DALLE URNE LO STOP ALLA GNOCCA

 

 

Personalmente trovo discutibile il bunga bunga politico più di quello sessuale. Parlo dello scambismo, non di coppia ma di collocazione in Parlamento, che ha consentito ai finiani di diventare nuova “costola della sinistra” (o dell’opposizione) pur essendo stati eletti con il centrodestra. Oppure a quel paio di dipietristi, al Calearo già veltroniano, che hanno garantito comunque una maggioranza a Berlusconi per lo sdegno dei loro elettori di centrosinistra

Ho detto che trovo discutibile la loro scelta, non scandalosa. Perchè mi meraviglierei se in politica non si facessero calcoli di convenienza, spazi e potere. Non mi meraviglio certo perchè invece si fanno. Dato che tutti fanno questi calcoli, non solo i finiani.

Capisco però che altri ragioni all’opposto e ritengano più grave la trasgressione sessuale dello scambismo politico.

Personalmente se chiamo un idraulico mi interessa che mi sgorghi il lavandino ad un prezzo equo, se ho bisogno di un ingegnere guardo che mi progetti (sempre a prezzo equo) la casa. Non mi interessa la loro vita sessuale ordinata o scomposta che sia, ma se il lavandino è sgorgato o meno, se la casa sta in piedi o crolla. Così credo vada giudicato anche un capo di governo: per i suoi risultati di governo, non perchè è casto, marito fedele o satiro impenitente, etero o omosessuale.

Ma non pretendo che le mie convinzioni siano la Verità Rivelata. So benissimo che i puritani anglosassoni mai sarebbero ricorsi alle prestazioni di un idraulico dalla vita chiacchierata. Ricordo che secondo il Fini d’antan i gay non dovevano fare i maestri. E quindi capisco chi ritiene che Berlusconi debba andarsene a casa, non perchè non ha ridotto le tasse, ma perchè si struscia (si struscierebbe secondo l’accusa) in piscina su una frotta di fanciulle nude. E si aspettano che un capo di governo salvi le apparenze.

(Almeno quelle. Sulla sostanza spero che nessuno sia così ingenuo da farsi illusioni…)

Alla fine chi è l’unico che può giudicare ed eventualmente punire gli scambisti politici? Il corpo elettorale, i cittadini elettori confermando o meno il consenso a chi ha cambiato schieramento. Spero sia così anche con il bunga bunga di Berlusconi: andiamo a votare, lasciamo che siano i cittadini ad assolverlo o a condannarlo. Che non se ne può più di pensare e parlare solo di gnocca (specie non potendo che ricoprire, noi cittadini, il ruolo di guardoni).

Anche su questa scelta, di lasciare il giudizio finale alle urne, non c’è unanimità. Altri pensano e sperano che sia la magistratura con una rapida condanna a decretare la fine politica di Berlusconi. E sono ovviamente liberi di auspicare questa soluzione. Così come resto libero io di pensare di assistere ad un film di Totò se mai Berlusconi dovesse essere condannato per aver indotto una Ruby a prostituirsi o per aver concusso il capo di gabinetto del questore di Milano.


USO E ABUSO DEL CORPO DELLA DONNA

 

 

Capisco le donne di centrosinistra che hanno dato avvio alla campagna contro Berlusconi, e la scarsa considerazione che avrebbe della donna vista solo come oggetto del suo desiderio; campagna all’insegna dello slogan “non siamo bambole”. Capisco che l’Unità raccolga centinaia di loro firme sdegnate per questo abuso del corpo femminile.

Non capisco però perché la stessa Unità, quando ha avuto bisogno di una campagna promozionale, non abbia messo il giornale in tasca a Rita Levi Montalcini o a Margherita Hack, e l’abbia invece ficcato nella gonna jeans, sul lato B, di una bella bambolona…

Capisco questi fondi sdegnati che leggo su tanti quotidiani, sdegnati contro la mercificazione del corpo della donna. Ma non capisco come gli stessi quotidiani possano continuare ad ospitare paginate intere di pubblicità affidata a donne discinte, e paginate di annuncini a pagamento delle escort.

Berlusconi cantava ancora sulle navi da crociera assieme a Confalonieri quando, alla fine degli anni Sessanta, l’Espresso e Panorama – autorevolissimi settimanale di politica e attualità – cominciarono a mettere la gnocca in copertina per vendere qualche copia in più. Che sia cominciato allora e con loro l’uso e l’abuso del corpo femminile?

