IL “SERVIZIETTO” DI SAVIANO A FINI

 

Chi più di Emilio Fede incarna, agli occhi del popolo di sinistra, la figura del giullare di destra? Pronto a tutto pur di compiacere e servire il suo padrone. Eppure nemmeno Fede il fedele è arrivato al punto di dimostrare affetto e dedizione prendendo in braccio Berlusconi; né il Cavaliere si è sognato di lasciarlo fare.

Per vedere una scena del genere bisogna spostarsi sull’altro campo, applicare la par condicio del cortigiano, andare ai primi anni Ottanta: ed eccolo là Roberto Benigni che prende in braccio Enrico Berlinguer; con il leader del Pci che, sorridente, lo lascia fare. Una scena simpatica, l’esuberanza festosa di un grande attore: così venne commentato allora quell’abbraccio; non ci fu una critica che fosse una.

Vi pare che oggi saremmo altrettanto indulgenti se Silvio si facesse prendere in braccio da un qualunque artista di gran fama? O non accuseremo subito quell’artista di essersi prestato ad un “servizietto” del genere che la nota stagista garantiva a Bill Clinton?

Certi “servizietti” sono anzitutto ridicoli sia che li pratichino artisti, giornalisti, scrittori o cantanti (ricordate Gianni Morandi che canta in prima serata su Rai uno “C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e Rolling Stones” accompagnato dall’allora capo del governo Massimo D’Alema?). Ma più ridicolo ancora è chiamarli col loro nome, cioè pompini, quando avvengono a beneficio di un politico di destra, e chiamarli invece “contributi culturali” quando sono a beneficio di un politico di sinistra.

Premessa lunghetta per concludere che l’invito fatto a Bersani e Fini questa sera da Fazio e Saviano – con tutta la buona volontà – non può essere considerato un “contributo culturale” alla loro trasmissione su Rai tre.

 





ARRIVANO I SOLDI, NON LA LIBERTA’

 

Con Berlusconi e Bossi in Veneto sono arrivati i soldi. Non si ancora bene quanti, ed è impossibile saperlo finchè non saranno quantificati i danni comune per comune, ma sono arrivati. Magari non basteranno per far fronte a tutte le necessità, ma è certo che il governo in finanziaria farà uno stanziamento pro alluvionati veneti.

Sono arrivati i soldi, ma non è arrivata la libertà. La libertà cioè l’autonomia, il federalismo vero, quel Veneto alla catalana che pure poteva emergere dalle acque. Perchè la politica, i leader politici veri colgono al volo anche le occasioni che le tragedie offrono per imporre una svolta.

Ma devono, appunto, essere leader veri capaci di imporre una scelta. Di dire: noi veneti ci teniamo il primo acconto Irpef, Non di chiedere al governo centrale – come ha fatto Zaia – se è d’accordo che i veneti si tengano il versamento Irpef…Chiara la differenza? Vi pare che un Pujol sia andato a domandare a re Juan Carlos o al capo del governo spagnolo di allora se poteva rendere autonoma la Catalogna? Lo ha fatto è basta; li ha messi nelle condizioni di non poterla rifiutare.

Infatti Jordi Pujol era un leader. Mentre in Veneto abbiamo tanti bravi amministratori: ottimi sindaci, presidenti di provincia preparati, governatori capaci di realizzare grandi opere come il Passante o di gestire la sanità meglio che in altre regioni.

Però le grandi opere le facevano anche i provveditori della Serenissima Repubblica. Uno di loro, Andrea Memmio, realizzò a Padova il Prato della Valle, una delle più belle piazze d’Europa. Ma agiva agli ordini e per conto di quella che veniva chiamata “la Dominante”…

Eccolo il punto: un vero leader politico deve essere consapevole che nessuno lo domina, che non ha capi né ad Arcore né in via Bellerio. Che solo i veneti sono il suo capo. Anzi: che lo riconoscono come capo solo se è capace di imporre una svolta, cioè di tirarli fuori dall’attuale rapporto con lo Stato centrale che per loro è penalizzante.

