SMOG, UNA DOMENICA ITALIANA

Se domenica prossima, 28 Febbraio, verrà accolto l’appello bipartisan Moratti-Chiamparino per un blocco delle auto in tutto il Nord Italia, se sarà così, assisteremo alla perfetta domenica italiana: cioè ad un rito assurdo, farcito di ipocrisia.

Capita che la realtà si imponga al punto di non poterla negare. E quindi nessuno osa sostenere che una giornata di blocco delle auto avrà un qualunque effetto pratico in quel bacino chiuso che è la Pianura padana; dove nessuno può comunque bloccare il traffico autostradale e dove le fonti di inquinamento sono anche diverse altre, a partire dagli impianti di riscaldamento.

Non potendo raccontarci la balla spudorata che produca un qualche risultato, ci spiegano che il blocco auto è comunque “educativo”; servirebbe cioè ad abituarci ad andare a piedi o in bicicletta. Ma anche questa è una sciocchezza, come ben dimostra l’esempio padovano. Per anni l’amministrazione comunale aveva provato ad “educare” di domenica i suoi amministrati mandandoli a piedi; cittadini che però, il lunedì, tornavano puntualmente “maleducati” cioè in auto. Finché è arrivato il tram e, a quel punto, senza bisogno di ulteriori corsi di bon ton, molti padovani hanno lasciato l’auto a casa e preso il tram…

Questo a dimostrazione che l’educazione non serve a nulla se non offri alternative concrete, cioè se non metti a disposizione dei cittadini un trasporto pubblico moderno ed efficiente. Nelle grandi città, dove puoi spostarti in metropolitana, nessuno si sogna di prendere l’auto. E non serve alcuna “educazione”. Mentre sarebbe servito che Galan, invece di cazzeggiare per 15 anni, si fosse impegnato a far decollare in Veneto quel sistema metropolitano di superficie. Solo così sarebbe diminuito il traffico auto anche extraurbano. Servirebbe spostare sempre più traffico passeggero e merci dalla gomma alla rotaia, no-tav permettendo…Servirebbero le centrali nucleari “unica energia sicura e pulita” (Obama dixit)…

Servono insomma volontà politica, determinazione, e ingenti risorse pubbliche; anche per favorire il passaggio ad impianti di riscaldamento meno inquinanti. Risorse che non ci sono, volontà e capacità politiche che latitano. Mentre le chiacchiere, le proposte folcloristiche, le domeniche senza auto, non costano niente…Anzi, un costo ce l’hanno eccome: danno una mano a piombare ancor più nella recessione, bloccando i consumi di centri commerciali, ristoratori e turismo in genere. Questo è l’unico risultato garantito.

Nessuno lo sa meglio dei sindaci. I quali però sanno bene anche un’altra cosa, sanno cioè di essere vittime di un’incongruenza tipicamente italiana. Perchè sono titolari di una funzione complessa e delicata, senza avere le risorse adeguate; ma avendo, in compenso, la spada di Damocle della denuncia che pende sul loro capo: devono, dovrebbero, tutelare la salute pubblica minacciata dall’inquinamento; non hanno le risorse per adottare misure serie; ma devono comunque fare (far finta di fare) qualcosa per evitare una denuncia per omissione d’intervento. E così intervengono con l’inutile pagliacciata della domenica auto stop.

Ditemi voi se non è tipicamente italiano l’attivare un intervento del tutto inutile, che però ti mette al riparo dall’accusa di…non esserti attivato! (e dalla conseguente denuncia penale). Ecco perchè quella del prossimo 28 Febbraio, se si farà, sarà proprio una domenica italiana.


MAFIE E BANLIEUE, LO STATO NON C’E’

 

 

La prima cosa che colpisce in quanto accaduto a Milano in via Padova è che gli immigrati, in piena “capitale morale”, si comportano esattamente come i criminali nostrani nelle regioni dominati dalle mafie. In Campania, in Calabria, in Sicilia la giustizia fai da te è all’ordine del giorno: se ammazzi un picciotto del mio clan non ti denuncio ad uno Stato – che non c’è, che non riconosco, che non temo – ma mi vendico direttamente su un uomo del tuo clan.

