DIETRO GLI APPLAUSI AL BOSS

 

Gli applausi al boss della ‘ngrangheta Giovanni Tegano, la protesta popolare contro il suo arresto: immagini che hanno sdegnato la nostra opinione pubblica. Cosa dobbiamo pensare, cosa c’è dietro questi applausi? O riteniamo che ci sia una particolare, quasi genetica, propensione al crimine tra gli abitanti del Meridione, che li porta a solidarizzare con i criminali. Oppure capiamo che le mafie non sono solo organizzazioni criminali. Sono anche questo. Ma la loro funzione primaria, originale ed ancora attuale, è quella di antistato.

Lo ha compreso Massimo Gramellini il quale su La Stampa ha spiegato che la popolarità di un boss come Tegano deriva dal fatto che è lui, non lo Stato, a risolvere i problemi quotidiani di tanti calabresi: trovare un posto di lavoro al figlio, un posto letto in ospedale, ottenere riparazione ad un’offesa subita. Il risultato lo hai se vai dal boss, non all’ufficio di collocamento o al centro prenotazioni delle Asl o in tribunale.

L’origine dell’antistato è antica almeno quanto la conquista militare del Meridione da parte dei garibaldini per conto dei Savoia. Da quel momento in poi il nuovo Stato ha espresso personaggi e prassi che erano completamente estranei alla cultura, alle tradizioni, alla storia del Regno delle due Sicilie. Un autentico “scontro di civiltà” rappresentato alla perfezione da Chevalley, il messo dei Savoia che va ad offrire al Gattopardo un seggio nel nuovo senato del Regno.

Avete presente il romanzo o il film di Visconti? Questo funzionario piemontese si aggira a bocca aperta per la Sicilia, di fronte a usi, costumi e stili di vita che gli sono totalmente estranei. Sembra un marziano, arrivato da un altro pianeta. Lo stesso pianeta lontano da cui giunse tutta la nuova classe dirigente, imponendo prassi di governo che rimasero estranee al meridione anche quando furono poi date in gestione a funzionari meridionali.

I siciliani non potevano nemmeno dialogare con i Chevalley. E così nacque il loro governo alternativo, l’antistato che noi chiamiamo mafia, con la sua classe dirigente che noi chiamiamo i boss.

Non dimentichiamo che il modello di Stato centralista piemontese non fu e non è un corpo estraneo solo al Sud, lo è stato anche per il nostro Veneto che per tanto tempo ha avuto il proprio antistato nelle parrocchie e nelle segreterie Dc: quando avevamo bisogno di un posto di lavoro per il figlio, di un posto in ospedale, di ottenere riparazione ad un torto, andavamo o dal parroco o dal capo corrente dello scudocrociato…

L’esigenza del federalismo nasce da motivi culturali prima ancora che economici: nel senso che accetti di delegare la tua sovranità di cittadino non ad un marziano, ma solo a chi condivide la stessa cultura, le stesse tradizioni; a chi ha una storia comune. In caso contrario li consideri degli invasori: cerchi di mungerli il più possibile, ma non gli riconosci il diritto di governarti. Esattamente quello che capita agli americani dovunque vadano; proprio quello che è successo ai nordisti nel Meridione.

A questo punto o fai come Obama in Afganistan, cioè raddoppi le truppe sperando di stabilizzare la conquista, oppure capisci che è più saggio ritirarsi…

Al di là delle battute, non possiamo pensare che le mafie siano solo un fenomeno criminale da combattere – se così fosse – con arresti, processi e carcere duro. Tutto questo non basta perchè sono anche l’antistato riconosciuto da ampi settori della popolazione meridionale. Quindi sono un problema politico che necessita di soluzioni politiche.

La più praticabile mi sembra sia concedere (imporre?) al Sud l’autogoverno pieno, totale e totalmente responsabile. Cioè fondato sulle risorse economiche prodotte dal proprio territorio, e non più su quelle munte ai nordisti come contropartita alla “invasione”…




 

UNA MERKEL PER I NOSTRI INVALIDI

 Auguriamoci che Angela Merkel, dopo essersi occupata della Grecia, venga a dare un’occhiata a come vanno le cose con i nostri invalidi. Perchè con loro siamo alla magna, Magna Grecia.

