L’UNITA’ D’ITALIA DEI CIECHI

 

 

L’unità d’Italia non esiste nemmeno con i ciechi. In Veneto infatti ce ne sono poco meno di 7.000 su una popolazione di 4.527.694 abitanti, mentre in Sicilia – 4.968.991 abitanti – ce ne sono oltre 30.000. Sarà una malattia, tipo l’anemia mediterranea; sarà colpa degli specchi ustori che Archimede inventò a difesa dei Siracusani. Fatto sta che sono il quadruplo.

Il dato lo fornisce uno che di ciechi se ne intende, Davide Cervellin imprenditore dell’alta padovana, cieco lui stesso, che produce ausili tecnologici a beneficio degli ipovedenti.

Il Corriere ha pubblicato l’inchiesta “i conti del federalismo” che certifica la totale disunità d’Italia. Regioni una diversa dall’altra su tutto: costi del personale, della sanità, degli organi istituzionali, numero di invalidi. Restiamo a quest’ultima voce che allarga il discorso dei ciechi. Il Veneto è la Regione più sana con solo il 2,4% della popolazione che intasca l’assegno d’invalidità dell’Inps; metà della Sardegna dove sono invece il 4,8%.

A dimostrazione che tutta l’Italia tende ad essere Meridione, ci sono anche regioni del Nord come la Liguria (3.7%) e del Centro come l’Umbria (4,6%) ben al di sopra della media nazionale di invalidi. Il dato di cui vergognarci è che salta perfino l’unità d’Europa, nel senso che in Italia abbiamo il doppio di invalidi della Francia e della Germania! E qui delle due l’una: o diamo una spiegazione razziale e razzista, oppure dobbiamo ammettere di essere diventati un popolo di cialtroni.

Ma la spiegazione di fondo la fornisce proprio Davide Cervellin denunciando che “le politiche assistenziali dei governi hanno privilegiato la monetizzazione dell’handicap alla costruzione di servizi o al soddisfacimento dei bisogni per realizzare le pari opportunità”. “Ne consegue – prosegue Cervellin – che chi è cieco o tetraplegico riceve dallo Stato, tra pensione sociale e indennità d’accompagnamento, una somma che corrisponde all’incirca ad uno stipendio, cosicché queste persone sono disincentivate a cercarsi un lavoro e rimangono chiusi in casa in attesa che arrivi il giorno del mese in cui andare a ritirare la pensione”.

Un analisi tanto chiara quanto terrificante: dando la pensione al disabile, invece che metterlo con le tecnologie e i servizi in condizione di lavorare e guadagnarsi uno stipendio, non solo graviamo lo Stato di costi pesanti ma, soprattutto, rinunciamo all’apporto che potrebbero dare alla comunità i diversamente abili. Li condanniamo all’emarginazione, a restare diversi. Abbiamo cancellato le classi differenziali, considerate incivili, ma diamo loro una vita differenziale, priva cioè della dignità del lavoro.

Questo è successo con i disabili veri. Ma c’è di peggio. Perchè le politiche assistenziali dei governi hanno trasformato anche gli abili in disabili. Largheggiando con i posti pubblici, le invalidità fasulle, i contributi e i forestali vari, abbiamo messo anche le persone sane nella condizione di starsene a casa (o in ufficio, o ad appiccare il fuoco sulla Sila) “in attesa che arrivi il giorno del mese in cui andare a ritirare la pensione” o lo stipendio.

Col che si comprende che c’è una differenza molto più profonda che tra abile e disabile: è la cultura del lavoro contrapposta a quella dell’assistenza. Abbiamo scelto la seconda trattando così l’intero Meridione, e via via anche il resto del Paese, nello stesso modo infame, incivile e umiliante in cui trattiamo un cieco o un tetraplegico.


NEL CASO BRANCHER UN CASO NAPOLITANO

Da dilettanti allo sbaraglio. Anzi con il terrore nel cuore e nelle gambe, come il povero Osorio (il difensore messicano che, impaurito dall’attacco argentino, ha offerto lui l’assit a Higuaìn). Così il centrodestra, Lega compresa, ha gestito il caso Brancher: facendo un assit perfetto all’opposizione, mandando in gol Di Pietro e il dipietrismo.

Non fossero dilettanti tremebondi quelli del centrodestra si ricorderebbero che la legge sul legittimo impedimento (proposta da Casini e votata anche dall’Udc) ha un’unica ragion d’essere: mettere il presidente del consiglio e tutti i ministri al riparo da attacchi indebiti dell’ordinamento giudiziario.