Lo stesso è accaduto a Milano dove gli africani, dopo che uno dei loro era stato ammazzato dai sudamericani, hanno dato l’assalto ai negozi e cercato la vendetta su questi ultimi. Non uno che abbia pensato di andare al commissariato di polizia a denunciare l’accaduto. E qui va marcata la differenza. Contrariamente ai mafiosi e a questi stranieri, per quanto veneti, lombardi o emiliani siano stati trucidati e stuprati, mai un cittadino del Nord pensa di farsi giustizia andando lui a caccia dell’autore del delitto.

Noi deleghiamo questo compito allo Stato. Nella speranza, nell’illusione che questo Stato ci sia… Non certo per giustificarli, solo per capire, va aggiunto che con certi stranieri violenti lo Stato non c’è, non esiste. Passano alle vie di fatto, ritengono di potersi fare giustizia da se, perchè non sentono la presenza dello Stato, non lo temono; per loro è come se non esistesse. E purtroppo hanno ragione. Lo Stato non c’è a Milano in via Padova, come non c’è nelle regioni dominate dalle mafie.

Su una cosa maggioranza e opposizione concordano pur litigando: la Bossi-Fini ha fallito. La maggioranza dice per colpa dei magistrati che l’hanno sabotata, l’opposizione perchè la legge sarebbe sbagliata in se. Fatto sta che non è riuscita a governare i flussi migratori. Sarebbe utile che maggioranza e opposizione concordassero anche sui rimedi da adottare, partendo da un presupposto semplice semplice: uno Stato esiste solo se è in grado di farsi temere, di punire chi non lo vuole riconoscere. Questo vale in Calabria come a Milano. Dovrebbe valere per Maroni come per Bersani e Di Pietro.

Altrettanto chiaro è che la repressione non basta. E’ imprescindibile, ma non basta. Ci vogliono anche politiche di integrazione. Ed è molto significativo che proprio Maroni abbia riconosciuto i successi conseguiti da un avversario, il sindaco pd di Padova Flavio Zanonato, nello smantellare il ghetto di via Anelli.

E’ però del tutto inutile blaterale a vuoto di integrazione se non diciamo con chiarezza dove troviamo le risorse per finanziarla. I governi centrali non hanno stanziato una lira; i sindaci si sono ritrovati con le banlieue piene, i cittadini infuriati e le casse sempre più vuote. Chi paga le spesi ingenti per le politiche dell’integrazione? I contribuenti con un’apposita aliquota irpef? Le organizzazioni datoriali che assumono manodopera straniera? Gli stranieri regolari con le loro tasse? Chiariamolo una volta per tutte.

E, nel frattempo, consegniamo ad un silenzio di tomba quelle associazioni, religiose e laiche, che, sbandierando l’accoglienza, hanno lucrato stipendi e stipendiucci per i loro addetti e dispensato qualche briciola residua agli immigrati.


 

MA IL PENSIERO NON E’ REATO

 

 

Di fronte alla vergogna delle intercettazione telefoniche che puntualmente, anche col caso Bertolaso, vengono date in pasto all’opinione pubblica, di fronte a questa barbarie, minimo bisogna ricordare che il pensiero non è reato. E che quelli intercettati, trascritti e prontamente passati ai giornalisti per la pubblicazione, sono appunto pensieri. Magari loschi, magari cinici, ma pur sempre pensieri. Mentre è solo con le azioni che si possono compiere reati.

Siamo alla distinzione che, al tempo della confessione, ci facevano i sacerdoti più illuminati: non si pecca – dicevano – pensando agli atti impuri, si pecca commettendo gli atti impuri. Così i tifosi della santa inquisizione giudiziaria dovrebbero ricordare che non c’è reato finchè pensiamo di ottenere un appalto in modo truffaldino, ma solo se nei fatti lo otteniamo con la corruzione. Caso esemplare quello del consigliere comunale Pdl di Milano colto in flagranza di reato non perché parlava di tangenti al telefono, ma perchè ne incassava una da diecimila euro.

Adesso, con il caso Bertolaso, abbiamo toccato il fondo. Siamo cioè arrivati a mettere alla gogna anche un semplice pensiero cinico, che nemmeno prefigurava un’ipotesi di reato. Mi riferisco al costruttore De Vito Piscicelli e alla pubblicazione della sua telefonata col cognato; telefonata in cui, alla notizia del terremoto, si compiace per l’opportunità che si prospetta con i lavori per la ricostruzione. Pensiero indubbiamente cinico, che ha suscitato immediate e corali reazioni sdegnate da quei sepolcri imbiancati che siamo un po’ tutti noi; al punto che ora i due rischiano la lapidazione se dovessero farsi vedere in giro…

Parlo di sepolcri imbiancati perché fingiamo di ignorare che, a livello di pensiero, il cinismo si spreca un po’ ovunque. Ma De Vito Piscicelli, come tutti noi, deve appunto rispondere delle sue azioni non dei pensieri cinici o laidi. E siamo molto più laidi ( e ipocriti) di lui se lo mettiamo alla gogna per i suoi pensieri cinici.

