P3, CRICCHE E LOBBY

 

P3 avanti tutta. L’inchiesta adesso si allarga ad alcuni magistrati. Impegnati anche loro nel golpe? Anzi membri assieme a Carboni, Verdini (e “Cesare”) della nuova loggia segreta che coltiva piani eversivi a danno delle istituzioni democratiche?

Forse è il caso di non confondere piani eversivi e cricche e lobby e millantato credito e sgomitamento carrieristico

Cominciamo con le lobby. Da noi sono diffuse ma inconfessate (cioè non regolate); altrove invece alla luce del sole: negli Stati Uniti, ad esempio, si saprebbe chi e perchè, a quali condizioni e con quali sponsor politici, spinge per ottenere l’appalto dell’eolico in California. Se poi si dimostra che l’appalto è stato assegnato in maniera irregolare e a scapito dell’interesse generale, allora scatta il reato. Ma la lobby è semplicemente il modo corrente di muoversi.

Altra cosa sono le cricche, dove i risultati concreti del malaffare vanno separati dal puro millantato credito di chi al telefono afferma di avere dalla sua Cesare, il Papa o il presidente del Csm, ed essere quindi in grado di “sistemare tutto”.

Le cricche le conosciamo, a partire dalle nostre realtà locali; e possiamo immagine quale sia la loro proiezione massima nella grande cloaca romana. Anche nelle nostre città, perfino nei paesi, c’è il maneggione che conosce tutti: dall’assessore all’urbanistica al direttore della banca , dal maggiore della finanza al comandante dei vigili, passando anche per Palazzo di Giustia; e ti assicura che tutto si può fare, che l’affare andrà sicuramente in porto; che si cambia la destinazione d’uso e si ottengono i finanziamenti; che nessuno cercherà il nero e che non ci saranno né inchieste né denunce…

Quando non è millantato credito, quando l’affare va in porto, è il sistema della corruzione, spesso diffuso, talora endemico. Ma che c’azzecca tutto questo con i piani eversivi e l’attentato alle istituzioni? Perché mai i faccendieri dovrebbero attentare ad istituzioni all’interno delle quali nuotano come squaletti?

Altra questione. Oggi ci si meraviglia per pressioni, che avrebbero riguardato anche magistrati, per ottenere la nomina di Marra invece che di Rordorf a presidente della Corte d’Appello di Milano. Ci meravigliamo di cosa? Che i magistrati non siano marziani? Cioè che spingano, che trattino, che telefonino e intrallazzino anche loro – proprio come i giornalisti, i politici, i funzionari, i militari, i rettori, etc. – per far carriera, per nominare oggi l’amico che domani in cambio favorirà me?

Di cosa pensiamo che parlino ogni giorno milioni di italiani (quando non parlano di donne come fa sempre Cesare)? Parlano di soldi, di affari, di carriera, di opportunità. Riascoltati dalle intercettazioni sembrano tutti criminali, mentre nella realtà tante volte di reati veri non ce ne sono. Altre volte invece i reati ci sono. Ma è questo il punto: appurare se alla fine Marra non aveva i titoli per andare a presiedere la Corte d’Appello, se ha scavalcato un candidato più qualificato; mentre è assurdo fermarsi alla telefonata, alla raccomandazione, alla pressione che ci sono sempre e comunque per chiunque aspiri ad un incarico importante.

E’ aberrante che oggi chi ha votato per lui venga dipinto come un criminale affiliato alla P3 e chi ha votato per l’antagonista sconfitto passi per l’arcangelo che ha difeso la democrazia dai golpisti!…

Pensiamo al piano eversivo occulto, manovrato da una loggia segreta. E non ci accorgiamo che, se mai, ne abbiamo uno palese. Con tanto di comunicato stampa.

Mi riferisco alla pubblica presa di posizione del comandante generale dei carabinieri Gallitelli a favore del generale Ganzer. Il tribunale di Milano l’ha condannato a 14 anni come narcotrafficante e Gallitelli non lo sospende, anzi: gli conferma la piena fiducia e lo lascia al comando del Ros; tenendo così in alcun conto il pronunciamento dei magistrati milanesi.

A me pare uno scontro frontale tra il vertice dell’Arma dei carabinieri e l’Ordinamento giudiziario. Forse Napolitano dovrebbe spiegarci se è eversivo il comportamento di Gallitelli oppure la sentenza, il "rito ambrosiano", del Tribunale di Milano. Ma il Capo dello Stato tace, e i giornali parlano di P3.

