LEGA VENETA SERVETTA DI BOSSI

 

Non c’è dubbio che una crisi profonda, dopo la duplice batosta amministrativa e referendaria, abbia investito, oltre al Pdl, anche la Lega Nord. E lo dimostra il fatto che, alla vigilia di Pontida, sia entrata in fibrillazione perfino la Lega Veneta fin’ora sempre paciosa, silente e allineata.

L’assessore regionale Franco Manzato, bossiano di stretta osservanza, sostiene che bisogna cacciare “gli eretici”. Sarebbero – per capirci – quei leghisti veneti che al cospetto dell’Umberto non rispondono comunque e sempre :”Si capo, giusto capo, hai ragione capo”. Per essere ancora più chiari quelli che non fanno come il segretario “nazionale” veneto Giampaolo Gobbo.

Si capisce però come – almeno in teoria – esista anche un’alternativa: o cacci via dalla Lega Nord del Veneto gli eretici, oppure cacci via gli yes man, quelli che hanno rinunciato comunque ad avere un giudizio politico autonomo. Per chiamarli col loro nome: cacci via i servi di Bossi e dei lombardi.

Val la pena di ricordare che la Lega in Veneto raccoglie, in percentuale, il doppio dei consensi della Lombardia. Ma non ha mai messo sul piatto questo peso elettorale. Non si sogna di pretendere un rapporto paritario all’interno della federazione Lega Nord, non sa imporre nemmeno un po’ di rispetto per i suoi leader e i suoi elettori veneti. E così non conta nulla, non ha ministri, viene sistematicamente esclusa dai tavoli delle decisioni. La si consulta solo dopo, per avvallare le decisioni prese da Bossi. E già è andata bene che il Senatùr abbia risparmiato al Veneto di ritrovarsi con il Trota al vertice di Palazzo Balbi…

L’ultimo, clamoroso, esempio di questa esclusione sistematica della Lega Veneta anche dai tavoli delle decisioni, è arrivato l’altro lunedì ad Arcore alla riunione convocata da Berlusconi per cercare si un individuare una via d’uscita dopo la prima batosta alle amministrative.

A villa San Martino si presentarono: Bossi con figlio Renzo (sic) detto il Trota, il ministro Maroni, il capogruppo alla Camera Reguzzoni, il segretario della Lega Lombarda Giancarlo Giorgetti e il presidente del Piemonte Roberto Cota. In sintesi: cinque lombardi, un piemontese, nessun veneto.

Bossi deve aver pensato che era inutile portarsi appresso anche…i camerieri. Può darsi che Gobbo l’abbia mandato il giorno dopo a sparecchiare i tavoli e lavare i piatti. Di certo quando si discutevano scelte fondamentali per il futuro del Carroccio la sua presenza è stata ritenuta superflua.

Penso ai tavoli da sparecchiare e ai piatti da lavare perchè, da vecchio che sono, ricordo come venivano rappresentati i veneti nei primi film della commedia all’italiana: i maschi da bravi ragazzi un po’ tonti che finivano a fare i carabinieri in Sicilia; mentre le ragazze venete erano lo stereotipo delle servette, cameriere tutto fare di facoltosi padroni romani o milanesi cui fornivano ogni genere di servizio e servizietto (e senza pericolo che loro, i padroni, facessero la fine di Strauss Kahn…)

Oggi, cinquant’anni dopo, la Lega Veneta è ridotta a fare la servetta di Bossi e della Lega Lombarda: ascari che ramazzano voti da offrire come “onoranse” al Senatùr

Bossi ha un unico pensiero, una sola preoccupazione, più che comprensibile dal suo punto di vista: che i leghisti veneti restino servette e non si sognino di alzare la testa e rivendicare i dividendi elettorali. Per questo ha concentrato tutti i suoi interventi al fine di impedire che emerga la realtà, cioè che il vero leader della Lega in Veneto è Flavio Tosi. Lo ha impedito negandogli la presidenza della Regione, bloccando per anni il congresso regionale, quelli provinciali, mandando il”cerchio magico” (ma imbelle) a cercare di sovvertire anche il congresso provinciale del Carroccio di Verona.

E l’Umberto ha perfettamente ragione perchè, con Tosi leader consacrato, basta ascari, basta leghisti veneti ridotti a sparecchiare il tavolo e lavare i piatti. Invece con Gobbo tutto a posto, tutto tranquillo come da anni e anni, proni e pronti a rispondere sempre: obbedisco sior capo!