Capisco e condivido tutte le battaglie per la liberazione della donna, perchè credo che la libertà di decidere della propria vita sia il primo diritto di ogni essere umano. Ma non capisco questo scandalo, questa riprovazione, se poi certe donne fanno della libertà un uso che non condividiamo o che ci sembra poco consono.

Libera ognuna di decidere della propria vita e del proprio corpo. Libere di fare le dame di carità, le professoresse, le commesse, le modelle o le prostitute. O dobbiamo forse avviare ai campi di rieducazione morale quelle che hanno scelto di andare a cena ad Arcore?

Credo che dobbiamo respingere solo la costrizione: è inaccettabile che una donna sia costretta a concedersi a qualcuno (Silvio compreso) così come è inaccettabile che sia costretta a restare chiusa in casa sotto il burqua.

Capisco lo sdegno per l’abuso del corpo, non capisco l’indifferenza per l’abuso del cervello che avveniva correntemente quando eravamo un Paese meno orgiastico e, in compenso, avevamo gli “intellettuali organici”. I quali si vendevano nemmeno per un compenso – cosa che nobilita e giustifica la prostituzione – ma per il puro piacere di vendersi, cioè di “servire un’idea”.

Capisco gli intellettuali schierati oggi contro Berlusconi i quali, pur di giungere alla sua eliminazione politica, invocano l’intervento del Papa e dei vescovi e ricordano l’etica del cristianesimo alla quale il premier dovrebbe attenersi. Ma non capisco perché poi loro – così devoti – non tornino ad andare a messa tutte le domeniche e trascurino perfino i primi nove venerdì del mese…

NELLE MANI DI SUOR ILDA

 

 

A quanto pare siamo nelle mani di suor Ilda Bocassini. Nel senso che sarebbe lei – e non i cittadini elettori – a decretare la fine politica di Silvio Berlusconi. Gli esponenti del centrodestra, schierati a difesa del premier, sostengono infatti che questo è l’obiettivo del procuratore aggiunto di Milano: arrivare ad una rapida condanna dell’imputato che, per il tipo di reati contestati (sesso a pagamento con minorenni) consenta di abbinare alla condanna il divieto a ricandidarsi alle elezioni.

Se questo è l’obiettivo della Bocassini va detto subito che è inaccettabile, perchè non può essere l’inchiesta “lenzuole pulite” a chiudere la stagione politica del berlusconismo.

Già è molto discutibile che sia stata “mani pulite” a chiuder la stagione del pentapartito, cioè i decenni del governo della Dc con i socialisti e i laici minori. Discutibili perchè il reato di corruzione, al centro di quell’inchiesta, è un reato che riguarda una somma di singoli individui e non i partiti. Mentre quei partiti furono cancellati da quell’inchiesta giudiziaria. Quando dovevano invece essere – semmai – i cittadini a decidere di mandarli a casa per scelte politiche dissennate, quale l’esplosione della spesa pubblica o pseudo riforme (sanità, scuola) dai risultati molto discutibili.

A maggior ragione oggi che i reati sessuali attribuiti al premier sono di assai dubbia consistenza. Nel senso che – anche fatte salve tutte le accuse, che sono invece tutte da verificare – è difficile vedere in giro delle Santa Maria Goretti sedotte, violentate e indotte a prostituirsi dal premier…(e non lo sono, Maria Goretti, anche se mancava loro qualche mese alla maggiore età)

Personalmente, fossero vere le performance sessuali attribuite a Silvio – proverei più invidia che scandalo o riprovazione. Personalmente penso che vada mandato a casa perchè non ha dimezzato le tasse, non ha rovesciato come un calzino la pubblica amministrazione e non ha nemmeno riformato drasticamente la giustizia ( esigenza questa di ogni cittadino) limitandosi ad assecondare gli escamotage processuali dei suoi difensori. Mentre non credo che vada mandato a casa perché ama circondarsi di fanciulle in fiore e (dicono, dice…) deflorarle a spron battuto.

Ma non pretendo che debba prevalere la mia visione morale così riduttiva. Capisco che molti cittadini considerino invece scandalosa la vita privata del premier, intollerabile in un capo del governo anche per la ricaduta che ha nel consesso internazionale.