La libertà, sia chiaro, non è fuffa. Sono anche soldi, anzi soldoni; molti più di quelli che oggi ci hanno promesso Berlusconi e Bossi. E’ la libertà di gestire le risorse che i veneti producono.




PER RESTARE DIVERSAMENTE ITALIANI

“I veneti, diversamente italiani”. E’ il titolo che ha fatto oggi Il Giornale sottolineando che, mentre a Terzigno e dintorni si continua ad inveire contro lo Stato, qui ci siamo già rimboccati le maniche e abbiano cominciato a spalare il fango dalle case, dai negozi, dai capannoni.

Leggendolo ho pensato: speriamo che sia così, che continuiamo ad essere diversamente italiani. La vergogna è che non puoi nemmeno dirlo, nemmeno sottolineare una realtà che è sotto gli occhi di tutti. Perché se lo fai rischi l’accusa di razzismo: ma come osate voi veneti, presuntuosi ed evasori, affermare di essere più seri dei napoletani? Non vorrete mica dire che avete anche più voglia di lavorare!?

Non si può dirlo, ma speriamo di restarci diversi dagli italiani di altre regioni. Io un timore ce l’ho: la voglia di lavorare, la grinta, l’impegno che vedevo da ragazzino, nel Veneto di oggi tendiamo a perderli. La serietà anche.

La Padania ha pubblicato i dati sulle truffe alle assicurazioni auto, sottolineando che al Sud siamo al 50% mentre in Veneto solo al 16%…C’è poco da star allegri e da compiacersi: quel 16% di veneti è una vergogna. E’ una vergogna che a Padova dipendenti della società parcheggi e/o ausiliari del traffico siano andati a rubare 280 mila euro svuotando le macchinette dei biglietti; speravo succedesse solo a Napoli…

L’assistenzialismo, la caccia la posto pubblico tende a farci diventare sempre meno diversamente italiani.

Sulla carta non fa una piega il ragionamento di Luca Zaia: un Veneto che ha dato tanto al resto d’Italia, che con il suo lavoro e le sue tasse ha aiutato tutte le catastrofi naturali altrui, oggi ha diritto a ricevere, ad ottenere dallo Stato quel miliardo di euro che gli consenta di risollevarsi. Sacrosanto il ragionamento del governatore; i soldi ci vogliono.

Eppure mi auguro che dallo Stato non arrivi nemmeno un centesimo. Zaia non faccia il…napoletano. Per lui e per la Lega la sfida è un’altra: metta in piedi un grande progetto veneto, coinvolga le nostre banche, mobiliti la società civile, spieghi ai veneti che conviene perfino pagare nuove tasse (regionali). Dimostri che sappiamo cavarcela da soli: perchè solo così avremo la garanzia di restare e diventare sempre più “diversamente italiani”.

SILVIO TRA ORGE E RICATTI

 Togliamo pure di mezzo quelle verifiche che sarebbero doverose, diamo per scontato che sia tutto vero e assodato ciò che racconta Ruby, la Noemi marocchina: nel dopo cena ad Arcore si fa il bunga bunga, solo lei vestita, tutte le altra donne nude e Berlusconi unico uomo presente. Conclusione: a Palazzo Chigi siede un vecchio satiro, un orgiastico eterossessuale (cioè interessato solo alle fanciulle e non anche ai fanciulli in fiore).

Sono abbastanza bacchettone per capire che tanti cittadini siano sdegnati e pensino che il vecchio satiro debba dimettersi da presidente del consiglio, dedicandosi così a tempo pieno al suo interesse preminente. Quando l’Italia era un Paese serio, quando Scalfaro schiaffeggiava le signore scollacciate, qualsiasi uomo politico sarebbe stato spazzato via al primo sentore di orge e festini.

