FINI LA VOLPE E L’ARTE DI GOVERNO

 

 

Ad ascoltare ieri Fini a Mirabello veniva da pensare che uscisse più dalle Acli che dal Fronte della Gioventù. Nel senso che ha fatto un discorso da vecchia volpe democristiana, ripassando il cerino, cioè la responsabilità della rottura definitiva, in mano a Berlusconi.

Piaccia o meno la strategia di Fini ha un senso e lui sta portandola avanti con astuzia e capacità politica: sa di non avere alcun interesse ad andare subito ad elezioni, perchè rischia di essere spazzato via con l’accusa di traditore; punta dunque a logorare il Cavaliere, a tenerlo sulle braci di un governo sotto scacco che non governa; convinto, a ragione, che il tempo giochi a suo favore e contro il Cavaliere.

Vedremo se e come il Cav. saprà uscire dalla morsa. Intanto restando ai tanti temi toccati dal presidente della Camera nel suo lungo discorso, dissento in particolare dalla sua affermazione che governare si può e si deve, ma che questo non significa comandare. Credo sia esattamente il contrario: si deve comandare perché, se non sai comandare cioè farti ubbidire senza sfibranti mediazioni, non riesci nemmeno a governare.

Possiamo capirlo se riusciamo ad uscire (Evor) dall’ossessione berlusconiana, cioè a prescindere da ciò che giova o che danneggia Berlusconi, concentrandoci invece su ciò che funziona o non funziona.

Pensiamo ai nostri sindaci, sia a Flavio Zanonato che a Flavio Tosi; sindaci di opposta appartenza politica, a dimostrazione che non è il colore quello che conta, ma accomunati da un simile attitudine al comando. Il primo direi più ancora del secondo. Zanonato che non ha esitato a “processare” in giunta l’assessore Colasio che tendeva a fare troppo “il finiano”, cioè a distinguersi criticando sui media l’operato dell’amministrazione.

Magari un po’ più felpato nei rapporti coi suoi assessori, ma anche Tosi decide, comanda, agisce. Ed ha un consenso crescente: manca poco che a Verona comincino a costruirgli i monumenti in piazza… Zanonato è ormai sindaco da vent’anni in una Padova che pure, ad ogni elezione politica, è più orientata sul centrodestra. Perché i cittadini apprezzano e vogliono sindaci decisionisti.

Loro, i sindaci, possono comandare e decidere perchè hanno uno strumento che non possedevano i loro predecessori prima della riforma elettorale degli enti locali: possono mandare tutti a casa. Oggi se il sindaco non ha più una maggioranza, si torna a votare. Una volta invece si andava a cercare una diversa maggioranza in consiglio.

La differenza è enorme: una volta si poteva cambiare sindaco ogni momento, anche due-tre-quattro nel quinquennio, ed il sindaco era sempre ostaggio del consiglio comunale. Oggi invece il pallino l’ha in mano lui, se lo mettono in minoranza sanno di andare tutti a casa, ed il risultato è che il sindaco comanda, decide e si assume le sue responsabilità elettorali, e quasi sempre resta in carica per tutto il mandato.

Riuscissimo a prescindere dall’ossessione berlusconiana, capiremmo subito che esiste l’identica esigenza a maggior ragione per i governi nazionali: per dar loro stabilità, per garantire la governabilità, bisogna che sia il capo del governo ad avere il potere (se volete il ricatto) di sciogliere le Camere.

La Costituzione affida invece questa facoltà al presidente della Repubblica perché è figlia del suo tempo: fresca cioè del Ventennio fascista mirava anzitutto ad imbrigliare il potere dell’esecutivo, ad evitare la concentrazione delle funzioni su una sola figura. Un pericolo che era stato reale, che si comprende pensando al 1946. Ma che oggi solo gli ossessionati da Berlusconi continuano a brandire, impedendo così di avere quei governi stabili e incisivi che hanno (quasi) tutti gli altri Paesi.

 


NAPOLITANO E L’ECONOMIA DA FREEZER

 

 

Da mesi manca un ministro dell’Industria, o dello Sviluppo Economico che dir si voglia. E tutti danno per scontato che sia uno scandalo, una falla inaccettabile per il Paese nel pieno della crisi economica. Proviamo ad essere meno conformisti e a rovesciare il discorso: e se fosse invece una fortuna, una delle ragioni della pur timida ripresa produttiva?

