SE OSAMA BEVEVA COCA COLA

 Le prime pagine continuano ad essere piene di notizie sull’uccisione di Bin Laden: manca il corpo, il presidente Usa non mostra le foto, lo hanno prima bloccato – dice la figlioletta – e poi ucciso a sangue freddo. Tutte notizie superflue, secondarie; a meno che non servano a dimostrare un preciso teorema: l’America di Obama è crudele tale quale l’Al Qaeda di Osama; tra il terrorismo islamico e l’imperialismo americano difficile dire quale sia il male peggiore.

Se vogliamo è già un passo avanti rispetto ai tempi del Vietnam, quando il male erano gli invasori americani e il bene invece gli altri invasori cioè i comunisti nordvietnamiti. Non ci commuoviamo per lo zio Bin come facevamo per lo “zio Ho” (Ci Min), ma la logica resta la stessa: antiamericanismo da strapazzo.

Così le notizie interessanti vengono confinate nelle pagine interne. Come quella che leggo su una colonna in fondo a pagina 6 del Corriere: “Ordinava casse di Coca Cola”. Raccontano i negozianti pakistani di Abbottabad che Bin Laden e il suo enturage erano consumatori abituali proprio della bevanda Usa per eccellenza.

Sacrosanto aver eliminato lo sceicco del terrore, sia chiaro. Ma viene da pensare che Osama avebbe perso comunque. Perchè è difficile pensare che vai alla Jihad, e che la vinci, bevendo Coca Cola… Come è improbabile che un amante degli hamburger Mc Donald’s diventi monaco eremita a Camaldoli.

L’assunto di Feuerbach “l’uomo è ciò che mangia” contiene un fondo di verità. Fondo che si amplia se lo trasformiano in “l’uomo è ciò che consuma”: beni materiali e immateriali come nuovi costumi, abitudini sociali, emancipazione femminile etc. E’ questo il tanto vituperato “consumismo”, su modello americano, che si è diffuso in tutto l’Occidente e l’ha permeato cambiandolo radicalmente.

Vituperato, ma è lui, il consumismo, che ha messo in crisi la Chiesa cattolica e ha messo in ginocchio il mondo comunista. Si è ripetuto anche ora, in occasione della beatificazione, che Wojtyla avrebbe fatto crollare il comunismo. Il Papa polacco avrà dato un contributo. Ma desisiva è stata la comunicazione, la televisione satellitare che non poteva essere criptata, e che ha mostrato appunto i consumi, il tenore di vita, le libertà del mondo Occidentale: questo ha spinto i cittadini alla rivolta e fatto implodere i regimi dell’Europa dell’Est.

Magari ad essere un po’ ottimisti, si può pensare che lo stesso stia accadendo nel mondo arabo; dove un ruolo decisivo lo gioca proprio la nuova comunicazione sulla rete. Di certo le piazze di Tunisi, del Cairo, di Damasco non hanno chiesto più moschea, ma se mai più Coca Cola: vogliono cioè più consumi, più benessere, più libertà; non più fanatismo religioso né sembrano attratti dalla guerra santa.

Non abbiamo visto bandiere americane bruciate durante queste rivolte popolari. Continuamo a bruciarle solo noi sulle prime pagine dei nostri giornali, dove si tenta di dimostrare che l’imperialismo di Obama vale il terrorismo di Osama. Mentre le notizie interessanti le confiniamo all’interno.

 

TUNISINI ALL’ASSALTO DEI CARABINIERI

 La pattuglia dei carabinieri arriva a sirena spiegate chiamata dalla padrona di casa che ha sorpreso due tunisini a rubare nella sua abitazione. E a questo punto succede l’impensabile: i due stranieri – uno dei quali munito di permesso di soggiorno provvisorio a scopo umanitario! – invece che scappare o arrendersi ai tutori dell’ordine, impugnano l’uno un coltello l’altro un bastone e cominciano ad aggredire i militi, vanno all’assalto dei malcapitati che si salvano solo grazie all’arrivo dei rinforzi.

