SE BERLUSCONI MORDE SANTORO

 

 

E’ una sorta di prima regola per aspiranti giornalisti: il cane che morde l’uomo – ti spiegano – non fa notizia. La notizia vera sarebbe il contrario, cioè l’uomo che mordesse il cane. Allo stesso modo non fa notizia Berlusconi che al telefono parla male di Santoro e cerca di liberarsi di Annozero.

Anche qui la notizia vera sarebbe il contrario: il premier che loda il suo equilibrio e pretende che la Rai gli metta a disposizione, non una, ma tre prime serate.

Al di là delle battute è giusto sdegnarsi per un presidente del consiglio che vuole eliminare dal video ( o dalla carta stampata) un giornalista sgradito. Succede sempre, ma non si dovrebbe sapere mai; come avveniva sempre e non lo abbiamo mai saputo durante l’era felpata dei premier democristiani…

Ma cosa dobbiamo pensare di un giornalista che, qualunque ruolo abbia Berlusconi al governo o all’opposizione, e di qualunque tema si occupi – escort, mafia, terremoto, informazione – da anni orienta ogni puntata della sua trasmissione contro il Cavaliere? Minimo dobbiamo pensare che sia ossessionato, o posseduto dal Cavaliere Nero.

Forse dovrebbe intervenire Padre Gabriele Armoth, il presidente degli esorcisti, per liberare Michele Santoro posseduto dal Berlusca Belzebù al quale imputa ogni nefandezza…Ma forse va bene così, perchè nulla garantisce ottimi ascolti meglio di certe possessioni…

Dopo di che togliere Santoro dal video, oltre al resto, è anche controproducente: non è lui infatti che fa perdere voti al Pdl (anzi…); chi li fa perdere sono i Fini, i Bonaiuti, i Ghedini, i Galan ogni volta che parlano e intervengono.

Su una cosa comunque Berlusconi ha ragione al cento per cento: siamo uno Stato di polizia, chiunque può essere intercettato e messo sotto controllo, anche senza alcuna ipotesi di reato, in spregio al diritto e alle libertà individuali.

La conferma arriva da Trani dove un pm ordina le intercettazioni per un giro sospetto di usura basato su carte di credito irregolari. E da lì arriva a origliare di tutto e di più. Ha la fortuna di incappare nelle telefonate di Minzolini e Berlusconi che nulla c’entrano col reato ipotizzato. Non si ferma come impone la legge. Anzi procede lancia in resta perché gli è capitata l’occasione di una vita: non è più un oscuro sostituto procuratore della provincia pugliese, arrivano le luci della ribalta nazionale…

A questo punto giunge, da parte dei moralisti, l’obiezione più stupida: chi è onesto – dicono – non ha nulla da nascondere, chi è pulito non ha paura delle intercettazioni! Certo: gli onesti e i puliti vivevano tranquilli e sicuri anche sotto Stalin o Hitler, il che non togliere che non fossero regimi molto liberali…

Detto in altre parole l’onesta o la disonesta individuale non c’entrano nulla nel giudicare il tasso di libertà di un regime. Il parametro determinante è il potere discrezionale degli sbirri (magistratura e polizie) a scapito delle libertà e dei diritti individuali. Ed è per questo che noi siamo sempre più uno Stato di polizia.

PRESERVATIVI E TAR A SCUOLA

 

 

Cari bei tempi andati quando le funzioni erano chiare e distinte! Non parlo della separazione dei poteri, ma delle “offerte formative”: se un giovane doveva imparare a copulare andava in casino, se doveva invece imparare l’italiano e la matematica andava a scuola. Oggi invece abbiamo presidi moderni e sensibili (sensibili soprattutto a farsi intervistare) che soddisfano in un colpo solo entrambe le esigenze. Che mettono a scuola i distributori di preservativi (a prezzo politico!…) di modo che un momento studi, o dovresti studiare, in classe e il momento dopo vai nei cessi a congiungerti senza pericolo di conseguenze indesiderate.