Se ritieni che questo pericolo non ci sia, non vari la legge. Ma, se la vari, devi riaffermare con forza l’esigenza che l’ha ispirata. E devi aggiungere che il legittimo impedimento è uno dei tanti tentativi di frenare la persecuzione giudiziaria che da decenni ormai ha messo nel mirino Berlusconi e i suoi uomini. Quindi non ti fai intimidire da nulla, nemmeno dalla tempistica, proclamando che sì, lo “scudo” a Brancher va dato anche cinque minuti dopo la nomina a ministro perchè è perseguitato da certi pm.

Se ci credi fai così. Ma se cominci a vacillare, se fai un passetto indietro, poi ammutolisci e retrocedi fino a cadere nella fossa che ti sei scavato…

Intendiamoci. L’opposizione, Di Pietro e tutti i media con loro schierati, ritengono che non ci sia alcuna persecuzione giudiziaria, che Berlusconi e i suoi siano solo dei lestofanti che cercano di utilizzare il potere legislativo per sottrarsi alla Giustizia. Perfetto che la pensino così. Sconcertante che un centrodestra, balbettante di fronte alle critiche piovute sul caso Brancher, sembri avvallare questa loro tesi…

Sconcertante che non difenda la legge dagli attacchi impropri che ha subito in questi giorni dal Colle. Perchè il legittimo impedimento è una legge dello Stato, votata dalla maggioranza del Parlamento, in vigore dal momento che il Presidente della Repubblica l’ha firmata e la Corte Costituzione non l’ha (ancora) cassata. E – arriviamo al punto – non è previsto in alcun modo che sia Napolitano a decidere quando l’impedimento è legittimo e quando no. Non c’entrano né le deleghe di Brancher né il portafoglio o meno del ministero né i tempi dopo la nomina.

La Costituzione – di cui Napolitano è custode – non contempla per il Presidente della Repubblica il potere né di interpretare né di modificare le leggi promulgate. Stabilisce che lui sia una figura puramente decorativa. Se al “custode” non va bene così com’è lo dica; e si impegni a modificarla in senso presidenzialista per ottenere i poteri che oggi non ha (proprio come vorrebbe anche Berlusconi…).

Mentre ancora una volta abbiamo capito come interpreta il proprio ruolo la grande stampa “indipendente”: un fondo puntuale e rigoroso di Ferruccio De Bortoli sulla mala gestione del caso Brancher, da giornalismo anglosassone; silenzio totale dello stesso direttore del Corriere sull’intervento a gamba tesa di Napolitano, un silenzio da giornalismo di regime sudamericano.

LA SLOVACCHIA NON E’ UN VAJONT

 

Sbattuti fuori dal Mondiale da una squadretta come la Slovacchia, finiti all’ultimo posto. Peggio che contro la famosa Corea nel ’66. Chiaro che siamo delusi, frustrati, incazzati. Ma resta una “tragedia” tra virgolette; nel senso che è una disfatta sportiva, non una tragedia nazionale. Non è un Vajont né un terremoto, non ci sono migliaia di morti. Solo milioni di tifosi furiosi.

E’ utile ricordarlo perchè, leggendo stamane i quotidiani, sembrava proprio che la Slovacchia avesse fatto franare il monte Toc: VERGOGNA!, VERGOGNA E LACRIME, LA DISFATTA E LA VERGOGNA, POVERA ITALIA (con foto di Berlusconi affiancato a Lippi), AZZURRI SPECCHIO DEL PAESE. Questi i titoli che monopolizzavano le prime pagine di tutti quotidiani (di politica e informazione); col paradosso che il titolo meno da tragenda era quello della Gazzetta.

Ora nessuno nega l’interesse totalizzante che il calcio esercita nel nostro Paese e che coinvolge decine di milioni di persone, ma non si può perdere il senso della misura e della giusta collocazione: perfetti i titoloni sulle prime pagine dei quotidiani sportive, sacrosante pagine e pagine (interne) anche sugli altri. Ma, quando la disfatta azzurra, monopolizza la prima di Repubblica e del Corriere vuol dire che siamo un Paese da operetta; che, appunto, confondiamo la batosta sportiva con la tragedia nazionale.

