MARA DIVENTA LA “CASTA DIVA”

 E Mara Carfagna si trasforma nella “casta diva” della politica italiana. Ma non era diventata ministro solo grazie – Paolo Guzzanti dixit – alla mignottocrazia? E non era sua figlia (di Guizzanti), Sabrina, ad urlare a piazza Navona tra un uragano di applausi: “ A me non me ne frega niente della vita sessuale di Berlusconi: Ma tu non puoi mettere alle Pari opportunità una che sta lì solo perchè t’ha succhiato l’uccello!”? (Questo è parlar chiaro e forbito. Altrochè le banalità delle barzellette del Cavaliere sulla Bindi che sarebbe “più bella che intelligente”…)

Oggi, improvvisamente, la Mara-Lewinski si transustanzia in casta diva. Anzi in coraggiosa testimone del marcio della politica italiana nell’era di Berlusconi. Scrive infatti il vicedirettore di Repubblica Massimo Giannini: “Su questo abisso politico e morale, ha aperto una finestra Mara Carfagna. Con l’annuncio delle sue dimissioni mostra agli italiani la nudità del potere e, di riflesso, la caducità del governo”.

Parlando di lei ora l’eloquio si innalza, l’enfasi cresce; siamo quasi ad una riscrittura dei Sepolcri in cui Foscolo attribuiva a Macchiavelli il merito di aver svelato “alle genti di che lacrime grondi e di che sangue” lo scettro del potere…

Direi che stiamo esagerando. Non perchè la Carfanga non abbia ragione a criticare il modo in cui Cosentino esercita il potere in Campania. Che immagino sia molto simile a come lo esercitava Bassolino: nel senso che chiunque voglia far politica in certe regioni o si intreccia con le cosche, che controllano il territorio, o rinuncia…

Però le caste dive non possono esistere perché la politica – stando alla celebre definizione dell’ex ministro Rino Formica – “è sangue e merda”. Lo è per tutti, non solo per qualcuno, Lo è anche per chi mira a sostituirsi a Cosentino nel Pdl campano…

Tanto entusiamo per Mara è dovuto, sembra evidente, al fatto che minaccia di aprire una nuova crepa all’interno del Pdl. Un po’ un Fini in sedicesimi. Quel Fini che, da fascista che era, oggi viene presentato come leader della moderna destra europa, incarnata su legalità e senso dello stato. E, non a caso, anche le donne di Fini, l’Elisabetta (già amante di Gaucci) e l’ex moglie Daniela Di Sotto (già borgatara romana, tifosa scatenata della Lazio) diventano pure loro dive caste ed eleganti e raffinate…

Intendiamoci. Il sangue e merda della politica comprende da sempre il ricorso a questi mezzi: utilizzi, esalti e apprezzi chi serve a mettere in crisi il tuo avversario. Lo ha fatto anche il centrodestra con Clemente Mastella; che fece cadere Prodi e fu premiato con un seggio al Parlamento europeo. Ma, se non altro, Feltri ha evitato di scrivere che il buon Clemente era diventato un intellettuale della Magna Grecia…

SAVIANO, IOVINE E LA MERITOCRAZIA

 

 

Commentando l’arresto del boss Antonio Iovine, Roberto Saviano ha fatto un’osservazione molto interessante e, in buona parte, condivisibile. Ha scritto che “le organizzazioni criminali hanno un grande vantaggio rispetto all’economia legale italiana: sono meritocratiche. Un merito identificato nella severità d’azione, nella spietatezza, nel saper gestire gli imprenditori, comprare la politica e saper ammazzare”.

Non c’è alcun dubbio che non si diventa boss per caso ma solo per merito, per merito criminale. Non perchè sei figlio di un boss; come invece capita di diventare notaio o professore universitario solo perchè questa è la professione di tuo padre. Nelle mafie puoi essere un nessuno e salire fino a vertice se sei efferato e dotato. La spaventosa efficienza delle mafie è dovuta proprio alla meritocrazia come criterio di selezione dei boss. Saviano ha perfettamente ragione. Il merito è sempre vincente, sia in positivo che in negativo, sia nel male che nel bene.