Come se niente fosse, guardie e ladri si scambiano i ruoli! Ascoltare – per credere – nel sito del nostro Tg Padova il racconto di un allibito comandante della compagnia dei carabinieri patavini.

Credo che in Germania o in Francia cose del genere siano impensabili, per un motivo semplice quanto brutale: quei due, una volta portati in caserma, verrebbero pestati ad libitum. La voce circola e i prossimi immigrati ladri sorpresi in flagrante o scappano a gambe levate o si consegnano educatamente ai flic o alla Polizei.

Soluzione impraticabile nelle nostre caserme, anche perchè la notizia del pestaggio rischierebbe di trapelare. Per fortuna, aggiungo. Per fortuna che non siamo così incivili da pestare (salvo rare eccezzioni…) un arrestato. Ma il giusto prezzo pagato alla civiltà non può andare a scapito delle sicurezza dei cittadini e nemmeno significare che il tutore dell’ordine è in balia del criminale straniero o anche italiano (E’ appena successo che una pattuglia di cc sia stata presa a sprangate da un gruppo di nostri ragazzotti reduci dal rave party). Perchè se è così la civiltà diventa “civiltà” tra virgolette…

Andrebbe tenuta presente la differenza fondamentale: si tratta sempre di violenza, ma i tutori dell’ordine la esercitano in nome dello Stato e a difesa dei cittadini, mentre i delinquenti la esercitano per il loro tornaconto criminale e in offesa ai cittadini.

Esiste comunque un’alternativa precisa. Tradizionalmente è quella del poliziotto inglese che gira disarmato. E può farlo perchè tutti sanno che chi tocca il bobby muore, nel senso che finisce diritto in galera per anni. Da noi, piuttosto, succede il contrario: cioè che finisce in galera il poliziotto che tocca il criminale, che carica il no global, che si difende.

Da noi il carabiniere non può sparare – Placanica insegna – nemmeno se stanno per spaccargli la testa con l’estintore…

Insomma sia molto, troppo più “civili” tanto dei tedeschi quanto degli inglesi. Anche se il risultato finale non è tanto confortante: i cittadini restano in balia dei criminali, i tunisini non esitano ad andare all’assalto dei carabinieri, ed i numeri diventano relativi. Nel senso che non ne servono mille e nemmeno cento, bastano due tunisini per mostrare che…il re è nudo.



IL CLANDESTINO SGUAZZA NELLO SCONTRO

 

 

Nello scontro tra poteri il clandestino ci sguazza. Nello scontro quotidiano tra potere politico e quello che – Costituzione alla mano – si chiama “ordinamento giudiziario”, ma che è diventato invece il potere giudiziario.

Il ministro Maroni accusa la corte di giustizia della Ue di non essere intervenuta contro quel reato di clandestinità che pure è vigente anche in Francia, Germania e Gran Bretagna. Vero. Ma dimentica, Maroni, che la corte Ue non si è mossa per un semplicissimo motivo: che nessun magistrato francese, tedesco o inglese invoca interventi sanzionatori contro le leggi del proprio Paese. Mentre pm e giudici italiani lo fanno abitualmente: tant’è che non si contano i ricorsi presentati alla corte europea contro il decreto sicurezza.

Sul tema dell’immigrazione, dove Berlusconi non c’entra perchè le iniziative legislative sono propugnate dalla Lega, è evidente come il problema dello scontro tra poteri è grave, radicato e prescinde dalla supposta pretesa di impunità del premier. In sintesi: anche se non ci sono leggi “ad Silvium”, le avanguardie più engagée delle toghe vanno comunque al contrasto del potere legislativo.