Alla fine a cosa serve un ministro dell’Industria? Nella migliore delle ipotesi è irrilevante, se sta fermo. Se agisce procura danni, come (quasi) tutti gli interventi dello Stato e della politica sull’economia di mercato. Ammesso che le rottamazioni e i vari aiutini siano una politica industriale (e non la droga di Stato che invece sono), basta e avanza il consiglio dei ministri per vararli. Non serve certo un ministro ad hoc.

Purtroppo, anche senza ministro dell’Industria, è rimasto il ministero; col suo stuolo di burocrati. I quali fanno esattamente come gli altri loro colleghi nei vari ambiti: giustificano lo stipendio ed esercitano il potere preparano decreti, norme, regolamenti che hanno l’unico effetto di imbrigliare ancor più la vita e le attività quotidiane; comprese quelle produttive. (Dall’inchiesta che stiamo seguendo sui costi della veterinaria abbiamo scoperto che i burocrati del ministero della Salute si sono inventati anche il patentino per il cane! Restiamo in attesa di microcip obbligatorio per le zanzare di casa…)

Nella sua richiesta di ministro e di “politica industriale”, il presidente Napolitano conferma le sue mai estirpate radici comuniste. Bastasse un ministero e una politica industriale a garantire la ricchezza delle nazioni, tutti i Paesi l’avrebbero già adottata! E sarebbero così tutti prosperi e al riparo da qualunque crisi economica. In particolare avrebbe sbancato proprio il mondo comunista, che credeva fermamente nella programmazione economica, nei piani quinquennali, nella politica industriale. Avrebbe sbancato e messo in ginocchio l’Occidente preda della sua “anarchia” capitalista.

Ma non mi pare che sia andata così. Anzi. E la prima causa di implosione del mondo comunista furono proprio le politiche industriali capaci di produrre solo miseria. Perchè l’intervento dello Stato in economia genera un unico effetto sicuro: trasforma i galletti ruspanti in polli di batteria, abituati ad attendere che vanga distribuito il mangime pubblico.

Altro che politiche industriali, oggi al Paese serve esattamente ciò che garantì a suo tempo il boom economico del nostro Veneto: la voglia di lavorare, ora quasi desaparecida, una stirpe di imprenditori, che purtroppo non è programmabile con l’eugenetica, e quel buonsenso democristiano che quantomeno ti lasciava fare.

Ci vorrebbe anche una rivoluzione culturale da mondo protestante: considerare cioè i produttori di ricchezza dei benemeriti della comunità e non degli sfruttatori come li ha invece sempre giudicati sia la Chiesa cattolica che la “chiesa” comunista.

E questo dovrebbe raccomandare agli italiani un presidente della Repubblica moderno che non uscisse, fresco fresco, dal freezer d’inizio Novecento…


GHEDDAFI, ROMA E I NOSTRI PRETI

 

 

Tutti scandalizzati per Gheddafi che vuole l’Europa intera convertita all’Islam; ed ancor più per l’avanspettacolo imbastito dal leader libico sbarcato a Roma con le tende, i cavalli e la sua guardia del corpo di amazzoni statuarie.

Francesco Merlo, offeso e risentito, parla su Repubblica di “un circo che ci umilia”. Più che umiliarci direi che Gheddafi ci fotografa, cioè ci ricorda cosa siamo e cos’è in particolare Roma: una città levantina, un tempo caput mundi, oggi capitale del Basso Mediterraneo, luogo delle sceneggiate per antonomasia. Lo sa bene il povero sindaco Alemanno che vorrebbe far pagare un apposita tassa alle oltre 500 manifestazioni nazionali che è costretto ad ospitare ogni anno.

I romani sono come i dipendenti Rai, pagati per fare il finto pubblico alle trasmissioni. A Roma tutti vanno per esibirsi, sperando così di strappare un minimo di visibilità sui media; anche se lo spettacolo è sempre più monotono e ripetitivo: gli stessi slogan, gli stessi striscioni, gli stessi tamburi della Coldiretti, della Triplice, dei Cobas della scuola e del latte che al massimo della creatività hanno “inventato” e portato in giro la mucca Ercolina…

Vuoi mettere Gheddafi con le sue Urì? Con lo sfarzo del sultano orientale pronto ad ingaggiare 500 hostess, non per un orgia collettiva, ma per una distribuzione del Corano! Roma ha trovato il suo ottavo re, uno show man degno di calpestare il più fastoso e putrescente palcoscenico del Mediterraneo. Lui sì che merita tutto lo spazio che i media gli hanno dato, altro che i nostri bolsi dilettanti della sceneggiata! (l’Onda dei no global, per provare a risalire l’onda, dovrebbe chiedergli una consulenza…).