Anche ammesso che abbia senso insegnare educazione sessuale, non direi che necessita della presenza fisica dei preservativi. Presenza che invece sancisce in via definitiva che la nostra scuola è ridotta ad un postribolo. Con tanto di prezzi politici per gli studenti meno abbienti (mi sembrerebbe costituzionalmente corretto proporzionare il prezzo del condom al reddito dei genitori). Fosse meno sciagurato, e meno sensibile alla ribalta mediatica, questo preside del liceo Keplero di Roma si preoccuperebbe di distribuire a prezzo politico la Divina Commedia, che i ragazzi nemmeno più sanno cosa sia. O l’hanno imparato solo ora perché l’ultimo gioco della play station si chiama così…

Non bastassero certo presidi a devastare il poco che resta della scuola italiana, ci pensano anche i magistrati. Sì perché adesso se sei bocciato, invece che metterti a studiare per recuperare, puoi rivolgerti al Tar. E i giudici amministrativi hanno il buon tempo di risponderti e di darti ragione. Come hanno fatto con due genitori pugliesi che avevano presentato ricorso sostenendo che la loro figlia era stata bocciata a causa della sofferenza dovuta alla loro separazione. Ricorso accolto e figlia promossa all’anno successivo…

E qui siamo al delirio. Perché nessuno nega che la separazione dei genitori faccia soffrire i figli. Può farli soffrire al punto che trascurano lo studio e vanno in profonda depressione. Ma che c’entra la promozione a tavolino? Vogliamo forse compensarli della sofferenza condannandoli, in aggiunta, a restare ignoranti? Come si fa a non capire che è nel loro interesse recuperare le materia che non hanno studiato, sia pure per motivi comprensibili?

Considerazioni troppo di buon senso perché gli azzeccagarbugli del Tar arrivino a farle proprie. E, d’altra parte, possiamo credere che tanti genitori siano interessati al risultato didattico della scuola? Non direi proprio, ascoltando le proteste che si levano di fronte alla prospettiva di un lungo ponte che unisca le vacanze per seggi elettorali con quelle di Pasqua. C’è un genitore preoccupato che non venga completato il programma di studio? Non ne ho sentito nemmeno uno. Ho sentito invece un coro ragliare: “E i ragazzi dove li mettiamo, chi ce li tiene?”

Questa è la prima funzione richiesta oggi alla scuola pubblica: un parco buoi con baby sitter gratis. Cosa avvenga poi, in concreto, nella stalla interessa a ben pochi.


HA PERSO IL PDL MA ANCHE IL PD

 

Chiusa in qualche modo la vicenda delle liste, con il contestatissimo placet di Napolitano, va ribadito che il Pdl ne esce con le ossa rotte. Però anche il Partito democratico di Bersani poteva trarne maggior profitto, e non finire schiacciato su Di Pietro.

I pidiellini hanno dimostrato di essere “polli delle libertà”, come li ha definiti Libero, “dilettanti allo sbaraglio” incapaci di compiere gli adempimenti elettorali: anche perché preda della guerra interna per bande, prima responsabile del risultato alla Tafazzi.

Dopo di che, invece di scusarsi con i propri elettori e l’intera cittadinanza, invece che chiedere – da penitenti – l’aiuto del Capo dello Stato e della stessa opposizione, i polli hanno anche voluto fare gli arroganti. Hanno cioè tirato in ballo l’abituale “congiura dei magistrati”. Ipotesi che resta sempre plausibile finché ci saranno magistrati che partecipano ad iniziative di partito, ma che non può far dimenticare come – in ogni caso – siano stati i polli a fornire, ben confezionato sul classico piatto d’argento, tutto il materiale per l’ipotetica congiura…

Esilaranti, in conclusione, i leaders del Pdl nella loro difesa di Napolitano, nel loro sdegno per gli insulti che oggi Di Pietro rivolge al Capo dello Stato. Insulti identici a quelli che loro stessi gli avevano rivolto solo l’ottobre di fronte alla bocciatura del Lodo Alfano…

Ribadito questo, va aggiunto che Pd non ha saputo approfittare – come scrive oggi Giuliano Ferrara – di questo misto di “scemenza e arroganza” della destra. Il partito di Bersani infatti avrebbe dovuto cuocere a fuoco lento l’avversario, tenerlo fino all’ultimo sulla corda, sottolineare in ogni modo la dabbenaggine dei quadri dirigenti del Cavaliere. Ma alla fine, incassati tutti i benefit derivanti dallo sbracamento del Pdl, avrebbe dovuto e potuto sferrare anche il colpo di grazia: cioè offrire lui una soluzione. O, quantomeno, accogliere subito la soluzione che lo stesso (suo) presidente Napolitano aveva accettato.