Penso che il centrosinistra abbia ampia garanzia che Nichi Vendola sia un omosessuale, ma rigidamente monogamo, e che solo per questo possa accettare che governi la Puglia e partecipi alle primarie per designare il candidato premier. Che, se Nichi fosse anche lui orgiastico, varrebbero le stesse considerazioni fatte per Silvio. Magari la garanzia e l’assicurazione completa sulla monogamia gay potremmo averla solo se anche i dopo cena del governatore pugliese fossero resi di dominio pubblico come avviene per quelli del presidente del consiglio…

Aggiungo che sono bacchettone al punto di capire perfino quei cittadini che dovessero, non ostante tutto, preferire un eterosessuale orgiastico ad un omosessuale monogamo. Mica possiamo togliere il diritto di voto e di giudizio a chi non è politicamente corretto…

Comunque sia Repubblica (Giuseppe D’Avanzo) e Antonio Di Pietro non sono bacchettoni. Loro non sono come quei cittadini che pensano che Belusconi debba dimettersi perchè fa (farebbe) le orgie. Loro hanno il senso delle istituzioni. Per questo spiegano che il premier deve dimettersi perchè “è ricattabile”. Perchè – spiegano – è già successo con la D’Addario che donnine di facili costumi siano entrate a casa sua a fotografare e registrare: troppo materiale scottante che potrebbe, appunto, essere usato per un ricatto al capo del governo.

Questo ragionamento però non riesco proprio a seguirlo. Puoi infatti ricattare qualcuno solo se c’è di mezzo un segreto e gli dici: o mi paghi o lo rivelo. Ma vi pare che esistano ancora segreti sulla vita privata di Silvio che una Ruby o una D’Addario possano utilizzare come arma di ricatto? Direi proprio di no, sappiamo praticamente tutto. Ci manca solo una Monica che racconti se ce l’ha dritto come una spada o curvo come una scimitarra alla Bill Clinton…

E non ci sono segreti perchè Repubblica per prima ha messo in piazza tutto ma proprio tutto. Potremmo dire che proprio il quotidiano di Giuseppe D’Avanzo, grazie al suo giornalismo trasparente che nulla nasconde e tutto racconta, ha messo Berlusconi al riparo da qualunque possibile ricatto.

In conclusione non c’è alternativa: possiamo solo dire che Silvio deve andarsene perchè non accettiamo di avere un vecchio satiro al vertice di Palazzo Chigi; mentre non c’è spazio per i sepolcri imbiancati che si travestono da uomini delle istituzioni e si fingono angosciati all’idea che il premier sia ricattabile.

 

 



FINI “TASSA” BERLUSCONI

 

Fini “tassa”, anzi tartassa Berlusconi. Nel senso che il presidente della Camera appoggia qualunque iniziativa e proposta che metta in difficoltà il presidente del consiglio: dai distinguo sul lodo Alfano, all’ipotesi del governo tecnico in alternativa alle urne, fino all’aumento delle tasse sulle cosiddette rendite finanziarie. E’ una strategia chiara, limpida, lecita e trasparente. Auguri.

Ma se Fini è convinto di tassare – in senso letterale – Berlusconi e i Berlusconi, cioè i ricchi, portando dal 12 al 25% l’aliquota sui bot, questa è una pia illusione. Anzi è una balla colossale, che ha cominciato a raccontarci anni fa Bertinotti e che ogni tanto la sinistra vecchia e nuova (Fini?) ci ripropone.

Nemmeno Travaglio ci crede che aumentando la tassa sui bot colpiamo Berlusconi! Anzi proprio lui, Travaglio, ci spiega che i ricchi veri hanno stuoli di società off-shore e stuoli di consulenti che consentono di investire i loro capitali con ben altra remunerazione rispetto al misero 2% (scarso) garantito dai bot.

Siamo noi, noi cittadini comuni che quando abbiamo risparmiato 30-50-100 mila euro – dal momento che non facciamo i finanzieri di mestiere, ne possiamo pagare profumate consulenze – invece che tenere i soldi sotto il materasso, compriamo i titoli di Stato sperando almeno di compensare l’inflazione.