Il leader libico, da persone intelligente, mette in scena lo spettacolo adatto al contenitore. Mai si sognerebbe di sbarcare con lo stesso armamentario non dico a Parigi o a Berlino, ma nemmeno nel cuore operoso della Milano lombarda. Solo a Roma si può, anzi si deve.

C’è poi il contenuto del suo appello : Europa, convertiti all’Islam! E qui va osservato che la lezione è per i nostri preti, che dovrebbero dire (come dicevano un tempo): Oriente convertiti al cristianesimo! Ascolta la parola dell’unico vero Dio! Geddafi ha il coraggio di dire ciò che la Chiesa cattolica non osa, una Chiesa che oggi predica il dialogo al posto della conversione. Cioè che ha calato le braghe di fronte all’impeto islamico…

Sacerdoti alla Bagnasco che pensano al caso Melfi; che si preoccupano per il lavoro, per l’immigrazione, per l’ambiente e gli ogm, per i rom “deportati” da Sarkosy.

Intendiamoci: non che la Chiesa non debba occuparsi anche di tutti questi problemi economici, umanitari e sociali. Ma al centro deve restare la fede e la conversione, da cui poi derivano anche le altre attenzioni. Altrimenti Bagnasco scade a sindacalista di serie B.

Magari per evitare il rischio potrebbe chiedere udienza all’imam Gheddafi che fa discendere tutto dalla parole di Maometto, “l’ultimo dei profeti”.

 


ECCO PERCHE’ STO CON FINI

 L’estate porta consiglio, le ferie sono l’occasione per riflettere. E dopo averci riflettuto, appunto, ho concluso di essere anch’io un finiano; un finiano di ferro, più che mai convinto. Di cosa? Che il presidente della Camera sia l’uomo giusto, forse quello decisivo, per spaccare in due il Paese. Per farla finita con quella unità nazionale che è stata più disastrosa ancora per il Sud che per il Nord (Qui concordo con Pino Aprile: leggetevi il suo “Terroni”, edizioni Piemme, è l’autentico best seller politico del 2010).

Smettiamola una buona volta con la retorica unitaria. Lasciamo perdere l’estrema, pasticciata e velleitaria, riforma federalista che vorrebbe – e francamente non si capisce come – riempire un po’ di più la botte padana (che ne ha tutti i diritti come produttrice della ricchezza nazionale) continuando però anche ad ubriacare la moglie meridionale. Prendiamo atto che quello realizzato nel 1860 è un matrimonio coatto, imposto dai cosiddetti Padri della Patria, Cavour-Garibaldi-Vittorio Emanuele II, contro la volontà degli sposi. Una di quelle unioni impossibili, che fanno unicamente soffrire entrambi i coniugi, e che giustificano la legge sul divorzio come strumento di civiltà e libertà.

Tornando a Fini spiego perchè lo ritengo il “giudice” che potrebbe decretare la separazione tra Nord e Sud. Tutto dipende dal suo diverso appeal elettorale. Da noi in Settentrione il suo seguito tra gli elettori del Pdl è modesto, per non dire inesistente. Riscuote molta simpatia ma tra gli elettori di centrosinistra, che apprezzano la sua capacità di mettere in crisi Berlusconi, che lo ritengono magari più efficace di Bersani…

Qui al Nord però Fini non modifica gli equilibri elettorali, non sposta voti: è solo un commensale in più che si siede al tavolo dell’opposizione, e che minaccia di mangiarsi un pezzo della già modesta torta elettorale senza contribuire a farla lievitare. (E da questo punto di vista Casini, Bersani e Di Pietro gli riservano più la diffidenza del concorrente che l’entusiasmo dell’alleato capace di portare nuove truppe…).

Mentre il discorso al Sud è radicalmente diverso. Fini infatti qua si presenta come il paladino dell’antileghismo, contrapposto ad un Berlusconi che è invece legato a doppio filo con Bossi. Per l’elettorato meridionale il presidente della Camera è il primo ostacolo alla riforma federalista, il politico che – in nome della solidarietà e dell’unità nazionale – potrebbe garantire che continui l’elargizione di denaro pubblico. E quindi al Sud potrebbe raccogliere parecchi consensi.