 

SE E’ IL SINDACO A TASSARCI

 

Tutto ormai fa credere che a breve sarà il sindaco a tassarci. Si conoscono già i dettagli di questa nuova imposta municipale che accorperà varie voci: dalla cedolare secca sugli affitti alla tarsu, dall’imposta di registro a quella ipotecaria e catastale. Non vi viene però detta la cosa fondamentale. Cioè se alla fine della giostra, tra tasse locali e centrali, il cittadino che prima pagava dieci si ritroverà a pagare nove e mezzo oppure dieci e mezzo.

In teoria il rapporto fiscale più corto dovrebbe funzionare meglio perchè garantisce maggiori controlli. Il che non toglie che, se il prelievo complessivo diminuisce, il sindaco che tassa sarà un vantaggio; se invece aumenta sarà una fregatura.

Fossimo meno imbevuti di ideologia capiremmo che la scelta politica si fonda su un punto prioritario: quanto pago di tasse e che servizi, e di quale qualità, ottengo in cambio. Su questo dovrebbero confrontarsi anzitutto i programmi elettorali dei vari schieramenti. Perchè se vado a comprare un paio di pantaloni mi interessa ottenere i migliori al prezzo più conveniente, e non sapere se il negoziante vota destra o sinistra.

Mentre con l’appartenenza ideologica ci facciamo solo fregare dai bottegai della politica, che di tutto ci parlano glissando sui costi che poi paga il cittadino

Sentire oggi parlare di “autonomia impositiva” degli enti locali, come se fosse un regalo fatto ai cittadini, mette i brividi. Ed è una contraddizione totale nell’intervento del governo. Nel decretare i tagli ai bilanci di Regioni e Comuni Berlusconi stesso ha infatti dichiarato che lui e Tremonti hanno visto “cose vergognose” nei conti di questi enti; ossia sprechi, sperperi e grasso che cola. Ma, se sei convinto che sia così e lo dichiari, devi vietare in modo esplicito qualunque autonomia impositiva per costringerli alla cura dimagrante.

Se invece la concedi dai ragione a chi ti accusa di aver solo delegato ad altri il compito di attuare la cosiddetta “macelleria sociale”.

Sulla carta è sacrosanta la stessa riforma federalista. Anche perchè ripara alla follia storica di aver voluto unire con un modello rigidamente centralista un Paese che, dalla caduta delll’impero romano, non è più stato unito. Ma pure qui è decisivo il conto finale che presenteremo ai cittadini. Non possiamo infatti dire loro: paga più tasse e sii contento perchè ti abbiamo dato il federalismo. Se sarà così sarà una fregatura, esattamente come aver dato al sindaco la facoltà di diventare esattore di nuove imposte.

 

P2, P3, P…QUANTE?

 

 

Vent’anni dopo la famigerata P2 di Licio Gelli ecco che spunta la P3 di Flavio Carboni. Una continuità perfetta dato che il faccendiere per eccellenza (così battezzato allora da Eugenio Scalfari) già risultava iscritto alla Loggia di Gelli, e fu arrestato nel 1992; ed ora sarebbe al vertice della nuova congrega massonica, accusata di aver cercato di influenzare i giudici della Consulta per far passare il lodo Alfano, di tramare nuovi piani eversivi, e per questo nuovamente arrestato ieri.

Ne parlano i quotidiani usciti oggi nel giorno dello sciopero, e non occorre essere il polipo Paul per avere la certezza che l’arresto di Carboni, la P3 e i disegni eversivi campeggeranno su tutte le prime pagine di quelli in edicola domani.

Nessun dubbio che Carboni sia, appunto, il prototipo del faccendiere. Ma credo che un golpista serio (che non si limiti a guidare dei forestali come Junior Valerio Borghese) debba avere caratteristiche, poteri e relazioni ben diversi. Quando sento parlare di “piani eversivi” non so se piangere, ridere o…sperarci. Lo dico per paradosso (ricordatevelo, prima di iscrivermi d’ufficio alla P3) nel senso che un piano eversivo puoi attualo solo se esistono poteri forti che abbiano in mano le redini di un Paese. Mentre il nostro mi sembra, più che altro, un Paese alla deriva, preda degli interessi corporativi, delle cricche, del nepotismo, senza alcuna meritocrazia. Più allo sbando che in vista di un golpe.