Questo per due motivi. Il primo di puro buon senso, ricordato dallo stesso Capo dello Stato: la vittoria a tavolino è impensabile, impensabile che gli elettori di centrodestra restassero esclusi dalle urne in Lombardia e in Lazio. Il secondo di identità politica: dimostrando cioè, il Pd, di essere una sinistra riformista e di governo che sa farsi carico delle soluzioni dei problemi; e non una sinistra ululante, che ulula sempre il proprio sdegno, morale e legale, senza però mai indicare un percorso utile ad…abbassare il volume.

E così, il 28 marzo, il Pdl perderà di sicuro consensi, perchè è difficile aver fiducia in chi si dimostra incapace perfino di “governare” gli adempimenti burocratici. Ma ne perderà anche il Pd di Bersani, appiattito sul Di Pietro ululante.




 

 

 

 

 

 

 

 

LIBERTA’ DI PAROLA O DI CATECHISMO?

 

I giornalisti e i dipendenti della Rai, il “popolo viola” (area Di Pietro Travaglio), che martedì sera si sono ritrovati a manifestare in via Teulada contro la sospensione dei talk show, non sono affatto quei paladini della libertà di stampa che dicono di essere. Sono invece i paladini della libertà di…catechismo: voglio cioè sentire e ripetere solo i dogmi della loro fede, ma guai se prende la parola anche “l’eretico”. Non potendo più bruciarlo sul rogo, si sono accontentati di subissarlo di fischi ed insulti.

Andare a vedere (sui siti), chi non ha seguito mercoledì sera Rosso & Nero dove abbiamo mostrato cos’è accaduto: finchè hanno parlato Santoro e Floris, tutti a spellarsi le mani con gli applausi; quando invece ha osato dire la sua Bruno Vespa sono partiti i fischi e gli ululati. Ma non era stato “censurato” anche Porta a Porta? Sì, però fa niente perchè quello è il talk show del servo di Berlusconi e quindi si può benissimo farne a meno…Anzi: se lo cancellano meglio, un lecchino in meno.

Gli autoproclamati paladini della libertà di parola protestano perchè ad Augusto Minzolini la parola…non viene tolta! Anche lui andrebbe censurato perchè segue un catechismo diverso, ha dogmi diversi dai miei. Anzi no, scusate: i suoi sono i dogmi del lecca culo, mentre io possiedo la Verità.

Così ragionano “il popolo viola” e tanti giornalisti Rai. Non li sfiora nemmeno il dubbio che si deve difendere la libertà di parola proprio a partire da chi la pensa in maniera opposta a te. Perchè la parola di chi la pensa come te sono pronti a difenderla tutti, e gli ayatollah per primi. Gli stessi ayatollah che stroncano qualsiasi voce dissidente; proprio come faceva la Chiesa con gli eretici, e come vorrebbero fare oggi i talebani di via Teulada.

Fu vergognoso “l’editto Bulgaro” di Berlusconi contro Biagi e Santoro; ma questi sono i figliocci del Cav: pronti a lanciare un editto identico contro Bruno Vespa

L’accusa che gli viene fatta, a lui come a Minzolini, é di diffondere il verbo del Cavaliere, di pensarla come Berlusconi. Diamo per scontato che sia così. E’ forse vietato avere idee uguali a quelle del presidente del consiglio della maggioranza degli italiani? Chi la pensa come Berlusconi è un suo servo. E chi la penso all’opposto di lui che cos’è? Un eroe della Resistenza? Un apostolo della Verità rivelata?

I nostri talebani la pensano esattamente così. Non capiscono che abbiamo semplicemente due giornalisti, due cittadini, due pirla con idee diverse e l’identico diritto di espressione. A beneficio dei talebani veri, va in fine sottolineato che loro almeno non sono così spudorati da ergersi a paladini della libertà di parola.

LO SCIOPERO DEGLI IMMIGRATI, E IL NOSTRO

 

Alla vigilia dello sciopero degli immigrati, Gilberto Oneto scriveva domenica su Il Giornale che il loro vero sciopero sarebbe “lasciare l’Italia”. Intendeva che solo così, solo se tornassero tutti nei luoghi di provenienza , potremmo verificare davvero quanto contano e quanto pesano oggi nel nostro Paese. Dal momento che le cifre – numero dei regolari e degli irregolari, incidenza sul Pil, adesione stessa allo sciopero – sono cifre del tutto aleatorie.