Si profila così uno scenario verosimile: Lega e Pdl che hanno una solida maggioranza al Nord; mentre al Sud il Pdl si ritroverebbe in minoranza, con una maggioranza magari solo teorica ma comunque ampia che va da Vendola al Pd a Casini a Di Pietro e ai finiani.

Credo che questo scenario sarebbe la premessa per festeggiare i 150 anni dell’unità…iniziando le pratiche per il divorzio.

In conclusione sottolineiamo un paio di contraddizioni tipiche della politica (che solo nelle attese degli ingenui non è contraddittoria): Fini, l’alfiere dell’unità nazionale, da vita ad un partito nei fatti territoriale-sudista che contribuisce a spaccare ancora di più il Paese. Bossi, l’alfiere della secessione, che ha fondato un partito dichiaratamente territoriale-nordista, è il protagonista dell’ultimo stoico tentativo di salvare l’unità nazionale con la riforma federalista (che oggi pare abortita sul nascere).

Personalmente comunque non ho dubbi: sto con Fini perchè sarà lui, più di Bossi, a dare la spallata definitiva…

 

MANI PULITE, SOLDI SPORCHI

 

 

Al centro della rottura definitiva tra Fini e Berlusconi c’è la legalità, la questione morale. Questione fondamentale, cui l’opinione pubblica è, a ragione, molto sensibile. Ma che, proprio per questo, si presta ad essere strumentalizzata nella battaglia politica.

E’ successo fin dagli albori, con l’antesignano della questione morale. Enrico Berlinguer, leader del Pci, che la lanciò già negli anni Ottanta e, battendo nel tempo e nella definizione gli stessi magistrati del pool di Milano, attribuì per primo al suo partito la qualifica di “mani pulite”. Definizione indubbiamente efficace che dava per scontata anche la contrapposizione con gli altri partiti, Dc e Psi, che le mani invece le avrebbero avute sporche.

Peccato però che pure le mani pulite avessero maneggiato soldi sporchi. Quei soldi delle tangenti che anche il Pci intascava, come dimostra la vicenda del “compagno G.”. (Quel Primo Greganti che i comunisti allora considerarono un eroe, con l’identico ragionamento fatto poi da Dell’Utri nei confronti di Mangano: anche il compagno G, pur sbattuto in carcere, non parlò…)

Ma per il Pci di Berlinguer c’era un aggravante e non da poco. Aveva cioè intascato per decenni anche i soldi dall’Urss, l’oro di Mosca, da un Paese nemico, fulcro del Patto di Varsavia, mentre noi eravamo schierati sul fronte opposto con la Nato.

In qualunque nazione dell’Occidente – Francia, Germania, Inghilterra- i dirigenti di un partito, che avesse ricevuto finanziamenti occulti da un Paese nemico, sarebbero stati processati per alto tradimento. Da noi invece il Parlamento mandò in prescrizione qualunque tipo di finanziamento illecito avvenuto fino al 1988.(Non è che la “prescrizione ad hoc” se la sia inventata Berlusconi, l’ha solo copiata dalla Prima Repubblica…)

E’ giusto non dimenticare questi precedenti perchè la questione morale è tanto importante da rendere inaccettabile che ieri, come oggi, vesta i panni della Vergine Vestale l’accusatore che magari ne ha combinate di più e di peggio degli accusati.

Al centro della rottura tra Fini e Berlusconi c’è oggi anche la cosiddetta P3. Siamo davvero di fronte ad una potente loggia segreta con finalità eversive o sono solo, come sostiene Ferrara, dei millantatori (in siciliano “scogli acquazzina”)? Staremo a vedere. Di certo anche la storica P2 venne strumentalizzata alla grande.

L’accusa di piduista servì infatti a sottrarre ad Angelo Rizzoli jr il Corriere della sera che poi, per “moralizzarlo” e ripulirlo dalla fosca contaminazione gelliana, fu consegnato su un piatto d’argento a Gianni Agnelli, Cuccia e ai grandi banchieri dall’allora, alcuni dei quali tutt’ora lo controllano…

Allora la domanda corretta non è se esisteva una potente loggia segreta, ma qual’era? Quella di Licio Gelli o quella di Gianni Agnelli? Chi l’ha fatto il colpaccio? Il Gran Maestro Supremo abitava a villa Wanda o a Villar Perosa?