Non posso poi dimenticare come finì tutta la vicenda P2. L’unico “piano eversivo” fu quello attuato ai danni di Angelo Rizzoli jr: infattigrazie all’accusa di piduismo – da cui fu poi completamente prosciolto! – gli venne scippato il Corriere della sera. A tutto beneficio di Gianni Agnelli e dei banchieri che tutt’ora ne detengono la proprietà. Il primo quotidiano italiano fu così sottratto ad uno dei pochissimi editori puri e finì in mano di chi aveva mille intrallazzi e mille altri interessi extra-editoriali. Viva la libertà di stampa! Chi era l’eversore e chi il garante della democrazia?

Oggi Flavio Carboni è accusato di aver cercato di condizionare i giudici della Consulta. Condizionarli come? Forse rapendo qualche famigliare e minacciando di ucciderlo se non passava il lodo Alfano? No. Pare che abbia fatto alcune telefonate “chiamando deputati ai quali domandava se avessero per caso relazioni altolocate”. Giuliano Ferrara oggi la racconta così. Ma, se è così, siamo a Totò che cerca di vendere la Fontana di Trevi o alla sovversione delle istituzioni democratiche?

Non che non ci siano pagine oscure nella storia della nostra Repubblica. Anzi ce ne sono fin troppe. Basta ricordare Aldo Moro: è credibile che quegli squinternati dei brigatisti rossi, dediti a stendere comunicati deliranti, avessero una preparazione militare così perfetta da liquidare con un sol colpo in fronte tutti gli uomini della scorta e rapire colui che era il cardine della politica italiana? Non lo è. Vien da pensare che abbiamo provveduto i servizi segreti; quelli americani o quello sovietici. O tutti e due assieme, dato che né Mosca né Washington volevano che Moro attuasse il compromesso storico.

Vien da pensarlo, ma non è mai stato provato. Tra vent’anni riapriremo per l’ennesima volta il processo Moro. Esattamente come si continua a cercare una verità definitiva per l’Italicus, per Ustica, per le stragi, per Falcone e Borsellino. Quindi avanti con la P3, la P4, la P5…in attesa che tutto vada a finire come con la P2. Cioè con Angelo Rizzoli scippato, ma assolto da ogni addebito, e Licio Gelli che invecchia serenamente a Villa Wanda.

Forse bisogna aspettare che vanga attuato un “piano eversivo” per arrivare finalmente ad avere colpevoli certi e definitivi…







MULTIETNICO SI’, MA TEDESCO

 

 

Dopo che la Germania ha “asfaltato” (Gazzetta dixit) l’Argentina di Maradona, i tedeschi sono diventati perfino “simpatici e divertenti” (La Stampa). Ma, soprattutto, si sottolinea come la nazionale di Loew stia sbaragliando il campo perchè è goiosamente multietnica: dal gahanese Boateng al tunisino Khedira al turco Ozil fino alla coppia polacca Klose-Podolski.

Quasi il contraltare ai nostri pregiudizi che ci avrebbero fatto lasciare a casa Balotelli, con la conseguente eliminazione di una nazionale tutta e solo italiana.

Prendiamo per buono l’assunto, ma cerchiamo di capire quando il multietnico funzioni e quando no. Perchè non possiamo ignorare che un’altra nazionale, più “mista” ancora di quella tedesca, la Francia di Domenech, ha fatto invece la stessa nostra miserevole fine. Proprio il raffronto tra calciatori tedeschi e francesi ce lo fa comprendere.

La premessa è che l’intreccio di etnie diverse funziona sempre, nel senso che produce un arricchimento delle facoltà sia fisiche che intellettuali. E’ l’esatto opposto delle unioni tra consanguinei. Mescolare il sangue è positivo sia per i cani che per gli uomini. Dopo di che per gli uomini diventa però decisiva la condivisione di un progetto comune, altrimenti scoppiano i conflitti. Altrimenti fai la fine dell’impero asburgico: tanto ricco di cultura, storie e intelligenze diverse, quanto dilaniato e disintegrato dall’insorgere dei singoli nazionalismi; perchè privo di una Weltanshauung condivisa.

Un po’ come la Francia di Domenech dove il nero Anelka e l’islamico (convertito) Ribery non volevano in squadra Gourcuff accusato di essere un borghese bianco della Parigi bene…Se permangono le contrapposizioni sociali o razziali o religiose, la società multietnica resta una polveriera che genera le banlieue e gli spogliatoi ingestibili come quello di Domenech.

Bisogna invece condividere il progetto, sentirsi parte di una società, apprezzare il Paese in cui vivi. Come Sami Khedira, 23 centrocampista dello Stoccarda, figlio di padre tunisino e madre tedesca che, intervistato dalla Gazzetta, spiega di non aver mai voluto imparare l’arabo per essere e sentirsi completamente tedesco!…Cioè parte integrante di un Paese che è primo in Europa, che garantisce gli stipendi più alti agli operai (doppi rispetto a quelli italiani), dove la scuola funzione al pari della giustizia, dove ha un senso perfino la burocrazia pubblica.