Ovviamente si può sostenere che è indispensabile aumentare le tasse; che bisogna far cassa perchè non siamo fuori dalla crisi e servono risorse aggiuntive per gli ammortizzatori sociali. Servono risorse per l’università , la ricerca, la cultura e per non ridimensionare l’armata del pubblico impiego. Anche questa è una strategia lecita e trasparente. Non si può però raccontare che le nuove tasse andiamo ad attingerle dalle tasche dei ricchi. No: è chiaro che andiamo a tosare ancora di più le solite pecorelle del ceto medio. Puniamo le famiglie che hanno avuto il torto di investire i loro risparmi in titoli di Stato.

E’ quel ben noto risparmio diffuso delle famiglie italiane che – a giudizio comune – ha impedito al nostro Paese di piombare nella ben più grave crisi finanziaria e bancaria che ha investito Stati Uniti, Gran Bretagna e altre nazioni. Un risparmio frutto del lavoro e sul quale sono già state pagate le tasse. E che non ha nulla a che vedere con la facile rendita finanziaria, contrapposta al sudore della fronte, di cui favoleggia la sinistra ottocentesca.

Tartassiamoli pure, come vuol fare anche Fini, i sottoscrittori di bot. Esasperiamoli a facciamo loro comprendere che tanto vale tenersi i soldi sotto il materasso, invece che usarli per salvare il Paese dalla bancarotta…Però, se dopo arriviamo al crack definitivo, almeno sia chiaro che la colpa non è del destino cinico e baro…

UN SINDACATO ROSSO PER SILVIO

 

Rossa, rossissima la Fiom, proprio come le bandiere che garrivano in piazza S.Giovanni. Eppure – sotto il profilo politico – viene da domandarsi se non sia “gialla”, cioè se non faccia il gioco di Silvio Berlusconi aiutandolo a mantenere una maggioranza di consensi e quindi la guida del Paese.

E’ una preoccupazione che hanno espresso sia Casini che i riformisti del Pd. Posto che sia la vasta area moderata di centro, nella sua oscillazione elettorale, ad aggiudicare la vittoria a questo o all’altro schieramento, al centrodestra o al centrosinistra, come reagirà quest’area allo spettacolo di sabato pomeriggio a Roma?

Casini, Enrico Letta, Bersani (?) e Rutelli temono che di fronte alle bandiere rosse al vento, a certe parole d’ordine vibranti, a slogans da scontro sociale anni Settanta, i moderati trovino più rassicurante il Cavaliere (non ostante la Lega). Forse lo teme lo stesso Epifani che, sulla scelta dello sciopero generale, è sembrato più costretto che convinto…

Non paga cavalcare il radicalismo sociale perchè non ti permette di arrivare a governare il Paese. (Così come, se l’obiettivo è quello di governare il Paese e non solo alcune grandi Regioni del Nord, non paga nemmeno cavalcare il radicalismo territoriale. Ed in questo senso sarebbe perdente la candidatura a premier di un leghista).

Casini, Letta, Rutelli, Bersani (?) vogliono appunto governare il Paese al posto di Berlusconi, e per questo avrebbero preferito che la Fiom non fosse scesa in piazza sabato scorso. Diverso è l’obiettivo di un Di Pietro, inimmaginabile in versione governativa, dunque proteso a conquistare più consensi possibile alzando più possibile i toni (la sua preoccupazione è che Grillo non lo scavalchi sui toni).

Diverso è l’obiettivo della stessa Fiom, che vuol diventare, che già è, la punta di diamante del sindacalismo più radicale. Naturale dunque che cavalchi lo scontento per la crisi, la disoccupazione e il declinante potere d’acquisto dei salari. Anche se, va aggiunto, può farlo per l’arretratezza culturale di una sinistra italiana lascia ancora credere a…Gesù bambino: cioè che esista un’alternativa (di lotta) all’accordo tra capitale e lavoro.