Dico però che devono essere i cittadini – e solo loro – a decidere se mandarlo a casa o lasciarlo ciò non ostante alla guida del governo. Perchè in un Paese laico (cioè non soggetto alla sharia né alla legge di altre religioni) non può che essere l’opinione della maggioranza a dettare regole e limiti morali.

Non esiste un’Autorità Superiore oggi nell’Italia secolarizzata. Per fortuna non siamo uno Stato Etico. Ed è grottesco che suor Ilda pensi di smettere la toga, indossare il saio, e diventare così la Giovanna D’Arco che libera lei il Paese da Berlusconi.

 

LEZIONE CARITAS ALLA FIOM

 

Il mercato, con le sue regole, esiste e non si può ignorarlo. Perchè ignorarlo significa farsi e fare del male. Lo ha capito perfino la Caritas che pure, non essendo un soggetto né politico né sociale, potrebbe permettersi di ignorarlo. Continua invece a ignorare il mercato chi non può permetterselo, cioè la Fiom. La Fiom ferma al costo del lavoro “variabile indipendente”.

C’è una Caritas che, potremmo dire, è divenuta più leghista della Lega: nel senso che il ministro Maroni ha pronto il nuovo decreto flussi e il direttore della Caritas di Venezia, mons. Dino Pistolato, lo invita a bloccarlo perchè – spiega – “il via libera all’ingresso di centomila stranieri rischia di appesantire una situazione già difficile, se non addirittura di aprire un conflitto etnico e umano insieme”

Come dire che i posti di lavoro sono quelli che sono, sia nel mercato legale che in quello illegale: anche volendo non c’è spazio per nuove prostitute o nuovi spacciatori in un segmento già saturo; e non puoi ipotizzare posti di lavoro con le aziende venete che chiudono. Quando – sono ancora parole di mons. Pistolato – “I corsi di formazione per badanti sono ormai frequentati più da italiani che da stranieri”. E “Fino a due anni fa gli italiani che chiedevano aiuto ai nostri sportelli erano il 30-35%, oggi sono saliti al 50-55%”.

(E in queste considerazioni del direttore della Caritas sui nuovi poveri nostrani sembra quasi di cogliere un eco dello slogan di Luca Zaia “prima i veneti”….)

Per il segretario della Fiom Landini, invece, le regole di mercato non esistono, non esiste il contesto dell’economia globale, e non si pensa alle conseguenze che una chiusura di Mirafiori avrebbe anche per le aziende venete che produco nell’indotto dell’auto. Venti altri Paesi sono pronti a fare ponti d’oro agli investimenti di Marchionne; mentre la Fiom definisce un “ricatto” la richiesta di garanzie sulla produttività degli stabilimenti italiani.

Landini denuncia la “violazione dei diritti dei lavoratori”. Quali diritti? E’ forse un diritto piazzare uno sciopero nel turno del sabato dopo essersi impegnati a lavorare? E’ un diritto starsene a casa al primo starnuto?…Marchionne pretende che si lavori di più, venendo pagati di più, e vuole le garanzie che l’impegno venga mantenuto. Cioè non accetta un accordo con pagliacci che il giorno dopo possano violarlo.

E’ chiedere troppo? E’ un ricatto? E un attacco ai diritti dei lavoratori? Anche Gino Strada, in polemica con mons. Pistolato, dice che non si possono frenare i flussi perché “così si violano i diritti degli immigrati”.

Cercare di porre un freno all’inutile invasione di disperati che andrebbero ad aggiungersi ai nostri poveri sarebbe una violazione dei diritti. Lavorare come gli operai tedeschi o americani altra presunta violazione dei diritti. In questo modo capiamo che l’alternativa al mercato è…il diritto a delirare.






FEDERALISMO E ACQUA CALDA

 

Sembrerebbe la scoperta dell’acqua calda questo studio sul federalismo fiscale commissionato dal senatore del Pd Marco Stradiotto. Studio che ci spiega come federalismo significherebbe un bagno di sangue per il Sud e un bagno di ricchezza per il Nord.

Non si capisce infatti dove stia la novità. Dal momento che il federalismo o è questo – cioè una più equa distribuzione delle risorse pubbliche in base ai meriti (di produzione della ricchezza) – oppure è il nulla. Tuttavia dico sembrerebbe la scoperta dell’acqua calda, perchè il realtà questo studio ci fornisce cifre che un po’ tutti avevano cercato di occultare o di ammorbidire. Cifre di questo genere: Comune di Napoli meno 61%, comune di Palermo meno 55%; comune di Treviso più 58%, comune di Padova più 76%!