Provocazione tanto interessante, quanto irrealistico è attendersi una verifica concreta attraverso il rimpatrio di massa. Nemmeno lo xenofobo più scatenato può oggi illudersi di rimandarli tutti a casa loro (sarebbe già tanto riuscire a controllare il numero di nuovi ingressi e non venir semplicemente sommersi da ondate successive…). Ma anche solo pensare a come sarebbe un’Italia senza immigrati, può essere utile a capire quanto la presenza di questi “schiavi moderni” ci abbia corrotto. Corrotto – ovviamente – per colpa nostra, non certo per colpa loro; che di colpe gli immigrati magari ne hanno, ma di tutt’altro genere.

Cominciamo con le badanti, questa presenza così diffusa specie nel ricco Nordest. Immaginiamo che scompaiano domani, cosa succederebbe: ci mettiamo a costruire case di riposo a raffica, finanziate da nuove tasse rette comprese? Ci prendiamo i nostri anziani in casa rinunciando ad andare anche in vacanza per accudirli? Gettiamo la maschera e li lasciamo morire soli e abbandonati (come di fatto già avviene molto spesso)? Di certo il ricorso capillare alle badanti non ci ha aiutato a sviluppare adeguate politiche per l’assistenza alla terza età, e meno che mai a ridimensionare il nostro egoismo a beneficio dei vecchi non più autosufficienti. (E quando, tra poco, lo saremo noi?…)

Passiamo poi ai lavori che “gli italiani si rifiutano di fare”. Che si rifiutino non c’è dubbio, che altrimenti non si spiega come mai interi comparti – dell’agricoltura, della produzione, dei servizi – siano monopolio dei lavoratori stranieri. Non c’è dubbio anche che il rifiuto nasca da retribuzioni inadeguate e orari di lavoro che solo gli stranieri sono costretti ad accettare. Ma qui entrano in ballo le scelte di datori di lavoro che puntano a restare sul mercato non con l’innovazione ma con il contenimento dei costi. Questo alla fine produce un sistema economico arretrato, che non è certo imputabile agli immigrati; ma che resta una realtà, una scelta sciagurata che imprenditori imprevidenti operano grazie alla presenza massiccia degli “schiavi moderni” sul nostro mercato del lavoro. Una scelta che è l’esatto contrario di quella fatta negli anni del boom economico, quando investimenti e stipendi aumentavano di pari passo.

Facciamo un esempio concreto, partendo da quanto successo a Padova con delle donne africane impiegate a separare a mano i rifiuti d’estate dentro un capannone torrido, ad una paga regolare (per le cooperative) di tre euro circa l’ora. Immaginiamo che non ci siano più loro: o troviamo una tecnologia che li separi meccanicamente; o li gettiamo tal quali nell’inceneritore, senza sottilizzare troppo sulla qualità dei fumi; oppure paghiamo venti euro l’ora chi è disposto a fare a mano un lavoro tanto infame (e magari cominciamo anche a domandarci se c’è più bisogno di docenti universitari con tre studenti a corso o di operai che separino i rifiuti…).

Invece, finché abbiamo a disposizione le novelle schiave africane, né cerchiamo alternative né ci poniamo domande.

Concludo ripetendo che nessuna colpa va fatta a questi disperati che, comprensibilmente, cercano qui una vita migliore. Nemmeno la colpa di arrivare in massa e da clandestini, dal momento che noi dovremmo saper affrontare questa emergenza e non ne siamo capaci. Ma che non vengano a decantarci le magnifiche sorti e progressive della società multietnica, né a spiegarci che gli immigrati “sono una ricchezza”: per colpa nostra, con la loro presenza, siamo diventati più poveri e più gretti.

Oggi, lunedì, hanno scioperato gli immigrati. Il nostro “sciopero” è cominciato col loro arrivo.




 

MAFIE E STATO DI POLIZIA

 

 

Berlusconi sostiene che il nostro Paese è divenuto uno Stato di polizia: tutti intercettati, tutti controllati, tutti sotto inchiesta. Repubblica invece denuncia la corruzione dilagante e, dopo le accuse mosse al senatore del Pdl Di Girolamo, titola “La ‘ndrangheta in Parlamento”. E se fossero, più semplicemente, le due facce della stessa medaglia? Per trovare Paesi dove le mafie prosperino come da noi bisogna infatti andare proprio nel regimi totalitari; in quelli Stati di polizia dove anche la corruzione è capillare e quotidiana.