Faccio un solo esempio nell’ambito giornalistico. Quando arriva in redazione la notizia di un feroce omicidio, magari anche accompagnato da stupro e violenze varie, capita proprio di compiacersene e dire: finalmente un notizia degna di questo nome, un fatto che colpisce il lettore e il telespettatore; finalmente possiamo aprire il telegiornale con un servizio di sicuro impatto! Non come ieri che abbiamo dovuto accontentarci di quella conferenza stampa pallosa che non interessava a nessuno…Così reagisce e pensa anche il giornalista, ma non vuol dire che abbia commesso lui l’omicidio e lo stupro. Allo stesso modo ci sta che il costruttore per prima cosa pensi al business della ricostruzione, ma non vuol dire che il terremoto e le vittime le abbia provocati lui.

La cosa oscena delle intercettazioni pubblicate è che mettono in piazza quei pensieri laidi che tutti noi facciamo. Tutti noi, non solo gli intercettati. Mi rendo conto che le intercettazioni possono essere utili, anche fondamentali per le indagini. E quindi non mi sogno di dire che vanno proibite. Devono però essere solo lo spunto per una verifica, che può dare risultati ma anche no. Altrimenti siamo a Spatuzza, siamo a Ciancimino jr, siamo al letame buttato subito sul ventilatore per paura che risulti solo paglia e non faccia più effetto.

E, in attesa della verifica, del confronto sulle prove fatto con la difesa, le intercettazioni vanno secretate. Va impedita la divulgazione. Poco conta chi è a passarle ai giornali: se sono gli avvocati, vanno radiati dall’ordine; se sono i magistrati basta metterli in cassa integrazione con lo stipendio dei cassintegrati. Facessimo così, non uscirebbe più nemmeno una riga.

Non vi pare che dovrebbe restare almeno questo baluardo a difesa della civiltà giuridica? O dobbiamo continuare a considerare il pensiero comunicato per telefono un delitto consumato?

 


DA VANNA MARCHI A GENCHI

 

Antonio di Pietro, al congresso del suo partito ha paragonato Berlusconi a Vanna Marchi, dando in pratica dell’imbonitore al premier e degli allocchi ai cittadini che lo votano, perchè sarebbero incapaci di comprendere che le sue sono solo bugie. Ammesso, e non concesso, che sia così, dovrebbe comunque essere chiaro che il problema non sono mai le tante Vanna Marchi, ma lo stuolo degli adepti che – con la propria “fede” cieca – permettono loro di esistere. E Di Pietro ne ha avuto la conferma, sempre al congresso dell’Idv, con l’intervento di Gioacchino Genchi.

Come sappiamo Genchi ha sostenuto che l’aggressione a Berlusconi in piazza Duomo non c’è stata. Ci sarebbe stata solo la messa in scena di un premier al capolinea che, con un gioco di prestigio da mago Silvan, si è cosparso il volto di finto sangue riconquistando così il consenso popolare ed evitando le dimissioni…

Il problema non è Genchi e le sciocchezze che ha detto. Il problema è la standing ovation che gli ha tributato l’intera platea dei delegati al congresso dell’Italia dei Valori. Non parliamo di elettori, del popolo bue che può esserci in ogni partito, ma dei quadri dirigenti, della “crema” dell’Idv. Ma una crema talmente pervasa dalla fede cieca dell’antiberlusconismo, da essere pronta a negare la realtà vista in diretta televisiva per sostituirla con una ricostruzione fondata sul nulla. Anzi fondata sull’odio.

Esattamente come la fede cieca anti Usa, e anti ebraica, porta ad affermare che l’attentato alle Torri Gemelle se lo sono organizzato gli americani, dopo aver avvertito gli ebrei; tant’è che tra le migliaia di morti nemmeno uno sarebbe stato della loro razza…Anche qui il problema non è chi propala questa teoria strampalata, ma che ci crede ed è pronto ad avvallarla.