Mentre ad Arcore si decideva il futuro del governo e della stessa Lega, il segretario “nazionale” veneto sarà rimasto a Treviso a bersi un prosecco, pensando felice: finché obbedisco a Bossi continuo a fare il sindaco, il segretario e anche l’eurodeputato. Che culo!…

Proseguirà nella Lega Veneta l’era dei maggiordomi, ben ricompensati per servigi e fedeltà; o arriverà il tempo della rabbia e dell’orgoglio?







MARONI E LE RIFORME IMPOSSIBILI

 

 

Nel giorno in cui il centrodestra è riuscito nell’impresa di riesumare anche l’istituto referendario (che da tempo immemorabile falliva il quorum), aggiungendo così un’altra cocente sconfitta a quella appena maturata alle amministrative, il ministro Maroni ha lanciato attraverso il Corriere un ultimatum a Berlusconi. O il governo ottiene quattro obiettivi precisi, oppure è meglio andare subito ad elezioni anticipate perchè – ha spiegato l’esponente leghista – “tirare a campare equivale a tirare le cuoia” .

L’assunto di Maroni è indiscutibile: se non combini nulla gli elettori ti mandano a casa a calci nelle urne. Ma si tratta di vedere se sono realisticamente raggiungibili i quattro punti dell’ultimatum

In politica estera chiede che l’Italia cessi di bombardare la Libia e che le navi Nato blocchino l’esodo dei profughi dalle coste libiche stesse. Richieste sacrosante. Ma, se solo Berlusconi osasse avanzarle al tavolo degli alleati, otterrebbe un unico effetto: gli aerei Nato, oltre a continuare a dare la caccia a Gheddafi, metterebbero anche lui nel mirino cominciando a bombardare Palazzo Grazioli e villa San Martino…Meglio lasciar perdere.

Maroni invoca poi una drastica riforma fiscale che abbassi la pressione e garantisca il quoziente famigliare. Riforma tanto sacrosanta quanto fondamentale. Ma qui entra in ballo quello che domenica, sempre sul Corriere, ha scritto Galli della Loggia: che tanto la destra quanto la sinistra da vent’anni parlano di riforme; parlano, parlano e non riescono ad attuarne nemmeno una perchè vengono blaccate dai “tre pilastri dell’immobilismo” che sono “il privilegio, il corporativismo, la demagogia”.

“In Italia – scrive Galli della Loggia – qualunque individuo così come qualunque istituzione, qualunque impresa capitalista, non sopporta né il merito né la concorrenza né controlli indipendenti. Qualunque categoria, qualunque organismo non sogna altro che monopoli, numeri chiusi, carriere assicurate, condoni, esenzioni, ope legis, proroghe, trattamenti speciali, pensioni ad hoc, comunque condizioni di favore”.

Inutile, insomma, prendersela con i politici come se fossero gli unici a godere dei privilegi. Di fatto abbiamo la somma di tutti i privilegi delle varie corporazione che fanno la maggioranza degli italiani. Una maggioranza conservatrice, che non vuole le riforme, per continuare ad avere privilegi e a “saccheggiare le casse pubbliche”

Un saccheggio – spiega sempre Galli della Loggia, che avviene – ecco la demagogia – in nome de “i diritti, la democrazia, la solidarietà: parole d’ordine, discorsi che, agitando ogni volta la bandiera del bene, sono serviti unicamente a promuovere il più spietato particolarismo”.

Ci vorrebbe – conclude l’editorialista del Corriere – “la più difficile tra le rivoluzioni: quella culturale”. Solo così, dopo la rivoluzione culturale che introduca merito concorrenza vera e controlli, le riforme tornerebbero ad essere un obiettivo concreto e non una vuota chiacchera.

Nell’attesa anche Roberto Maroni è solo l’ultimo dei tanti che continuano a parlare di riforme, “il grande mito della politica italiana”.

 


INUTILE SCIMMIOTTARE LE PRIMARIE

 Mi vien da pensare che tra i tanti che, nel centrodestra, hanno perso la testa dopo la sconfitta alle amministrative ci sia anche l’eminenza grigia del Cavaliere, il suo primo consigliere politico: Giuliano Ferrara.