Se davvero vogliamo trovare una via d’uscita, dobbiamo partire dagli esempi e dalla storia. I regimi dittatoriali, pensiamo all’Unione sovietica, hanno sempre avuto gli apparati repressivi più poderosi – poliziotti, servizi segreti, magistrati – e le leggi più puntuali e rigorose; era superfluo perfino mettere i telefoni sotto controllo, perchè tutti erano intenti a spiare tutti, e a denunciarsi a vicenda. Risultato: l’Urss è crollata, sbriciolata dalla corruzione più diffusa e sistematica che si ricordi. Sulla carta c’erano pene severissime – anni ed anni di carcere – per chi “sabotava” la produzione, per chi rubava anche un lapis dall’ufficio. Risultato: nessuno più lavorava; tutti si portavano via anche i mobili dagli uffici, anche i rotoli di carta igienica

Quando abbiamo proposto di sbattere in carcere chi scia fuori pista e provoca slavine, ho pensato che siamo proprio ridotti alla draconiana impotenza che fu dell’Unione sovietica…Ogni volta invochiamo “inasprimento delle pene” contro gli stupratori, contro i corrotti, contro i clandestini, contro i mafiosi. Invocazione tipica degli impotenti, ciechi per giunta: dato che i deludenti risultati sono davanti agli occhi.

Ogni volta ci stracciamo le vesti perché “gli organici sono insufficienti” e bisognerebbe “aumentare gli stanziamenti”. Ci verrà mai il sospetto che il rimedio è esattamente l’opposto? Ci fossero meno poliziotti, forse, non avrebbero il tempo per diventare contigui alla malavita; ci fossero meno magistrati, forse, non potrebbero dedicarsi ai lucrosissimi incarichi extragiudiziali. Se riducessimo drasticamente il numero delle leggi avremmo la certezza matematica di ridurre il numero dei reati.

Questo non vuol dire cancellare i reati veri, ma evitare di confonderli con ciò che merita una sanzione amministrativa; evitare che sia un reato anche respirare. In Unione sovietica tutto era reato col risultato che – essendo impossibile perseguire tutto – tutto diventava di fatto lecito. E da noi oggi le cose non vanno più o meno così?

Per chi ha (come me) anche solo un’infarinatura di cultura liberale, certi esiti sono evidenti: se davvero vogliamo ridurre la corruzione – prima di pensare a nuove pene più severe, nuovi tribunali, intercettazioni estese anche agli asili nido – cominciamo a ridurre drasticamente gli apparati burocratici che sono la causa prima di corruzione. Riduciamo altrettanto drasticamente la presenza dello Stato in economia, la quota del Pil che passa attraverso la mano pubblica, e avremo ridotto la materia prima della corruzione.

Finchè metà della ricchezza prodotto ogni anno nel nostro Paese viene sequestrata e ridistribuita dall’interposizione pubblica, finchè abbiamo più burocrati che partite iva, non c’è Di Pietro né Travaglio né pm che ci salvi; né dalla corruzione né dalle mafie.


IL REUCCIO E LO SPECIAL ONE

 Il reuccio e lo special one, Emanuele Filiberto e Josè Mourinho. Due personaggi in un certo senso speculari: poichè le reazioni che suscitano compongono un’istantanea perfetta del nostro Paese.

Il consenso popolare crescente del principe di casa Savoia, che prima aveva vinto Ballando sotto le stelle e che ora minacciava di aggiudicarsi anche il Festival di Sanremo, ha suscitato un timore altrettanto crescente. Timore per la qualità della canzone italiana? No: timore per la tenuta della democrazia italiana!

Non scherzo. Se è vero, come è vero, che Giovanni Maria Bellu, condirettore dell’Unità, è arrivato a scrivere: “Lo confessiamo. Abbiamo assistito con una certa apprensione alla fase finale del Festival di Sanremo. Col timore, per dirla tutta, che un plebiscito annullasse simbolicamente il referendum istituzionale del 1946”.

Capite qual’era l’angoscia del quotidiano fondato da Antonio Gramsci? Se la giuria popolare “incoronava” Emanuele Filiberto al Festival dei fiori, si ritornava alla monarchia! Magari con Pupo Ministro della real casa…E non è che questo timore serpeggiasse solo all’Unità. Come dimostra il fatto che molti hanno applaudito alla rivolta degli orchestrali, quasi che fossero saliti sulle barricate a difendere la Repubblica col lancio degli spartiti. (Serena Dandini: “Ho adorato la ribellione degli orchestrali”). E così, per non correre rischi, pare siano arrivati a taroccare il voto popolare buttando il reuccio giù dal podio del primo posto.