Cifre che ci fanno capire come il federalismo vero – se mai venisse attuato – comporterebbe lacrime e sangue per il Sud. E per questo non verrà attuato (quello vero); perchè ci sarebbe prima la rivolta elettorale del Sud e, se non bastasse, la rivolta vera e propria. E, a quel punto, il federalismo si chiamerebbe con quel nome che nessun partito né di governo né di opposizione osa pronunciare: secessione.

D’altra parte non esiste nemmeno l’alternativa. Non si può infatti far finta di niente e lasciare che tutto continui ad andare come sta andando: con Alemanno che assume migliaia di dipendenti in più nelle municipalizzate romane, e Lombardo che spende per il personale della sua Sicilia dodici volto di più di quello che spende la Regione Veneto. Non si può per il semplice motivo che l’Italia andrebbe in bancarotta.

E credo proprio che ci andrà; che faremo la fine della Grecia, della Spagna e degli altri Paesi mediterranei.

Nell’attesa dell’esito esiziale, e tanto per passare il tempo, oso ricordare – per pura teoria – che ci sarebbe una ricetta molto più seria della stessa riforma federalista: cioè il taglio drastico delle tasse.

La ricchezza della nazioni, delle regioni e delle comunità, non dipende infatti mai dal trasferimento di risorse pubbliche. Che anzi, spesso hanno effetto mortifero, drogano e deprimono il mercato del lavoro. (ed uno dei rischi del federalismo è proprio quello di trasferire da Sud a Nord la droga dell’assistenzialismo e dei posti pubblici). La ricchezza dipende dal lavoro dei cittadini. Dipende da chi con il commercio, i servizi , la produzione crea sempre nuove opportunità.

Quindi è molto più importante lasciare più risorse nelle mani dei produttori, riducendo le tasse, che non portare più risorse al pubblico, aumentando le tasse. Al pubblico che dissipa le risorse.

La forza degli Stati Uniti, più ancora che nello Stato federale, risiede in una pressione fiscale bassissima che si attesta al 24% di media (contro il nostro 43,5%). Avessimo anche noi una pressione fiscale al 24% risolveremmo gran parte dei problemi, perchè non ci sarebbero più risorse pubbliche da destinare all’assistenzialismo né al Sud né al Nord, né a Est né ad Ovest.

Diventeremmo di botto ciò che recita pomposamente, e del tutto in astratto, la nostra veneratissima costituzione: una repubblica fondata sul lavoro.

TOGHE AZZURRE, GASPARRI IL ROSSO

 

 

Come perfetto contraltare alle “toghe azzurre” – quei magistrati che, liberando gli artefici della violenza a Roma, hanno fatto il gioco elettorale della destra – arriva adesso “Gasparri il rosso” che, con questa proposta balzana degli arresti preventivi, nobilita quegli stessi cialtroni e li trasforma in martiri di una sorta di governo autoritario e neofascista.

Gli arresti preventivi erano infatti tipici del fascismo (come lo sono tutt’ora delle dittature anche di sinistra): quando il Duce arrivava in visita a Padova piuttosto che a Verona gli antifascisti (pochi, pochissimi quelli veri, un millesimo dei manifestanti romani) venivano arrestati preventivamente. Una prassi evocata anche da Federico Fellini in Amarcord.

Ma è assurdo, autolesionista, martirizzare questi cialtroni, ipotizzando prassi giuridiche incompatibili con la democrazia, ed utili solo a fornire loro ulteriori pretesti per spaccare vetrine, incendiare automobili e assalire il Parlamento.

I cialtroni vanno trattati semplicemente da cialtroni. E’ spropositato perfino dare loro la truce statura degli assassini. Come suggerisce il buon senso comune, la risposta valida è una sola: mandiamoli a lavorare. Perchè tutti, a partire dai poliziotti, piuttosto che lavorare e svolgere il servizio di ordine pubblico, preferirebbero fare il loro “lavoro”: quello di paladini delle ingiustizie dell’Italia e del mondo…

Ma, per poter fare i paladini (fuori corso) delle ingiustizie della Gelmini e del mondo, bisogna avere anzitutto dei genitori poco responsabili che continuano a mantenerti anche dopo i trent’anni.