Teniamo ben presenti che i codici sono esattamente come le sacre scritture: ci trovi tutto e il contrario di tutto; se vuoi la pace ci trovi l’invito a “porgere l’altra guancia”, se vuoi la guerra ti ricordi che sta scritto “occhio per occhio, dente per dente”. Quindi conta la tua scelta, quello che tu vuoi; dopo di che vai a cercare il conforto dei sacri testi o dei “sacri” codici.

Oggi è palese la volontà delle avanguardie togate di porsi come contraltare al governo di centrodestra. E non è nemmeno questione di centrodestra. Perchè la stessa tendenza si è manifestata (anche se meno corale) nei confronti dei governi di centrosinistra. E’ la battaglia per il potere.

L’esigenza dell’autonomia tra poteri non va confusa e nemmeno sovrapposta, all’esigenza della sintonia tra poteri. Perchè solo così, solo con la sintonia, uno Stato può sperare di funzionare.

Diamo per buono che le leggi con cui il centrodestra cerca di governare l’immigrazione siano leggi tutt’altro che perfette, anzi molto carenti. Ma il sabotaggio costante da parte di chi sarebbe chiamato ad applicarle, le rende catastrofiche. In nessun altro Paese europeo l’immmigrazione viene affrontata all’insegna dello scontro tra potere legislativo e magistratura. (Se Sarkozy ordina di fermare i tunisini a Ventimiglia, nessuna toga francese osa appellarsi alla corte Ue)

Perchè lo scontro è utile solo ai clandestini, che infatti qui da noi ci sguazzano liberi e impuniti.

Ricordiamo, per concludere, che non c’è Costituzione, non c’è trattato di democrazia che affermi che deve essere il potere legislativo a mettersi in sitonia con quello giudiziario. Perchè non si può delirare al punto di dire che il governo di un Paese spetta ai vincitori di un concorso pubblico e non agli eletti dal popolo sovrano.


IL MIRACOLO PASQUALE DI SILVIO

 

C’è una Liberazione remota: quella concretizzatasi 66 anni fa con la sconfitta dei nazifascisti. Ed una Liberazione attuale, che negli auspici dell’opposizione dovrebbe concretizzartsi al più presto: la liberazione da Berlusconi.

Tra i primi a cantare “Per fortuna che Silvio c’è” dovrebbero essere quelli dell’Anpi. Perchè, se non ci fosse lui, non esisterebbe più nemmeno l’Associazione nazionale partigiani d’Italia (vivificata nelle iscrizioni da stuoli di giovani che sognano la liberazione dal Berlusca) e la festa del 25 Aprile verrebbe celebrata da uno sparuto drappello di reduci in estinzione anagrafica.

Invece la celebrazione, come abbiamo visto ieri, resta viva, vibrante e partecipata per la divisione attualissima tra berlusconiani e antiberlusconiani; non certo per quella di 66 anni fa tra fascisti e antifascisti.

Mi fanno sorridere quelli che invocano una partecipazione educata e composta: come pretendere che si vada allo stadio senza nemmeno il piacere di fischiare gli avversari e applaudire la propria squadra. Così a chi ieri ha rinunciato alla gita fuori porta, scegliendo di partecipare alle celebrazioni, minimo va lasciata la soddisfazione di fischiare la Moratti e inveire contro il ducetto di Arcore. Il quale però – non dimentichiamolo – ha appunto compiuto il miracolo pasquale facendo risorgere il 25 Aprile.

Trattasi di seconda resurrezione. Nel dopoguerra infatti lo stile ovattato del governo democristiano aveva messo la sordina alla festa della Liberazione, ridotta a ricordo per pochi intimi già nei primi Anni Sessanta. Poi arrivò la presidenza Saragat e la prima resurrezione, grazie all’inquilino del Quirinale che concludeva ogni discorso al grido: “Viva l’Italia, viva la Resistenza!”. E così gli italiani, anche i tanti distratti e impegnati a migliorare il proprio reddito, si ricordarono appunto che c’era stata la Resistenza.