Chiediamocelo. Non perchè non esista una questione morale o non ci siano logge più o meno segrete (quella di Agnelli era lì, alla luce del sole. Però nessuno, finch’era in vita l’Avvocato, osò aprire un’inchiesta su di lui). Ma perchè non è il caso di farci prendere in giro, cioè di farci indurre a scambiare lucciole per lanterne.

 

LO STATO PIU’ FANTASMA DELLE CASE

 

Siamo lo Stato delle case fantasma; delle abitazioni che esistono nella realtà ma non esistono legalmente, cioè non sono registrate al catasto e quindi evadono totalmente qualsiasi imposta. L’Agenzia del territorio, emanazione del ministero dell’Economia, ne ha individuate due milioni e settantasette mila.

Le case fantasma sono sparse un po’ in tutte le province italiane ma, indovinate dov’è la concentrazione più rilevante? Quasi impossibile riuscirci…Sorpresa: e’ al Centro-Sud con Roma che, tanto per dire, ne annovera sedici volte più di Milano! Uno sguardo alla scontatissima classifica: primo posto a Salerno (93.389 case fantasma), secondo a Roma, terzo a Cosenza, quarto a Napoli, quinta Avellino, sesta Lecce, settima Palermo e avanti così.

Non sto a ripetere la tiritera sull’Italia divisa in due, sulla secessione in atto nel nostro Paese; una secessione che solo chi non vuole non vede. Osservo che è inutile ricordare la pessima abitudine dei continui condoni. Abitudine senz’altro pessima e diseducativa, ma in questo caso del tutto fuorviante: perché questi due milioni e settantasette mila proprietari nemmeno si sognano di condonare, di rientrare nella legalità e cominciare a pagare le imposte. Per loro è molto più conveniente restare fantasmi a vita. (Esattamente come è più conveniente per tante attività economiche restare completamente a nero).

E possono farlo – arriviamo al dunque – perché c’è uno Stato fantasma che rinuncia ad esercitare le sue prerogative. Dico uno Stato perché la questione è trasversale, attraversa i governi di qualunque colore. Nello specifico non c’è la provincia dalla mani pulite e quella dalle mani sporche; il presidente finiano che vigila sulla legalità e quello berlusconiano che si incricca coi proprietari fuorilegge: a Salerno il presidente è del Pdl, a Roma del Pd; eppure vanno a braccetto in testa alla classifica delle case fantasma.

Aggiungo che la Lega, che denuncia la latitanza dello Stato al Sud, poi vuole uno Stato altrettanto latitante con i produttori di latte del Nord…In questo caso sono le multe a diventare fantasma.

Ha poco senso anche tirare in ballo le cosche e la lotta alla mafia. Non sarà mica il padrino che ti garantisce il non accatastamento?! E’ invece lo Stato nelle sue varie articolazioni, sono gli enti locali che rinunciano a compiere accertamenti, che chiudono gli occhi, che “scoprono” Rosarno il giorno dopo…

E poi con Roma in testa alla classifica, proprio là dove si concentra al massimo il potere dello Stato. Cosa dobbiamo concludere? Che è qui il vertice della Cupola, che è la supercosca romana dei partiti?…

Le case fantasma sono una delle varie sfaccettature: accanto ai redditi fantasma, ai lavoratori la cui presenza risulta impalpabile, ai privilegi immotivati concessi alle corporazioni. Tutte sfaccettature riconducibili ad uno Stato fantasma, che latita invece di esercitare prerogative essenziali; che sembra convinto di durare tanto più quanto meno si fa sentire dai cittadini.



DA AZNAVOUR A BORSELLINO A NICHI

 

 

Il concerto di Charles Aznavour doveva essere un evento, invece si è trasformato in un caso politico. Perchè il mitico chansonnier, dopo aver cantato per due ore (ad 86 anni), ha mandato tutti al diavolo dichiarando: “Questa è la peggiore organizzazione mai vista al mondo!”. In effetti venerdì sera in piazza San Marco non ha funzionato nulla: amplificatori, mixer, ritorno dell’audio; un disastro.

Il Corriere gli ha poi chiesto conferma di un giudizio tanto duro. Ed Aznavour ha allargato il giudizio all’intero nostro Paese citando la famosa barzelletta: “Un uomo muore e va all’inferno, gli chiedono di scegliere tra quello tedesco e quello italiano. Chiede dove sia la differenza e gli dicono che in quello italiano un giorno manca il fuoco, un giorno il diavolo…”

Insomma in Italia è tutto un casino. Che esageri Aznavour?