C’è, forse, una sola cosa che interessa più del calcio. E’ il sesso, specie spiato dal buco della serratura. Quindi sacrosante pagine e pagine su Berlusconi e la D’Addario e le excort e le fanciulle in fiore e le performance vere o immaginarie del Cavaliere. I giornali popolari inglesi hanno campato anni con quel Principe Carlo che sognava di essere il tampax di Camilla…Ma i tabloid popolari, non il Times. Le Monde non si sogna di occuparsi di Sarkozy e Carlà sotto le lenzuola. L’anomalia è che da noi la D’Addario è finita in prima pagina su Repubblica e il Corriere, invece che su Novella Duemila e su Chi. Perchè un Paese da operetta confonde anche sesso e politica.

Così’ come mischia calcio e politica. E il Fatto titola “Azzurri specchio del Paese”, dimenticando che quattro anni fa avevano vinto il Mondiale. Cosa vuol dire? Che allora eravamo la California, che eravamo il Paese perfetto? Mentre oggi siamo diventati un cesso? Sarebbe già una novità: purtroppo restiamo oggi quel Paese semi diroccato che eravamo quattro anni fa; e che ha cominciato a sgretolarsi quando si esaurì lo slancio della ricostruzione postbellica.

O, forse, quattro anni fa eravamo la California perchè al governo c’era Romano e non Silvio? Quel Prodi che poi (gli elettori) hanno lasciato a casa? Come credere che il problema degli azzurri sia Lippi che ha lasciato a casa Balotelli o Cassano…Non è più semplice pensare che, purtroppo, Messi e Milito sono nati in Argentina, Luis Fabiano e Lucio in Brasile; mentre di Riva, di Paolo Rossi, di Baggio non ne sono nati altri. E, magari, anche per la classe politica vale qualcosa di analogo…(Alle Lega che propone di chiudere ai calciatori stranieri, domando se non sia il caso di aprire in cambio ai politici stranieri…)

Di fronte a tutti quei quotidiani che hanno sparato VERGOGNA! In prima pagina, ha senso domandarsi di cosa dobbiamo vergognarci al cospetto del mondo. Di avere metà Paese in mano alla criminalità organizzata? Di continuare a finanziare le mafie con gli aiuti al Sud? Di avere (Bortolussi dixit) “tasse svedesi in cambio di servizi da terzo mondo”? Di aver distrutto quella che era la miglior pubblica istruzione d’Europa? Oppure di aver perso contro la Slovacchia?

Oggi la nostra vergogna è anzitutto di aver trattato la Slovacchia come un Vajont.



DA SEPE AI CIMITERI NON C’E’ PIU’ RELIGIONE

 Dal cardinale Crescenzio Sepe agli addetti ai servizi cimiteriali di Genova, c’è qualcuno che si salva? Che può scagliare la prima pietra? Al vertice ci arriviamo subito: il Papa, come si diceva ai tempi di tangentopoli, “non poteva non sapere” cosa combinava il responsabile di Propaganda Fide. Lui, d’altronde, è solo il vicario di Cristo che è per definizione “l’Onniscente”. Restiamo dunque in attesa di un pm che inoltri l’avviso di garanzia nell’alto dei cieli…

Si ride per non piangere. Per non piangere pensando ai nostri morti. Che certezza abbiamo che anche nei camposanti veneti non sia in azione una banda di comunali dediti al saccheggio delle spoglie, a trafugare protesi ortopediche, denti d’oro e perfino lo zinco delle bare il cui valore era sfuggito agli stessi nazisti? Nessuna certezza che questo non accada. Mentre è possibile immaginare che i becchini di Genova, parlando al bar con gli amici, esprimessero sdegno e riprovazione per i maneggi della cricca di Anemone e Balducci…I farabutti sono sempre gli altri.

E’ certo più comodo sdegnarci per le ruberie altrui che dare un’occhiata alle cricche che operano vicino a noi, o di cui facciamo parte. Sono solo i dipendenti Fiat di Pomigliano a rubare a man bassa tutto ciò che trovano nel loro disastrato stabilimento? O la stessa cosa non capita, quotidianamente, anche nei nostri uffici pubblici (dico in quelli veneti), nei cantieri edili, nelle nostre aziende private, anche in quelle piccole? Dove la differenza non la fa l’etica del singolo, bensì il valore degli oggetti che si possono arraffare.