Una vicenda che ci fa capire – questo sì – quanto sia fragile la nostra democrazia, in balia perfino del risultato di un festival della canzone. In un Paese che non riesce nemmeno più a distinguere la simpatia popolare che può suscitare un bel ragazzo educato (una specie di Brad Pitt col volto più scavato) dal suo ruolo politico improbabile per non dire inesistente. Non si tratta infatti di un Asburgo né di uno Windsor, ma del rampollo della dinastia più sputtanata d’Europa.

Eppure il nostro Paese ha paura perfino di Emanuele Filiberto di Savoia. Ed ecco perchè, solo in questo nostro Paese, lo special one, cioè Josè Mourinho, si permette comportamenti, frasi, dichiarazioni e gesti, che mai esternerebbe in un altro Paese.

Il tecnico portoghese, come noto, ha allenato per due anni abbondanti il Chelsea. Ed anche allora ha polemizzato e offerto spunti ai giornalisti sportivi. Mai però, finché è stato in Inghilterra, si è abbandonato alle sceneggiate napoletane; mai ha fatto il gesto delle manette né detto che il Machester gioca con un area di rigore più grande delle altre squadre. Sapeva di non poterlo fare in un Paese serio.

L’intelligenza viene definita come la capacità di comprendere situazioni tra loro diverse e di sapercisi adattare di conseguenza. Mourinho è di sicuro un uomo intelligente. Quindi in Inghilterra si comportava da inglese, in Italia da Pulcinella. Perchè sa di essere nella Repubblica delle Banane che teme perfino il reuccio che fa il golpe con la marcia da Sanremo…


SMOG, UNA DOMENICA ITALIANA

Se domenica prossima, 28 Febbraio, verrà accolto l’appello bipartisan Moratti-Chiamparino per un blocco delle auto in tutto il Nord Italia, se sarà così, assisteremo alla perfetta domenica italiana: cioè ad un rito assurdo, farcito di ipocrisia.

Capita che la realtà si imponga al punto di non poterla negare. E quindi nessuno osa sostenere che una giornata di blocco delle auto avrà un qualunque effetto pratico in quel bacino chiuso che è la Pianura padana; dove nessuno può comunque bloccare il traffico autostradale e dove le fonti di inquinamento sono anche diverse altre, a partire dagli impianti di riscaldamento.

Non potendo raccontarci la balla spudorata che produca un qualche risultato, ci spiegano che il blocco auto è comunque “educativo”; servirebbe cioè ad abituarci ad andare a piedi o in bicicletta. Ma anche questa è una sciocchezza, come ben dimostra l’esempio padovano. Per anni l’amministrazione comunale aveva provato ad “educare” di domenica i suoi amministrati mandandoli a piedi; cittadini che però, il lunedì, tornavano puntualmente “maleducati” cioè in auto. Finché è arrivato il tram e, a quel punto, senza bisogno di ulteriori corsi di bon ton, molti padovani hanno lasciato l’auto a casa e preso il tram…

Questo a dimostrazione che l’educazione non serve a nulla se non offri alternative concrete, cioè se non metti a disposizione dei cittadini un trasporto pubblico moderno ed efficiente. Nelle grandi città, dove puoi spostarti in metropolitana, nessuno si sogna di prendere l’auto. E non serve alcuna “educazione”. Mentre sarebbe servito che Galan, invece di cazzeggiare per 15 anni, si fosse impegnato a far decollare in Veneto quel sistema metropolitano di superficie. Solo così sarebbe diminuito il traffico auto anche extraurbano. Servirebbe spostare sempre più traffico passeggero e merci dalla gomma alla rotaia, no-tav permettendo…Servirebbero le centrali nucleari “unica energia sicura e pulita” (Obama dixit)…

Servono insomma volontà politica, determinazione, e ingenti risorse pubbliche; anche per favorire il passaggio ad impianti di riscaldamento meno inquinanti. Risorse che non ci sono, volontà e capacità politiche che latitano. Mentre le chiacchiere, le proposte folcloristiche, le domeniche senza auto, non costano niente…Anzi, un costo ce l’hanno eccome: danno una mano a piombare ancor più nella recessione, bloccando i consumi di centri commerciali, ristoratori e turismo in genere. Questo è l’unico risultato garantito.