Come noto il cancelliere tedesco si rifiuta di concedere il prestito di 9 miliardi alla Grecia senza precise garanzie sui tagli alla spesa e il piano di rientro. Sacrosanto: se domando dei soldi a qualcuno questi ha tutto l’interesse a controllarmi, non solo per riavere indietro il prestito, ma anche per aiutarmi a mettere la testa a posto; cioè a non fare più debiti sconsideratamente.

Invece il nostro ministro degli esteri Frattini accusa la Merkel di essere troppo rigorosa, di pretendere troppe garanzie. Coerente: lui fa parte di un governo che regala pacchi di milioni, a Catania piuttosto che a Palermo, compiendo così una chiara istigazione a delinquere; cioè ad accumulare deficit ulteriori con la certezza che qualche santo provvederà…

Ma veniamo ai nostri invalidi. Il presidente dell’Inps, Antonio Mastropasqua, ha fornito l’ultima cifra aggiornata: percepiscono una pensione o un assegno in 2 milioni e 600 mila, con un aumento del 4,5% nell’ultimo anno, e un costo di 17 miliardi di euro. Caspita: il 5% circa della popolazione italiana è invalida! Errore. Il numero infatti non va rapportato al dato complessivo della popolazione, ma a quelli che lavorano che sono un po’ meno di 23 milioni. Quindi gli invalidi sono il 10% abbondante dei lavoratori!!

Non ci siamo ancora. Mastropasqua infatti aggiunge che ci sono “altri due milioni di soggetti di invalidità professionale, la cosiddetta inabilità, che porta a quasi 30 miliardi il volume delle risorse impegnate nel sostegno della non autosufficienza”. Quindi alla fine ne sosteniamo 4 milioni e 600 mila, il 20% di quelli che lavorano!!!

Ultima considerazione. Stiamo per celebrare il 150° dell’unità d’Italia, e il presidente dell’Inps non vuole fomentare divisioni…Quindi non ci dice com’è distribuito tra le varie regioni italiane questo esercito sterminato di “non autosufficienti”…Ma basta guardarsi intorno per vedere che non sono concentrati né in Veneto né in Lombardia né in Emilia…

Quindi in alcune regioni del Sud la percentuale di invalidi ed inabili sarà superiore al 30%. Proprio la dove si aggiungono anche i posti pubblici distribuiti con grande “liberalità” (diciamo così) per venire incontro al dramma della disoccupazione…

Ci vorrebbe o no una Angela Merkel che venisse ad imporre controlli rigorosi e a tappeto? Di certo non li effettua l’Inps che ha controllato 200 mila posizioni, scoprendone il 15% di fasulle, cioè 30 mila. Ma nello stesso periodo ha accolto altri 115 mila nuovi pensionati invalidi, dilatando così il numero degli assegni invece di restringerlo.

In conclusione potremmo dire che la storia si ripete: già nell’antichità la Grecia si trovò a imparare qualcosa dalla Magna Grecia…

IL “TRADIMENTO” DI FINI-BALOTELLI

 Il parallelo che fa Luigi Primon nel suo blog è perfetto: Fini è proprio il Balotelli del Pdl. Come Balotelli tanti lo vogliono e molti lo apprezzano, ma non più quelli della sua squadra. Si parla di SuperMario alla Fiorentina o al Milan oppure al Manchester city; la cosa certa è che non resterà all’Inter perchè è diventato incompatibile con il popolo neroazzurro.

Così Gianfranco Fini oggi risulta incompatibile agli elettori del Pdl. E, più ancora, a quelli di An-ex Msi; cioè agli elettori di quello che fu il suo partito. Non si tratta di discutere, e tanto meno di criticare, le posizioni di Fini in materia di bioetica, immigrazione e sicurezza, laicità dello Stato. Ma non si può non rilevare che sono posizioni tipiche della sinistra, ed estranee alla destra. A tutta la destra, sia italiana che europea.

Inutile raccontare che Fini vuole superare il becerume della destra italiana per posizionarsi su una destra europea più “moderna e civile”.

Prendiamo il tema che più di tutti ha sancito la rottura tra Fini e i suoi elettori: l’immigrazione. Dov’è la destra che insiste sulla necessità di garantire loro i diritti, di dargli il voto e la cittadinanza, di integrarli perchè sono una risorsa? La troviamo forse in Olanda o in Francia o in Germania? Non c’è, questa destra non esiste in nessun Paese europeo. Perchè ovunque la destra dice che bisogna anzitutto insegnare loro i doveri, che basta così, che vanno chiuse le frontiere, che bisogna rimandarne a casa il più possibile.