Grazie a Saragat, al ’68 e alla “strategia della tensione”, l’antifascismo trovò nuovo alimento. Anche se la figura del Duce, del nemico, restava un po’ indistinta e oscillante: da Fanfani, ai servizi deviati a Junior Valerio Borghese coi suoi forestali golpisti.

La partecipazione popolare non è comunque mai stata paragonabile a quella per il 4 Novembre e la vittoria della prima guerra mondiale che – anzitutto per il numero spropositato delle vittime – aveva letteralmente coinvolto l’intero Paese in ogni sua città, cittadina e comunello. Diverso l’impatto della seconda guerra mondiale e ancor più della Resistenza che è sempre rimasta un evento controverso.

Controverso anche per gli scrittori che l’hanno vissuta e raccontata (più che celebrata): da Cassola con “La ragazza di Bube” al “sentiero dei nidi di Ragno” di Calvino, al Fenoglio di “Una questione privata” fino a “Uomini e no” di Elio Vittorini. Tutti romanzi scevri dalle farciture retoriche, dove i partigiani sono uomini e non Arcangeli del Bene…

Comunque sia anche la riscoperta del 25 Aprile stava esaurendosi agli albori del “Ventennio berlusconiano” quando è arrivato lui, l’uomo della Provvidenza per l’Anpi. La perfetta incarnazione politica del Male, capace di suscitare i più convinti furori resistenziali.

Con un solo momento di panico: Onna, 25 Aprile del 2009, quando Silvio partecipò ai festeggiamenti. Della serie Mussolini che inneggia a Piazzale Loreto!… Grande fu lo sconcerto tra il popolo dei neo resistenti, che oggi (ieri) hanno potuto tranquillizarsi ed inveire contro un Berlusconi che ha scelto di restare a Villa Certosa snobbando la festa.


 

IMMIGRATI TUNISINI E AUSTRIACI

 Ci sono i tunisini e anche gli austriaci, dei quali parleremo tra un attimo.

Ma cominciamo dai tunisini che tanto allarme stanno suscitando con il loro arrivo in Veneto. E dire che ne arrivano ben pochi, paragonati a quelli che vivono stabilmente a Mazara del Vallo. Infatti in questa cittadine di 60 mila abitanti della Sicilia Occidentale (dove sono stato lo scorso fine settimana), che è il primo porto peschereccio del Mediterraneo, ce ne sono 6 mila. Che diventano 10 mila contando gli altri stranieri provenienti dall’area del Maghreb.

Come possibile che 6 mila tunisini a Mazara non creino neppure lontanamente l’allarme e l’apprensione che creano qualche centinaia di loro in tutto il Veneto? Anzitutto perchè là non si sentono, nel senso che non sono protagonisti nel mondo della criminalità. Non che non ci siano spacciatori anche a Mazara; ma la larghissima maggioranza dei tunisini lavorano sui pescherecci, abitano la casbah nel cuore della città. Sanno che se dovessero rubare o stuprare incorrerebbero in una “giustizia” molto più celere e rigorosa di quella dei tribunali italiani.

C’è un ferreo controllo sociale. Non possiamo dire che lo garantisce la mafia. E quindi diciamo che lo garantisce la società siciliana…

Ma non è neppure questo l’aspetto decisivo. Dicevo che i tunisini abitano nella casbah. E tutti a Mazara la chiamano così, la casbah. Mentre da noi un simile epiteto, usato per indicare il quartiere degli immigrati, verrebbe tacciato di razzismo.

A Mazara no, perchè la casbah esiste da secoli, come ad Algeri, come a Tunisi. Ed è questa la differenza fondamentale (rispetto al Veneto): che i rapporti di Mazara (e della Sicilia in genere) con il mondo arabo sono rapporti secolari; divenuti stili di vita, se non proprio condivisi, certo ben conosciuti. Non c’è stato un impatto con il “diverso”, con l’ondata dell’immigrazione, perchè tunisini e maghrebini ci sono da sempre. E da sempre i mazaresi sanno come usarli e come fronteggiarli.