Il direttore del Foglio ha infatti individuato nelle primarie il perno per il rilancio. E continua ossessivamente a ripetere che il Pdl deve indirle per l’inizio del prossimo Ottobre. Come se la riscossa di Berlusconi potesse avvenire copiando il Pd, facendo propria la battaglia di Nichi Vendola

Le primarie hanno funzionato a sinistra, sono servite a immettere energie nuove in uno schierameto che era soffocato dall’oligarchia identica a se stessa da quarant’anni (da tanto sono sulla scena D’Alema, Bindi, Veltroni, Bersani & c.) e intenta solo a tagliare la testa a qualunque nuovo concorrente emergente. Grazie alle primarie gli emergenti di sinistra sono finalmente emersi.

Completamente diversa la situazione della destra dove il leader è già emerso ed ha già attuato l’unica rivoluzione possibile: cancellare il partito tradizionale, trasformandolo in un semplice comitato elettorale. Ferrara adesso vorrebbe che Berlusconi tornasse indietro: cioè riesumasse il partito radicato sul territorio, con le primarie per scegliere i vertici nazionali e locali del partito, magari anche i candidati al parlamento e alla guida del governo.

Ma vi pare che Pdl (e Lega) abbiano perso perchè la base non aveva potuto scegliere il coordinatore di Verona, di Padova o del Veneto? Perchè non ha potuto indicare Tizio invece di Caio da mandare al Parlamento?

Come insegna la grande tradizione del Pci, che nessuno conosce meglio di Ferrara, deputati e senatori sono sempre stati scelti dal vertice: funzionari di partito ligi e affidabili, perfetti yes-man con i quali non correvi il rischio che a Roma si montassero la testa…

Quanto alla batosta elettorale ha riguardato tanto un partito “di plastica”, il Pdl, quanto quello ben radicato sul territorio, la Lega. Ed il motivo non sono certo le primarie né la riorganizzazione, ma le riforme che nessuno riesce a fare in questo nostro Paese ingovernabile.

Come conferma anche l’incontro di ieri ad Arcore con Tremonti, Berlusconi non riuscirà mai a fare la riforma fiscale, ad abbassare le tasse in modo singificativo (cioè premiante nelle urne). Non ci riuscirà perchè bisognerebbe tagliare drasticamente la spesa pubblica, cioè falcidiare la grande armata dei pubblici dipendenti. Bisognerebbe abolire i privilegi delle coorporazioni, e il povero Bersani non c’è riuscito nemmeno con quella, sgangherata, dei tassisti…Figuriamoci se si può farlo con notai, avvocati, medici, magistrati, giornalisti.

La Lega ha perso perchè i clandestini continuano ad arrivare. E continuano ad arrivare perchè tanti, troppi, hanno interesse a farli arrivare: imprenditori di varie risme che vogliono manodopera a basso costo e orario illimitato, associazionismo cattolico e laico che tanto più è “accogliente” tanto più riesce a lucrare denaro pubblico…Grazie ai clandestini è resuscitata perfino Rifondazione comunista, che è riuscita a trovare uno spazietto politico e di visibilità con le sue “brigate della solidarietà”.

Insomma i clandestini sono utili a troppi per applicare quelle politiche di rigore tipo Francia o Spagna. E per questo ha perso la Lega, non perchè non fa le primarie o perchè non ha nominato segretario generale un Alfano padano…

Durante la prima Repubblica si mascherava l’impotenza cambiando governo ogni dieci mesi. Adesso invece – ahimè – i governi durano, durano anni, durano l’intera legislatura; e gli elettori si accorgono che il re è nudo: cioè che nessuno riesce a governare nel senso serio e pieno della parola.


 

NEL DOPO SILVIO TUTTO CAMBIA

 

La sconfitta di Berlusconi è completa e indiscutibile. Tutte le grandi città capoluogo delle regioni del Nord – Trieste, Venezia, Milano, Torino, Genova – sono oggi amministrate dalla sinistra. Ha perso perfino nella sua Arcore.

Voglio sperare che i suoi concittadini e gli elettori delle altre città non gli abbiano negato il voto per via di quei dopo cena più o meno a luci rosse. Voglio cioè sperare di non essere nella repubblica bigotta prefigurata da Repubblica. E che, quindi, Berlusconi sia stato punito per la sua vera colpa politica: cioè per non aver governato.

Per non aver attuato nessuna delle grandi riforme che dovevano innescare la rivoluzione liberale: fisco, pubblica amministrazione, privatizzazioni, economia, servizi, giustizia. Tutto è rimasto come prima, peggio di prima.