Lo dice, e magari non riesce ad attuarlo dove governa. Ma questo dice la destra. Così come la sinistra dice che più integri gli stranieri e meglio è; più dai loro diritti più favorisci la trasformazione in cittadini inseriti e tranquilli; la sinistra aggiunge che comunque non riesci a fermare gli ingressi e che tanto vale impegnarsi a costruire la società multietnica. Dopo magari, dove governa, non riesce a costruirla la società multietnica; magari l’integrazione, degli islamici in particolare, resta una chimera. Ma questo dice la sinistra.

Quindi prendiamo atto che Fini oggi parla il linguaggio della sinistra. Scelta ovviamente lecita, ogni posizione politica va rispettata, ma non è questo il linguaggio della destra.

C’è poi un passaggio davvero fuorviante nell’intervento di Fini alla direzione del Pdl; quello in cui ha voluto spiegare a Berlusconi che lui, Fini, non lo ha mai tradito perchè le cose gliele ha sempre dette in faccia e non ha mai tramato alle sue spalle. Mi è parso un tentativo un po’ puerile di spacciare la lotta politica per un capitolo del libro Cuore.

In politica il tradimento esiste solo nei confronti dei propri elettori. Ed è un reato, nel senso che gli elettori sempre ti puniscono. Ma non ha senso parlare di tradimento tra chi compete per un posto o un ruolo. E cioè fuorviante infiorettare o demonizzare quella battaglia per il potere che è l’essenza stessa della politica e che si sviluppa in ogni partito.

Due esempi veneti: Bisaglia a suo tempo “tradì” Roumor? No, semplicemente riuscì a farlo fuori. E Comencini voleva “tradire” Bossi? Diciamo che tentò di sottrargli la Lega in Veneto e che non ci riuscì. Esempi nazionali: Diliberto ha “tradito” Cossutta, Ferrero lo ha fatto con Bertinotti? Semplicemente sono riusciti a mandare a casa i leader dei loro partiti e a prenderne il posto. De Magistris invece ci ha provato con Di Pietro senza riuscirci.

Tra chi battaglia in politica non ci sono né fedeltà né tradimenti, solo vittorie o sconfitte. E non mi sembra che Fini abbia vinto. Tutto qui.

 

 


ASINI IN CATTEDRA A SCUOLA

 

 

Roberto Formigoni: “Sono stufo di vedere l’istruzione italiana agli ultimi posti di tutte le classifiche europee”. Dire stufo è poco. E’ una sciagura, soprattutto per i nostri figli che la frequentano e che sulla scuola costruiscono il loro futuro economico-lavorativo. Ma, se la nostra scuola è agli ultimi posti, dipende (anche) dal fatto che abbiano in cattedra troppi asini; non che abbiamo in cattedra troppi meridionali.

Non mi sembra dunque fondamentale introdurre il reclutamento degli insegnanti su base regionale, come ha prospettato la Gelmini accogliendo una precisa richiesta della Lega. Fondamentale è invece riuscire a mettere in cattedra docenti migliori, più preparati e più motivati. Quindi bisogna pagarli meglio e selezionarli in base ai loro meriti.

Oggi abbiamo troppi asini perchè l’insegnamento è diventata l’ultima spiaggia occupazionale per i laureati senza arte né parte. Ultima spiaggia anche sotto il profilo retributivo. Quindi chi si laurea in legge e non riesce a fare l’avvocato, chi in economia e non esercita come commercialista, chi in farmacia senza avercela di proprietà, si accontenta dello stipendiuccio da sopravvivenza economica che la scuola pubblica garantisce ad un esercito di disoccupati mancati. Svolgendo così più una funzione di assistenza sociale che di alfabetizzazione.

Queste sono le linea generali di una tendenza che poi, per fortuna, vede ancora una quota di insegnati veri: persone cioè che hanno scelto questa professione per vocazione, non ostante gli stipendi miseri e il degrado ambientale crescente.

C’è un’esigenza di giustizia territoriale. In base alla quale ogni regione (ogni entità federale) ha diritto di garantire ai propri residenti la quota di posti pubblici, senza vederli regolarmente occupati dai residenti in altri territori. Ma questa regola deve fare eccezione proprio nella pubblica istruzione che, avendo una funzione strategica fondamentale per il futuro dei nostri figli, non può accontentarsi di sostituire gli asini meridionali con gli asini veneti.