Così è comprensibile che uno Stato faccia come (e peggio di) Vanna Marchi e lanci la “tassa degli asini” – cioè lotterie, Enalotto, Gratta e vinci – ma il problema sono gli asini che ci cascano e corrono a comprare i biglietti ed a grattare, convinti di diventare “turista per sempre”…

Tornando al congresso dell’Idv è singolare che Di Pietro dia della Vanna Marchi a Berlusconi subito dopo aver visto lo stato maggiore del suo partito che si spella le mani per Vanna Marchi alias Gioacchino Genchi.

Senza aggiungere un’altra differenza che va sottolineata: Vanna Marchi è inquisita dalle procure, mentre Gioacchino Genchi – come scrive il Corriere – “è consulente informatico delle procure di mezza Italia”. Di mezza Italia, non solo dell’ex procuratore Luigi De Magistris…Dopo di che per le sentenze speriamo non spunti il mago Silvan.

PEGGIO IL GOVERNO DELLA FIAT

 

 

 

Siamo alla farsa della sceneggiata napoletana: il governo offre una nuova rottamazione alla Fiat, Marchionne (incredibile a dirsi!) rifiuta gli incentivi, ma il governo insiste e lo prega di accettare. Magari fosse una farsa. Purtroppo è la realtà, con l’aggravante che il capo di questo governo non è Mario Merola ma uno che è un imprenditore, che non perde occasione per dirsi liberale, e che quindi dovrebbe conoscere e rispettare il mercato. Soprattutto dovrebbe sapere che l’assistenzialismo, l’elargizione di denaro pubblico, non hanno mai risolto un problema economico. Anzi: l’hanno sempre aggravato, perchè hanno rimandato nel tempo la ricerca di soluzioni vere.

Mettiamo una pietra sopra al passato, cioè a tutte le regalie fatte per decenni alla Fiat. (Con buona pace di quello spudorato mentitore di Montezzemolo che proprio oggi vuole farci passare per fessi affermando di non aver “mai ricevuto un euro dalla Stato”). Prendiamo atto che oggi l’amministratore delegato non ci sta’ a distruggere ulteriormente l’azienda che è chiamato a risanare. Non vuole più la rottamazione alla luce di un ragionamento cristallino: ci sarà comunque una forte contrazione nella vendita delle auto, drogare il mercato con gli incentivi serve solo a vendere qualche macchina in più oggi per venderne comunque molte meno domani, e inoltre si ritardare l’avvio di una drastica riconversione che resta comunque l’unica soluzione; quindi è solo un danno, perchè fa solo perdere tempo.

E nulla dimostra e conferma l’assunto meglio della tragedia del nostro Mezzogiorno. Dove decenni di assistenzialismo dissennato, che oggi Luca Ricolfi è arrivato a quantificare in 50 miliardi di euro l’anno saccheggiati alle regioni del Nord per trasferirli in quelle del Sud, è servito solo a rinviare alle Calende greche il decollo di un’economia autosufficiente del Meridione (che cinquant’anni fa poteva partire, mentre oggi è 50 volte più arduo). Con l’aggravante che là non c’è ancora un Marchionne che dica basta. Là abbiamo uno Schifani che invoca ulteriori e massicce dosi di coca per tenere in vita Termini Imerese…

Ma immaginiamo, per un attimo, un Raffaele Lombardo che avesse la lungimiranza di Marchionne e dicesse basta droga! Basta con l’assistenzialismo che distrugge la Sicilia! Sarebbe concepibile un Formigoni che replicasse dicendo no? Insistendo perchè la Lombardia continui a dissanguarsi inutilmente? Inimmaginabile. Mentre proprio questo sta facendo il governo Berlusconi con la Fiat: insiste per continuare a drogarla a spese della collettività.

Senza aggiungere che Termini Imerese, con i suoi 1.370 dipendenti, è solo la minima parte di un problema ben più vasto che ci mostrano le tabelle pubblicate in questi giorni da molti quotidiani: la Fiat in Italia ha 22 mila dipendenti che producono 6 mila auto l’anno, mentre negli stabilimenti polacchi lo stesso numero di auto viene prodotto da soli 6 mila dipendenti, meno di un terzo di quelli italiani! Il che significa che tutti gli stabilimenti italiani hanno una produttività talmente bassa che non consentono all’azienda di essere competitiva sul mercato mondiale dell’auto. E quindi il problema non è chiuderne uno, ma tenere ancora aperti gli altri.