Vi pare credibile che fossero solo quei carabinieri di Roma gli unici a spacciare droga e ricattare sia politici che trans? Avete mai sentito parlare, nei comuni della nostra regione, di vigili urbani che fanno la spesa gratis nei mercati minacciando, in caso contrario, di essere molti fiscali sui centimetri di plateatico degli ambulanti? E non è forse perché – anche in Veneto – inventiamo incidenti ogni volta che sbattiamo con l’auto che ci ritroviamo a pagare polizze doppie della media europea?

Dal vertice alla base gli esempi di malcostume e ruberie si moltiplicano a piacimento. E, come sappiamo, la repressione non basta. Anche avessimo una giustizia degna di questo nome, cioè capace di comminare pene severe in tempi certi, sarebbe certamente utile ma non decisivo. Perchè ci vuole la prevenzione.

Una prevenzione che, per secoli, è stata esercita in primo luogo dalla Chiesa. Suona incomprensibile ai miscredenti che siamo diventati ma, per secoli appunto, non si rubava anzitutto perché lo vietava il Settimo Comandamento prima ancora che un articolo del codice penale. La maggioranza dei cittadini era infatti convinta di dover fare i conti col proprio Creatore, e la dannazione eterna funzionava assai meglio come deterrente di qualche mese o anno di carcere.

In secondo luogo la prevenzione veniva esercitata dalla “religione civile”, cioè il senso dello Stato e il dovere di privilegiare l’interesse comune, che per secoli avevano instillato ottime amministrazioni come la Serenissima o quella asburgica. Che aveva coltivato anche l’Italia dei Savoia e lo stesso regime fascista; che l’Italia repubblicana ha invece dissipato anno dopo anno.

La religione e il senso dello Stato; sono questi i due freni potenti che tengono a bada il furfante che alberga in ognuno di noi, e che è pronto ad uscire allo scoperto in loro assenza. Senza la religione civile ciascuno tende ad esercitare il potere a proprio uso e consumo invece che a beneficio della comunità o “in nome del popolo italiano”.

Certo: il potere del vigile urbano non è paragonabile a quello di un ministro. Più potere hai più puoi abusarne. E’ vero anche che il buon esempio deve arrivare dal vertice. Ma intanto oggi l’esempio più terrificante di abuso è arrivato invece dal basso, dai cittadini qualunque, cioè dai quattro tumulatori e dai tre ispettori cimiteriali del comune di Genova.

 



VA’ PENSIERO…SEMPRE ALLA LEGA

 

Dunque la notizia più inquietante del fine settimana, meritevole di conquistare le prime pagine, arriva da Vedelago in provincia di Treviso: il governatore del Veneto Luca Zaia, alla cerimonia di inaugurazione della nuova scuola locale, avrebbe intimato alla banda di suonare Va’ pensiero al posto di Fratelli d’Italia. Il condizionale è d’obbligo. Perchè non è certo che l’ordine sia partito da Zaia oppure dal suo portavoce Giampiero Beltotto che, virilmente, si è assunto ora la responsabilità della scelta musicale.

Ma c’è poco da sottilizzare e ancor meno da sottovalutare: è infatti dai piccoli gesti, apparentemente insignificanti, che si innescano le rivoluzioni, le secessioni, le nuove Resistenze. Infatti appena il “partigiano Michele” intonò Bella ciao, in diretta su Rai due, subito si scatenò, appunto, la nuova resistenza armata per liberare l’Italia da Berlusconi. Travaglio e Sandro Ruotolo furono tra i primi a salire in montagna; e così non si seppe mai se l’idea del canto fosse stata loro o di Santoro…

In realtà sempre di goliardate si tratta. Non voglio fare il trombone né il “benaltrista”, e quindi non sto a dire che ben altri sono i problemi del Paese che meriterebbero le prime pagine. Osservo solo che come la canzone della Resistenza non cambiò allora il carisma, il seguito e gli emolumenti del “partigiano” Michele (anzi…), cosi’ oggi il Va’ pensiero di Vedelago non cambia il seguito e gli “emolumenti elettorali” di Zaia e della Lega (anzi…).

Guardando ai trend elettorali nelle regioni del Nord si constata come politici ed amministratori della Lega godano di un consenso crescente. Sarà colpa dei cittadini rozzi ed ignoranti che non capiscono quanto sia più articolata e civile e “europea” la proposta politica di altri partiti. Non stiamo nemmeno a discutere. Ma rendiamoci conto che è una pia illusione pensare di invertire la tendenza enfatizzando il reato di leso Inno nazionale consumato dalla banda (nel senso di orchestra) di Vedelago.