Mazara è una città viva, con luci suoni e voci che ti accompagnano per tutta la notte. Mi raccontano che d’estate si addormenta all’alba. Non come Mauterndorf, la cittadina vicino a Salisburgo dove sono andato in vacanza anni fa. La prima sera stavo chiacchierando con alcuni amici in un bar, poco dopo le 21: siamo stati interrotti dalla polizia, chiamata dagli austriaci che abitavano di fronte al bar, e accusati di disturbare la quiete pubblica…

Vogliamo far conoscere anche ai mazaresi l’impatto con l’immigrazione? lo scontro di civiltà? Le difficoltà della convivenza? Basta mandargli non dico 6 mila austriaci, ne bastano seicento o forse anche sessanta! Proprio come bastano 60 tunisini ad allarmarci, mentre 6 mila austriaci a Verona o a Padova nemmeno ci accorgeremmo se ci fossero.

Perchè noi abbiamo rapporti secolari con il mondo germanico, lo conosciamo e lo sentiamo “nostro”. Come i piemontesi con quello francese, i pugliesi con l’Albania e la Sicilia Occidentale, appunto, con il mondo arabo.

Più che domandarsi come facciano a convivere nello stesso Paese realtà storiche, culturali, civili tutte rispettabili eppure diversissime. Più che domandarci questo, dovremmo smettere di credere alla barzelletta che possa avvenire applicando in ogni territorio le stesse leggi, le stesse regole, gli stessi ordinamenti. Perchè la sola cosa certa ed evidente è questa: la Legge di Mazara non è quella di Padova né quella di Verona.

SE 26 MILA VI SEMBRAN POCHI

“Se otto ore vi sembran poche\ provate voi e lavorare\ e capirete la differenza\ tra lavorare e comandare”. Così cantavano all’inizio del secolo scorso, rivolti ai padroni, i sindacati che si battevano per ottenere la settimana lavorativa di 48 ore (8 ore al giorno per sei giorni la settimana).

“Se 26 mila tunisini vi sembrano pochi, provate a prenderveli a Parigi o a Berlino o a Bruxelles, e capirete la differenza tra predicare e praticare la convivenza con i clandestini”. Così potremmo cantarla oggi ai nostri “padroni” della Ue, secondo i quali i migranti arrivati fin’ora sono troppo pochi per poter derogare a Schengen e aprire le frontiere. (L’emergenza umanitaria quando scatta? A centomila? A un milione? A dieci milioni di sbarchi? E se l’Italia va già in crisi con 26 mila cosa deve fare? Suicidarsi?…)

Ma per cantargliela bisognerebbe non avere timori reverenziali e, soprattutto, bisognerebbe avere un reale potere contrattuale e la determinazione ad utilizzarlo. Sembra infatti del tutto inutile andare ad un negoziato europeo chiedendo comprensione e aiuto. Perché si tratta, e si ottiene qualcosa, solo se hai la forza (delle minacce) per ottenerlo.

Siamo per quantità, dopo Germania e Francia, il terzo Paese per contributi versati al fondo comune della cassa europea. Mentre siamo in fondo alla classifica quanto ad erogazione dei fondi dalla stessa cassa comune. (Per capirci, un po’ come i veneti che pagano molte tasse allo stato centrale e ricevono ben pochi trasferimenti…). Minacciare la sospensione di questa contribuzione parrebbe una misura molto efficace e persuasiva.

Ma possiamo permetterci una simile minaccia o sarebbe troppo rischioso? Non lo so. Ma direi che il governo avrebbe il dovere di spiegarcelo.

Intanto il Corriere ci racconta che in Tunisia fino a ieri c’era il business del turismo e che oggi, sulle stesse coste, è stato sostituito dal business degli scafisti: 20 milioni di euro guadagnati in tre mesi traghettando 18 mila migranti.