Non bastassero loro, ecco le “toghe azzurre” che, garantendoti l’impunità, ti tolgono il senso della realtà. Te ne fosse rimasto un poco (di senso della realtà) arriva “Gasparri il rosso” a fartelo perdere del tutto trasformandoti in martire del neofascismo con questa proposta scombinata dell’arresto preventivo.

Avanti di questo passo c’è il rischio di pensare (per paradosso, sia chiaro) che i manifestanti violenti siano più vittime che colpevoli.


DAL SANTO AL SACCO DI ROMA

 

 

Per cercar di capire l’ennesimo sacco di Roma, come mai un’orda di nuovi barbari abbia potuto mettere a ferro e fuoco la Capitale, bisogna partire dal Santo. Dalla Basilica del Santo di Padova dove le telecamere hanno pizzicato un albanese che rubava dalla cassetta delle offerte.

Il rettore del Santo, padre Enzo Pojana, pur essendo un francescano aperto, moderno e progressista, ha subito dichiarato: “La povertà non giustifica il gesto. Chi sbaglia paghi”. Non poteva che dire così perchè, se avesse cominciato a giustificare il furto con la povertà, il giorno dopo ne avrebbe trovati altri dieci di poveri, stranieri e veneti, a far man bassa delle offerte. Sarebbe stata un’istigazione a delinquere.

Esattamente quello che fa una classe politica ambigua che, da un lato condanna ogni violenza, dall’altro però però ricorda che c’è il disagio sociale, che ci sono i tagli alla cultura, che ci sono i rifiuti a Terzigno oppure i terremotati ancora senza casa all’Aquila. E’ esattamente come ricordare che c’è la povertà. Cioè è dare una giustificazione alla violenza. Mentre tutti dovrebbero dire e ribadire che non c’è né povertà né montagne di monnezze, ne tagli né licenziamenti o qualunque altra calamità che, in un Paese civile, possano rendere tollerabile il ricorso alla violenza.

Dopo di che tutto resta pura filosofia se non seguono risposte adeguate. Assai più importante di quanto ha detto padre Pojana, è che i carabinieri arrestino il ladro e i magistrati lo condannino (senza l’attenuante della povertà). Che altrimenti i furti si moltiplicheranno di certo.

Esattamente come non è mai stata estirpata la protesta violenta perchè non è mai stata punita adeguatamente. I mitici poliziotti inglesi girano disarmati perchè tutti sanno che colpire un poliziotto significa incorrere nel massimo rigore della legge. Da noi invece colpirli e bersagliarli è uno sport nazionale: anche ieri a Roma ci sono stati più feriti tra le forze dell’ordine che tra i nuovi barbari.

Si parla di infiltrati, di qualcuno che li organizza e li usa. E può darsi che sia anche così. Ma al fondo del sacco di Roma c’è la certezza dell’impunità, confermata dall’esperienza che risale al ’68 e arriva al 2010: quando mai chi lancia cubetti di porfido, chi spacca vetrine, chi incendia blindati o compattatori o auto, ha subito una seria condanna scontata in carcere? Mai è accaduto.

E allora è come quando compri un cucciolo, un cagnetto o un gattino. Lo porti a casa e lui regolarmente la fa sul tappeto. Dopo dipende solo da te: se lo sculacci e gli ficchi dentro il musetto, lui impara a non farla più. Se invece lo lasci continuare impunemente, lui continua a farla; non solo sul tappeto ma anche sul divano e sul letto.

Questo è il nocciolo del problema: ai “cuccioli” dei centri sociali e affini nessuno ha mai ficcato il muso nei loro escrementi di violenza.

 

 

MARCHIONNE MOLTO PIU’ CHE SILVIO

 Se arriverà (ammesso che mai arrivi) un reale cambiamento nel nostro Paese è più probabile che lo induca Sergio Marchionne, cioè l’economia, che non Berlusconi (o chi per lui a Palazzo Chigi) cioè la politica.

Nelle ore in cui l’attenzione generale è concentrata sul “B day”, la fiducia o non la fiducia, la maggioranza che tiene si sfalda o si allarga, il governo Berlusconi o quello tecnico o le elezioni, Giuliano Ferrara ci spiega che tutta questa spasmodica attenzione è superflua. Il direttore de Il Foglio, parafrasando Mussolini, sostiene che nel nostro Paese “governare è difficile, quasi impossibile, forse inutile”.

