Pd).

Un rifiuto che ha tante motivazione ed una principale. I sindaci e i cittadini da loro amministrati si domandano: ma che “profughi” sono questi che arrivano dalla Tunisia? Obama ci ha forse ordinato di bombardare anche Tuinisi?

L’inviato del Gazzettino a Santo Stefano di Cadore, dove erano stati accolti 90 “profughi”, ha scritto che provenivano: dal Bengladesh, dalla Nigeria e dal Pakistan. Di profughi veri, cioè di libici, nemmeno uno. Eppure tutti, i mezzi d’informazione, le autorità, Maroni, continuano a chiamarli “profughi”.

Così mi è venuta in mente la vecchia barzelletta che si raccontava quando i preti erano preti (e dovevano dare il buon esempio) e noi eravamo bravi cattolici, cioè rispettosi del precetto di astinenza dalle carni il venerdì. Barzelletta: un prete, carnivoro assatanato, non riesce a rinunciare alla costata nemmeno il venerdì; e allora cosa fa? La prende, fa il segno della croce sopra la costata pronunciando la formula: io ti battezzo pesce. E così se la mangia…

Hanno fatto qualcosa del genere con i clandestini: li hanno battezzati profughi per darcela a bere che abbiano il diritto ad essere accolti e ospitati. Diritto che invece la legislazione internazionale riconoscve solo a chi proviene da un Paese in guerra. Chiamandoli “profughi” si spera che appaiano come poveri derelitti innocqui. Mentre il termine clandestini evoca il pericolo del giovane immigrato entrato illegalmente nel nostro Paese. Nessuno la beve, ma Maroni & c. ci provano.

Ne vale dire che questi tunisini, pakistani, nigeriani erano tutti lavoratori immigrati in Libia e scappati allo scoppio della guerra. Se è così, aiutiamoli – se mai – a rientrare nei loro Paesi d’origine. Ma non c’è una ragione per cui dobbiamo ospitarli nel nostro.

Ricordo che in Libia lavoravano anche migliaia di italiani costretti a rientare in Patria. Sono forse profughi? Diamo anche a loro 43 euro al giorno?

E qui c’è l’altra storia che vogliono darci da bere. Che questa somma serva per i profighi: 43 euro al giorno che, moltiplicato 30, fa oltre 1.200 al mese. Quello che guadagna un impiegato o un operaio. I quali però, con questa cifra, pagano l’affitto e magari mantengono anche una famiglia.

Chiaro che per dare un pasto e un letto ad ogni “profugo” serve molto meno. Chiaro che il grosso della cifra se la pappano i professionisti dell’accoglienza, associazioni religiose e laiche che ben conosciamo…Ma anche con loro procediamo al battesimo. Altroché accoglienti, bravi cristiani dal cuore d’oro aperti al messaggio del Papa: io li battezzerei “approfittatori”…

IL PECCATO ORIGINALE DELLA LEGA

 

Il peccato originale della Lega emerge con tutta evidenze in questi giorni in cui l’emergenza profughi sta facendo saltare in aria il Carroccio nel Veneto: con il presidente Luca Zaia che è andato allo scontro con gli stessi amministratori locali del suo partito – il mitico Giancarlo Gentilini, i presidenti di provincia Muraro e Schneck, una pletora di sindaci – che di accoglienza ai profughi non vogliono sentir parlare.

Un peccato originale, un errore strategico di fondo, che consiste nella partecipazione di un partito territoriale al governo nazionale. Una scelta che porta a contraddizioni esplosive, come nel caso dei profughi: all’annuncio dei primi arrivi i leghisti padovani aveva cominciato subito a roccogliere le firme contro…Salvo rendersi conto che stavano raccogliendole contro il loro ministro degli Interni che aveva organizzato il piano di distribuzione dei nordafricani!

Quando entri nel governo nazionale ti capita anche di dover gestire l’emergenza profughi. Di dover dire ai tuoi amministratori locali e ai tuoi elettori – ai quali avevi promesso che avresti fermato l’invasione con ogni mezzo – che invece devono accogliere gli “invasori”. Diciamo che diventi fatalmente “complice” degli “invasori” stessi. Non fossi al governo nazionale i profughi arriverebbero tali e quali, ma tu potresti sdegnarti, tuonare, cavalcare fino in fondo la protesta e gridare: qui in Padania no paseran

Stesso discorso vale per i finanziamenti al Sud. E’ inevitabile che ci siano, è inevitabile varare piani per “il rilancio del Mezzogiorno, è inevitabile ripianare i deficit di Catania, di Palermo o della sanità calabrese. Ma se stai al governo ti tocca avvallarli e votarli con l’esecrazione dei tuoi elettori padani. Mentre se non ci stai diventi l’interprete del sacrosanto sdegno nordista e lo cavalci fino in fondo, cioè fin dentro le urne.