Non concordo però quando afferma che nell’economia legale italiana non esisterebbe il merito. Non esiste se è economia assistita, stile Fiat. Ma in tutto il resto, che è la grandissima parte, esiste eccome: continui a fare il negoziante solo se sia innovare, mentre se credi di gestire come faceva tuo padre chiudi bottega. E questo vale per gli artigiani, per tutti i produttori di beni e di servizi.

Vale tra gli scrittori. Ce ne sono cento che hanno scritto di mafie, ma uno solo è divenuto Saviano: significa che sa scrivere meglio degli altri, che è più incisivo, che sa catturare i lettori. Vale tra i giornalisti conduttori: uno solo è e resta Santoro. Non basta schierarsi. E’ schieratissima anche la Busi (e per giunta contro Minzolini…). C’erano tutti i presupposti per farne il Michele in gonnella; ma dopo due puntate le hanno cancellato la trasmissione, travolta dal flop di ascolti, perchè non ha il merito di saper condurre…

Dove non esiste la meritocrazia è nel pubblico impiego. Quando vai in cattedra, alle medie o all’università, ci resti sia che insegni bene sia che cazzeggi e vai comunque avanti con i tuoi scattini di stipendio e di anzianità. Quando diventi magistrato ci resti fino alla pensione; e ci vanno tutti al massimo livello della carriera, sia che abbiano fatto il loro dovere sia che abbiano sperperato tempo e risorse. Non a caso la scuola e la giustizia (come il resto del pubblico impiego) sono allo sbando: lo sono perchè non esiste meritocrazia nella selezione e nella promozione degli addetti.

E qui arriviamo al paradosso finale: per rilanciare il pubblico impiego bisognerebbe adottare gli stessi rigidissimi criteri meritocratici che valgono tra i picciotti delle mafie. Oppure rovesciamo il discorso e arriviamo all’identica conclusione: per distruggere le mafie, per mandarle in rottamazione, bisognerebbe che i boss fossero selezionati e promossi con gli stessi criteri che sono in vigore per magistrati e professori…

Conclusione. Non so se Saviano ne sia consapevole ma, commentando l’arresto di Iovine, ha tessuto l’elogio della società liberale, delle grandi democrazie, che sono fondate sul merito. Non sulle cricche, sulle corporazioni, sulle caste, sul familismo, sugli ordini professionali: queste, purtroppo, sono le fondamenta dell’Italia.


IL “SERVIZIETTO” DI SAVIANO A FINI

 

Chi più di Emilio Fede incarna, agli occhi del popolo di sinistra, la figura del giullare di destra? Pronto a tutto pur di compiacere e servire il suo padrone. Eppure nemmeno Fede il fedele è arrivato al punto di dimostrare affetto e dedizione prendendo in braccio Berlusconi; né il Cavaliere si è sognato di lasciarlo fare.

Per vedere una scena del genere bisogna spostarsi sull’altro campo, applicare la par condicio del cortigiano, andare ai primi anni Ottanta: ed eccolo là Roberto Benigni che prende in braccio Enrico Berlinguer; con il leader del Pci che, sorridente, lo lascia fare. Una scena simpatica, l’esuberanza festosa di un grande attore: così venne commentato allora quell’abbraccio; non ci fu una critica che fosse una.

Vi pare che oggi saremmo altrettanto indulgenti se Silvio si facesse prendere in braccio da un qualunque artista di gran fama? O non accuseremo subito quell’artista di essersi prestato ad un “servizietto” del genere che la nota stagista garantiva a Bill Clinton?

Certi “servizietti” sono anzitutto ridicoli sia che li pratichino artisti, giornalisti, scrittori o cantanti (ricordate Gianni Morandi che canta in prima serata su Rai uno “C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e Rolling Stones” accompagnato dall’allora capo del governo Massimo D’Alema?). Ma più ridicolo ancora è chiamarli col loro nome, cioè pompini, quando avvengono a beneficio di un politico di destra, e chiamarli invece “contributi culturali” quando sono a beneficio di un politico di sinistra.