Bisogna avere insegnanti più validi e qualificati, sull’esempio delle grandi università anglosassoni (e non solo) che non guardano alla nazionalità dei docenti (possono perfino essere italiani…) ma al loro curriculum. Un tempo si esigevano le referenze anche per assumere una cameriera. Dopo invece abbiamo immesso nella scuola un fiume di docenti a scatola chiusa, cioè sulla base di astratte graduatorie burocratiche.

L’alternativa è il merito. Un criterio adottabile solo se si può agire sia in entrata che in uscita: cioè assumendo i più idonei (e pagandoli adeguatamente), ma anche lasciando a casa chi, dopo un periodo di prova, si è dimostrato inadatto all’insegnamento. Decisione che dovrebbe assumere il consiglio di amministrazione dei vari istituti scolastici (sia pubblici che privati ) dove possono sedere i rappresentati delle singole comunità che abbiano compreso e sottoscritto un principio basilare: la scuola migliore, quella che serve, è la scuola che fa studiare di più e boccia di più; mentre al scuola che promuove tutti e non da compiti per casa è inutile frequentarla.

Temo che non ci arriveremo mai. Di certo non ci muoviamo in questa direzione sostituendo in cattedra agli asini del Sud quelli del Nord.

FINI E DEMOCRAZIA NAZIONALE

 

 

Dopo il mezzogiorno di fuoco tra Fini e Berlusconi, e lo strappo del presidente della Camera che minaccia di costituire gruppi parlamentari autonomi, tutti hanno cominciato a dare i numeri, cioè a calcolare quanti sarebbero i deputati – 50, 40 o 25? – e i senatori – 8, 10 o 13? – disposti a seguire il cofondatore.

Tutti conteggi inutili. Perché non sono decisivi i parlamentari, bensì gli elettori. E nessuno lo sa meglio di Gianfranco Fini che, pur avendo ripudiato i propri trascorsi politici, non può aver dimenticato la storia del suo vecchio partito, il Msi. Ed in particolare quel che accade nel febbraio del 1977 con la nascita di Democrazia nazionale.

L’ostetrica dell’operazione politica fu la Dc, che allora temeva il sorpasso da parte del Pci. E quindi, alla ricerca di consensi aggiuntivi, penso di togliere dal “frigorifero” i voti della destra. Per questo favorì appunto la nascita, con scissione dal Msi, Democrazia nazionale che trovò in De Marzio il segretario e nell’ammiraglio Birindelli la figura più prestigiosa. Riuscì anche a portar via ad Almirante la maggioranza dei parlamentari del Msi: 21 deputati su 35, 9 senatori su 15.

C’erano dunque i numeri parlamentari e c’era un progetto politico che sembrava sensato. Ma fu tutto inutile per un semplice motivo: gli elettori del Msi non erano d’accordo. E così alle politiche del 1979 Almirante si riprese tutti i suoi voti e i suoi parlamentari; mentre quelli di Democrazia nazionale si ritrovarono generali (e ammiragli) senza truppa ridotti a chiedere asilo alla Balena Bianca.

Oggi anche il progetto politico di Gianfranco Fini può sembrare sensato e fondato: difesa dell’unità nazionale, stop alla Lega, laicità sui temi bioetici, apertura sui diritti degli immigrati. Non sto neanche a discutere se siano oppure no posizioni da destra europea. Prendo però atto che non sono condivise dagli elettori della destra italiana. In tutti questi mesi, con le dispute tra lui e Berlusconi che continuavano ad affiorare, non ho sentito un solo telespettatore di centrodestra che fosse d’accordo con le posizioni di Fini; non che il presidente della Camera non ricevesse apprezzamenti, ma…tutti da elettori del centrosinistra.

Da qui la sensazione che, se dovesse seguire l’esempio di De Marzio, otterrebbe anche un risultato simile. Tuttavia, come dicevo, credo che nessuno lo sappia meglio di Fini, il quale continua a tirare la corda però senza mai romperla. Può essere che ora Berlusconi decida di metterlo fuori dal Pdl, mentre dubito che il cofondatore sia così autolesionista da andarsene con le proprie gambe.