Significativo del livello di integrazione in Germania quanto raccontava domenica l’inviato de La Stampa da Berlino, da Neukolln il quartiere degli immigrati, dove – scriveva – “gli autonomi di sinistra tedeschi se ne vanno in giro a strappare le bandiere federali appese da arabi e turchi colpevoli, a loro dire, di risvegliare il patriottismo tedesco”.

Capito? I no global berlinesi temono che questi immigrati diventino più nazionalisti dei tedeschi! Pericolo che noi non corriamo di certo, incapaci come siamo di trasmettere l’immagine di un Paese serio, di cui valga la pena sentirsi e diventare cittadini.

In conclusione anche la nazionale di calcio finisce con l’essere lo specchio di pregi e difetti di un Paese: in Germania la società multietnica funziona, crea vantaggi e consenso, e risultati anche sportivi. Mentre basta guardarsi attorno nelle nostre città per vedere stranieri che nemmeno di sognano di voler diventare italiani. Ed è difficile dar loro torto.

 


L’UNITA’ D’ITALIA DEI CIECHI

 

 

L’unità d’Italia non esiste nemmeno con i ciechi. In Veneto infatti ce ne sono poco meno di 7.000 su una popolazione di 4.527.694 abitanti, mentre in Sicilia – 4.968.991 abitanti – ce ne sono oltre 30.000. Sarà una malattia, tipo l’anemia mediterranea; sarà colpa degli specchi ustori che Archimede inventò a difesa dei Siracusani. Fatto sta che sono il quadruplo.

Il dato lo fornisce uno che di ciechi se ne intende, Davide Cervellin imprenditore dell’alta padovana, cieco lui stesso, che produce ausili tecnologici a beneficio degli ipovedenti.

Il Corriere ha pubblicato l’inchiesta “i conti del federalismo” che certifica la totale disunità d’Italia. Regioni una diversa dall’altra su tutto: costi del personale, della sanità, degli organi istituzionali, numero di invalidi. Restiamo a quest’ultima voce che allarga il discorso dei ciechi. Il Veneto è la Regione più sana con solo il 2,4% della popolazione che intasca l’assegno d’invalidità dell’Inps; metà della Sardegna dove sono invece il 4,8%.

A dimostrazione che tutta l’Italia tende ad essere Meridione, ci sono anche regioni del Nord come la Liguria (3.7%) e del Centro come l’Umbria (4,6%) ben al di sopra della media nazionale di invalidi. Il dato di cui vergognarci è che salta perfino l’unità d’Europa, nel senso che in Italia abbiamo il doppio di invalidi della Francia e della Germania! E qui delle due l’una: o diamo una spiegazione razziale e razzista, oppure dobbiamo ammettere di essere diventati un popolo di cialtroni.

Ma la spiegazione di fondo la fornisce proprio Davide Cervellin denunciando che “le politiche assistenziali dei governi hanno privilegiato la monetizzazione dell’handicap alla costruzione di servizi o al soddisfacimento dei bisogni per realizzare le pari opportunità”. “Ne consegue – prosegue Cervellin – che chi è cieco o tetraplegico riceve dallo Stato, tra pensione sociale e indennità d’accompagnamento, una somma che corrisponde all’incirca ad uno stipendio, cosicché queste persone sono disincentivate a cercarsi un lavoro e rimangono chiusi in casa in attesa che arrivi il giorno del mese in cui andare a ritirare la pensione”.

Un analisi tanto chiara quanto terrificante: dando la pensione al disabile, invece che metterlo con le tecnologie e i servizi in condizione di lavorare e guadagnarsi uno stipendio, non solo graviamo lo Stato di costi pesanti ma, soprattutto, rinunciamo all’apporto che potrebbero dare alla comunità i diversamente abili. Li condanniamo all’emarginazione, a restare diversi. Abbiamo cancellato le classi differenziali, considerate incivili, ma diamo loro una vita differenziale, priva cioè della dignità del lavoro.

Questo è successo con i disabili veri. Ma c’è di peggio. Perchè le politiche assistenziali dei governi hanno trasformato anche gli abili in disabili. Largheggiando con i posti pubblici, le invalidità fasulle, i contributi e i forestali vari, abbiamo messo anche le persone sane nella condizione di starsene a casa (o in ufficio, o ad appiccare il fuoco sulla Sila) “in attesa che arrivi il giorno del mese in cui andare a ritirare la pensione” o lo stipendio.