Premessa lunghetta per concludere che l’invito fatto a Bersani e Fini questa sera da Fazio e Saviano – con tutta la buona volontà – non può essere considerato un “contributo culturale” alla loro trasmissione su Rai tre.

 





ARRIVANO I SOLDI, NON LA LIBERTA’

 

Con Berlusconi e Bossi in Veneto sono arrivati i soldi. Non si ancora bene quanti, ed è impossibile saperlo finchè non saranno quantificati i danni comune per comune, ma sono arrivati. Magari non basteranno per far fronte a tutte le necessità, ma è certo che il governo in finanziaria farà uno stanziamento pro alluvionati veneti.

Sono arrivati i soldi, ma non è arrivata la libertà. La libertà cioè l’autonomia, il federalismo vero, quel Veneto alla catalana che pure poteva emergere dalle acque. Perchè la politica, i leader politici veri colgono al volo anche le occasioni che le tragedie offrono per imporre una svolta.

Ma devono, appunto, essere leader veri capaci di imporre una scelta. Di dire: noi veneti ci teniamo il primo acconto Irpef, Non di chiedere al governo centrale – come ha fatto Zaia – se è d’accordo che i veneti si tengano il versamento Irpef…Chiara la differenza? Vi pare che un Pujol sia andato a domandare a re Juan Carlos o al capo del governo spagnolo di allora se poteva rendere autonoma la Catalogna? Lo ha fatto è basta; li ha messi nelle condizioni di non poterla rifiutare.

Infatti Jordi Pujol era un leader. Mentre in Veneto abbiamo tanti bravi amministratori: ottimi sindaci, presidenti di provincia preparati, governatori capaci di realizzare grandi opere come il Passante o di gestire la sanità meglio che in altre regioni.

Però le grandi opere le facevano anche i provveditori della Serenissima Repubblica. Uno di loro, Andrea Memmio, realizzò a Padova il Prato della Valle, una delle più belle piazze d’Europa. Ma agiva agli ordini e per conto di quella che veniva chiamata “la Dominante”…

Eccolo il punto: un vero leader politico deve essere consapevole che nessuno lo domina, che non ha capi né ad Arcore né in via Bellerio. Che solo i veneti sono il suo capo. Anzi: che lo riconoscono come capo solo se è capace di imporre una svolta, cioè di tirarli fuori dall’attuale rapporto con lo Stato centrale che per loro è penalizzante.

La libertà, sia chiaro, non è fuffa. Sono anche soldi, anzi soldoni; molti più di quelli che oggi ci hanno promesso Berlusconi e Bossi. E’ la libertà di gestire le risorse che i veneti producono.




PER RESTARE DIVERSAMENTE ITALIANI

“I veneti, diversamente italiani”. E’ il titolo che ha fatto oggi Il Giornale sottolineando che, mentre a Terzigno e dintorni si continua ad inveire contro lo Stato, qui ci siamo già rimboccati le maniche e abbiano cominciato a spalare il fango dalle case, dai negozi, dai capannoni.

Leggendolo ho pensato: speriamo che sia così, che continuiamo ad essere diversamente italiani. La vergogna è che non puoi nemmeno dirlo, nemmeno sottolineare una realtà che è sotto gli occhi di tutti. Perché se lo fai rischi l’accusa di razzismo: ma come osate voi veneti, presuntuosi ed evasori, affermare di essere più seri dei napoletani? Non vorrete mica dire che avete anche più voglia di lavorare!?

Non si può dirlo, ma speriamo di restarci diversi dagli italiani di altre regioni. Io un timore ce l’ho: la voglia di lavorare, la grinta, l’impegno che vedevo da ragazzino, nel Veneto di oggi tendiamo a perderli. La serietà anche.

La Padania ha pubblicato i dati sulle truffe alle assicurazioni auto, sottolineando che al Sud siamo al 50% mentre in Veneto solo al 16%…C’è poco da star allegri e da compiacersi: quel 16% di veneti è una vergogna. E’ una vergogna che a Padova dipendenti della società parcheggi e/o ausiliari del traffico siano andati a rubare 280 mila euro svuotando le macchinette dei biglietti; speravo succedesse solo a Napoli…

L’assistenzialismo, la caccia la posto pubblico tende a farci diventare sempre meno diversamente italiani.