Nessuno lo sa meglio dei sindaci. I quali però sanno bene anche un’altra cosa, sanno cioè di essere vittime di un’incongruenza tipicamente italiana. Perchè sono titolari di una funzione complessa e delicata, senza avere le risorse adeguate; ma avendo, in compenso, la spada di Damocle della denuncia che pende sul loro capo: devono, dovrebbero, tutelare la salute pubblica minacciata dall’inquinamento; non hanno le risorse per adottare misure serie; ma devono comunque fare (far finta di fare) qualcosa per evitare una denuncia per omissione d’intervento. E così intervengono con l’inutile pagliacciata della domenica auto stop.

Ditemi voi se non è tipicamente italiano l’attivare un intervento del tutto inutile, che però ti mette al riparo dall’accusa di…non esserti attivato! (e dalla conseguente denuncia penale). Ecco perchè quella del prossimo 28 Febbraio, se si farà, sarà proprio una domenica italiana.


MAFIE E BANLIEUE, LO STATO NON C’E’

 

 

La prima cosa che colpisce in quanto accaduto a Milano in via Padova è che gli immigrati, in piena “capitale morale”, si comportano esattamente come i criminali nostrani nelle regioni dominati dalle mafie. In Campania, in Calabria, in Sicilia la giustizia fai da te è all’ordine del giorno: se ammazzi un picciotto del mio clan non ti denuncio ad uno Stato – che non c’è, che non riconosco, che non temo – ma mi vendico direttamente su un uomo del tuo clan.

Lo stesso è accaduto a Milano dove gli africani, dopo che uno dei loro era stato ammazzato dai sudamericani, hanno dato l’assalto ai negozi e cercato la vendetta su questi ultimi. Non uno che abbia pensato di andare al commissariato di polizia a denunciare l’accaduto. E qui va marcata la differenza. Contrariamente ai mafiosi e a questi stranieri, per quanto veneti, lombardi o emiliani siano stati trucidati e stuprati, mai un cittadino del Nord pensa di farsi giustizia andando lui a caccia dell’autore del delitto.

Noi deleghiamo questo compito allo Stato. Nella speranza, nell’illusione che questo Stato ci sia… Non certo per giustificarli, solo per capire, va aggiunto che con certi stranieri violenti lo Stato non c’è, non esiste. Passano alle vie di fatto, ritengono di potersi fare giustizia da se, perchè non sentono la presenza dello Stato, non lo temono; per loro è come se non esistesse. E purtroppo hanno ragione. Lo Stato non c’è a Milano in via Padova, come non c’è nelle regioni dominate dalle mafie.

Su una cosa maggioranza e opposizione concordano pur litigando: la Bossi-Fini ha fallito. La maggioranza dice per colpa dei magistrati che l’hanno sabotata, l’opposizione perchè la legge sarebbe sbagliata in se. Fatto sta che non è riuscita a governare i flussi migratori. Sarebbe utile che maggioranza e opposizione concordassero anche sui rimedi da adottare, partendo da un presupposto semplice semplice: uno Stato esiste solo se è in grado di farsi temere, di punire chi non lo vuole riconoscere. Questo vale in Calabria come a Milano. Dovrebbe valere per Maroni come per Bersani e Di Pietro.

Altrettanto chiaro è che la repressione non basta. E’ imprescindibile, ma non basta. Ci vogliono anche politiche di integrazione. Ed è molto significativo che proprio Maroni abbia riconosciuto i successi conseguiti da un avversario, il sindaco pd di Padova Flavio Zanonato, nello smantellare il ghetto di via Anelli.

E’ però del tutto inutile blaterale a vuoto di integrazione se non diciamo con chiarezza dove troviamo le risorse per finanziarla. I governi centrali non hanno stanziato una lira; i sindaci si sono ritrovati con le banlieue piene, i cittadini infuriati e le casse sempre più vuote. Chi paga le spesi ingenti per le politiche dell’integrazione? I contribuenti con un’apposita aliquota irpef? Le organizzazioni datoriali che assumono manodopera straniera? Gli stranieri regolari con le loro tasse? Chiariamolo una volta per tutte.