Difficile non pensare che, se avessimo fermato e rispedito indietro le prime dieci carrette, il business sarebbe saltato e l’esodo verso le nostre coste sarebbe stato bloccato.

Berlusconi e Bossi potevano e dovevano permetterselo. Anche se i “padroni” europei (che oggi chiudono le loro frontiere) li avrebbero accusati di essere disumani e razzisti; anche se l’opposizione italiana avrebbe detto altrettanto. Ma i cittadini elettori (della stessa sinistra) si sarebbero spellati le mani dagli applausi.


VINCE MARONI, L’ITALIANO

 

 

Di fronte all’emergenza dei clandestini tunisini sta passando la linea Maroni. Mi vien da dire che vince Maroni, l’italiano. Nel senso che è lui il più consapevole che siamo il Paese che siamo, che è inutile scambiare i sogni con la realtà. E l’unica realtà possibile, l’unica soluzione all’italiana, è appunto quella che il ministro degli interni predica da tempo e che oggi è stata accetta: diamo permessi di soggiorno temporanei e speriamo che servano per farne andare la gran parte in Francia.

Capisco che le soluzioni serie dovevano essere altre ed essere prese a monte. Cominciando da un blocco navale che fermasse all’origine l’esodo verso le nostre coste. Ma – anche ammesso di avere una marina militare capace di attuarlo – facciamo finta di non sapere quale sarebbe stata la reazione delle Caritas e dell’esercito di solidaristi (a costo zero)?

Ci vuole tanto ad immaginare le loro grida di sdegno e di dolore? “Siete barbari, siete crudeli! Sono dei poveri disperati, dobbiamo accoglierli! Ma come si fa a rispedirli indietro verso morte certa!?”. Non si è mai visto nella storia una marina militare impegnata a soccorrere in mare gli invasori, invece che a respingerli…E, non ostante questo, se qualche barcone fa naufragio sembra che sia colpa nostra e non delle mafie tunisine, non dei mercanti di morte, che li sbattono in mare su carrette decrepite e strapiene.

Sarebbe giusto, serio e ragionevole attuare il blocco navale. Ma è impensabile perché siamo l’Italia.

Sarebbe giusto serio e ragionevole riunire i clandestini – gli invasori, chiamiamoli con il loro vero nome! – che sono sbarcati illegalmente sulle nostre coste; riunirli in luoghi chiusi e vigilati per poterli identificare ed espellere. Invece scappano via, non solo dalle tendopoli di Manduria ma anche dai centri di identificazione ed espulsione. Basti vedere com’è ridotto l’unico Cie del triveneto, quello di Gradisca: distrutto e sbrindellato dai clandestini impuniti.

E cosa dovrebbero fare i poliziotti? Usare il manganello, ricorrere alla forza, intimare l’alt e sparare, in un Paese – Genova insegna – che è pronto a processarli in tribunale e sulle pagine dei giornali progressisti? I nostri tutori dell’ordine non sono né scemi né eroi, e quindi si voltano dall’altra parte e lasciano mano libera ai delinquenti stranieri che sciamano via.

Può piacere oppure no, ma questa è l’Italia in cui si trova ad operare il ministro degli Interni. E cosa deve fare il buon Maroni? Immaginarsi il Paese che non c’è? Lanciare i vani proclami di certi proto-leghisti “Nessun clandestino al Nord, nessuno in Veneto!” (Che tanto, come ha spiegato Flavio Tosi, ci vengono comunque attirati dal tessuto socioeconomico anche se non fai le tendopoli…).

I tunisini sono arrivati perchè non puoi fare il blocco navale. Una volta arrivati vanno dove vogliono perché non puoi né contenerli né vigilarli. Quindi non resta che facilitare l’esodo verso il loro approdo preferito: dando a tutti un bel permesso di soggiorno temporaneo e sperando che tutti o quasi se ne vadano al più presto in Francia.

Sarà una soluzione all’italiana; ma siamo in Italia, appunto, e pensare a soluzioni diverse è solo velleitario.