Sulla carta non fa una piega il ragionamento di Luca Zaia: un Veneto che ha dato tanto al resto d’Italia, che con il suo lavoro e le sue tasse ha aiutato tutte le catastrofi naturali altrui, oggi ha diritto a ricevere, ad ottenere dallo Stato quel miliardo di euro che gli consenta di risollevarsi. Sacrosanto il ragionamento del governatore; i soldi ci vogliono.

Eppure mi auguro che dallo Stato non arrivi nemmeno un centesimo. Zaia non faccia il…napoletano. Per lui e per la Lega la sfida è un’altra: metta in piedi un grande progetto veneto, coinvolga le nostre banche, mobiliti la società civile, spieghi ai veneti che conviene perfino pagare nuove tasse (regionali). Dimostri che sappiamo cavarcela da soli: perchè solo così avremo la garanzia di restare e diventare sempre più “diversamente italiani”.

SILVIO TRA ORGE E RICATTI

 Togliamo pure di mezzo quelle verifiche che sarebbero doverose, diamo per scontato che sia tutto vero e assodato ciò che racconta Ruby, la Noemi marocchina: nel dopo cena ad Arcore si fa il bunga bunga, solo lei vestita, tutte le altra donne nude e Berlusconi unico uomo presente. Conclusione: a Palazzo Chigi siede un vecchio satiro, un orgiastico eterossessuale (cioè interessato solo alle fanciulle e non anche ai fanciulli in fiore).

Sono abbastanza bacchettone per capire che tanti cittadini siano sdegnati e pensino che il vecchio satiro debba dimettersi da presidente del consiglio, dedicandosi così a tempo pieno al suo interesse preminente. Quando l’Italia era un Paese serio, quando Scalfaro schiaffeggiava le signore scollacciate, qualsiasi uomo politico sarebbe stato spazzato via al primo sentore di orge e festini.

Penso che il centrosinistra abbia ampia garanzia che Nichi Vendola sia un omosessuale, ma rigidamente monogamo, e che solo per questo possa accettare che governi la Puglia e partecipi alle primarie per designare il candidato premier. Che, se Nichi fosse anche lui orgiastico, varrebbero le stesse considerazioni fatte per Silvio. Magari la garanzia e l’assicurazione completa sulla monogamia gay potremmo averla solo se anche i dopo cena del governatore pugliese fossero resi di dominio pubblico come avviene per quelli del presidente del consiglio…

Aggiungo che sono bacchettone al punto di capire perfino quei cittadini che dovessero, non ostante tutto, preferire un eterosessuale orgiastico ad un omosessuale monogamo. Mica possiamo togliere il diritto di voto e di giudizio a chi non è politicamente corretto…

Comunque sia Repubblica (Giuseppe D’Avanzo) e Antonio Di Pietro non sono bacchettoni. Loro non sono come quei cittadini che pensano che Belusconi debba dimettersi perchè fa (farebbe) le orgie. Loro hanno il senso delle istituzioni. Per questo spiegano che il premier deve dimettersi perchè “è ricattabile”. Perchè – spiegano – è già successo con la D’Addario che donnine di facili costumi siano entrate a casa sua a fotografare e registrare: troppo materiale scottante che potrebbe, appunto, essere usato per un ricatto al capo del governo.

Questo ragionamento però non riesco proprio a seguirlo. Puoi infatti ricattare qualcuno solo se c’è di mezzo un segreto e gli dici: o mi paghi o lo rivelo. Ma vi pare che esistano ancora segreti sulla vita privata di Silvio che una Ruby o una D’Addario possano utilizzare come arma di ricatto? Direi proprio di no, sappiamo praticamente tutto. Ci manca solo una Monica che racconti se ce l’ha dritto come una spada o curvo come una scimitarra alla Bill Clinton…

E non ci sono segreti perchè Repubblica per prima ha messo in piazza tutto ma proprio tutto. Potremmo dire che proprio il quotidiano di Giuseppe D’Avanzo, grazie al suo giornalismo trasparente che nulla nasconde e tutto racconta, ha messo Berlusconi al riparo da qualunque possibile ricatto.