 

STRADA E IL BENEFICIO DEL MITO

 

La vicenda di Emergency e dei tre operatori sanitari dell’associazione di Gino Strada, al di la dei risvolti specifici, sul piano generale ci ripropone il mito dei “missionari” sia religiosi che laici. Una vulgata popolare tende cioè a rappresentarli sempre come eroi dell’altruismo: uomini e donne che abbandonano gli agi e le sicurezze dell’Occidente per dedicarsi, tra mille pericoli, a curare l’anima o il corpo dei reietti, dei disperati, negli angoli più martoriati del Terzo Mondo. Dimenticherebbero se stessi a tutto vantaggio del prossimo.

Trovo questa vulgata tanto generica quanto banale. Penso che la prima molla che muove i “missionari” sia lo spirito d’avventura, la ricerca di una vita movimentata in alternativa al tran tran quotidiano delle nostre città e delle nostre professioni. Sono quindi animati anzitutto da questa loro (egoistica) esigenza. Dopo di che tra questi “avventurieri” troviamo tante brave persone, ma non solo brave persone. Tante motivazioni nobili, ma tante anche più sordide.

Partiamo con l’esempio dei missionari veri, dei sacerdoti e delle suore comboniane che il secolo scorso partirono a frotte dalla campagna veneta per l’Africa. Fecero certamente del bene, portarono la fede e anche l’istruzione, insegnarono il lavoro e il riscatto per “salvare l’Africa con l’Africa". Ma non dimentichiamo che per tutti questi nostri giovani l’alternativa alla “vocazione missionaria” sarebbe stata restare a languire nella miseria della campagna veneta, in famiglie tanto numerose quanto affamate, passando le giornate a togliere a mano la gramigna dai campi. Mentre in missione magari trovavano anche il negretto che faceva loro vento…Cioè una vita pur sempre dura, ma meno dura che se fossero rimasti a casa.

Passiamo ai missionari laici. Negli anni Settanta mio padre organizzò il flusso di insegnanti di matematica che contribuirono a fondare l’università di Mogadiscio. C’era la coda di aspiranti fuori dall’uscio. Una frotta di docenti ansiosi di andare a insegnare i logaritmi ai somali. Magari anche perché il loro stipendio veniva raddoppiato durante la permanenza all’estero…

I medici di Gino Strada hanno tutti rinunciato a diventare primari al San Raffaele per soccorrere le vittime innocenti della guerra, oppure ce n’è anche qualcuno che avrebbe stentato a ottenere l’ultima condotta del Polesine?

Ho il massimo rispetto per i “volontari” che, dopo aver dedicato ogni cura ai propri congiunti, si dedicano anche al prossimo. Mi piacciono e mi convincono meno quelli che pensano al prossimo e trascurano i congiunti. C’è anche un volontariato che serve a giustificare la fuga dalle proprie faticose responsabilità quotidiane. O è tutto oro quel che luccica?

Non riesco in fine a dimenticare quella signora svizzera che, tanti anni fa, mi fece conoscere il sindaco di Padova Zanonato: venne anche a Telenuovo perché stava girando l’Italia per raccogliere fondi a favore dei bambini del Mozambico. Mi raccontò di un Paese martoriato da vent’anni di guerra, dove non c’era più nulla, nemmeno l’acqua per lavare i neonati. Aggiunse che prosperava solo la prostituzione minorile. Mi venne spontaneo chiederle chi potessero essere, tra tanta miseria e devastazione, i clienti delle ragazzine e dei ragazzini; chi avesse soldi per pagarli? E lei mi rispose gelida: il personale delle ong, quelli delle organizzazioni non governative!

Cosa significa? Che tutti quelli delle ong sono dei pedofili puttanieri? No, ma ci sono anche questi accanto alle persone per bene. Così come ci sono i farabutti accanto ai missionari degni di questo nome. Il beneficio del mito non si può concedere né agli uomini di Gino Strada né ad alcun altro.

 

PROPORZIONALE ETNICA NEL SOCIALE

 

I veri discriminati siamo noi” diceva Franca telefonando ieri da Verona a Rosso e Nero. E raccontava come i quattro figli della famiglia nigeriana che vivono nella sua stessa casa popolare, vadano tutti a scuola e fruiscano di servizi gratuiti, compreso l’ultimo all’asilo nido; con la madre libera di andarsene in giro la mattina. “Mia figlia invece che lavora – proseguiva Franca – ha dovuto prenotare il posto al nido prima ancora di rimanere incinta, e adesso che ha avuto il bimbo, spende per la retta due terzi del suo stipendio”.