 

IMMIGRAZIONE GESTITA DA TOTO’

 Viene un dubbio: ma è la realtà quella che vedo oppure sto assistendo ad un film di Totò? Dubbio legittimato dal fatto che un fenomeno epocale e complesso come quello dell’immigrazione continua ad essere gestito alla Totò. E, se c’è un Totò italiano, che chiamiamo Berlusconi o Maroni, sia chiaro che n’è anche uno francese che risponde al nome di Nocolas Sarkozy.

La situazione l’ha fotografata Avvenire, il quotidiano dei vescovi, con il titolo di oggi in prima pagina: “Migra anche l’emergenza”. Sintesi perfetta: invece di provare a fronteggiare prima e risolvere poi l’emergenza, ci limitiamo a spostarla. A Farla migrare da Lampedusa a Manduria a Mineo a Ventimiglia a Trieste, nei vari siti dove stiamo allestendo tendopoli.

La “strategia” dei Totò italiani è quella messa in atto a Manduria, dove due terzi dei tunisini sono già sciamati via dalla tendopoli: lasciarne scappare il più possibile sperando che migrino spontaneamente all’estero, cioè in Francia. (Magari è l’unica strategia possibile per il Paese di Totò: dovessimo identificarli uno a uno, per distinguere i clandestini dai profughi, ci vorrebbero mesi ed anni. Probabilmente dovremmo assumere un paio di pubblici dipendenti per ogni immigrato per sbrigare le pratiche…Quindi meglio lasciar perdere…Il che non toglie che sia una strategia da Totò)

Se non che ci troviamo a fare i conti con i Totò di Sarkozy, ossia con quei poliziotti francesi che si inventano ogni pretesto per rispedire a Ventimiglia i tunisini che cercano di passare il confine. Ogni pretesto: nel senso che se non trovano la prova – biglietto ferroviario o scontrino di un bar – che provengono dall’Italia, sono loro, i flic, a mettergliela in tasca per poterli rispedire indietro.

Ma anche questa di Sarkozy è una strategia da Totò: perchè in un modo o nell’altro alla fine i tunisini passano, e anche la Fancia si troverà in emergenza.

Quando straripa un fiume, anzitutto costruisci un nuovo argine per fermare le acque; e solo dopo pensi con calma alle misure strutturali per evitare che la catastrofe si ripeta. Così oggi – altro che bombardare la Libia, col solo effetto di far crollare anche quell’argine! – Francia, Italia e Spagna dovrebbero di comune accordo schierare le flotte per fermare anzitutto l’ondata di piena che arriva dalla Quarta Sponda. Aspettare che si stabilizzino i governi dei Paesi nord africani, e poi ragionare sulle misure strutturali da adottare.

Invece la gestione è lasciata in mano a Totò, con l’unico risultato che “Migra anche l’emergenza”.


FUORI DALLE BALLE? BEATI LORO…

 

 

E’ evidente che, anche senza l’invito o la minaccia di Bossi, la larghissima maggioranza dei tunisini sarebbe ben felice di andarsene fuori dalle balle. Il problema non è certo il leader della Lega: è la polizia francese che li blocca a Ventimiglia. Ma un po’ alla volta riusciranno ad andarci.

E il discorso non riguarda solo i tunisini, perchè sono francofoni e hanno già tanti parenti in Francia, riguarda un po’ tutti gli immigrati: tutti o quasi ben contenti di andarsene fuori dalle balle, mentre solo una modesta minoranza sceglie di restare nel nostro Paese.

Lo certificano le richieste d’asilo del 2010 (dati Eurostat): 50 mila per la Francia, 48.500 per la Germania, 31.900 per la Svezia, 23.700 per il Regno Unito. Perfino piccoli Paesi come Belgio (26.100), Olanda (15.100) e Austria (11.100) hanno più domande d’asilo dell’Italia (10.100).