Col che si comprende che c’è una differenza molto più profonda che tra abile e disabile: è la cultura del lavoro contrapposta a quella dell’assistenza. Abbiamo scelto la seconda trattando così l’intero Meridione, e via via anche il resto del Paese, nello stesso modo infame, incivile e umiliante in cui trattiamo un cieco o un tetraplegico.


NEL CASO BRANCHER UN CASO NAPOLITANO

Da dilettanti allo sbaraglio. Anzi con il terrore nel cuore e nelle gambe, come il povero Osorio (il difensore messicano che, impaurito dall’attacco argentino, ha offerto lui l’assit a Higuaìn). Così il centrodestra, Lega compresa, ha gestito il caso Brancher: facendo un assit perfetto all’opposizione, mandando in gol Di Pietro e il dipietrismo.

Non fossero dilettanti tremebondi quelli del centrodestra si ricorderebbero che la legge sul legittimo impedimento (proposta da Casini e votata anche dall’Udc) ha un’unica ragion d’essere: mettere il presidente del consiglio e tutti i ministri al riparo da attacchi indebiti dell’ordinamento giudiziario.

Se ritieni che questo pericolo non ci sia, non vari la legge. Ma, se la vari, devi riaffermare con forza l’esigenza che l’ha ispirata. E devi aggiungere che il legittimo impedimento è uno dei tanti tentativi di frenare la persecuzione giudiziaria che da decenni ormai ha messo nel mirino Berlusconi e i suoi uomini. Quindi non ti fai intimidire da nulla, nemmeno dalla tempistica, proclamando che sì, lo “scudo” a Brancher va dato anche cinque minuti dopo la nomina a ministro perchè è perseguitato da certi pm.

Se ci credi fai così. Ma se cominci a vacillare, se fai un passetto indietro, poi ammutolisci e retrocedi fino a cadere nella fossa che ti sei scavato…

Intendiamoci. L’opposizione, Di Pietro e tutti i media con loro schierati, ritengono che non ci sia alcuna persecuzione giudiziaria, che Berlusconi e i suoi siano solo dei lestofanti che cercano di utilizzare il potere legislativo per sottrarsi alla Giustizia. Perfetto che la pensino così. Sconcertante che un centrodestra, balbettante di fronte alle critiche piovute sul caso Brancher, sembri avvallare questa loro tesi…

Sconcertante che non difenda la legge dagli attacchi impropri che ha subito in questi giorni dal Colle. Perchè il legittimo impedimento è una legge dello Stato, votata dalla maggioranza del Parlamento, in vigore dal momento che il Presidente della Repubblica l’ha firmata e la Corte Costituzione non l’ha (ancora) cassata. E – arriviamo al punto – non è previsto in alcun modo che sia Napolitano a decidere quando l’impedimento è legittimo e quando no. Non c’entrano né le deleghe di Brancher né il portafoglio o meno del ministero né i tempi dopo la nomina.

La Costituzione – di cui Napolitano è custode – non contempla per il Presidente della Repubblica il potere né di interpretare né di modificare le leggi promulgate. Stabilisce che lui sia una figura puramente decorativa. Se al “custode” non va bene così com’è lo dica; e si impegni a modificarla in senso presidenzialista per ottenere i poteri che oggi non ha (proprio come vorrebbe anche Berlusconi…).

Mentre ancora una volta abbiamo capito come interpreta il proprio ruolo la grande stampa “indipendente”: un fondo puntuale e rigoroso di Ferruccio De Bortoli sulla mala gestione del caso Brancher, da giornalismo anglosassone; silenzio totale dello stesso direttore del Corriere sull’intervento a gamba tesa di Napolitano, un silenzio da giornalismo di regime sudamericano.

LA SLOVACCHIA NON E’ UN VAJONT

 

Sbattuti fuori dal Mondiale da una squadretta come la Slovacchia, finiti all’ultimo posto. Peggio che contro la famosa Corea nel ’66. Chiaro che siamo delusi, frustrati, incazzati. Ma resta una “tragedia” tra virgolette; nel senso che è una disfatta sportiva, non una tragedia nazionale. Non è un Vajont né un terremoto, non ci sono migliaia di morti. Solo milioni di tifosi furiosi.