C’è un qualcosa da antico goliarda anche del Berlusconi che, sempre questo fine settimana, si è vantato di essere assediato da un esercito di fanciulle in fiore ansiose di sposarlo. Un capo del governo che manifesta tutto il suo pubblico apprezzamento anche per certe prosperose crocerossine…Ma, giusto o sbagliato che sia, anche qui prendiamo atto che gli elettori lo giudicano su altri parametri; e magari gradiscono pure questi suoi atteggiamenti. Fatto sta che la campagna di Repubblica a colpi di Noemi e D’Addario non gli ha fatto perdere nemmeno uno zero virgola di consenso.

In definitiva questo pensiero che va’ sempre alla Lega e sempre a Berlusconi, denota anzitutto l’ossessione dei loro avversari politici. I quali ci pensano, ci pensano, ma ancora non sono riusciti a trovare il bandolo della matassa capace di metterli sul serio in crisi.


DA MANDELA A CANNAVARO

 

 

Speriamo che siano davvero iniziati i mondiali di calcio, perchè fin’ora sono stati i mondiali di Nelson Mandela: fiumi e fiumi e fiumi di retorica sullo storico leader della lotta contro l’apartheid. Fin’ora si è parlato, si è celebrato solo lui.

Nessuno – sia chiaro – intende discutere i meriti di Mandela. E quelli di Helmut Kohl? C’è forse qualcuno che non gli riconoscere il merito della riunificazione tedesca? Di essere stato tra i protagonisti del crollo del muro, cioè del comunismo, contribuendo così a liberare l’Europa Orientale e la Russia dalla più lunga e feroce dittatura della storia moderna?

Eppure quattro anni fa abbiamo giocato i mondiali in Gemania, e nessuno si sognava di evocare o santificare Kohl. Non che non lo meritasse, ma eravamo la per giocare a calcio e dunque si parlava di calcio, non di politica.

Ogni volta poi c’è il retro della medaglia. Spazzato via il comunismo, restò ed anzi si aggravò la miseria; e molti, nell’Est Europa dicevano che, forse, si stava maglio prima. Spazzata via l’apartheid nessuno – of course – osa dire che si stava meglio prima. Tuttavia, se non ci fosse solo retorica e politicamente corretto, qualcuno magari andrebbe a raccontare l’altra faccia di un Sudafrica, certo liberato dalla piaga della segregazione, ma dove i problemi economici e sociali e di ordine pubblico sono tutt’altro che risolti.

Ma, quando si decide di celebrare i mondiali di Mandela, la notizia d’apertura dei nostri notiziari diventa la morte dalla bisnipote del leader nero. Naturalmente spiace per quella povera ragazzina ma, ci rendiamo conto, che sarebbe stato un po’ come aprire con la notizia che è nato Lorenzo Mattia, il primo nipote maschio di Berlusconi?!…

Stamane su Radio uno il cantante Povia spiegava che lui tifa sì Italia, ma tifa anche Sudafrica, si augura che arrivi alla finale perchè è la nazionale di Mandela…Da domandarsi se si può sconfiggere il Sudafrica, se si può cercare di eliminarlo o se si rischia l’accusa di razzismo, di nostalgici dell’apartheid.

Povia pensa di essere diventato…Celentano. Cannavaro e Buffon, invece,si credono interlocutori politici di Calderoli. Ed infatti hanno dato una dura risposta politica al ministro che voleva tagliare i loro premi: li devolveranno invece ai festeggiamenti dell’unità d’Italia. Così impara quel secessionista d’un leghista!

Bene così. Loro però farebbero bene anche ad imparare a prendere meno gol perchè, se incassano gli stessi beccati quest’anno con la Juve, c’è il rischio che l’Italia unita li linci.

FORZA EUROPA E NIENTE ALIBI

 

Difficile non essere d’accordo con il Riformista che oggi titola “Forza Europa” e spiega “finalmente una riforma imposta da Bruxelles”. Sì: senza il perentorio intervento dell’Ue, noi le statali avremmo cominciato a mandarle in pensione a 65 a partire dal 2018, salvo proroghe, esclusi i lavori usuranti, salvo “finestre” che si aprono e si chiudono, inerpicandoci su “scaloni” o “scalini”. Insomma avremmo fatto il solito pastrocchio di riforma all’italiana; avremmo cercato le convergenze parallele tra tagli di spesa e impatto sociale (ed elettorale) a costo zero…

C’è chi ringrazia l’Europa e chi invece – ho l’impressione – cerca un alibi nell’Europa e nell’euro. Nel senso che la manovra di Tremonti con i sacrifici che comporta (anche se i risultati restano dubbi) vengono ora imputati alla fragilità di una moneta unica che non ha alle spalle un’unione politica ma, appunto, solo monetaria. Oppure altri tirano in ballo le banche con i titoli spazzatura, la chiusura del credito non ostante gli utili in ascesa; oppure si punta il dito sulla speculazione finanziaria mondiale.