Un’analisi che è frutto della semplice osservazione: quale governo, dal 1948 ad oggi, è riuscito a varare una riforma davvero incisiva? La politica in Italia è resa impotente dalle corporazioni, dalle concertazioni, dal consociativismo che conobbe la sua più alta incarnazione in Gianni Agnelli, presidente di Confindustria che era “buseta e botòn” con Luciano Lama segretario della Cgil…

La modifica dei comportamenti – scrive Ferrara – non può che essere indotta da fuori. Si pensava che i vincoli e una maggiore disciplina in termini di produttività e mercato del lavoro fossero resi obbligatori dall’euro. Non è stato così. Ma oggi potrebbero costringerci a cambiare l’Asia e il modello americano che dettano legge nell’industria automobilistica mondiale.

Sergio Marchionne è solo l’interprete in Italia di queste nuove dinamiche mondiali collocando “la sfida tra capitale e lavoro nelle aziende, sul tema della produttività e del salario, in stretto collegamento tra loro e per incrementare decisivamente gli uni e l’altra”.

Per inciso ricordo che anche Federico Rampini, su Repubblica, ha scritto che Marchionne è costretto a muoversi in questa direzione perchè incalzato dallo stesso sindacato americano Uaw, azionista della Chrysler, che “considera impresentabile per i suoi iscritti un progetto strategico che conceda ai metalmeccanici italiani garanzie e rigidità abbandonate qui negli Usa”.

Tornando a Giuliano Ferrara, in quella che potremmo definire un’analisi marxiana, è convinto che i cambiamenti economici siano la struttura da cui derivano tutte le altre sovrastrutture. Cioè che dalla rivoluzione del rapporto produzione-salari in economia possano poi derivare riforme vere nella pubblica amministrazione, nella scuola, nel welfare, nella giustizia, nell’intero assetto del nostro Paese.

Di sicuro, se pensiamo al nostro Veneto, i cambiamenti profondi dal dopoguerra ad oggi non li hanno provocati le forze politiche, di governo e di opposizione, nemmeno la Chiesa (che anzi li ha subiti), ma la trasformazione economica di una regione che dall’agricoltura è passata alla produzione e ai servizi.

In conclusione il vento impetuoso di una crisi economica mondiale, che impone trasformazioni profonde, forse farà uscire il nostro Paese dalla palude. Non i refoli che in queste ore spirano su Camera e Senato, anche se tanti media li scambiano per tifoni.


LORO GLI ASSASSINI, NOI I COLPEVOLI

 

Saranno anche loro gli assassini materiali. Lo è di certo il marocchino che ha fatto strage di ciclisti a Lamezia Terme, è accusato di esserlo quello di Yara a Brembate. Ma i veri colpevoli, i mandati, siamo sicuramente noi italiani che abbiamo accettato che il nostro Paese sia divenuto un far west dove più sei violento meglio ci sguazzi.

Ovviamente è un’idiozia credere che gli istinti criminali appartengano solo agli stranieri e che quindi, nella fattispecie, basti rimandare a casa loro i marocchini per tornare ad essere sicuri a casa nostra.

Ma è altrettanto idiota evocare il razzismo (che si esplica nei fatti, non certo nelle parole) di fronte a quella che è una reazione umana e comprensibile, anche se fuorviante: si tenta cioè di esorcizzare la presenza di quelli istinti criminali, che appartengono anche a noi come a tutti gli uomini, attribuendone la paternità principale o addirittura esclusiva agli altri, cioè agli stranieri.

E’ un meccanismo che scatta ovunque, ad ogni latitudine e in qualunque Paese: sempre c’è la spinta (o la speranza) di attribuire all’altro il marcio che c’è anche in noi. E’ un meccanismo che (ai pochi che hanno voluto intenderlo) ha spiegato Freud oltre un secolo fa: la differenza non è negli istinti criminali, presenti in ciascun uomo; la differenza è nella capacità di esercitare o meno un controllo sugli istinti criminali.

E Freud chiama “civiltà” proprio la capacità di esercitare questo controllo. Capacità che viene indotta sia dalla cultura di una nazione che dalla deterrenza delle sue leggi (puntualmente applicate).