Ma adesso tutto cambierà. Il governo di sinistra prossimo venturo ridarà dignità allo Stato italiano con i fatti, non con le parole e le vane promesse. Magari non attuerà quelle riforme liberali che io agogno, ma di certo avremo finalmente dei servizi pubblici al servizio dei cittadini e non dei propri addetti; avremo una scuola pubblica a livello degli altri grandi Paesi occidentali e asiatici. Può darsi che le tasse non diminuiranno, ma crescerà di sicuro la qualità dei servizi stessi. Insomma l’Italia diventerà un Paese un po’ socialista ma in compenso molto civile, e non sarà più la terra brada delle corporazioni e del familismo mafiosetto…

Possiamo credere che, mandato a casa Berlusconi, avverranno questi cambiamenti? O è più probabile che arrivi un nuovo governo x che continuerà a non governare, cosi come accaduto con i governi Berlusconi, Prodi, con la miriade di governi della prima Repubblica che duravano il tempo di un riassetto di potere interno alla Dc?

Di certo cambierà il linguaggio. Basta premier che raccontano barzellette a go go, e per giunta spesso sconce. Massimo sarà consentita l’ironia di Bersani (“abbiamo pareggiato 4 a 0!”). Ma il tono sarà serio e austero. Il tono del Colle, tanto per intenderci.

Il tono giusto, per riaccreditarci sul piano internazionale. Le parole d’ordine saranno: onestà, competenza, rigore, etica. Le parole, appunto…E i fatti? I fatti resteranno quelli di sempre: impalpabili e putrescenti

Perchè, per cambiare davvero il nostro Paese, non basta mandare a casa Berlusconi: bisognerebbe riuscire a mandare a casa…gli italiani. Programma vasto, troppo vasto…

E allora accontentiamoci: al posto di un Calderoli che diceva di voler portare a Milano anche il Quirinale, adesso è arrivato Vendola a dirci che Milano è riconquistata, è liberata, è aperta “ai fratelli rom e ai fratelli mussulmani”. Le due facce della stessa medaglia, coniata sulle vuote chiacchiere.


 


LUNGA VITA AL CAIMANO

 In attesa dell’esito dei ballottaggi di Milano e Napoli, dai quali sicuramente dipende anche il futuro politico di Berlusconi, mi sembra di sentire, al di là del clamore degli attacchi, un grido contrario, quasi una auspicio inconfessabile: lunga vita al Caimano.

Non è un grido che giunga dai suoi elettori, meno che mai dal suo stato maggiore che, convinto di vivere un 24 Luglio, è già alla ricerca del Grandi della situazione.

Il dato è che l’uscita di scena del Berlusca, la sua morte politica, rischia di lasciare i suoi più fieri avversari orfani di quel bersaglio sul quale hanno costruito la proprio fortuna. E non penso agli avversari politici.

Prendiamo Marco Travaglio. Non sono io a tesserne l’elogio, che non ce n’è proprio bisogno, è il vituperato mercato (vituperato dalla sinistra, in quanto tipico parametro e strumento capitalista). Bene Travaglio costruisce così bene il Fatto, scrive ogni giorno degli editoriali così graffianti e calibrati per soddisfare il popolo dei suoi lettori, da aver compiuto un autentico miracolo: ha dimostrato che c’è una carta stampata capace di reggersi sulle proprie gambe, che non ha bisogno di contributi pubblici, che addirittura chiude i bilanci in attivo (oltre 5 milioni di euro quello del Fatto Quotidiano!).

Sono così bravi Travaglio e la pattuglia di giornalisti del Fatto che stanno diventando i becchini de L’Unità di Concita e del Manifesto. E perfino Repubblica trema. Bravi ad utilizzare al meglio i cavalli di battaglia che tanto piacciono ai loro lettori: l’attacco (al Caimano) e la denuncia dell’illegalità dilagante.

Ora provate ad immaginare l’imbarazzo di Travaglio e c. se domenica a Napoli dovesse vincere il loro campione per antonomasia, l’emblema della giustizia che non guarda in faccia a nessuno e non teme i potenti: l’ex pm Luigi De Magistris. Da Martedì il Fatto dovrebbe cominciare a scrivere che a Napoli tutto funziona bene, che i rifiuti sono scomparsi,che la camorra è sbaragliata, che la legalità regna sovrana.