Prendo il discorso un po’ alla lontana. Tutti, pur con ricette divergenti, concordano sul fatto che in materia di prostituzione non possiamo restare fermi alla legge Merlin del 1958. Per il semplice motivo che questo universo è cambiato radicalmente con l’arrivo delle lucciole straniere che hanno stravolto tutto: dimensioni, indotto criminale, sfruttamento del mercato del sesso. Dopo, come sempre nel nostro Paese, si chiacchiera solo senza decidere mai interventi strutturali. Ma almeno c’è la consapevolezza che tutto è cambiato e che dovrebbero cambiare anche le leggi.

Nei servizi sociali nemmeno questo. Si va avanti come se non fosse avvenuta la rivoluzione-invasione degli immigrati. Mentre non si può fingere che i nuovi poveri stranieri siano uguali ai vecchi poveri veneti e italiani. Assegni sociali, graduatorie delle case pubbliche, rette degli asili, esenzioni varie: tutto deve, dovrebbe essere rimodulato.

Lasciamo infatti perdere il vergognoso capitolo delle truffe, alimentato da associazioni laiche e religiose che come prima cosa insegnano agli immigrati a fare i furbi. Il problema è che quando tutto è legale tutto è a loro favore. Perchè non c’è dubbio che le famiglie straniere sono largamente quelle con più figli e minor reddito rispetto alle famiglie italiane. E quindi – leggi, regolamenti e criteri di assegnazione alla mano – tutte le case pubbliche, le sovvenzioni e le esenzioni, gli interventi sociali vari, non possono che andare prioritariamente a loro. C’è da meravigliarsi se resta qualcosa per i non immigrati.

Però con la conseguenza che Franca, appunto, non può che dire “i veri discriminati siamo noi”. Perchè è altrettanto incontestabile che da sempre i servizi sociali (in senso lato) erano stati concepiti per i nostri poveri, che ne sono stati gli unici fruitori; finché non è arrivata la concorrenza sbaragliante dei poveri stranieri.

Quindi o accettiamo supinamente che ciò che era stato concepito per i “nostri”, vada adesso agli “altri” (dando così una mano alla Lega a raggiungere l’80%…); oppure decidiamo che gli interventi sociali vanno non solo rifinanziati ma, soprattutto, ridistribuiti sulla base di criteri nuovi e diversi.

Il criterio di fondo, facile da applicare, sarebbe introdurre una sorta di quella “proporzionale etnica” che gli altoatesini hanno adottato per difendersi dai loro stranieri (che saremmo noi). E quindi fissare un criterio chiaro e semplice: se gli immigrati regolari sono il 10%, il 15% della popolazione residente in Italia, hanno diritto all’equivalente delle case popolari, dei posti in asilo, dei sussidi comunali.

Vogliamo essere magnanimi, caritatevoli, cristiani? Gliene diamo il doppio. Ma che almeno il 70% vada senza fallo ai nostri poveri.

O avete, amici del blog, criteri che vi sembrano più idonei di questo?

PRETI PEDOFILI E ANTIFASCISMO

 

Non discuto che la Chiesa abbia le sue colpe, con i preti pedofili oppure con la pretesa di uniformare le leggi dello Stato ai dettami della fede. Anche il fascismo aveva di certo le sue colpe, a cominciare dalla negazione della libertà per continuare con la persecuzione del dissenso.

E’ però interessante notare che le colpe del fascismo sono state denunciate solo quando il fascismo non c’era più: l’antifascismo ha fatto capolino dopo il 25 Luglio ’43 ed è diventato movimento di massa dopo il 25 Aprile ’45. Prima, finché il Duce era in auge e il regime solido, tutti a spellarsi le mani, tutti a prendere la tessera, tutti a lodare le magnifiche sorti e progressive della “era fascista”. Gli antifascisti? Quattro gatti. Non che non ci fossero, ma erano pochi e politicamente ininfluenti; quando esserlo comportava rischi precisi…

Dopo è diventata quasi una festa, adesioni infinite, non c’era italiano (o quasi) che non si proclamasse tale. Finita la seconda guerra mondiale in Italia, come in tutto il resto dell’Occidente, non esistevano le condizioni per ipotizzare un ritorno al potere del fascismo. Era chiaro che si trattava di un fenomeno residuale e destinato ad estinguersi anche in Spagna e Portogallo. Eppure qui da noi era tutto un gridare al “pericolo fascista”. Per cinquant’anni, quand’era ormai inutile, siamo stati tutti guerrieri antifascisti. Nel Ventennio precedente, quando sarebbe servito, zitti mosca e consenso plebiscitario…

Anche la Chiesa, ripeto, ha le sue colpe. Ma perché quando i preti – stando alle accuse – violentavano bambini a raffica nessuno li denunciava? Non dico la gerarchia, non dico i tribunali ecclesiastici, ma nemmeno quelli civili. Questo silenzio di tomba non dipenderà dal fatto che allora la Chiesa aveva sul serio potere, ben più di quello odierno?