Il libero mercato dell’immigrazione ci boccia. Nel senso che magari vengono volentieri in Italia i delinquenti, agevolati da una giustizia che funzione come funziona. Ma gli immigrati seri, quelli intenzionati a costruire un futuro per se e i loro figli, se appena possono scelgono Paesi più seri, meglio strutturati, che offrono migliori opportunità.

Paesi dove non vigono le caste, le corporazioni, le liste d’attesa (precari) al posto della meritocrazia. Paesi non soffocati dalla burocrazia dove – tanto per dirne una – non occorre rivolgersi ad apposite società che ti facciano le mille pratiche necessarie anche per installare tre pannelli solari.

Gli immigrati se ne vanno fuori dalle balle, beati loro. Dannati noi che per pigrizia, per l’età, per i legami delle nostre radici, siamo condannati a restare; o non abbiamo il coraggio di andare fuori dalle balle dell’Italia.


CULTURA, BENZINA E TASSA DI SCOPO

 

 

Non resta che sperare che le prossime elezioni le vinca Berlusconi. Perché abbiamo questo infame governo Prodi che continua ad aumentare le tasse, che ci mette le mani in tasca anche al distributore per finanziare la cultura: sono così questi sinistri, loro hanno la mania della cultura…Dite che non è così? Che Berlusconi è lui che governa e che aumenta le tasse rimangiandosi tutte le promesse fatte di tagliarle con l’accetta (aliquota massima 33%)? Non posso crederci…

Non posso nemmeno credere che la Fiat sia passata invano, che non abbiamo preso atto di come i finanziamenti pubblici servano solo a garantire prodotti scadenti: come la Duna, appunto. Mentre ora Marchionne è costretto a stare sul mercato cioè a produrre auto con un accettabile rapporto qualità-prezzo (se vuole venderle).

Stessa cosa per il cinema italiano. Dovesse produrre film che minimo ripagano i costi al botteghino, eviterebbe di fare quelle pellicole che sono solo pugnette d’elite. E che invece si permette di fare perché può contare, appunto, sui finanziamenti pubblici.

Il cinema americano domina il mercato mondiale perché non ha mai saputo cosa sia un contributo a fondo perduto.

Altro esempio quello del fotovoltaico. Avesse camminato solo sulle proprie gambe, avrebbe prodotto pannelli meno osceni sotto il profilo estetico e di sicura efficacia nel generare energia solare. Che altrimenti l’utente non li avrebbe comperati. Invece all’utente sono stati regalati, grazie ai contributi pubblici; e cosi ci siamo portati a casa quelle mostruosità poste sui tetti la cui efficacia nella produzione di energia nessuno si è nemmeno preoccupato di verificare (a caval donato…). Per non parlare dei posti di lavoro drogati e degli addetti che ora, finita la pacchia del contributo, si ritrovano a spasso.

Dalla Fiat, ai pannelli, alla cultura, ai film, al contributo sagre: il finanziamento pubblico serve solo a garantire prodotti scadenti.

Ma la rivolta dei cittadini, per questo paio di centesimi in più di accise sulla benzina, dovrebbe far disperare gli pseudo federalisti e fa invece ben sperare i liberali. E’ infatti un’anticipazione della tassa di scopo: paghi in più la benzina perchè così aiuti la cultura; e tutti (o quasi) a rispondere col gesto dell’ombrello, a mandare al diavolo Tremonti e Berlusconi.

Speriamo sia un’inversione di tendenza. Perché fin’ora le tasse erano un calderone indistinto, a fronte del quale il cittadino era portato a domandare sempre nuovi servizi e interventi non avendo chiaro il rapporto costo-esborso. Ma se, con la tassa di scopo, il sindaco – ad esempio – andrà a domandargli dei soldi in più allo scopo di sistemargli il marciapiede, c’è la speranza che il cittadino risponda: no grazie, i soldi non te li do, mi tengo il marciapiede così com’è o me lo sistemo io che spendo la metà del Comune.