Scrive Rita Borsellino su L’Unità: “Sono trascorsi diciotto anni dalla strage di via d’Amelio. Diciotto anni da quella di Capaci. Diciassette dalle bombe di Milano, Firenze e Roma. E ancora oggi non conosciamo la verità su quanto accaduto in quegli anni”. Insomma anche la giustizia italiana è un inferno, ma un inferno tedesco: nel senso che non se ne esce proprio…

La Borsellino è convinta che sia colpa di oscure complicità, di depistaggi e servizi deviati. Altri pensano che certi magistrati siano troppo politicizzati, per cui partono da uno schema ideologico e poi cercano il pentito che glielo supporti. Trovo più convincente l’analisi di Aznavour: la cialtroneria pesa più dell’ideologia. Come il tecnico del suono non sa tarare il mixer, così l’addetto alla giustizia non sa impiantare un processo che stia in piedi.

Oggi scioperano medici e personale sanitario. E i loro sindacati, per mostrarci tutto il peso della corporazione esibiscono – fieri – cifre imponenti: “Cancellate 40 mila operazioni chirurgiche previste!”. Perfetto, da tipico inferno sanitario all’italiana: scioperano contro la manovra che, con i tagli, comprometterebbe la salute dei cittadini…E loro intanto la compromettono di certo saltando operazioni e visite specialistiche. Mai visto al mondo, direbbe lo chansonnier.

Per fortuna che la politica è un’altra cosa. Qui troviamo Nichi Vendola, il cavallo vincente del centrosinistra, quello che dopo aver vinto in Puglia vuole replicare sul piano nazionale e per questo si è candidato a premier antagonista di Berlusconi. Lo ha fatto dichiarando che la sua visione del mondo ha “bisogno di eroi come Falcone, Borsellino e Carlo Giuliani”. Capito? Carlo Giuliani, l’eroe dell’estintore in testa al carabiniere, equiparato ai magistrati uccisi dalla mafia…

Cosa ne dite? Che il Nichi abbia più successo come antagonista del Berlusca o come organizzatore di concerti in piazza San Marco?



P3, CRICCHE E LOBBY

 

P3 avanti tutta. L’inchiesta adesso si allarga ad alcuni magistrati. Impegnati anche loro nel golpe? Anzi membri assieme a Carboni, Verdini (e “Cesare”) della nuova loggia segreta che coltiva piani eversivi a danno delle istituzioni democratiche?

Forse è il caso di non confondere piani eversivi e cricche e lobby e millantato credito e sgomitamento carrieristico

Cominciamo con le lobby. Da noi sono diffuse ma inconfessate (cioè non regolate); altrove invece alla luce del sole: negli Stati Uniti, ad esempio, si saprebbe chi e perchè, a quali condizioni e con quali sponsor politici, spinge per ottenere l’appalto dell’eolico in California. Se poi si dimostra che l’appalto è stato assegnato in maniera irregolare e a scapito dell’interesse generale, allora scatta il reato. Ma la lobby è semplicemente il modo corrente di muoversi.

Altra cosa sono le cricche, dove i risultati concreti del malaffare vanno separati dal puro millantato credito di chi al telefono afferma di avere dalla sua Cesare, il Papa o il presidente del Csm, ed essere quindi in grado di “sistemare tutto”.

Le cricche le conosciamo, a partire dalle nostre realtà locali; e possiamo immagine quale sia la loro proiezione massima nella grande cloaca romana. Anche nelle nostre città, perfino nei paesi, c’è il maneggione che conosce tutti: dall’assessore all’urbanistica al direttore della banca , dal maggiore della finanza al comandante dei vigili, passando anche per Palazzo di Giustia; e ti assicura che tutto si può fare, che l’affare andrà sicuramente in porto; che si cambia la destinazione d’uso e si ottengono i finanziamenti; che nessuno cercherà il nero e che non ci saranno né inchieste né denunce…

Quando non è millantato credito, quando l’affare va in porto, è il sistema della corruzione, spesso diffuso, talora endemico. Ma che c’azzecca tutto questo con i piani eversivi e l’attentato alle istituzioni? Perché mai i faccendieri dovrebbero attentare ad istituzioni all’interno delle quali nuotano come squaletti?