Ma queste sono già altre valutazioni. Restiamo al dunque, cioè al risultato politico della grande manifestazione di sabato a piazza S. Giovanni: è stato un colpo di maglio al governo Berlusconi o ha contribuito a tenere in sella un Cavaliere traballante?

 

BESTIE SERBE E POLIZIA “PACIFISTA”

 

E’ un po’ ridicolo prendersela con le bestie serbe per quanto accaduto a Marassi, o con le autorità serbe che avrebbero dovuto avvisarci che le bestie erano in arrivo. Un po’ come dire che i clandestini del centro di Cagliari dovevano avvisarci che stavano ribellandosi per la terza volta in dieci giorni e che avrebbero bloccato l’aeroporto…

In realtà non sappiamo fronteggiare emergenze robuste come quella di Genova e nemmeno piccole emergenze come quella di Cagliari.

Ogni volta ci facciamo sorprendere impreparati. Perfino se mandiamo una pattuglia in quel quartiere di Milano dove il tassista è stato massacrato: poliziotti aggrediti e messi in fuga come se fossimo a Scampia.

A Marassi facevano tenerezza quei tutori dell’ordine visti in eurovisione: raccogliticci, incerti, intimoriti, in “assetto da ufficio” (da impiegati) più che in assetto antisommossa; spettatori impotenti mentre le bestie serbe dominavano la scena. Capisco il telespettatore che ha chiamato dalla provincia veronese dicendo che non si sente più sicuro perchè non sa se c’è qualcuno che lo difende nel paese dove abita.

Dobbiamo però anche capire e ricordare che proprio Genova è “fatale” alle nostre forze dell’ordine. Ai loro vertici appena condannati proprio per aver reagito e non solo assistito alla violenza delle bestie no global nostrane…

Anni ed anni di accuse – “polizia fascista!”, “polizia assassina!” – ci hanno consegnato questa polizia intimorita, preoccupata anzitutto di non farsi male in senso lato. Quella polizia “pacifista”, che in se è un ossimoro, ma che ha voluto e vuole una larga fetta di opinione pubblica e classe politica.

Immaginiamo una banda di padani guidati dal trota, o una banda di sardi capeggiati da Michela Murgia (scrittrice dichiaratamente indipendentista) che vadano allo stadio di Belgrado e gridare “Padania libera!”, “Sardegna indipendete!”, un po’ come hanno fatto le bestie a Marassi col Kosovo. La polizia serba li avrebbe presi a sprangate e rispediti in Italia su vagoni piombati.

Non dico che dobbiamo avere la stessa polizia e gli stessi metodi. Ma certo dobbiamo saper fronteggiare le emergenze di ordine pubblico. E dare ai cittadini quel senso di sicurezza che non hanno ricavato dalle immagini arrivate nelle case martedì sera in diretta da Marassi e dintorni.

Bisogna essere convinti che serve una polizia diversa. Ed anche una magistratura diversa. Che non conceda i domiciliari al ragazzo che a Roma ha mandato in coma la donna romena, che non lasci impunita e a piede libero la ragazza che ha sparato un lacrimogeno addosso a Bonanni.

Perché se dopo ci ritroveremo a dover fare i conti con una violenza da anni di piombo, non potremo certo dare la colpa alle autorità serbe che non ci avevano avvertito…

TANTE SARAH IN MEZZO A NOI

 

 

Ovvio che l’”orco” è come un pugno sullo stomaco: questo zio che strangola la nipote, colpevole di non essersi concessa, e la violenta da morta. Inevitabile la reazione di chi invoca la pena di morta, la castrazione; di chi lo esorta a suicidarsi.

Ma non possiamo nemmeno dimenticarci di Sarah, anzi delle tante Sarah che ci sono in mezzo a noi. Ragazzine fragili, immature; giovani donne che hanno come unico sogno, unico progetto di vita, l’evasione, la fuga dal paesello. Come passerotti ciechi che svolazzano senza méta perché nessuno gliel’ha indicata, nessuno ha fornito loro le coordinate.