Il costo del lavoro come “variabile indipendente” era uno slogan, una bestemmia economica, del sindacalismo sessantottino che tutti, anche i sindacati, hanno fratto finta di aver archiviato. Invece è la realtà operante da decenni nella nostre grandi aziende. Perchè aver ignorato i seri controlli di produttività, il raffronto con quella degli altri Paesi industriali, ha significato proprio questo: trasformare il costo del lavoro in una variabile indipendente. (A prescindere dall’entità, modesta, dell’importo che va in tasca al lavoratore).

Questo dovrebbe avere il coraggio di denunciare Scajola, questo dovrebbe dire un governo guidato da un imprenditore. Invece abbiamo un governo, peggiore della Fiat, che vuole continuare a drogarla; illudendosi di così di sviare la protesta popolare di chi perde un posto di lavoro indifendibile.

CHE DIO SALVI JOHN TERRY

 

Dio salvi la regina, naturalmente; e possibilmente anche John Terry il giocatore del Liverpool, capitano della nazionale inglese di calcio, che nel suo Paese è divenuto un autentico affare di Stato per una vicenda che ricorda molto da vicino i tanti nostri sex-gate.

Terry ha tradito la moglie e anche la fiducia di un suo compagno di squadra andando a letto con la sua compagna. Un comportamento che ha scandalizzato l’Inghilterra; al punto che è intervenuto perfino il ministro dello sport inglese che ha intimato a Terry di rinunciare alla fascia di capitano della nazionale. E adesso si aspetta che sia il nostro Capello a degradarlo.

(Prendiamo atto che gli inglesi ai simboli ci credono e li rispettano sul serio: per loro la bandiera è la bandiera, la fascia di capitano va onorata pure quella. Mentre noi facciamo finta, quando ci ricordiamo di far finta…)

Ogni volta, di qua e di là della manica, si invoca la separazione tra vita privata e ruolo pubblico: un giocatore va giudicato per quello che combina in campo, non se è fedele o meno alla moglie; un premier per ciò che combina a Palazzo Chigi, non per chi riceve nei dopo cena a Palazzo Grazioli; un chirurgo per come usa il bisturi, non per la tresca con la caposala. Ma puntualmente questa distinzione teorica salta e ci scandalizziamo. Ci scandalizziamo per cosa?

Il caso di Terry diventa emblematico, perchè nel comportamento del calciatore non è lontanamente ipotizzabile un qualunque reato (l’adulterio resta reato solo nel mondo islamico). Eppure, anche senza reato, basta il peccato per arrivare alla condanna sociale. In Gran Bretagna si vuole che quantomeno i simboli – i reali, i politici, i capitani della nazionale – abbiano comportamenti esemplari, cioè non commettano quelli che vengono giudicati “peccati” nella sfera delle relazioni personali.

E forse anche noi abbiamo la stessa pretesa: ci scandalizza che Delbono abbia usato i soldi pubblici per le vacanze d’amore o che un sindaco abbia l’amante? Condanniamo Marrazzo perchè andava a trans con l’auto blu o perchè tradiva la moglie con i trans? E Berlusconi, è accettabile che un premier passi la notte con una puttana sia pure pagata da altri? Magari lo accetta Veronica, che così alza l’importo del tfr…Ma nel comune sentire di noi cittadini che reazioni suscitano questi dettagli di vita privata dei personaggi pubblici?

Siamo o no molto simili agli inglesi? Cioè molto più bigotti di dentro, di quanto vogliamo far credere all’esterno con certe dichiarazioni tanto aperte e tolleranti verso ogni forma di trasgressione sessuale? Mi viene in mente una vecchia canzone di Gaber: “ Aveva tante idee/ era un uomo d’avanguardia/ si vestiva di nuova cultura/ cambiava ogni momento/ ma quand’era nudo/ era un uomo dell’Ottocento”.

Forse siamo rimasti uomini (e donne) dell’Ottocento anche nel 2010. Che Dio salvi la Regina, John Terry e possibilmente anche noi poveri peccatori…

BERLUSCONI E L’ACQUA CALDA

 

Berlusconi non può nemmeno dire che l’acqua è calda che subito viene aggredito dall’opposizione. La quale non capisce che non aggredisce il premier bensì il buon senso, cioè quel filo sempre più tenue che la lega al proprio elettorato. Affermare – come ha fatto Berlusconi – che c’è una correlazione tra numero dei clandestini e la criminalità è, appunto, scoprire l’acqua calda; ossia dire un’ovvietà da tutti condivisa.