In conclusione non c’è alternativa: possiamo solo dire che Silvio deve andarsene perchè non accettiamo di avere un vecchio satiro al vertice di Palazzo Chigi; mentre non c’è spazio per i sepolcri imbiancati che si travestono da uomini delle istituzioni e si fingono angosciati all’idea che il premier sia ricattabile.

 

 



FINI “TASSA” BERLUSCONI

 

Fini “tassa”, anzi tartassa Berlusconi. Nel senso che il presidente della Camera appoggia qualunque iniziativa e proposta che metta in difficoltà il presidente del consiglio: dai distinguo sul lodo Alfano, all’ipotesi del governo tecnico in alternativa alle urne, fino all’aumento delle tasse sulle cosiddette rendite finanziarie. E’ una strategia chiara, limpida, lecita e trasparente. Auguri.

Ma se Fini è convinto di tassare – in senso letterale – Berlusconi e i Berlusconi, cioè i ricchi, portando dal 12 al 25% l’aliquota sui bot, questa è una pia illusione. Anzi è una balla colossale, che ha cominciato a raccontarci anni fa Bertinotti e che ogni tanto la sinistra vecchia e nuova (Fini?) ci ripropone.

Nemmeno Travaglio ci crede che aumentando la tassa sui bot colpiamo Berlusconi! Anzi proprio lui, Travaglio, ci spiega che i ricchi veri hanno stuoli di società off-shore e stuoli di consulenti che consentono di investire i loro capitali con ben altra remunerazione rispetto al misero 2% (scarso) garantito dai bot.

Siamo noi, noi cittadini comuni che quando abbiamo risparmiato 30-50-100 mila euro – dal momento che non facciamo i finanzieri di mestiere, ne possiamo pagare profumate consulenze – invece che tenere i soldi sotto il materasso, compriamo i titoli di Stato sperando almeno di compensare l’inflazione.

Ovviamente si può sostenere che è indispensabile aumentare le tasse; che bisogna far cassa perchè non siamo fuori dalla crisi e servono risorse aggiuntive per gli ammortizzatori sociali. Servono risorse per l’università , la ricerca, la cultura e per non ridimensionare l’armata del pubblico impiego. Anche questa è una strategia lecita e trasparente. Non si può però raccontare che le nuove tasse andiamo ad attingerle dalle tasche dei ricchi. No: è chiaro che andiamo a tosare ancora di più le solite pecorelle del ceto medio. Puniamo le famiglie che hanno avuto il torto di investire i loro risparmi in titoli di Stato.

E’ quel ben noto risparmio diffuso delle famiglie italiane che – a giudizio comune – ha impedito al nostro Paese di piombare nella ben più grave crisi finanziaria e bancaria che ha investito Stati Uniti, Gran Bretagna e altre nazioni. Un risparmio frutto del lavoro e sul quale sono già state pagate le tasse. E che non ha nulla a che vedere con la facile rendita finanziaria, contrapposta al sudore della fronte, di cui favoleggia la sinistra ottocentesca.

Tartassiamoli pure, come vuol fare anche Fini, i sottoscrittori di bot. Esasperiamoli a facciamo loro comprendere che tanto vale tenersi i soldi sotto il materasso, invece che usarli per salvare il Paese dalla bancarotta…Però, se dopo arriviamo al crack definitivo, almeno sia chiaro che la colpa non è del destino cinico e baro…

UN SINDACATO ROSSO PER SILVIO

 

Rossa, rossissima la Fiom, proprio come le bandiere che garrivano in piazza S.Giovanni. Eppure – sotto il profilo politico – viene da domandarsi se non sia “gialla”, cioè se non faccia il gioco di Silvio Berlusconi aiutandolo a mantenere una maggioranza di consensi e quindi la guida del Paese.