Altra questione. Oggi ci si meraviglia per pressioni, che avrebbero riguardato anche magistrati, per ottenere la nomina di Marra invece che di Rordorf a presidente della Corte d’Appello di Milano. Ci meravigliamo di cosa? Che i magistrati non siano marziani? Cioè che spingano, che trattino, che telefonino e intrallazzino anche loro – proprio come i giornalisti, i politici, i funzionari, i militari, i rettori, etc. – per far carriera, per nominare oggi l’amico che domani in cambio favorirà me?

Di cosa pensiamo che parlino ogni giorno milioni di italiani (quando non parlano di donne come fa sempre Cesare)? Parlano di soldi, di affari, di carriera, di opportunità. Riascoltati dalle intercettazioni sembrano tutti criminali, mentre nella realtà tante volte di reati veri non ce ne sono. Altre volte invece i reati ci sono. Ma è questo il punto: appurare se alla fine Marra non aveva i titoli per andare a presiedere la Corte d’Appello, se ha scavalcato un candidato più qualificato; mentre è assurdo fermarsi alla telefonata, alla raccomandazione, alla pressione che ci sono sempre e comunque per chiunque aspiri ad un incarico importante.

E’ aberrante che oggi chi ha votato per lui venga dipinto come un criminale affiliato alla P3 e chi ha votato per l’antagonista sconfitto passi per l’arcangelo che ha difeso la democrazia dai golpisti!…

Pensiamo al piano eversivo occulto, manovrato da una loggia segreta. E non ci accorgiamo che, se mai, ne abbiamo uno palese. Con tanto di comunicato stampa.

Mi riferisco alla pubblica presa di posizione del comandante generale dei carabinieri Gallitelli a favore del generale Ganzer. Il tribunale di Milano l’ha condannato a 14 anni come narcotrafficante e Gallitelli non lo sospende, anzi: gli conferma la piena fiducia e lo lascia al comando del Ros; tenendo così in alcun conto il pronunciamento dei magistrati milanesi.

A me pare uno scontro frontale tra il vertice dell’Arma dei carabinieri e l’Ordinamento giudiziario. Forse Napolitano dovrebbe spiegarci se è eversivo il comportamento di Gallitelli oppure la sentenza, il "rito ambrosiano", del Tribunale di Milano. Ma il Capo dello Stato tace, e i giornali parlano di P3.

 

SE E’ IL SINDACO A TASSARCI

 

Tutto ormai fa credere che a breve sarà il sindaco a tassarci. Si conoscono già i dettagli di questa nuova imposta municipale che accorperà varie voci: dalla cedolare secca sugli affitti alla tarsu, dall’imposta di registro a quella ipotecaria e catastale. Non vi viene però detta la cosa fondamentale. Cioè se alla fine della giostra, tra tasse locali e centrali, il cittadino che prima pagava dieci si ritroverà a pagare nove e mezzo oppure dieci e mezzo.

In teoria il rapporto fiscale più corto dovrebbe funzionare meglio perchè garantisce maggiori controlli. Il che non toglie che, se il prelievo complessivo diminuisce, il sindaco che tassa sarà un vantaggio; se invece aumenta sarà una fregatura.

Fossimo meno imbevuti di ideologia capiremmo che la scelta politica si fonda su un punto prioritario: quanto pago di tasse e che servizi, e di quale qualità, ottengo in cambio. Su questo dovrebbero confrontarsi anzitutto i programmi elettorali dei vari schieramenti. Perchè se vado a comprare un paio di pantaloni mi interessa ottenere i migliori al prezzo più conveniente, e non sapere se il negoziante vota destra o sinistra.

Mentre con l’appartenenza ideologica ci facciamo solo fregare dai bottegai della politica, che di tutto ci parlano glissando sui costi che poi paga il cittadino

Sentire oggi parlare di “autonomia impositiva” degli enti locali, come se fosse un regalo fatto ai cittadini, mette i brividi. Ed è una contraddizione totale nell’intervento del governo. Nel decretare i tagli ai bilanci di Regioni e Comuni Berlusconi stesso ha infatti dichiarato che lui e Tremonti hanno visto “cose vergognose” nei conti di questi enti; ossia sprechi, sperperi e grasso che cola. Ma, se sei convinto che sia così e lo dichiari, devi vietare in modo esplicito qualunque autonomia impositiva per costringerli alla cura dimagrante.

Se invece la concedi dai ragione a chi ti accusa di aver solo delegato ad altri il compito di attuare la cosiddetta “macelleria sociale”.