Esagero. Ma di sicuro il Fatto avrebbe più opportunità di accontentare il palato dei suoi lettori con la vittoria di Lettieri: inchieste a raffica sulla camorra che ha orientato il voto, sulla trattativa tra i camorristi e Berlusconi, interventi sdegnati e strazianti di Saviano che nella sua Napoli, in mano alla destra, non può far ritorno…

Pur imbarazzante per ragioni simili, l’eventuale vittoria a Milano di Pisapia lo sarebbe di meno. Avremmo però il combinato disposto della sconfitta del Berlusca in entrambi i ballottaggi, con sua conseguente probabile uscita di scena.

E, a questo punto, contro chi potrebbe indirizzzare i suoi splendidi editoriali Marco Travaglio? Già con un Tremonti presidente del consiglio tutto diventerebbe più arduo. (Dove trovarlo un Ciancimino jr. che racconti gli incontri tra Giulio e i boss? Come dimostrare che la mafia gli ha finanziato cosa… l’apertura dello studio da commercialista?)

Dopo di che un autentico genio del giornalismo come Travaglio saprebbe sicuramente inventarsi qualcosa, che io non riesco ad immaginare, per evitare il tracollo delle copie del Fatto. Ma perchè dover inventare quando tutto può procedere – splendidamente – come è andato fin’ora? Lunga vita al Caimano. Per fortuna che Silvio c’è e speriamo che ci resti a garantire le magnifiche sorti e progressive del Fatto Quotidiano.


ACHILLE LAURO ALLA RICONQUISTA DI MILANO

 

Come postato sul blog de l’Indiscreto, mai avrei pensato che Berlusconi e Bossi sarebbero caduti così in basso da costringermi a dare ragione all’amico Lillo. Ed in effetti Aldegheri ha perfettamente ragione a parlare di ritorno de “o’ Comadante” di fronte alla vergognosa promessa di B&B di cancellare le multe e portare a Milano dei ministeri. Credono davvero di vincere così il ballottaggio, riesumando il cadavere di Achille Lauro e mandandolo alla riconquista della Capitale del Nord?

Siamo di fronte a qualcosa di più grave ancora degli insulti agli avversari politici: siamo agli insulti ai propri elettori. Il leader della Lega e il presidente del consiglio pensano di poter comprare così il voto dei milanesi? Lillo giustamente ricorda che i metodi del o’ Comandante funzionavano nella Napoli degli Anni Cinquanta. Magari possiamo credere che là funzionino anche oggi, e risponde ad una logica perversa, che però resta una logica, la promessa del Cavaliere di non demolire le case abusive…Ma a Milano no. Questi metodi e queste promesse non funzionano oggi e non funzionavano nemmeno cinquant’anni fa, che altrimti non sarebbe mai diventata la Capitale morale d’Italia.

A Milano funziona il lavoro, non i condoni, non la promessa di posti pubblici. Non i ministeri che inquinano più di Fukushima, con torme di dirigenti strapagati, con eserciti di stipendiati che cazzeggiano. Portare i ministeri al Nord significa distruggere ciò che resta della cultura del lavoro. Prendiamoci piuttosto tutti i rifiuti di Napoli, ma lasciamo i dicasteri a Roma!

Sarebbe questa la rivoluzione liberale di Berlusconi? Posti pubblici a go go e multe condonate? Il Cavaliere che diventa o’Comandante…Mentre la Lega di Bossi getta la maschera e mostra il vero volto del federalismo: impestare il Nord con posti pubblici sottratti al Sud, toglierli alla Sicilia non per ridurli ma per portarli in Lombardia.

Per fortuna che c’è anche una Lega diversa, più seria. Quella di Maroni e Tosi.

Se per riconquistare Milano si riesuma Achille Lauro, l’auspicio non può che essere uno: che vinca Pisapia e che si apra la resa dei conti per rifondare un centrodestra più credibile.


IO TI BATTEZZO PROFUGO

 

 

L’ondata di profughi giunti in Veneto, oltre ad aver spaccato la Lega, ha sollevato – specie a Vicenza, Padova e Treviso – la protesta trasversale dei sindaci. Trasversale nel senso che prescinde dal loro colore politico (non li vogliono nemmeno i primi cittadini del Pd).