E’ una preoccupazione che hanno espresso sia Casini che i riformisti del Pd. Posto che sia la vasta area moderata di centro, nella sua oscillazione elettorale, ad aggiudicare la vittoria a questo o all’altro schieramento, al centrodestra o al centrosinistra, come reagirà quest’area allo spettacolo di sabato pomeriggio a Roma?

Casini, Enrico Letta, Bersani (?) e Rutelli temono che di fronte alle bandiere rosse al vento, a certe parole d’ordine vibranti, a slogans da scontro sociale anni Settanta, i moderati trovino più rassicurante il Cavaliere (non ostante la Lega). Forse lo teme lo stesso Epifani che, sulla scelta dello sciopero generale, è sembrato più costretto che convinto…

Non paga cavalcare il radicalismo sociale perchè non ti permette di arrivare a governare il Paese. (Così come, se l’obiettivo è quello di governare il Paese e non solo alcune grandi Regioni del Nord, non paga nemmeno cavalcare il radicalismo territoriale. Ed in questo senso sarebbe perdente la candidatura a premier di un leghista).

Casini, Letta, Rutelli, Bersani (?) vogliono appunto governare il Paese al posto di Berlusconi, e per questo avrebbero preferito che la Fiom non fosse scesa in piazza sabato scorso. Diverso è l’obiettivo di un Di Pietro, inimmaginabile in versione governativa, dunque proteso a conquistare più consensi possibile alzando più possibile i toni (la sua preoccupazione è che Grillo non lo scavalchi sui toni).

Diverso è l’obiettivo della stessa Fiom, che vuol diventare, che già è, la punta di diamante del sindacalismo più radicale. Naturale dunque che cavalchi lo scontento per la crisi, la disoccupazione e il declinante potere d’acquisto dei salari. Anche se, va aggiunto, può farlo per l’arretratezza culturale di una sinistra italiana lascia ancora credere a…Gesù bambino: cioè che esista un’alternativa (di lotta) all’accordo tra capitale e lavoro.

Ma queste sono già altre valutazioni. Restiamo al dunque, cioè al risultato politico della grande manifestazione di sabato a piazza S. Giovanni: è stato un colpo di maglio al governo Berlusconi o ha contribuito a tenere in sella un Cavaliere traballante?

 

BESTIE SERBE E POLIZIA “PACIFISTA”

 

E’ un po’ ridicolo prendersela con le bestie serbe per quanto accaduto a Marassi, o con le autorità serbe che avrebbero dovuto avvisarci che le bestie erano in arrivo. Un po’ come dire che i clandestini del centro di Cagliari dovevano avvisarci che stavano ribellandosi per la terza volta in dieci giorni e che avrebbero bloccato l’aeroporto…

In realtà non sappiamo fronteggiare emergenze robuste come quella di Genova e nemmeno piccole emergenze come quella di Cagliari.

Ogni volta ci facciamo sorprendere impreparati. Perfino se mandiamo una pattuglia in quel quartiere di Milano dove il tassista è stato massacrato: poliziotti aggrediti e messi in fuga come se fossimo a Scampia.

A Marassi facevano tenerezza quei tutori dell’ordine visti in eurovisione: raccogliticci, incerti, intimoriti, in “assetto da ufficio” (da impiegati) più che in assetto antisommossa; spettatori impotenti mentre le bestie serbe dominavano la scena. Capisco il telespettatore che ha chiamato dalla provincia veronese dicendo che non si sente più sicuro perchè non sa se c’è qualcuno che lo difende nel paese dove abita.

Dobbiamo però anche capire e ricordare che proprio Genova è “fatale” alle nostre forze dell’ordine. Ai loro vertici appena condannati proprio per aver reagito e non solo assistito alla violenza delle bestie no global nostrane…

Anni ed anni di accuse – “polizia fascista!”, “polizia assassina!” – ci hanno consegnato questa polizia intimorita, preoccupata anzitutto di non farsi male in senso lato. Quella polizia “pacifista”, che in se è un ossimoro, ma che ha voluto e vuole una larga fetta di opinione pubblica e classe politica.