Sulla carta è sacrosanta la stessa riforma federalista. Anche perchè ripara alla follia storica di aver voluto unire con un modello rigidamente centralista un Paese che, dalla caduta delll’impero romano, non è più stato unito. Ma pure qui è decisivo il conto finale che presenteremo ai cittadini. Non possiamo infatti dire loro: paga più tasse e sii contento perchè ti abbiamo dato il federalismo. Se sarà così sarà una fregatura, esattamente come aver dato al sindaco la facoltà di diventare esattore di nuove imposte.

 

P2, P3, P…QUANTE?

 

 

Vent’anni dopo la famigerata P2 di Licio Gelli ecco che spunta la P3 di Flavio Carboni. Una continuità perfetta dato che il faccendiere per eccellenza (così battezzato allora da Eugenio Scalfari) già risultava iscritto alla Loggia di Gelli, e fu arrestato nel 1992; ed ora sarebbe al vertice della nuova congrega massonica, accusata di aver cercato di influenzare i giudici della Consulta per far passare il lodo Alfano, di tramare nuovi piani eversivi, e per questo nuovamente arrestato ieri.

Ne parlano i quotidiani usciti oggi nel giorno dello sciopero, e non occorre essere il polipo Paul per avere la certezza che l’arresto di Carboni, la P3 e i disegni eversivi campeggeranno su tutte le prime pagine di quelli in edicola domani.

Nessun dubbio che Carboni sia, appunto, il prototipo del faccendiere. Ma credo che un golpista serio (che non si limiti a guidare dei forestali come Junior Valerio Borghese) debba avere caratteristiche, poteri e relazioni ben diversi. Quando sento parlare di “piani eversivi” non so se piangere, ridere o…sperarci. Lo dico per paradosso (ricordatevelo, prima di iscrivermi d’ufficio alla P3) nel senso che un piano eversivo puoi attualo solo se esistono poteri forti che abbiano in mano le redini di un Paese. Mentre il nostro mi sembra, più che altro, un Paese alla deriva, preda degli interessi corporativi, delle cricche, del nepotismo, senza alcuna meritocrazia. Più allo sbando che in vista di un golpe.

Non posso poi dimenticare come finì tutta la vicenda P2. L’unico “piano eversivo” fu quello attuato ai danni di Angelo Rizzoli jr: infattigrazie all’accusa di piduismo – da cui fu poi completamente prosciolto! – gli venne scippato il Corriere della sera. A tutto beneficio di Gianni Agnelli e dei banchieri che tutt’ora ne detengono la proprietà. Il primo quotidiano italiano fu così sottratto ad uno dei pochissimi editori puri e finì in mano di chi aveva mille intrallazzi e mille altri interessi extra-editoriali. Viva la libertà di stampa! Chi era l’eversore e chi il garante della democrazia?

Oggi Flavio Carboni è accusato di aver cercato di condizionare i giudici della Consulta. Condizionarli come? Forse rapendo qualche famigliare e minacciando di ucciderlo se non passava il lodo Alfano? No. Pare che abbia fatto alcune telefonate “chiamando deputati ai quali domandava se avessero per caso relazioni altolocate”. Giuliano Ferrara oggi la racconta così. Ma, se è così, siamo a Totò che cerca di vendere la Fontana di Trevi o alla sovversione delle istituzioni democratiche?

Non che non ci siano pagine oscure nella storia della nostra Repubblica. Anzi ce ne sono fin troppe. Basta ricordare Aldo Moro: è credibile che quegli squinternati dei brigatisti rossi, dediti a stendere comunicati deliranti, avessero una preparazione militare così perfetta da liquidare con un sol colpo in fronte tutti gli uomini della scorta e rapire colui che era il cardine della politica italiana? Non lo è. Vien da pensare che abbiamo provveduto i servizi segreti; quelli americani o quello sovietici. O tutti e due assieme, dato che né Mosca né Washington volevano che Moro attuasse il compromesso storico.

Vien da pensarlo, ma non è mai stato provato. Tra vent’anni riapriremo per l’ennesima volta il processo Moro. Esattamente come si continua a cercare una verità definitiva per l’Italicus, per Ustica, per le stragi, per Falcone e Borsellino. Quindi avanti con la P3, la P4, la P5…in attesa che tutto vada a finire come con la P2. Cioè con Angelo Rizzoli scippato, ma assolto da ogni addebito, e Licio Gelli che invecchia serenamente a Villa Wanda.

Forse bisogna aspettare che vanga attuato un “piano eversivo” per arrivare finalmente ad avere colpevoli certi e definitivi…