Ultimo esempio con il Maroni di ieri, di quand’era ministro del Welfare: ma chi glielo fa fare ad un partito territoriale di assumersi la responsabilità di un provvedimento, comunque impopolare, come l’aumento dell’età pensionabile? Sono fatti, provvedimenti, di cui deve farsi carico il governo nazionale. Tu Lega Nord, come dice il nome, devi pensare ad ottenere il massimo per il territorio che hai scelto di rappresentare. E hai tutto l’interesse a star fuori dai provvedimenti di carattere generale.

In breve la Lega doveva imparare dalla piccola Wolkspartei che, con la sua pattuglia di parlamentari nazionali, ha strappato di tutto e di più a favore del Sud Tirolo, ha votato in cambio con questa o quella maggioranza di governo nazionale; ma mai si è sognata di chiedere in sottosegretario, perché ha capito che non era in caso di farsi invischiare dagli italiani. La lega invece si è fatta invischiare sia dagli italiani che – cosa imperdonabile per i suoi elettori – anche dai sudisti.

L’altro esempio europeo è quello degli autonomisti catalani. Fortissimi sul loro territorio, dove controllano tutto a partire dalle banche. Capaci di ottenere la totale autonomia della Catalogna. Di eleggere falangi di parlamentari nazionali, ma attentissimi a non entrare mai in alcun governo spagnolo né con i popolari né con i socialisti.

Così oggi per la Lega l’alternativa non è quella di rompere l’alleanza con Berlusconi, magari per tornare ad essere “costola della sinistra”. Si tratta invece di emendarsi dal peccato originale, cioè di capire che un partito territoriale ha tutto da perdere se entra in modo organico in un qualsiasi governo nazionale: perchè tradisce la sua missione e i suoi elettori.

 

HA PERSO SILVIO, HA VINTO LA ILDA

Non c’è l’ombra di un dubbio: a Milano, e non solo, ha perso Silvio Berlusconi. Ha voluto, come capolista in comune, essere il dominus della campagna elettorale del centrodestra. Ha voluto dare al voto milanese un significato nazionale (che avrebbe comunque avuto) e gli è andata malissimo. Ha perso in modo clamoroso, come dimostra anche il crollo delle sue preferenze.
Un tonfo tale da mascherare, in qualche modo, quello della Lega che pure è (quasi) altrettanto sonoro un po’ in tutta la Padania. Ed a Milano in particolare: perchè non puoi essere il partito del Nord se poi, nella capitale del Nord, nella capitale della tua Padania, ti fermi al 9% dei consensi. Roba da terzo polo.
Le ragioni della sconfitta della Lega sono almeno due: si è troppo appiattita su Berlusconi e ha fatto troppe promesse, non mantenute, sul fronte del contrasto dell’immigrazione.
Le ragioni della sconfitta di Silvio sono varie, ma una è quella principale ed evidente: ha voluto lo scontro frontale con la magistratura più politicizzata, con i pm di Milano, e i cittadini elettori non l’hanno seguito. Anzi: l’hanno abbandonato.

Come è ridicolo sostenere che a Milano ha perso la Moratti, altrettanto è ridicolo dire che ha vinto Pisapia. In realtà ha vinto la Ilda Bocassini che è l’emblema dei pm più engagée sul fronte dell’eliminazione di Silvio per via giudiziaria. Lo dimostra anche la clamorosa affermazione di un altro magistrato assai “creativo” sul fronte delle imputazioni: Luigi De Magistris a Napoli, un caso praticamente unico di candidato che ottiene più del doppio di voti personali rispetto a quelli andati al suo partito (l’unico precedente è Flavio Tosi a Verona).
Completa la dimostrazione il successo generalizzato dei grillini, che sono collocabili nell’area del qualunquismo giustizialista. Grillini e De Magistris quelli che Fabio Martini su La Stampa chiama .”Il partito di Santoro. Presenze fisse e poco moderate ad Annozero si sono imposte nei seggi”.
Difficile pensare che non si siano incrinati definitivamente i rapporti Pdl-Lega. Che già sul territorio sono ovunque conflittuali. Ancor più difficile pensare ad un secondo tempo in cui la Moratti vinca il ballottaggio: della serie il Real che recupera tre gol da Barca…