Un rifiuto che ha tante motivazione ed una principale. I sindaci e i cittadini da loro amministrati si domandano: ma che “profughi” sono questi che arrivano dalla Tunisia? Obama ci ha forse ordinato di bombardare anche Tuinisi?

L’inviato del Gazzettino a Santo Stefano di Cadore, dove erano stati accolti 90 “profughi”, ha scritto che provenivano: dal Bengladesh, dalla Nigeria e dal Pakistan. Di profughi veri, cioè di libici, nemmeno uno. Eppure tutti, i mezzi d’informazione, le autorità, Maroni, continuano a chiamarli “profughi”.

Così mi è venuta in mente la vecchia barzelletta che si raccontava quando i preti erano preti (e dovevano dare il buon esempio) e noi eravamo bravi cattolici, cioè rispettosi del precetto di astinenza dalle carni il venerdì. Barzelletta: un prete, carnivoro assatanato, non riesce a rinunciare alla costata nemmeno il venerdì; e allora cosa fa? La prende, fa il segno della croce sopra la costata pronunciando la formula: io ti battezzo pesce. E così se la mangia…

Hanno fatto qualcosa del genere con i clandestini: li hanno battezzati profughi per darcela a bere che abbiano il diritto ad essere accolti e ospitati. Diritto che invece la legislazione internazionale riconoscve solo a chi proviene da un Paese in guerra. Chiamandoli “profughi” si spera che appaiano come poveri derelitti innocqui. Mentre il termine clandestini evoca il pericolo del giovane immigrato entrato illegalmente nel nostro Paese. Nessuno la beve, ma Maroni & c. ci provano.

Ne vale dire che questi tunisini, pakistani, nigeriani erano tutti lavoratori immigrati in Libia e scappati allo scoppio della guerra. Se è così, aiutiamoli – se mai – a rientrare nei loro Paesi d’origine. Ma non c’è una ragione per cui dobbiamo ospitarli nel nostro.

Ricordo che in Libia lavoravano anche migliaia di italiani costretti a rientare in Patria. Sono forse profughi? Diamo anche a loro 43 euro al giorno?

E qui c’è l’altra storia che vogliono darci da bere. Che questa somma serva per i profighi: 43 euro al giorno che, moltiplicato 30, fa oltre 1.200 al mese. Quello che guadagna un impiegato o un operaio. I quali però, con questa cifra, pagano l’affitto e magari mantengono anche una famiglia.

Chiaro che per dare un pasto e un letto ad ogni “profugo” serve molto meno. Chiaro che il grosso della cifra se la pappano i professionisti dell’accoglienza, associazioni religiose e laiche che ben conosciamo…Ma anche con loro procediamo al battesimo. Altroché accoglienti, bravi cristiani dal cuore d’oro aperti al messaggio del Papa: io li battezzerei “approfittatori”…

IL PECCATO ORIGINALE DELLA LEGA

 

Il peccato originale della Lega emerge con tutta evidenze in questi giorni in cui l’emergenza profughi sta facendo saltare in aria il Carroccio nel Veneto: con il presidente Luca Zaia che è andato allo scontro con gli stessi amministratori locali del suo partito – il mitico Giancarlo Gentilini, i presidenti di provincia Muraro e Schneck, una pletora di sindaci – che di accoglienza ai profughi non vogliono sentir parlare.

Un peccato originale, un errore strategico di fondo, che consiste nella partecipazione di un partito territoriale al governo nazionale. Una scelta che porta a contraddizioni esplosive, come nel caso dei profughi: all’annuncio dei primi arrivi i leghisti padovani aveva cominciato subito a roccogliere le firme contro…Salvo rendersi conto che stavano raccogliendole contro il loro ministro degli Interni che aveva organizzato il piano di distribuzione dei nordafricani!

Quando entri nel governo nazionale ti capita anche di dover gestire l’emergenza profughi. Di dover dire ai tuoi amministratori locali e ai tuoi elettori – ai quali avevi promesso che avresti fermato l’invasione con ogni mezzo – che invece devono accogliere gli “invasori”. Diciamo che diventi fatalmente “complice” degli “invasori” stessi. Non fossi al governo nazionale i profughi arriverebbero tali e quali, ma tu potresti sdegnarti, tuonare, cavalcare fino in fondo la protesta e gridare: qui in Padania no paseran

Stesso discorso vale per i finanziamenti al Sud. E’ inevitabile che ci siano, è inevitabile varare piani per “il rilancio del Mezzogiorno, è inevitabile ripianare i deficit di Catania, di Palermo o della sanità calabrese. Ma se stai al governo ti tocca avvallarli e votarli con l’esecrazione dei tuoi elettori padani. Mentre se non ci stai diventi l’interprete del sacrosanto sdegno nordista e lo cavalci fino in fondo, cioè fin dentro le urne.