Negli anni Cinquanta e Sessanta la Chiesa orientava per davvero la coscienza degli italiani; chi osava violare i suoi dettami veniva additato come “pubblico peccatore”. Eppure nessuno denunciava “l’inaccettabile ingerenza”, anzi tutti erano pronti (e proni) a baciare anelli e pantofole…Ci si straccia le vesti adesso quando sono ben pochi gli italiani che uniformano la loro vita quotidiana ai dettami della Chiesa (pochi quasi come gli antifascisti durante il Ventennio…)

Il potere residuo della Chiesa è anzitutto un potere economico. Detto brutalmente, resta la più grande agenzia immobiliare d’Italia. E non è che questo potere economico non pesi. Ma il controllo delle coscienze è tutt’altra cosa. Massimo si dovrebbe parlare di “tentativo di ingerenza”. Tentativo respinto dall’evidenza che oggi solo una minima percentuale di persone, al momento di divorziare o di abortire, si pone il problema di commettere un peccato, di violare un dettame religioso.

In ogni caso è un fatto che attacchi così virulenti alla Chiesa, accompagnati perfino dalla richiesta di destituire il Papa, giungono in concomitanza con il declino della religione cattolica. Il parallelo con l’antisemitismo, fatto da padre Cantalamessa, è certo spropositato. Anche se non mancano i casi di persecuzione dei cristiani.

Personalmente mi limito al parallelo Chiesa-fascismo: finché un potere è in auge la prudenza consiglia molto rispetto, quando è al tramonto non ci vuole un gran coraggio per coprirlo di attacchi e critiche…

LO STELLA DELLA SINISTRA

 

Lo Stella della sinistra è Gian Antonio Stella, editorialista del Corriere, autore di pamphlet di grande successo, che svolge una funzione essenziale: basta leggere quello che ha scritto di Luca Zaia martedì, e si capisce bene perché la sinistra ha perso così nettamente e continuerà a perdere fino all’estinzione.

All’indomani dello straordinario successo del neo governatore del Veneto, Stella scrive: ” Zaia, ex cameriere, muratore e uomo delle pulizie, diventato nuovo Doge”. Un commento, tra l’irridente e lo sdegnato, che è tipico della sinistra snob, della sinistra da salotto, che ha perso ogni contatto con il buon senso e la dimensione popolare. Una sinistra che giudica degni di andare al vertice delle istituzioni solo i professorini, gli ex rettori, i giornalisti (alla Marrazzo?). E’ la sinistra degli Stella che fanno i soldi a palate denigrando la casta, cioè loro stessi…

Dimenticano che quando la sinistra era degna di questo nome (e quando Togliatti mandava a quel paese certi pretenziosi intellettualini) considerava il lavoro un valore, e riteneva suo vanto aver portato anche in Parlamento proprio gli operai, i muratori, gli ex camerieri, cioè quei ceti che i “partiti borghesi” sdegnavano.

Adesso invece lo Stella della sinistra si sdegna perchè Zaia che ha fatto tutti i lavori, anche i più umili, è diventato governatore a furor di popolo veneto. Non capisce ha ottenuto tanti consensi anche perchè incarna l’anima più profonda di un Veneto cresciuto su un preciso comandamento: chi non lavora non mangia.

Comandamento che in parte è stato inquinato dall’assistenzialismo strisciante, che tenderebbe a trasformarlo così: chi non lavora mangia lo stesso, entrando nel pubblico impiego…Per fortuna solo in parte. Resta la convinzione profonda, in Veneto e in tutto il Nord, che devi costruirti tu il tuo futuro; che sei tu il primo responsabile di successi o insuccessi, che ottieni ciò che ti sei guadagnato.