E’ utile ricordarlo perchè, leggendo stamane i quotidiani, sembrava proprio che la Slovacchia avesse fatto franare il monte Toc: VERGOGNA!, VERGOGNA E LACRIME, LA DISFATTA E LA VERGOGNA, POVERA ITALIA (con foto di Berlusconi affiancato a Lippi), AZZURRI SPECCHIO DEL PAESE. Questi i titoli che monopolizzavano le prime pagine di tutti quotidiani (di politica e informazione); col paradosso che il titolo meno da tragenda era quello della Gazzetta.

Ora nessuno nega l’interesse totalizzante che il calcio esercita nel nostro Paese e che coinvolge decine di milioni di persone, ma non si può perdere il senso della misura e della giusta collocazione: perfetti i titoloni sulle prime pagine dei quotidiani sportive, sacrosante pagine e pagine (interne) anche sugli altri. Ma, quando la disfatta azzurra, monopolizza la prima di Repubblica e del Corriere vuol dire che siamo un Paese da operetta; che, appunto, confondiamo la batosta sportiva con la tragedia nazionale.

C’è, forse, una sola cosa che interessa più del calcio. E’ il sesso, specie spiato dal buco della serratura. Quindi sacrosante pagine e pagine su Berlusconi e la D’Addario e le excort e le fanciulle in fiore e le performance vere o immaginarie del Cavaliere. I giornali popolari inglesi hanno campato anni con quel Principe Carlo che sognava di essere il tampax di Camilla…Ma i tabloid popolari, non il Times. Le Monde non si sogna di occuparsi di Sarkozy e Carlà sotto le lenzuola. L’anomalia è che da noi la D’Addario è finita in prima pagina su Repubblica e il Corriere, invece che su Novella Duemila e su Chi. Perchè un Paese da operetta confonde anche sesso e politica.

Così’ come mischia calcio e politica. E il Fatto titola “Azzurri specchio del Paese”, dimenticando che quattro anni fa avevano vinto il Mondiale. Cosa vuol dire? Che allora eravamo la California, che eravamo il Paese perfetto? Mentre oggi siamo diventati un cesso? Sarebbe già una novità: purtroppo restiamo oggi quel Paese semi diroccato che eravamo quattro anni fa; e che ha cominciato a sgretolarsi quando si esaurì lo slancio della ricostruzione postbellica.

O, forse, quattro anni fa eravamo la California perchè al governo c’era Romano e non Silvio? Quel Prodi che poi (gli elettori) hanno lasciato a casa? Come credere che il problema degli azzurri sia Lippi che ha lasciato a casa Balotelli o Cassano…Non è più semplice pensare che, purtroppo, Messi e Milito sono nati in Argentina, Luis Fabiano e Lucio in Brasile; mentre di Riva, di Paolo Rossi, di Baggio non ne sono nati altri. E, magari, anche per la classe politica vale qualcosa di analogo…(Alle Lega che propone di chiudere ai calciatori stranieri, domando se non sia il caso di aprire in cambio ai politici stranieri…)

Di fronte a tutti quei quotidiani che hanno sparato VERGOGNA! In prima pagina, ha senso domandarsi di cosa dobbiamo vergognarci al cospetto del mondo. Di avere metà Paese in mano alla criminalità organizzata? Di continuare a finanziare le mafie con gli aiuti al Sud? Di avere (Bortolussi dixit) “tasse svedesi in cambio di servizi da terzo mondo”? Di aver distrutto quella che era la miglior pubblica istruzione d’Europa? Oppure di aver perso contro la Slovacchia?

Oggi la nostra vergogna è anzitutto di aver trattato la Slovacchia come un Vajont.



DA SEPE AI CIMITERI NON C’E’ PIU’ RELIGIONE

 Dal cardinale Crescenzio Sepe agli addetti ai servizi cimiteriali di Genova, c’è qualcuno che si salva? Che può scagliare la prima pietra? Al vertice ci arriviamo subito: il Papa, come si diceva ai tempi di tangentopoli, “non poteva non sapere” cosa combinava il responsabile di Propaganda Fide. Lui, d’altronde, è solo il vicario di Cristo che è per definizione “l’Onniscente”. Restiamo dunque in attesa di un pm che inoltri l’avviso di garanzia nell’alto dei cieli…

Si ride per non piangere. Per non piangere pensando ai nostri morti. Che certezza abbiamo che anche nei camposanti veneti non sia in azione una banda di comunali dediti al saccheggio delle spoglie, a trafugare protesi ortopediche, denti d’oro e perfino lo zinco delle bare il cui valore era sfuggito agli stessi nazisti? Nessuna certezza che questo non accada. Mentre è possibile immaginare che i becchini di Genova, parlando al bar con gli amici, esprimessero sdegno e riprovazione per i maneggi della cricca di Anemone e Balducci…I farabutti sono sempre gli altri.