E’ infatti chiaro che i clandestini, non potendo vivere con un lavoro regolare e avendo come alternativa solo opportunità di impiego in nero con retribuzioni e condizioni di vita “alla Rosarno”, sono tentati di dedicarsi ad attività illegali dai furti allo spaccio di droga. Fanno loro quello che saremmo indotti a fare anche noi trovandoci nella medesima condizione. Anche noi diverremmo una potenziale manovalanza del crimine. Non a caso tutta la nostra emigrazione negli altri Paesi europei era strettamente legata alle opportunità di lavoro, proprio per non avere quella massa di sbandati che invece oggi vediamo nelle nostre città.

Eppure l’opposizione lancia al premier l’accusa di razzismo, gli imputa di aver usato “parole e toni volgari”. Se dire che l’acqua calda è calda, Berlusconi è stato indubbiamente volgare. Ma lo sono tanti altri cittadini, non solo quelli che votano centrodestra, anche gli altri schierati col centrosinistra. Tutti convinti – nella loro volgarità – che troppi clandestini comportino seri problemi per la sicurezza. Il problema non è più Berlusconi, ma capire quando mai questa opposizione potrà diventare maggioranza di governo.

La questione l’ha messa a punto molto bene un telespettatore intervenuto nei giorni scorsi quando si parlava della promessa mancata di riduzione delle tasse. Questo telespettatore – molto scettico e disincantato sulla possibilità che venga mai fermata l’immigrazione clandestina, attuato il federalismo fiscale, ridotte le aliquote Irpef e via dicendo per tutto il programma di riforme Pdl-Lega – osservava però che il centrodestra, magari non combinerà nulla, ma almeno è chiaro cosa vorrebbe fare. Appunto: fermare i clandestini, ridurre le tasse, riequilibrare la distribuzione delle risorse Nord-Sud. Mentre del centrosinistra nemmeno più si capisce cosa vorrebbe fare (a parte mettere Berlusca in un pentolone e mangiarselo bollito).

E, sempre il telespettatore, aggiungeva l’esempio preciso di una Bossi-Fini che certamente è un colabrodo, che giustamente l’opposizione critica. Ma, mentre è chiaro che il centrodestra la vorrebbe più rigida ancora, del centrosinistra non si capisce se la critica perchè troppo restrittiva o perchè troppo permissiva.

L’opposizione fatica perfino a dirci se l’acqua calda è calda. In compenso la Conferenza episcopale non ha dubbi e il segretario, mons Crociata, garantisce: “I nostri dati dimostrano che le percentuali di criminalità di italiani e stranieri sono analoghe”. E qui, per cominciare, apprendiamo che la Chiesa ha i suoi dati. Dati che pensavamo avessero solo il ministero degli Interni o quello di Grazia e Giustizia. Si vede che sono ancora attivi la polizia papalina e i tribunali dello Stato pontificio…

Ma, al di là della sorpresa, osiamo pensare che, forse, i vescovi dovrebbero occuparsi di altri dati e altre percentuali che per loro sembrerebbero prioritari: quelli relativi alla presenza dei fedeli alla celebrazione della domenica. Noi, per carità, dati precisi non ne abbiamo. Abbiamo però l’impressione che la presenza dei fedeli in chiesa sia inversamente proporzionali all’affollamento di stranieri nelle carceri.

BASTA VESCOVI MASANIELLO

 

Insopportabile questo vescovo di Agrigento, Francesco Montenegro, che indossa i panni di Masaniello e cavalca la protesta politico-sociale dopo il crollo di Favara, rifiutandosi di fare la prima cosa che un religioso dovrebbe fare, cioè la celebrazione dei funerali delle due sorelline morte sotto il crollo. Lui fa la denuncia e non fa il prete. Vuol dire che la celebrazione dei funerali la affideremo a Bortolaso, oppure all’opposizione politica (ammesso che in Sicilia esista).

Non si tratta di contestare le affermazioni del vescovo-Masaniello: “le sorelline sono vittime del degrado”, la loro è “una morte annunciata”. Possono essere parole sacrosante, vere e condivisibili. Ma perfette in bocca ad un Masaniello. E cosa ci fanno invece in bocca ad un vescovo? Esiste ancora una separazione delle funzioni, un compito che ognuno deve svolgere prioritariamente oppure siamo tutti intercambiabili? Nel qual caso – per la gioia di Silvestro – io vado a dare multe per divieto di sosta e viene un vigile urbano a seguire il blog.