Non voglio negare l’incidenza di questi fattori, che però non possono diventare il grande alibi che nasconde le responsabilità nostre, di noi cittadini e della nostra classe politica.

Partendo dall’ultima questione: se siamo rimasti l’unico Paese europeo a pensare di poter mandare in pensione le donne cinque anni prima degli uomini è forse colpa dell’euro, di Passera o di Soros? Mi pare arduo sostenerlo, anche se pensiamo allo strame che è stato fatto a suo tempo con le pensioni baby e che si continua a fare con quelle di invalidità fasulle.

Se diplomi e lauree sono divenuti carta straccia, mediamente insignificante per ottenere un lavoro, dipende da qualche oscura congiura masson-pluto-nordeuropea oppure dal fatto che abbiamo trasformato la scuola in una agenzia per l’impiego di aspiranti insegnanti a tutto scapito della funzione didattica qualificata?

E’ stata l’Europa, sono stati gli speculatori finanziari ad imporci l’assunzione di un numero spropositato di pubblici dipendenti che al Sud arrivano a coprire l’80% dei posti di lavoro?! Quale entità straniera accusiamo per il crollo di produttività che non si registra in quei Paese che hanno legato seriamente, cioè con controlli puntuali, le retribuzioni alla produttività stessa?

Mi dicevano dei giovani operai moldavi: “Qui da voi vediamo lavorare, come muratori, come pittori, come idraulici, solo le persone di una certa età. Di giovani praticamente nemmeno uno”. Che sia stato l’ingresso nell’euro, che sia colpa dell’unione solo monetaria e non politica, il fatto che i nostri ragazzi oggi aspirino tutti a diventare colletti bianchi, che disdegnino il lavoro manuale? Lavoro manuale che invece a questi operai moldavi garantisce buone retribuzioni, superiori a quelle di tanti laureati.

Prima di buttarci sulle oscure congiure internazionali, prima di dare la colpa alle speculazioni finanziarie, forse conviene guardarci allo specchio e chiederci quanto noi siamo responsabili della nostra decadenza.



 

GLI HOOLIGANS CHE TIFANO OLOCAUSTO

 

 

Solo l’antisemitismo, radicato e diffuso, può spiegare la condanna corale di Israele dopo gli incidenti e i morti seguiti al controllo della flottiglia di “pacifisti” partiti dalla Turchia per forzare il blocco navale attorno a Gaza.

Di certo solo l’antisemitismo spiega l’assalto al ghetto di Roma, gli insulti lanciati contro gli ebrei romani che nessuna responsabilità hanno per le scelte del governo di Tel Aviv.

L’entisemitismo consente di ignorare i fatti, di chiudere gli occhi davanti alle immagini che mostravano come sono stati accolti i primi uomini dei reparti speciali calatesi sulla Marnara: presi a sprangate dagli hooligans del pacifismo, con la stessa libido che trasuda dagli hooligans del calcio quando vanno allo scontro con la polizia.

Il premier israeliano Netanyahu osserva che quella non era una Love boat ma una “flottiglia di terroristi”. Ed è un fatto che a bordo c’erano complici conclamati dei terroristi; come il “pacifista” mons Capucci, il nunzio apostolico che fu arrestato già una ventina d’anni fa perchè nascondeva sotto la tonaca e l’immunità diplomatica le bombe per i terroristi palestinesi.

L’antisemitismo consente di far credere che il blocco voglia impedire l’afflusso di cibo e medicinali, che invece entrano regolarmente nella Striscia di Gaza. Mentre Tel Aviv vuole solo controllare che non entrino armi ed esplosivi perchè, da quando Hamas ha preso il potere, sono stati lanciati 6.500 missili contro i civili israeliani.

L’antisemitismo permette di ignorare che Israele ha battuto ogni strada diplomatica, ha sottoscritto l’accordo di Camp David che sanciva la nascita dello Stato palestinese; accordo che fu poi rinnegato da Arafat. Mentre sull’altro fronte non si cerca nessun accordo di pace: Hamas, l’Iran, la Siria, la Turchia hanno come unico obbiettivo lo “sterminio dell’entità sionista”; tipico obbiettivo “pacifista”, non vi pare?