Questi i fatti emersi dalle urne. Passando ai commenti, la mia opinione è che la vittoria della Ilda sia molto preoccupante, radicalmente diversa da una vittoria di Bersani, del centrosinistra, che avrebbe cambiato poco nulla. Come poco nulla è sempre cammbiato nel doppio passaggio dai governi Berlusconi ai governi Prodi o D’Alema.
Qui è diverso perchè con la Bocassini, con De Magistris vince quel potere giudiziario che non è soggetto ad alcun controllo democratico da parte dei cittadini elettori. Un potere che già ha dimostrato tante volte la tendenza a debordare e che più che mai adesso di riterrà legittimato a farlo.
Ultima piccola, paradossale notazione: anche il vincitore formale di Milano è un garantista. Anzi un ultragarantista: Giuliano Pisapia, da deputato di rifondazione comunista, votava infatti le leggi di Berlusconi. Perchè chi ha provato, come lui, sulla propria pelle le unghiate del potere giudiziario, non può che diventare un garantista a vita.

L’IMAM PUO’ DIRE CIO’ CHE VUOLE

 

C’è chi sostiene (esagerando?) che vige una sorta di razzismo alla rovescia, a vantaggio degli stranieri e a discapito dei nativi.

Diciamo che loro, gli stranieri, godono di alcuni privilegi. Di una sorta di impunità (che siano figli del Berlusca?) di cui noi non godiamo. Lo dimostrano le affermazioni Ali Abu Shwaima.

Sto parlando dell’imam della moschea di Segrate che è, dopo quella di Roma, la seconda moschea italiana per importanza.

Segrate cioè Milano dove, come sappiamo, si vota il prossimo fine settimana. Ed è il test più importante, decisivo per stabilire chi ha vinto e chi ha perso la prossima tornata amministrativa, dall’evidente valenza politica.

A Milano c’è una forte comunità mussulmana, che vota e che l’imam ha deciso di schiarare. Schierarla a sinistra perchè – sono sue parole – “è lì che troviamo posizioni più vicine ai nostri ideali”. Perfetto. Anche se già rischierrebbe il rogo un prete cattolico che osasse schierare apertamente i suoi fedeli a sinistra a destra o perfino al centro.

Ma clamoroso é l’ulteriore distinguo, all’interno della sinistra, che fa Ali Abu Shwaima: “ I mussulmani di Milano – sostiene – non devono votare la lista di Sinistra ecologia e libertà perchè il suo leader Nichi Vendola, in quanto omosessuale, ha una condotta che non va d’accordo con l’etica islamica”. Capito? L’imam dice di non votare Vendola perchè è un frocione!…

Non voglio pensare cosa sarebbe successo se l’avesse detto Tettamanzi. Anche perchè l’arcivescovo di Milano non l’avrebbe mai detto. Da campione del politicamente corretto, Tettamanzi avrebbe sostenuto l’esatto contrario: votiamo Vendola contro l’indegna decriminazione che colpisce i gay! E avrebbe aggiunto le scuse a nome della Chiesa ambrosiana…

Ma nemmeno l’ultimo pretino, il parroco di una frazione sperduta dei Lessini , avrebbe osato sostenere che non si vota Sel perchè Vendola “ha una condotta che non va d’accordo con l’etica cristiana”. Sarebbe infatti insorto lo sdegno nazionale. E il pretino avrebbe rischiato una denuncia per omofobia, per istigazione all’odio nei confronti degli omosessuali.

L’imam di Segrate invece può dirlo e non succede nulla. Nel senso che tutti fanno finta di non accorgersi. Anzi compiono la contorsione più paradossale: nel nome del rispetto per il diverso – che in questo caso sarebbe l’islam – lasciano che vengano oltraggiati quelli che erano i “diversi” per antonomasia, cioè i gay.

A noi italiani è vietato anche chiamarli “diversi” – e sia chiaro che sto usando le virgolette – mentre l’imam può trattarli da diversi, addirittura arrivando a discriminarli nel seggio elettorale.