Ultimo esempio con il Maroni di ieri, di quand’era ministro del Welfare: ma chi glielo fa fare ad un partito territoriale di assumersi la responsabilità di un provvedimento, comunque impopolare, come l’aumento dell’età pensionabile? Sono fatti, provvedimenti, di cui deve farsi carico il governo nazionale. Tu Lega Nord, come dice il nome, devi pensare ad ottenere il massimo per il territorio che hai scelto di rappresentare. E hai tutto l’interesse a star fuori dai provvedimenti di carattere generale.

In breve la Lega doveva imparare dalla piccola Wolkspartei che, con la sua pattuglia di parlamentari nazionali, ha strappato di tutto e di più a favore del Sud Tirolo, ha votato in cambio con questa o quella maggioranza di governo nazionale; ma mai si è sognata di chiedere in sottosegretario, perché ha capito che non era in caso di farsi invischiare dagli italiani. La lega invece si è fatta invischiare sia dagli italiani che – cosa imperdonabile per i suoi elettori – anche dai sudisti.

L’altro esempio europeo è quello degli autonomisti catalani. Fortissimi sul loro territorio, dove controllano tutto a partire dalle banche. Capaci di ottenere la totale autonomia della Catalogna. Di eleggere falangi di parlamentari nazionali, ma attentissimi a non entrare mai in alcun governo spagnolo né con i popolari né con i socialisti.

Così oggi per la Lega l’alternativa non è quella di rompere l’alleanza con Berlusconi, magari per tornare ad essere “costola della sinistra”. Si tratta invece di emendarsi dal peccato originale, cioè di capire che un partito territoriale ha tutto da perdere se entra in modo organico in un qualsiasi governo nazionale: perchè tradisce la sua missione e i suoi elettori.

 

HA PERSO SILVIO, HA VINTO LA ILDA

Non c’è l’ombra di un dubbio: a Milano, e non solo, ha perso Silvio Berlusconi. Ha voluto, come capolista in comune, essere il dominus della campagna elettorale del centrodestra. Ha voluto dare al voto milanese un significato nazionale (che avrebbe comunque avuto) e gli è andata malissimo. Ha perso in modo clamoroso, come dimostra anche il crollo delle sue preferenze.
Un tonfo tale da mascherare, in qualche modo, quello della Lega che pure è (quasi) altrettanto sonoro un po’ in tutta la Padania. Ed a Milano in particolare: perchè non puoi essere il partito del Nord se poi, nella capitale del Nord, nella capitale della tua Padania, ti fermi al 9% dei consensi. Roba da terzo polo.
Le ragioni della sconfitta della Lega sono almeno due: si è troppo appiattita su Berlusconi e ha fatto troppe promesse, non mantenute, sul fronte del contrasto dell’immigrazione.
Le ragioni della sconfitta di Silvio sono varie, ma una è quella principale ed evidente: ha voluto lo scontro frontale con la magistratura più politicizzata, con i pm di Milano, e i cittadini elettori non l’hanno seguito. Anzi: l’hanno abbandonato.

Come è ridicolo sostenere che a Milano ha perso la Moratti, altrettanto è ridicolo dire che ha vinto Pisapia. In realtà ha vinto la Ilda Bocassini che è l’emblema dei pm più engagée sul fronte dell’eliminazione di Silvio per via giudiziaria. Lo dimostra anche la clamorosa affermazione di un altro magistrato assai “creativo” sul fronte delle imputazioni: Luigi De Magistris a Napoli, un caso praticamente unico di candidato che ottiene più del doppio di voti personali rispetto a quelli andati al suo partito (l’unico precedente è Flavio Tosi a Verona).
Completa la dimostrazione il successo generalizzato dei grillini, che sono collocabili nell’area del qualunquismo giustizialista. Grillini e De Magistris quelli che Fabio Martini su La Stampa chiama .”Il partito di Santoro. Presenze fisse e poco moderate ad Annozero si sono imposte nei seggi”.
Difficile pensare che non si siano incrinati definitivamente i rapporti Pdl-Lega. Che già sul territorio sono ovunque conflittuali. Ancor più difficile pensare ad un secondo tempo in cui la Moratti vinca il ballottaggio: della serie il Real che recupera tre gol da Barca…