Adesso le chiamano “grandi agenzie educative”. Sarebbero la scuola, la religione, lo stato, la famiglia, se volete ci mettiamo anche i partiti storici. Insomma quelle entità che, nei loro ambiti, tracciavano la rotta, educavano, indicavano valori e punti di riferimento. Tutte agenzie sull’orlo del fallimento, che hanno chiuso i battenti. Col risultato di rendere ciechi le passerotte come Sarah e i passerotti.

Troppe famiglie, in particolare. Famiglie dove – come ha scritto Carla Collicelli del Censis – “prevalgono figure genitoriali deboli e non autorevoli”. Genitori che, a loro volta, hanno già perso la rotta (a parte quella della palestra, delle vacanze, del tempo libero) e non sono dunque in grado di tracciarla per i figli.

A quel punto, incapaci di esistere come genitori, diventano libertari, anti-autoritari: lasciano i figli liberi, di uscire tutte le sere, di frequentare chiunque, di “farsi la propria vita”. E così i passerotti vanno a sbattere. Perché la prima cosa che ci chiedono i figli sono le regole, i principi, gli obiettivi. Mentre la cosa peggiore per loro e lasciarli senza una rotta. Al punto che dobbiamo capire e dire: meglio la rotta islamica, meglio il burqa del nulla. Meglio spingere una figlia a diventare suora di clausura che abbandonarla a se stessa.

Quei genitori islamici che vogliono coartare la volontà delle figlie, che vogliono imporre loro lo stile di vita e perfino il matrimonio arrivando ad usare la violenza, ci sembrano il peggio possibile. Ma loro, sia pure nella forma più distorta e inaccettabile per la nostra civiltà, si pongono l’obiettivo di educare le proprie figlie. Il peggio del peggio siamo noi quando rinunciamo completamente a farlo, per giunta ammantandoci da genitori liberal…

Così si moltiplicano i passerotti ciechi, le tante Sarah che vediamo in mezzo a noi. Che svolazzano e, ovviamente, non è detto che vadano a sbattere contro l’”orco”. Ma molto spesso vanno a sbattere contro un’esistenza insipida, una vita insulsa.

 

SE UN PREMIER VA DI CORPO…

 

 

Capisco che divampi lo scontro politico dopo le pubbliche dichiarazioni fatte da Berlusconi contro i pm. Capisco che si possa replicare affermando che i magistrati tutelano la libertà e che deve andare a casa un premier che li attacca così frontalmente. Ma non capisco proprio come possa nascere un affare di stato per delle battute, per delle barzellette – felici o infelici, blasfeme o meno – fatte in privato dallo stesso Berlusconi.

Ancora adesso dopo le trasmissioni serali mi capita di andare a cena con gli ospiti politici, una volta lo facevo sistematicamente. E ce ne era sempre qualcuno, di politico, che a tavola scherzava e raccontava barzellette su tutto: sugli ebrei, sui gay, su Dio e sulla Madonna, oltre che sul sesso. E mai c’è stato qualcuno così scemo o così in malafede da pensare che quel politico fosse ancora davanti alle telecamere; qualcuno che pretendesse di “inchiodarlo” per una battuta sconcia o blasfema o razzista.

E’ talmente evidente la differenza abissale tra la dimensione pubblica e quella privata. Tra Berlusconi che parla sul palco della festa del Pdl a Milano, assumendosi la responsabilità politica di ogni sua affermazione, e il Berlusconi che scherza durante una pausa del G8 all’Aquila o con i fans venuti a fargli gli auguri di compleanno. Solo la più completa malafede porta ad equiparare le due situazioni.

Non è questione dei telefonini che oramai riprendono tutto. Né delle telecamere del servizio di sicurezza che sembrerebbero aver ripreso la barzelletta a l’Aquila. Il problema è l’utilizzo che ne fai: cioè la divulgazione tramite i media, e la disponibilità ad innescare seriossime discussioni.