Le anime belle del pacifismo fingono di credere che la “flottiglia della libertà” avesse l’unico scopo di portare cemento a Gaza per la ricostruzione…Quando è evidente che lo scopo vero era creare l’incidente internazionale. Basta sentire quanto tronfi e soddisfatti dell’accaduto sono i reduci intervistati oggi dai nostri quotidiani (“abbiamo vinto noi”: uno dei pacifisti italiani pronuncia queste parole appena atterrato a Malpensa. Corriere pag.9).

Creare l’incidente internazionale, contando poi sulle reazioni delle Nazioni Unite dove – come ha scritto Panebianco – “si spassa spesso sopra ai delitti di qualunque sanguinario regime ma mai a quelli, veri o presunti, della democrazia israeliana”.

Questo è stato il tragico errore di Israele, dei reparti speciali, del Mossad: essere caduti nella trappola dei pacifisti amici di Hamas, aver fatto il loro gioco; quando andava preparata con molta più cura e prudenza l’azione di controllo militare. Nessuno meglio di loro dovrebbe infatti sapere che l’antisemitismo fa pesare ogni morto provocato da Israele, mentre le stragi di civili provocate dai terroristi palestinesi vengono dimenticate quando non addirittura giustificate.

Alessandro Piperno ha scritto sul Corriere che oggi i cittadini di Israele si sentono spacciati, non credono più nella sopravvivenza del loro Paese perchè hanno visto fallire sia la via diplomatica che quella militare. Ed è questa la suprema ipocrisia dei nostri antisemiti: celebrano la giornata della memoria, in attesa di godersi il nuovo, definitivo, olocausto.


 

UNIVERSITA’: DATECI UN MAO

 

 

L’università ti fa maoista, non nel senso che frequentandola diventi maoista (già sarebbe qualcosa…) ma nel senso che ti fa capire che anche i regimi più abietti hanno qualcosa di buono, qualcosa da rimpiangere: nella fattispecie la dura “rieducazione” che il Grande Timoniere impose ai docenti universitari del suo Paese.

Ci arriviamo partendo dai titoli di alcuni dei cinquecento corsi di laurea cancellati negli ultimi due anni (ne restano comunque cinquemila!): “Scienza del fiore e del verde”, “Benessere del cane e del gatto”, “Beni enogastronomici”, “Tecniche erboristiche”.

Pare evidente che ai nostri figli non è servito assolutamente a nulla frequentarli né laurearsi in queste discipline: se devi fare il commesso in un negozio di animali, puoi farlo anche senza laurearti in gattologia…

Altrettanto inutile, per i nostri ragazzi, è stato lo sdoppiamento, il famigerato 3+2. Perchè la laurea breve è la serie B di atenei che già fanno parte del campionato dilettanti; e la laurea lunga ha solo allungato il brodo con l’acqua di qualche esametto in più. Esametti del tutto inutili per gli studenti, ma utilissimi a garantire cattedre e assunzioni.

Negli ultimi dieci-quindici anni il numero dei docenti universitari è aumentato a dismisura, è esploso ulteriormente. Ci hanno marciato rettori e presidi di facoltà che, sulla moltiplicazione delle assunzioni, hanno costruito la propria campagna elettorale per il rinnovo dei mandati.

Abbiamo ottenuto il nobile risultato sociale di “creare nuovi posti (fissi e inamovibili) di lavoro”, ma peggiorando ulteriormente la qualità degli studi. Poi quando è arrivato il ministro Gelmini con i primi tagli, c’è stata l’insurrezione con le parole d’ordine più nobili e sdegnate: “Non si può tagliare la cultura! Non si può tagliare la ricerca!”. Come se non sapessimo che l’unica ricerca in vigore nelle nostre università è quella…della cattedra.

Ed è qui, di fronte a questa ipocrisia pelosa, che ti viene in mente Mao quando disse basta! E li mandò tutti a rieducarsi in campagna, a coltivare riso e barbabietole. Dateci la Rivoluzione Culturale e le Camice Rosse che misero all’aratro i docenti universitari cinesi!