Immaginiamo una banda di padani guidati dal trota, o una banda di sardi capeggiati da Michela Murgia (scrittrice dichiaratamente indipendentista) che vadano allo stadio di Belgrado e gridare “Padania libera!”, “Sardegna indipendete!”, un po’ come hanno fatto le bestie a Marassi col Kosovo. La polizia serba li avrebbe presi a sprangate e rispediti in Italia su vagoni piombati.

Non dico che dobbiamo avere la stessa polizia e gli stessi metodi. Ma certo dobbiamo saper fronteggiare le emergenze di ordine pubblico. E dare ai cittadini quel senso di sicurezza che non hanno ricavato dalle immagini arrivate nelle case martedì sera in diretta da Marassi e dintorni.

Bisogna essere convinti che serve una polizia diversa. Ed anche una magistratura diversa. Che non conceda i domiciliari al ragazzo che a Roma ha mandato in coma la donna romena, che non lasci impunita e a piede libero la ragazza che ha sparato un lacrimogeno addosso a Bonanni.

Perché se dopo ci ritroveremo a dover fare i conti con una violenza da anni di piombo, non potremo certo dare la colpa alle autorità serbe che non ci avevano avvertito…

TANTE SARAH IN MEZZO A NOI

 

 

Ovvio che l’”orco” è come un pugno sullo stomaco: questo zio che strangola la nipote, colpevole di non essersi concessa, e la violenta da morta. Inevitabile la reazione di chi invoca la pena di morta, la castrazione; di chi lo esorta a suicidarsi.

Ma non possiamo nemmeno dimenticarci di Sarah, anzi delle tante Sarah che ci sono in mezzo a noi. Ragazzine fragili, immature; giovani donne che hanno come unico sogno, unico progetto di vita, l’evasione, la fuga dal paesello. Come passerotti ciechi che svolazzano senza méta perché nessuno gliel’ha indicata, nessuno ha fornito loro le coordinate.

Adesso le chiamano “grandi agenzie educative”. Sarebbero la scuola, la religione, lo stato, la famiglia, se volete ci mettiamo anche i partiti storici. Insomma quelle entità che, nei loro ambiti, tracciavano la rotta, educavano, indicavano valori e punti di riferimento. Tutte agenzie sull’orlo del fallimento, che hanno chiuso i battenti. Col risultato di rendere ciechi le passerotte come Sarah e i passerotti.

Troppe famiglie, in particolare. Famiglie dove – come ha scritto Carla Collicelli del Censis – “prevalgono figure genitoriali deboli e non autorevoli”. Genitori che, a loro volta, hanno già perso la rotta (a parte quella della palestra, delle vacanze, del tempo libero) e non sono dunque in grado di tracciarla per i figli.

A quel punto, incapaci di esistere come genitori, diventano libertari, anti-autoritari: lasciano i figli liberi, di uscire tutte le sere, di frequentare chiunque, di “farsi la propria vita”. E così i passerotti vanno a sbattere. Perché la prima cosa che ci chiedono i figli sono le regole, i principi, gli obiettivi. Mentre la cosa peggiore per loro e lasciarli senza una rotta. Al punto che dobbiamo capire e dire: meglio la rotta islamica, meglio il burqa del nulla. Meglio spingere una figlia a diventare suora di clausura che abbandonarla a se stessa.

Quei genitori islamici che vogliono coartare la volontà delle figlie, che vogliono imporre loro lo stile di vita e perfino il matrimonio arrivando ad usare la violenza, ci sembrano il peggio possibile. Ma loro, sia pure nella forma più distorta e inaccettabile per la nostra civiltà, si pongono l’obiettivo di educare le proprie figlie. Il peggio del peggio siamo noi quando rinunciamo completamente a farlo, per giunta ammantandoci da genitori liberal…

Così si moltiplicano i passerotti ciechi, le tante Sarah che vediamo in mezzo a noi. Che svolazzano e, ovviamente, non è detto che vadano a sbattere contro l’”orco”. Ma molto spesso vanno a sbattere contro un’esistenza insipida, una vita insulsa.