(E auguriamoci che non ci siano né gay né lesbiche tra le toghe milanesi, che altrimenti l’imam di Segrate le scomunica…)

 

 

SE OSAMA BEVEVA COCA COLA

 Le prime pagine continuano ad essere piene di notizie sull’uccisione di Bin Laden: manca il corpo, il presidente Usa non mostra le foto, lo hanno prima bloccato – dice la figlioletta – e poi ucciso a sangue freddo. Tutte notizie superflue, secondarie; a meno che non servano a dimostrare un preciso teorema: l’America di Obama è crudele tale quale l’Al Qaeda di Osama; tra il terrorismo islamico e l’imperialismo americano difficile dire quale sia il male peggiore.

Se vogliamo è già un passo avanti rispetto ai tempi del Vietnam, quando il male erano gli invasori americani e il bene invece gli altri invasori cioè i comunisti nordvietnamiti. Non ci commuoviamo per lo zio Bin come facevamo per lo “zio Ho” (Ci Min), ma la logica resta la stessa: antiamericanismo da strapazzo.

Così le notizie interessanti vengono confinate nelle pagine interne. Come quella che leggo su una colonna in fondo a pagina 6 del Corriere: “Ordinava casse di Coca Cola”. Raccontano i negozianti pakistani di Abbottabad che Bin Laden e il suo enturage erano consumatori abituali proprio della bevanda Usa per eccellenza.

Sacrosanto aver eliminato lo sceicco del terrore, sia chiaro. Ma viene da pensare che Osama avebbe perso comunque. Perchè è difficile pensare che vai alla Jihad, e che la vinci, bevendo Coca Cola… Come è improbabile che un amante degli hamburger Mc Donald’s diventi monaco eremita a Camaldoli.

L’assunto di Feuerbach “l’uomo è ciò che mangia” contiene un fondo di verità. Fondo che si amplia se lo trasformiano in “l’uomo è ciò che consuma”: beni materiali e immateriali come nuovi costumi, abitudini sociali, emancipazione femminile etc. E’ questo il tanto vituperato “consumismo”, su modello americano, che si è diffuso in tutto l’Occidente e l’ha permeato cambiandolo radicalmente.

Vituperato, ma è lui, il consumismo, che ha messo in crisi la Chiesa cattolica e ha messo in ginocchio il mondo comunista. Si è ripetuto anche ora, in occasione della beatificazione, che Wojtyla avrebbe fatto crollare il comunismo. Il Papa polacco avrà dato un contributo. Ma desisiva è stata la comunicazione, la televisione satellitare che non poteva essere criptata, e che ha mostrato appunto i consumi, il tenore di vita, le libertà del mondo Occidentale: questo ha spinto i cittadini alla rivolta e fatto implodere i regimi dell’Europa dell’Est.

Magari ad essere un po’ ottimisti, si può pensare che lo stesso stia accadendo nel mondo arabo; dove un ruolo decisivo lo gioca proprio la nuova comunicazione sulla rete. Di certo le piazze di Tunisi, del Cairo, di Damasco non hanno chiesto più moschea, ma se mai più Coca Cola: vogliono cioè più consumi, più benessere, più libertà; non più fanatismo religioso né sembrano attratti dalla guerra santa.

Non abbiamo visto bandiere americane bruciate durante queste rivolte popolari. Continuamo a bruciarle solo noi sulle prime pagine dei nostri giornali, dove si tenta di dimostrare che l’imperialismo di Obama vale il terrorismo di Osama. Mentre le notizie interessanti le confiniamo all’interno.

 

TUNISINI ALL’ASSALTO DEI CARABINIERI

 La pattuglia dei carabinieri arriva a sirena spiegate chiamata dalla padrona di casa che ha sorpreso due tunisini a rubare nella sua abitazione. E a questo punto succede l’impensabile: i due stranieri – uno dei quali munito di permesso di soggiorno provvisorio a scopo umanitario! – invece che scappare o arrendersi ai tutori dell’ordine, impugnano l’uno un coltello l’altro un bastone e cominciano ad aggredire i militi, vanno all’assalto dei malcapitati che si salvano solo grazie all’arrivo dei rinforzi.

Come se niente fosse, guardie e ladri si scambiano i ruoli! Ascoltare – per credere – nel sito del nostro Tg Padova il racconto di un allibito comandante della compagnia dei carabinieri patavini.

Credo che in Germania o in Francia cose del genere siano impensabili, per un motivo semplice quanto brutale: quei due, una volta portati in caserma, verrebbero pestati ad libitum. La voce circola e i prossimi immigrati ladri sorpresi in flagrante o scappano a gambe levate o si consegnano educatamente ai flic o alla Polizei.