Un tempo, quando gli atenei erano seri, gli esami erano quasi tutti orali; anche con lo scritto, la prova orale non mancava mai. Adesso sono praticamente tutti scritti. Ennesima innovazione in nome e a beneficio del docente: perchè l’esame scritto consiste in una serie di test che poi vengono corretti a computer; e quindi il caro docente si risparmia anche questa fatica. Mentre i nostri ragazzi non hanno nemmeno la soddisfazione di vederlo in faccia, di essere valutati per quello che sono – svegli o addormentati, intelligenti o tonti – si può comunque capirlo solo nel vis-à-vis.

Insomma gli studenti sono ridotti ad un gregge che ha una sola funzione precisa: garantire lo stipendio alle folte schiere dei pastori.

Ed è così che mi vien da pensare, oltre a Mao, anche ai preti pedofili. Che sono certamente una vergogna e una sciagura. Però loro, ai ragazzini, magari davano qualcosa: Magari insegnavano a cantare a quelli del coro di Ratisbona, o a parlare ai sordomuti del Provolo.

Quindi c’è di peggio: è quando ti inchiappettano senza darti nulla in cambio. Come succede ai nostri ragazzi che vanno all’università. Viva il compagno Mao Tse Tung!



SPUTTANOPOLI LA CASTA E LE CREPE

 

Si apre qualche crepa nella muraglia della casta giornalistica che – Da Ezio Mauro a Feltri, passando per De Bortoli – è insorta a “difesa della libertà di stampa”, cioè contro il divieto (che, per altro, il governo Berlusconi già sta rimangiandosi) di pubblicare le intercettazioni.

Una prima crepa l’ha aperta il vicedirettore del Corriere, Pierluigi Battista, ricordando che, accanto all’art 21 della costituzione sulla libertà di stampa, c’è anche l’art 15 che recita: “la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili”.

Articolo che il resto della casta giornalistica ha completamente rimosso. Quando invece andrebbe trovato un punto di equilibrio tra le due esigenze. E non vale ripetere, come pappagalli “intercettateci tutti, non abbiamo nulla da nascondere”. Perchè non ci sono solo i segreti criminali da nascondere, ma anche un diritto alla vita privata che la costituzione tutela per ricordarci che non siamo in un regime dittatoriale, dove tutto è pubblico e tutti devono vivere da perfetti fascisti o perfetti comunisti…

l’altra crepa l’ha aperta Giuliano Ferrara che denuncia Sputtanopoli, cioè le inchieste-portineria fatte da giornalismi-origliatori.

Ferrara sgombra l’equivoco tra divieto di fare e di pubblicare intercettazioni; ricorda come in nessun Paese dove pure le inchieste procedono spedite e i media ne informano puntualmente i cittadini “si usa pubblicare lenzuolate di intercettazione come materiale per l’intorbidimento delle acque, per la grande sputtanopoli che tutto confonde in un generico e demagogico disprezzo per la vita privata delle persone pubbliche.”

E questo disprezzo per la vita privata ha investito anche Angelo Balducci. Che c’entra con gli appalti e i favori della cricca, pubblicare le intercettazioni dove si parla di un suo rapporto gay con un corista del Vaticano? E il bello è che hanno pubblicato gli stessi media che parlano tanto di diritto dei gay, di contrasto dell’omofobia! Salvo poi confondere, trasformare in odore di reato anche l’inchiappettamento tra adulti consenzienti, pur di fare da megafoni compiacenti alle procure…

Gli stessi media, gli stessi giornalisti che si sdegnano con Minzolini, accusato di essere il megafono di Berlusconi. Sono i maestri che ci spiegano come la libera stampa debba fare sempre da contraltare al potere, mai prendere per oro colato le notizie che filtrano dal Palazzo…

Ma tutto ciò che trasuda dal Palazzo di Giustizia lo prendono invece proprio per oro colato. Mai un distinguo, mai una verifica della consistenza delle prove prima di esporre un accusato al pubblico ludibrio. Mai il sospetto che certi pm, proprio perchè non hanno in mano elementi tali da garantire la condanna degli imputati, comminano lo sputtanamento preventivo a mezzo stampa. Questo grazie al giornalismo compiacente, ai loro megafoni che si autodefiniscono paladini della libertà di stampa.

Ovviamente le crepe non bastano a far crollare il muro della casta. Anzi, la stessa maggioranza, intimorita dalla santa alleanza – Mauro-Feltri-De Bortoli – fa marcia indietro. E il risultato è ormai scontato. Resteremo ciò che siamo e che ci meritiamo: il Paese di Sputtanopoli.