E’ certo più comodo sdegnarci per le ruberie altrui che dare un’occhiata alle cricche che operano vicino a noi, o di cui facciamo parte. Sono solo i dipendenti Fiat di Pomigliano a rubare a man bassa tutto ciò che trovano nel loro disastrato stabilimento? O la stessa cosa non capita, quotidianamente, anche nei nostri uffici pubblici (dico in quelli veneti), nei cantieri edili, nelle nostre aziende private, anche in quelle piccole? Dove la differenza non la fa l’etica del singolo, bensì il valore degli oggetti che si possono arraffare.

Vi pare credibile che fossero solo quei carabinieri di Roma gli unici a spacciare droga e ricattare sia politici che trans? Avete mai sentito parlare, nei comuni della nostra regione, di vigili urbani che fanno la spesa gratis nei mercati minacciando, in caso contrario, di essere molti fiscali sui centimetri di plateatico degli ambulanti? E non è forse perché – anche in Veneto – inventiamo incidenti ogni volta che sbattiamo con l’auto che ci ritroviamo a pagare polizze doppie della media europea?

Dal vertice alla base gli esempi di malcostume e ruberie si moltiplicano a piacimento. E, come sappiamo, la repressione non basta. Anche avessimo una giustizia degna di questo nome, cioè capace di comminare pene severe in tempi certi, sarebbe certamente utile ma non decisivo. Perchè ci vuole la prevenzione.

Una prevenzione che, per secoli, è stata esercita in primo luogo dalla Chiesa. Suona incomprensibile ai miscredenti che siamo diventati ma, per secoli appunto, non si rubava anzitutto perché lo vietava il Settimo Comandamento prima ancora che un articolo del codice penale. La maggioranza dei cittadini era infatti convinta di dover fare i conti col proprio Creatore, e la dannazione eterna funzionava assai meglio come deterrente di qualche mese o anno di carcere.

In secondo luogo la prevenzione veniva esercitata dalla “religione civile”, cioè il senso dello Stato e il dovere di privilegiare l’interesse comune, che per secoli avevano instillato ottime amministrazioni come la Serenissima o quella asburgica. Che aveva coltivato anche l’Italia dei Savoia e lo stesso regime fascista; che l’Italia repubblicana ha invece dissipato anno dopo anno.

La religione e il senso dello Stato; sono questi i due freni potenti che tengono a bada il furfante che alberga in ognuno di noi, e che è pronto ad uscire allo scoperto in loro assenza. Senza la religione civile ciascuno tende ad esercitare il potere a proprio uso e consumo invece che a beneficio della comunità o “in nome del popolo italiano”.

Certo: il potere del vigile urbano non è paragonabile a quello di un ministro. Più potere hai più puoi abusarne. E’ vero anche che il buon esempio deve arrivare dal vertice. Ma intanto oggi l’esempio più terrificante di abuso è arrivato invece dal basso, dai cittadini qualunque, cioè dai quattro tumulatori e dai tre ispettori cimiteriali del comune di Genova.

 



VA’ PENSIERO…SEMPRE ALLA LEGA

 

Dunque la notizia più inquietante del fine settimana, meritevole di conquistare le prime pagine, arriva da Vedelago in provincia di Treviso: il governatore del Veneto Luca Zaia, alla cerimonia di inaugurazione della nuova scuola locale, avrebbe intimato alla banda di suonare Va’ pensiero al posto di Fratelli d’Italia. Il condizionale è d’obbligo. Perchè non è certo che l’ordine sia partito da Zaia oppure dal suo portavoce Giampiero Beltotto che, virilmente, si è assunto ora la responsabilità della scelta musicale.

Ma c’è poco da sottilizzare e ancor meno da sottovalutare: è infatti dai piccoli gesti, apparentemente insignificanti, che si innescano le rivoluzioni, le secessioni, le nuove Resistenze. Infatti appena il “partigiano Michele” intonò Bella ciao, in diretta su Rai due, subito si scatenò, appunto, la nuova resistenza armata per liberare l’Italia da Berlusconi. Travaglio e Sandro Ruotolo furono tra i primi a salire in montagna; e così non si seppe mai se l’idea del canto fosse stata loro o di Santoro…

In realtà sempre di goliardate si tratta. Non voglio fare il trombone né il “benaltrista”, e quindi non sto a dire che ben altri sono i problemi del Paese che meriterebbero le prime pagine. Osservo solo che come la canzone della Resistenza non cambiò allora il carisma, il seguito e gli emolumenti del “partigiano” Michele (anzi…), cosi’ oggi il Va’ pensiero di Vedelago non cambia il seguito e gli “emolumenti elettorali” di Zaia e della Lega (anzi…).