Spero siate d’accordo che non si tratta di compiacersi se un prete dice cose di destra gradite al popolo di destra, oppure di sinistra gradite al popolo di sinistra. Dovremmo concordare invece che quando si mescola religione e politica siamo agli ayatollah, cioè alla riproposizione di una pagina (recente) di storia politica del nostro Paese quando la domenica in chiesa si indicava di votare per lo Scudocrociato. Pagina che vorremmo (io almeno) chiusa per sempre.

Anche perchè non si può ciurlare nel manico: se la volontà è quella di salvare la povera gente dal degrado abitativo, si comincia a dare l’esempio ospitandoli in curia ad Agrigento oppure si destina l’otto per mille all’edilizia popolare; se invece si punta alla ribalta mediatica nazionale si annuncia il rifiuto di celebrare i funerali, che fa notizia senza mettere un tetto in testa ai diseredati…

E poi basta con questi che anche a Favara, puntualmente, denunciano “l’assenza dello Stato”, e subito vengono fiancheggiati dai vescovi-Masaniello. Lo chiariamo, una volta per tutte, che lo Stato non è un’entità metafisica ma siamo noi cittadini. Se lo Stato non c’è a Favara, non c’è a Rosarno, non c’è in tanti altri luoghi del Mezzogiorno, dipende anzitutto dal fatto che i cittadini non vogliono che lo Stato ci sia. Cittadini che non ci credono, che non lo vogliono nella quotidianità, che lo invocano solo – successa la tragedia – per la solita sceneggiata isterica.

Siamo fermi alla celebre frase di Kennedy: “Non chiedetevi cosa può fare il vostro Paese per voi. Chiedetevi che cosa potete fare voi per il vostro Paese”. Provano a dircelo quelli di Favara, col vescovo Montenegro in testa, cosa possono e vogliono fare per il loro Paese (che sarebbe poi anche il nostro)?

MANETTE AGLI EVASORI…DAL LAVORO

 

 

E così a Perugia sono scattate le manette ai polsi degli evasori. Non di quelli fiscali, degli evasori dal lavoro: cioè di quei sei dipendenti della Provincia che per mesi i carabinieri hanno filmato mentre – timbrato il cartellino – se ne andavano via chi a trovare la mamma, chi a fare la sauna, chi in giro per acquisti. Misura francamente eccessiva, questa delle manette. Se non altro per motivi logistici: se cominciamo ad arrestarli tutti, quelli che fanno finta di lavorare (anche nel privato), poi dove li mettiamo? Quanti milioni di nuovi posti in carcere dovremo costruire?…

Eccessive dunque le manette; ma fuori luogo anche le proteste di quanti vorrebbero vedere ai ferri, al loro posto, gli evasori fiscali. E’ infatti molto più grave – in puri termini economici – l’evasione dal lavoro di quella fiscale. Perchè l’artigiano, l’idraulico che non ti fa la fattura, ha comunque lavorato, ha comunque prodotto, si è guadagnato quello che prende; dopo di che non versa allo Stato la quota dovuta. Mentre l’evasore dal lavoro non produce, non si è guadagnato assolutamente nulla; incassa indebitamente l’intero stipendio e poi restituisce (allo Stato) solo un pezzetto dell’intero furto prendendosi, per giunta, il lusso di fare il moralista nei confronti dell’evasore fiscale…

Tornando alla Provincia di Perugia, il problema vero è che nessuno s’era accorto dei sei finiti in manette. Nel senso che il tran tran burocratico di quella amministrazione procedeva comunque, fossero in ufficio o fossero in sauna. Così come procede nei nostri enti locali dove l’assenteismo è fisiologico. E dove, rispetto ai picchi di assunzione clientelari di fine anni Ottanta, gli organici sono stati quasi ovunque ridotti. E sempre senza che nessuno se ne accorgesse. Perchè un grossa quota dei “comunali” era ed è superflua (Anche nei nostri comuni “virtuosi” del Nord, una buona metà potrebbero starsene a casa da domani). Ma, se sono superflui come lo sono, è anche chiaro che non fa nessuna differenza se vanno a trovare la mamma o se si presentano in ufficio per grattarsi o per giochicchiare al computer.