E, nel frattempo, consegniamo ad un silenzio di tomba quelle associazioni, religiose e laiche, che, sbandierando l’accoglienza, hanno lucrato stipendi e stipendiucci per i loro addetti e dispensato qualche briciola residua agli immigrati.


 

MA IL PENSIERO NON E’ REATO

 

 

Di fronte alla vergogna delle intercettazione telefoniche che puntualmente, anche col caso Bertolaso, vengono date in pasto all’opinione pubblica, di fronte a questa barbarie, minimo bisogna ricordare che il pensiero non è reato. E che quelli intercettati, trascritti e prontamente passati ai giornalisti per la pubblicazione, sono appunto pensieri. Magari loschi, magari cinici, ma pur sempre pensieri. Mentre è solo con le azioni che si possono compiere reati.

Siamo alla distinzione che, al tempo della confessione, ci facevano i sacerdoti più illuminati: non si pecca – dicevano – pensando agli atti impuri, si pecca commettendo gli atti impuri. Così i tifosi della santa inquisizione giudiziaria dovrebbero ricordare che non c’è reato finchè pensiamo di ottenere un appalto in modo truffaldino, ma solo se nei fatti lo otteniamo con la corruzione. Caso esemplare quello del consigliere comunale Pdl di Milano colto in flagranza di reato non perché parlava di tangenti al telefono, ma perchè ne incassava una da diecimila euro.

Adesso, con il caso Bertolaso, abbiamo toccato il fondo. Siamo cioè arrivati a mettere alla gogna anche un semplice pensiero cinico, che nemmeno prefigurava un’ipotesi di reato. Mi riferisco al costruttore De Vito Piscicelli e alla pubblicazione della sua telefonata col cognato; telefonata in cui, alla notizia del terremoto, si compiace per l’opportunità che si prospetta con i lavori per la ricostruzione. Pensiero indubbiamente cinico, che ha suscitato immediate e corali reazioni sdegnate da quei sepolcri imbiancati che siamo un po’ tutti noi; al punto che ora i due rischiano la lapidazione se dovessero farsi vedere in giro…

Parlo di sepolcri imbiancati perché fingiamo di ignorare che, a livello di pensiero, il cinismo si spreca un po’ ovunque. Ma De Vito Piscicelli, come tutti noi, deve appunto rispondere delle sue azioni non dei pensieri cinici o laidi. E siamo molto più laidi ( e ipocriti) di lui se lo mettiamo alla gogna per i suoi pensieri cinici.

Faccio un solo esempio nell’ambito giornalistico. Quando arriva in redazione la notizia di un feroce omicidio, magari anche accompagnato da stupro e violenze varie, capita proprio di compiacersene e dire: finalmente un notizia degna di questo nome, un fatto che colpisce il lettore e il telespettatore; finalmente possiamo aprire il telegiornale con un servizio di sicuro impatto! Non come ieri che abbiamo dovuto accontentarci di quella conferenza stampa pallosa che non interessava a nessuno…Così reagisce e pensa anche il giornalista, ma non vuol dire che abbia commesso lui l’omicidio e lo stupro. Allo stesso modo ci sta che il costruttore per prima cosa pensi al business della ricostruzione, ma non vuol dire che il terremoto e le vittime le abbia provocati lui.

La cosa oscena delle intercettazioni pubblicate è che mettono in piazza quei pensieri laidi che tutti noi facciamo. Tutti noi, non solo gli intercettati. Mi rendo conto che le intercettazioni possono essere utili, anche fondamentali per le indagini. E quindi non mi sogno di dire che vanno proibite. Devono però essere solo lo spunto per una verifica, che può dare risultati ma anche no. Altrimenti siamo a Spatuzza, siamo a Ciancimino jr, siamo al letame buttato subito sul ventilatore per paura che risulti solo paglia e non faccia più effetto.

E, in attesa della verifica, del confronto sulle prove fatto con la difesa, le intercettazioni vanno secretate. Va impedita la divulgazione. Poco conta chi è a passarle ai giornali: se sono gli avvocati, vanno radiati dall’ordine; se sono i magistrati basta metterli in cassa integrazione con lo stipendio dei cassintegrati. Facessimo così, non uscirebbe più nemmeno una riga.

Non vi pare che dovrebbe restare almeno questo baluardo a difesa della civiltà giuridica? O dobbiamo continuare a considerare il pensiero comunicato per telefono un delitto consumato?