Questi i fatti emersi dalle urne. Passando ai commenti, la mia opinione è che la vittoria della Ilda sia molto preoccupante, radicalmente diversa da una vittoria di Bersani, del centrosinistra, che avrebbe cambiato poco nulla. Come poco nulla è sempre cammbiato nel doppio passaggio dai governi Berlusconi ai governi Prodi o D’Alema.
Qui è diverso perchè con la Bocassini, con De Magistris vince quel potere giudiziario che non è soggetto ad alcun controllo democratico da parte dei cittadini elettori. Un potere che già ha dimostrato tante volte la tendenza a debordare e che più che mai adesso di riterrà legittimato a farlo.
Ultima piccola, paradossale notazione: anche il vincitore formale di Milano è un garantista. Anzi un ultragarantista: Giuliano Pisapia, da deputato di rifondazione comunista, votava infatti le leggi di Berlusconi. Perchè chi ha provato, come lui, sulla propria pelle le unghiate del potere giudiziario, non può che diventare un garantista a vita.

L’IMAM PUO’ DIRE CIO’ CHE VUOLE

 

C’è chi sostiene (esagerando?) che vige una sorta di razzismo alla rovescia, a vantaggio degli stranieri e a discapito dei nativi.

Diciamo che loro, gli stranieri, godono di alcuni privilegi. Di una sorta di impunità (che siano figli del Berlusca?) di cui noi non godiamo. Lo dimostrano le affermazioni Ali Abu Shwaima.

Sto parlando dell’imam della moschea di Segrate che è, dopo quella di Roma, la seconda moschea italiana per importanza.

Segrate cioè Milano dove, come sappiamo, si vota il prossimo fine settimana. Ed è il test più importante, decisivo per stabilire chi ha vinto e chi ha perso la prossima tornata amministrativa, dall’evidente valenza politica.

A Milano c’è una forte comunità mussulmana, che vota e che l’imam ha deciso di schiarare. Schierarla a sinistra perchè – sono sue parole – “è lì che troviamo posizioni più vicine ai nostri ideali”. Perfetto. Anche se già rischierrebbe il rogo un prete cattolico che osasse schierare apertamente i suoi fedeli a sinistra a destra o perfino al centro.

Ma clamoroso é l’ulteriore distinguo, all’interno della sinistra, che fa Ali Abu Shwaima: “ I mussulmani di Milano – sostiene – non devono votare la lista di Sinistra ecologia e libertà perchè il suo leader Nichi Vendola, in quanto omosessuale, ha una condotta che non va d’accordo con l’etica islamica”. Capito? L’imam dice di non votare Vendola perchè è un frocione!…

Non voglio pensare cosa sarebbe successo se l’avesse detto Tettamanzi. Anche perchè l’arcivescovo di Milano non l’avrebbe mai detto. Da campione del politicamente corretto, Tettamanzi avrebbe sostenuto l’esatto contrario: votiamo Vendola contro l’indegna decriminazione che colpisce i gay! E avrebbe aggiunto le scuse a nome della Chiesa ambrosiana…

Ma nemmeno l’ultimo pretino, il parroco di una frazione sperduta dei Lessini , avrebbe osato sostenere che non si vota Sel perchè Vendola “ha una condotta che non va d’accordo con l’etica cristiana”. Sarebbe infatti insorto lo sdegno nazionale. E il pretino avrebbe rischiato una denuncia per omofobia, per istigazione all’odio nei confronti degli omosessuali.

L’imam di Segrate invece può dirlo e non succede nulla. Nel senso che tutti fanno finta di non accorgersi. Anzi compiono la contorsione più paradossale: nel nome del rispetto per il diverso – che in questo caso sarebbe l’islam – lasciano che vengano oltraggiati quelli che erano i “diversi” per antonomasia, cioè i gay.

A noi italiani è vietato anche chiamarli “diversi” – e sia chiaro che sto usando le virgolette – mentre l’imam può trattarli da diversi, addirittura arrivando a discriminarli nel seggio elettorale.

(E auguriamoci che non ci siano né gay né lesbiche tra le toghe milanesi, che altrimenti l’imam di Segrate le scomunica…)