La cultura: ci basta entrare in Svizzera per migliorare il nostro senso civico, e non buttare nemmeno una carta per terra, perchè percepiamo di trovarci in un Paese serio ed ordinato. Basta che un immigrato entri in Italia per percepire di essere arrivato nel Bengodi dove una cultura da straccioni del solidarismo, in nome della pseudo umanità, consente ogni nefandezza agli italiani (pensiamo alle centinaia di migliaia di pensioni di invalidità fasulle) e di conseguenza anche agli stranieri.

Una classe politica incapace di emanare leggi serie e rigorose, imponendone il rispetto a tutti. Una magistratura che le applica solo se questo garantisce le luci della ribalta. ( Toghe che dovrebbero imparare la riservatezza dai genitori di Yara, e che invece sembrano andate a lezione di esibizionismo dai parenti di Sarah Scazzi…)

In un Paese così l’istinto criminale degli stranieri non viene certo inibito, al pari di quello degli italiani che infatti continuano ad innalzare la “linea della palma”… Ma non raccontiamocela diversa: i primi e veri colpevoli siamo noi che accettiamo, senza reagire, il progressivo degrado del nostro Paese.


 

UNA LAUREA CHE VALE UNA DUNA

 

 

Gli studenti universitari che protestano contro la riforma Gelmini (pochi: massimo 20 mila su 500 mila iscritti) non lo fanno per la questione pratica ed evidente di lauree che non garantiscono più un posto sul mercato del lavoro; lo fanno per una questione ideologica: temono cioè che l’università vada “in mano ai privati”. Credono che pubblico sia bello e di tutti (loro compresi); privato invece solo a vantaggio degli speculatori, degli affaristi, delle imprese. In breve sono fermi, surgelati, alla visione del mondo dell’Ottocento proto comunista.

Non capiscono che se i jeans che indossano, invece che essere prodotti da speculatori privati che si chiamano Dolce&Gabbana piuttosto che Fiorucci, fossero pubblici, cioè prodotti dallo Stato, loro si ritroverebbero con gli stesso abiti informi e sdruciti che indossavano le popolazioni dell’Est europeo (E costerebbero più dei jeans della Diesel). Proprio come sempre più informe e sdrucita è la nostra scuola pubblica, la nostra università.

Altro slogan dell’Ottocento proto comunista: “Ci sono servizi essenziali, come la sanità, come l’istruzione, che devono essere erogati dallo Stato come garanzia per il cittadino, che non possono mai essere privatizzati”. Aggiungiamo un altro servizio, o diritto, essenziale: la mobilità. E immaginiamo che vanga erogato dal pubblico: noi paghiamo una tassa in più o lo Stato ci compera lui l’automobile. E’ più probabile che ci ritroveremo tutti ad avere una Duna al costo di una Golf o una Golf al costo di una Duna?…

Finché era “statale”, cioè mantenuta dai contributi pubblici, la Fiat poteva permettersi di produrre auto come la Duna, appunto, come la Uno, come la prima Punto. Poteva sopravvivere senza confrontarsi con il mercato. Adesso invece deve fare i conti con la Volkswagen, con la Toyota, con la Renault, ed è tornata a produrre auto decenti.

Stessa cosa avviene con le nostre università. Finché non devono confrontarsi con nessuno, finché hanno l’alibi di distribuire titoli di studio con valore legale, possono continuare a fabbricare le Duna della cultura, ossia la preparazione universitaria più sgangherata d’Europa. Se ne esce solo rimettendo i soldi in tasca ai clienti e dando loro la possibilità di scelta, proprio come avviene con l’acquisto dell’auto.

Altro che pagare a priori le tasse per un’istruzione che non istruisce, che funziona come una Duna o una Trabant: soldi in tasca alle famiglie, agli studenti, e che siano loro ad andare a comprarsi l’università che vale la pena di essere acquistata. In Francia o in Germania o in Inghilterra, o anche in Slovenia. Oggi che viviamo nel mondo globalizzato, oggi che ci diciamo cittadini europei, non abbiamo certo bisogno dell’università sotto casa, della facoltà per ogni campanile: che lo studio diventi un’occasione in più per far conoscere il mondo ai nostri bamboccioni

E che tornino a casa, a ricomprare un’università italiana, solo se e quando i nostri atenei avranno smesso di sfornare Duna