Soluzione impraticabile nelle nostre caserme, anche perchè la notizia del pestaggio rischierebbe di trapelare. Per fortuna, aggiungo. Per fortuna che non siamo così incivili da pestare (salvo rare eccezzioni…) un arrestato. Ma il giusto prezzo pagato alla civiltà non può andare a scapito delle sicurezza dei cittadini e nemmeno significare che il tutore dell’ordine è in balia del criminale straniero o anche italiano (E’ appena successo che una pattuglia di cc sia stata presa a sprangate da un gruppo di nostri ragazzotti reduci dal rave party). Perchè se è così la civiltà diventa “civiltà” tra virgolette…

Andrebbe tenuta presente la differenza fondamentale: si tratta sempre di violenza, ma i tutori dell’ordine la esercitano in nome dello Stato e a difesa dei cittadini, mentre i delinquenti la esercitano per il loro tornaconto criminale e in offesa ai cittadini.

Esiste comunque un’alternativa precisa. Tradizionalmente è quella del poliziotto inglese che gira disarmato. E può farlo perchè tutti sanno che chi tocca il bobby muore, nel senso che finisce diritto in galera per anni. Da noi, piuttosto, succede il contrario: cioè che finisce in galera il poliziotto che tocca il criminale, che carica il no global, che si difende.

Da noi il carabiniere non può sparare – Placanica insegna – nemmeno se stanno per spaccargli la testa con l’estintore…

Insomma sia molto, troppo più “civili” tanto dei tedeschi quanto degli inglesi. Anche se il risultato finale non è tanto confortante: i cittadini restano in balia dei criminali, i tunisini non esitano ad andare all’assalto dei carabinieri, ed i numeri diventano relativi. Nel senso che non ne servono mille e nemmeno cento, bastano due tunisini per mostrare che…il re è nudo.



IL CLANDESTINO SGUAZZA NELLO SCONTRO

 

 

Nello scontro tra poteri il clandestino ci sguazza. Nello scontro quotidiano tra potere politico e quello che – Costituzione alla mano – si chiama “ordinamento giudiziario”, ma che è diventato invece il potere giudiziario.

Il ministro Maroni accusa la corte di giustizia della Ue di non essere intervenuta contro quel reato di clandestinità che pure è vigente anche in Francia, Germania e Gran Bretagna. Vero. Ma dimentica, Maroni, che la corte Ue non si è mossa per un semplicissimo motivo: che nessun magistrato francese, tedesco o inglese invoca interventi sanzionatori contro le leggi del proprio Paese. Mentre pm e giudici italiani lo fanno abitualmente: tant’è che non si contano i ricorsi presentati alla corte europea contro il decreto sicurezza.

Sul tema dell’immigrazione, dove Berlusconi non c’entra perchè le iniziative legislative sono propugnate dalla Lega, è evidente come il problema dello scontro tra poteri è grave, radicato e prescinde dalla supposta pretesa di impunità del premier. In sintesi: anche se non ci sono leggi “ad Silvium”, le avanguardie più engagée delle toghe vanno comunque al contrasto del potere legislativo.

Teniamo ben presenti che i codici sono esattamente come le sacre scritture: ci trovi tutto e il contrario di tutto; se vuoi la pace ci trovi l’invito a “porgere l’altra guancia”, se vuoi la guerra ti ricordi che sta scritto “occhio per occhio, dente per dente”. Quindi conta la tua scelta, quello che tu vuoi; dopo di che vai a cercare il conforto dei sacri testi o dei “sacri” codici.

Oggi è palese la volontà delle avanguardie togate di porsi come contraltare al governo di centrodestra. E non è nemmeno questione di centrodestra. Perchè la stessa tendenza si è manifestata (anche se meno corale) nei confronti dei governi di centrosinistra. E’ la battaglia per il potere.

L’esigenza dell’autonomia tra poteri non va confusa e nemmeno sovrapposta, all’esigenza della sintonia tra poteri. Perchè solo così, solo con la sintonia, uno Stato può sperare di funzionare.

Diamo per buono che le leggi con cui il centrodestra cerca di governare l’immigrazione siano leggi tutt’altro che perfette, anzi molto carenti. Ma il sabotaggio costante da parte di chi sarebbe chiamato ad applicarle, le rende catastrofiche. In nessun altro Paese europeo l’immmigrazione viene affrontata all’insegna dello scontro tra potere legislativo e magistratura. (Se Sarkozy ordina di fermare i tunisini a Ventimiglia, nessuna toga francese osa appellarsi alla corte Ue)

Perchè lo scontro è utile solo ai clandestini, che infatti qui da noi ci sguazzano liberi e impuniti.