I telefonini nei bagni del premier a palazzo Grazioli sono già arrivati con la D’Addario. Alla prossima puntata ci sarà lui immortalato sulla tazza. Dopo di che l’Espresso ci spiegherà che un politico che fa queste cose, che arriva ad andare di corpo, non può certo restare a capo del governo!

Ma secondo voi deve andare a casa Berlusconi perché racconta barzellette o deve andare a cagare chi si arrampica perfino sulle battute?


CARROCCIOPOLI E DINTORNI

 

Toh, ci sono anche dei leghisti pizzicati con le mani nella marmellata. Ma che strano? Pensavamo arrivassero da Marte e fossero dunque immuni dalla corruzione!..I leghisti un errore l’hanno fatto: atteggiarsi a verginelle; presentarsi geneticamente diversi e superiori, cioè immuni dalle tentazioni del potere. Anche in questo come il vecchio Pci; quel Pci che Enrico Berlinguer spacciava per il “partito dalle mani pulite”.

Nella prima repubblica in effetti ce n’era uno, ma non era il Pci, era l’Msi; e non perché i missini fossero “etnicamente” immuni: semplicemente perché, esclusi in nome dell’antifascismo da qualunque luogo di potere, non potevano arraffare…E la riprova è arrivata dopo la svolta di Fiuggi: quando Fini li ha portati nelle istituzioni abbiamo cominciato a trovare anche esponenti di An con le mani nella marmellata, esattamente come gli uomini degli altri partiti.

Tuttavia resta una differenza, e molto precisa: quando viene pizzicato un uomo del Pd – da Bologna alla Puglia alle Cinque Terre ad Este – nessuno si sogna di scrivere che è scoppiata “domocratopoli” perchè – correttamente – si sa che le responsabilità sono individuali ed è iniquo attribuirle ad un intero partito. Invece quando capita lo stesso con i leghisti ce lo dimentichiamo e subito si scrive di “padanopoli” o “carrocciopoli”, quasi che fosse la Lega ad avere in se il germe del malaffare

Ovviamente è l’occasione – cioè il potere – che rende l’uomo ladro. Una tentazione uguale per tutti gli uomini, non diversa a seconda che militino in questo o quel partito. Perchè oggi al Nord troviamo meno esponenti del Pd implicati? Perchè sono stati folgorato sulla via della virtù? No: perchè sono stati “folgorati” dagli elettori che hanno assegnato loro meno potere di una volta…Gli stessi elettori che ora hanno messo i leghisti nella condizione di pociare il savoiardo…

Questo dovrebbe farci capire che l’unica seria contromisura etica è quella strutturale. Bisogna cioè ridurre in partenza le occasioni.

Perchè nella vecchia Unione sovietica la corruzione era divenuta endemica? Perché i russi erano ladri per natura? Perché votavano Lega? Fa ridere solo pensarlo. La corruzione era endemica perchè tutto era pubblico, cioè di nessuno. E, saltato il meccanismo di responsabilità, ognuno si sentiva autorizzato ad arraffare e/o a cazzeggiare. Esattamente come tende a capitare nel nostro settore pubblico.

Col che dovrebbe essere chiaro che comportamenti più etici in politica non si ottengono con le prediche, con i codici di comportamento, e nemmeno con la sola minaccia delle conseguenze giudiziarie (pure indispensabili). Si ottengono anzitutto con misure strutturali: cioè riducendo drasticamente lo spazio del pubblico, dimezzando la presenza dello Stato e degli enti locali in economia.

Ed è qui che anche la Lega come partito deve assumersi impegni precisi: il federalismo tanto atteso, la più equa distribuzione delle risorse tra Nord e Sud, a cosa servirà? Dovrà servire a far pagare meno tasse ai veneti. Se invece servirà ad ampliare lo spazio del pubblico anche in Veneto avrà come prima conseguenza di ampliare l’humus della corruzione.