Guardando ai trend elettorali nelle regioni del Nord si constata come politici ed amministratori della Lega godano di un consenso crescente. Sarà colpa dei cittadini rozzi ed ignoranti che non capiscono quanto sia più articolata e civile e “europea” la proposta politica di altri partiti. Non stiamo nemmeno a discutere. Ma rendiamoci conto che è una pia illusione pensare di invertire la tendenza enfatizzando il reato di leso Inno nazionale consumato dalla banda (nel senso di orchestra) di Vedelago.

C’è un qualcosa da antico goliarda anche del Berlusconi che, sempre questo fine settimana, si è vantato di essere assediato da un esercito di fanciulle in fiore ansiose di sposarlo. Un capo del governo che manifesta tutto il suo pubblico apprezzamento anche per certe prosperose crocerossine…Ma, giusto o sbagliato che sia, anche qui prendiamo atto che gli elettori lo giudicano su altri parametri; e magari gradiscono pure questi suoi atteggiamenti. Fatto sta che la campagna di Repubblica a colpi di Noemi e D’Addario non gli ha fatto perdere nemmeno uno zero virgola di consenso.

In definitiva questo pensiero che va’ sempre alla Lega e sempre a Berlusconi, denota anzitutto l’ossessione dei loro avversari politici. I quali ci pensano, ci pensano, ma ancora non sono riusciti a trovare il bandolo della matassa capace di metterli sul serio in crisi.


DA MANDELA A CANNAVARO

 

 

Speriamo che siano davvero iniziati i mondiali di calcio, perchè fin’ora sono stati i mondiali di Nelson Mandela: fiumi e fiumi e fiumi di retorica sullo storico leader della lotta contro l’apartheid. Fin’ora si è parlato, si è celebrato solo lui.

Nessuno – sia chiaro – intende discutere i meriti di Mandela. E quelli di Helmut Kohl? C’è forse qualcuno che non gli riconoscere il merito della riunificazione tedesca? Di essere stato tra i protagonisti del crollo del muro, cioè del comunismo, contribuendo così a liberare l’Europa Orientale e la Russia dalla più lunga e feroce dittatura della storia moderna?

Eppure quattro anni fa abbiamo giocato i mondiali in Gemania, e nessuno si sognava di evocare o santificare Kohl. Non che non lo meritasse, ma eravamo la per giocare a calcio e dunque si parlava di calcio, non di politica.

Ogni volta poi c’è il retro della medaglia. Spazzato via il comunismo, restò ed anzi si aggravò la miseria; e molti, nell’Est Europa dicevano che, forse, si stava maglio prima. Spazzata via l’apartheid nessuno – of course – osa dire che si stava meglio prima. Tuttavia, se non ci fosse solo retorica e politicamente corretto, qualcuno magari andrebbe a raccontare l’altra faccia di un Sudafrica, certo liberato dalla piaga della segregazione, ma dove i problemi economici e sociali e di ordine pubblico sono tutt’altro che risolti.

Ma, quando si decide di celebrare i mondiali di Mandela, la notizia d’apertura dei nostri notiziari diventa la morte dalla bisnipote del leader nero. Naturalmente spiace per quella povera ragazzina ma, ci rendiamo conto, che sarebbe stato un po’ come aprire con la notizia che è nato Lorenzo Mattia, il primo nipote maschio di Berlusconi?!…

Stamane su Radio uno il cantante Povia spiegava che lui tifa sì Italia, ma tifa anche Sudafrica, si augura che arrivi alla finale perchè è la nazionale di Mandela…Da domandarsi se si può sconfiggere il Sudafrica, se si può cercare di eliminarlo o se si rischia l’accusa di razzismo, di nostalgici dell’apartheid.

Povia pensa di essere diventato…Celentano. Cannavaro e Buffon, invece,si credono interlocutori politici di Calderoli. Ed infatti hanno dato una dura risposta politica al ministro che voleva tagliare i loro premi: li devolveranno invece ai festeggiamenti dell’unità d’Italia. Così impara quel secessionista d’un leghista!

Bene così. Loro però farebbero bene anche ad imparare a prendere meno gol perchè, se incassano gli stessi beccati quest’anno con la Juve, c’è il rischio che l’Italia unita li linci.