Ricordiamo, per concludere, che non c’è Costituzione, non c’è trattato di democrazia che affermi che deve essere il potere legislativo a mettersi in sitonia con quello giudiziario. Perchè non si può delirare al punto di dire che il governo di un Paese spetta ai vincitori di un concorso pubblico e non agli eletti dal popolo sovrano.


IL MIRACOLO PASQUALE DI SILVIO

 

C’è una Liberazione remota: quella concretizzatasi 66 anni fa con la sconfitta dei nazifascisti. Ed una Liberazione attuale, che negli auspici dell’opposizione dovrebbe concretizzartsi al più presto: la liberazione da Berlusconi.

Tra i primi a cantare “Per fortuna che Silvio c’è” dovrebbero essere quelli dell’Anpi. Perchè, se non ci fosse lui, non esisterebbe più nemmeno l’Associazione nazionale partigiani d’Italia (vivificata nelle iscrizioni da stuoli di giovani che sognano la liberazione dal Berlusca) e la festa del 25 Aprile verrebbe celebrata da uno sparuto drappello di reduci in estinzione anagrafica.

Invece la celebrazione, come abbiamo visto ieri, resta viva, vibrante e partecipata per la divisione attualissima tra berlusconiani e antiberlusconiani; non certo per quella di 66 anni fa tra fascisti e antifascisti.

Mi fanno sorridere quelli che invocano una partecipazione educata e composta: come pretendere che si vada allo stadio senza nemmeno il piacere di fischiare gli avversari e applaudire la propria squadra. Così a chi ieri ha rinunciato alla gita fuori porta, scegliendo di partecipare alle celebrazioni, minimo va lasciata la soddisfazione di fischiare la Moratti e inveire contro il ducetto di Arcore. Il quale però – non dimentichiamolo – ha appunto compiuto il miracolo pasquale facendo risorgere il 25 Aprile.

Trattasi di seconda resurrezione. Nel dopoguerra infatti lo stile ovattato del governo democristiano aveva messo la sordina alla festa della Liberazione, ridotta a ricordo per pochi intimi già nei primi Anni Sessanta. Poi arrivò la presidenza Saragat e la prima resurrezione, grazie all’inquilino del Quirinale che concludeva ogni discorso al grido: “Viva l’Italia, viva la Resistenza!”. E così gli italiani, anche i tanti distratti e impegnati a migliorare il proprio reddito, si ricordarono appunto che c’era stata la Resistenza.

Grazie a Saragat, al ’68 e alla “strategia della tensione”, l’antifascismo trovò nuovo alimento. Anche se la figura del Duce, del nemico, restava un po’ indistinta e oscillante: da Fanfani, ai servizi deviati a Junior Valerio Borghese coi suoi forestali golpisti.

La partecipazione popolare non è comunque mai stata paragonabile a quella per il 4 Novembre e la vittoria della prima guerra mondiale che – anzitutto per il numero spropositato delle vittime – aveva letteralmente coinvolto l’intero Paese in ogni sua città, cittadina e comunello. Diverso l’impatto della seconda guerra mondiale e ancor più della Resistenza che è sempre rimasta un evento controverso.

Controverso anche per gli scrittori che l’hanno vissuta e raccontata (più che celebrata): da Cassola con “La ragazza di Bube” al “sentiero dei nidi di Ragno” di Calvino, al Fenoglio di “Una questione privata” fino a “Uomini e no” di Elio Vittorini. Tutti romanzi scevri dalle farciture retoriche, dove i partigiani sono uomini e non Arcangeli del Bene…

Comunque sia anche la riscoperta del 25 Aprile stava esaurendosi agli albori del “Ventennio berlusconiano” quando è arrivato lui, l’uomo della Provvidenza per l’Anpi. La perfetta incarnazione politica del Male, capace di suscitare i più convinti furori resistenziali.

Con un solo momento di panico: Onna, 25 Aprile del 2009, quando Silvio partecipò ai festeggiamenti. Della serie Mussolini che inneggia a Piazzale Loreto!… Grande fu lo sconcerto tra il popolo dei neo resistenti, che oggi (ieri) hanno potuto tranquillizarsi ed inveire contro un Berlusconi che ha scelto di restare a Villa Certosa snobbando la festa.