Da questa convinzione profonda derivano tutta una serie di corollari politici: ha diritto ai servizi sociali e sanitari chi ha pagato le tasse, se pago la mensa scolastica (Montecchio Maggiore) posso pretendere che diano i pasti a mio figlio, chi entra illegalmente nel mio Paese ha diritto solo…ad essere espulso, non certo a creare degrado nelle città ed a rivendicare assistenza. Etc, etc

Di fronte al comune sentire, che deriva dall’esperienza di persone che si sono guadagnate tutto ciò che hanno avuto, c’è una sinistra che replica con la magnanimità dei salotti: non siamo così barbari da negare l’assistenza sanitaria a tutti, non siamo così incivili da affamare i bambini, non siamo così poco cristiani da non accogliere i diseredati, non siamo così crudeli da non assistere i nostri fratelli meridionali.

Questa sinistra alla Stella fa sfoggio di buoni sentimenti, trascura solo un piccolo particolare: non spiega mai chi deve pagare e perchè a favore dei bimbi affamati, dei clandestini, del Sud che “non ha lavoro”, dei diseredati del mondo. Omettendo questo dettaglio secondario dimentica però il lapidario ammonimento di Stefano Ricucci: non si può fare i froci col culo degli altri…I cittadini del Veneto e del Nord, invece, non lo dimenticano e votano di conseguenza.

Stella fa parte di quella sinistra che si domanda stupita: com’è possibile che raccolga tanti consensi una Lega che non ha attuato il federalismo, che ha cavalcato solo le paure della gente? Com’è possibile che continui a vincere Berlusconi che ne combina più Bertoldo? Fosse capace di guardarsi allo specchio, vedrebbe riflessa la più esaustiva delle risposte…

 

REGIONI VERE, CAMPAGNA FINTA

 

Le regioni sono vere, sono una realtà tangibile anzitutto nel confronto: cioè nella profonda differenza tra l’una e l’altra, tra un Veneto e una Campania. Ma la campagna elettorale che si conclude in queste ore è stata finta. Perché in gran parte finti sono i poteri delle regioni e dei loro organismi di governo.

Si è discusso di nucleare e di green economy, di lavoro e occupazione, di sicurezza ed immigrazione, di grandi opere e federalismo, fingendo di non sapere che solo il governo centrale ha potestà di decidere in tutte queste materie. E non i prossimi governatori del Veneto e delle altre regioni. Per il semplice motivo che non siamo né gli Usa con i suoi stati federati né la Svizzera con i suoi Cantoni e nemmeno la Germania con i suoi Lander.

Quindi tutte le decisioni strategiche – scelte energetiche, leggi sull’immigrazione, ammortizzatori sociali, incentivi, organizzazione dello Stato e delle forze dell’ordine, etc. – vengono assunte a Roma. Quindi i vari governi regionali, pur amministrando somme ingenti di denaro, in particolare in ambito di spesa sanitaria, hanno poteri assai limitati.

Fatte le debite proporzioni, decidono più i sindaci in ambito comunale dei presidenti in quello regionale. Infatti la campagna elettorale per le comunali ha una sua pregnanza e contenuti precisi, mentre quella regionale è in gran parte una finzione: Zaia, Bortolussi e De Poli ci hanno detto cosa pensano, cosa vorrebbero; ma quello che possono o che potrebbero concretamente fare è ben diverso. Limitandosi al solo esempio del nucleare, la loro è una pura opinione; la decisione è del capo del governo.

Eppure le regioni sono vere. Vere al punto che è falsa una dicitura del tipo “servizio sanitario nazionale”. Ma quale “servizio nazionale” quando la stessa prestazione ha non solo costi diversi ma affidabilità altrettanto diversa da una regione all’altra? Quando se vuoi almeno tentare di farti curare devi correre qui al Nord?

E la scuola? Vi pare che esista una qualità “nazionale” dell’istruzione? Sappiamo bene che la scuola al Sud è ancora più disastrata che al Nord.

E gli esami di Stato? A dimostrazione che hanno ben poco di statale, la Gelmini ci ha confermato che basta andare a Reggio Calabria per avere la certezza di diventare avvocato…E come spieghiamo i tempi diversi dei processi civili e penali a seconda che vengano celebrati a Bolzano, a Venezia o a Roma?

Se col termine “unità d’Italia” intendiamo servizi di analoga qualità garantiti sull’intero territorio nazionale, dobbiamo prendere atto che l’unità d’Italia non si è mai realizzata, non è mai esistita. Quindi prendiamo atto che l’unica unità possibile è quella di un’Italia federale; diamo poteri reali alle regioni e, solo così, non avremo più campagne elettorali fasulle.