Anzi, aggiungo che farei anch’io esattamente come i sei di Perugia: se non mi danno qualcosa da fare, e se nessuno viene a controllare se l’abbia fatto oppure no, e se a fine mese mi pagano sia che abbia lavorato sia che abbia fatto “fanella”, nemmeno io me stare in ufficio a fingere un’occupazione inesistente. Andrei al bar con gli amici. Anche perché è meno ipocrita e meno disonesto andarsene via!

Col che arriviamo al piano delle responsabilità, e magari anche a capire quel è la causa e quale l’effetto. La causa è una classe politico-amministrativa che, da decenni, ha rinunciato ad esercitare ogni serio controllo sul numero e sul carico di lavoro degli addetti al pubblico impiego. Non ha fatto alcuna verifica di produttività. Non ha riso in faccia ai sindacati che lamentavano carenze di organico inesistenti, perchè aveva l’interesse clientelare ad ampliare indefinitamente gli organici stessi (Ed ha smesso ora solo perché non c’è più una lira in cassa). L’effetto sono dei dipendenti privi di ogni motivazione e indotti a farsi gli affari loro.

Chiudo con l’esempio pedagogico ormai ricorrente. Se sto via da casa tutto il giorno, se quando rientro la sera non ho voglia di perder tempo a controllarli, poi non posso lamentarmi se i figli non hanno fatto i compiti. E sarebbe un delirio metter loro le manette per punizione. Devo metterle a me, ed impaccarmi al trave più alto.

FIGLI ROVINATI A VITA

 Ci mancava solo questo giudice di Bergamo, che condanna il padre a mantenere sua figlia a tempo indeterminato. Ci mancava solo lui per fornirci l’alibi che ci consente di rinunciare completamente ad esercitare il ruolo di padri, cioè di educatori dei nostri figli. Perchè questo dovremmo essere anzitutto: non amici né complici, ma educatori, cioè quelli che li abituano ad affrontare la vita e le sue difficoltà. A partire dalla difficoltà di raggiungere l’autosufficienza economica.

Anche senza questa sentenza irresponsabile, il nostro atteggiamento già è – mediamente e con tutte le lodevoli eccezioni – l’opposto. Trattiamo cioè i figli come gattini, come cagnetti, come animali domestici: l’importante è che facciano le fusa. E allora avanti con le paghette, i capi griffati, videogiochi e telefonino, vacanze e sabato sera con gli amici; anche se a scuola vanno male, anche se si comportano da lazzaroni, bisogna comunque viziarli. Whiskas e Gourmet a profusione, che altrimenti non fan più le fusa e minacciano di andarsene via lasciandoci soli, abbandonati e pieni di sensi di colpa.

Ci è diventato ormai quasi impossibile capire che amore vero si coniuga con rigore (e anche col bastone), che educare significa anzitutto vietare; che la cosa più spiccia e letale che puoi fare con i figli (invece che dedicare loro tempo e attenzione) è aprire il portafoglio.

D’altra parte i due protagonisti del contenzioso giuridico sono emblematici dell’involuzione del nostro Paese: il padre un artigiano, cioè uno che lavora sul serio; la figlia che, per non mettersi a lavorare, finge di studiare, si iscrive a Filosofia (c’è un gran bisogno di questi laureati oggi in Italia!) ed è là che filosofeggia da nove anni fuori corso…Di fronte ad un figlio che fa il cialtrone, che non si impegna, che continua a rimandare l’impatto con il mondo del lavoro, un padre ha pochi strumenti. Uno dei pochi è quello di mettere un limite di tempo alla vita irresponsabile del figlio dicendogli: ti mantengo per altri quattro anni, ti mantengo fino a 25, 28 anni massimo. Sappi che dopo dovrai arrangiarti tu.

Adesso anche questo strumento è vietato per sentenza. Il giudice di Bergamo ci costringe a mantenerli a vita, cioè a rovinarli del tutto. Cosa potrà mai fare questa figlia, che già oggi ha 32 anni ed è mantenuta dal padre, quando il padre tra dieci, tra venti anni morirà? Dovremo darle la pensione di reversibilità, dovremmo fingere che sia un falso filosofo (come i falsi braccianti, come i falsi matti di Napoli) e darle comunque un sussidio perchè non si impara certo a guadagnarsi il pane a cinquant’anni.

La proposta del ministro Brunetta, di sbattere tutti i figli fuori casa per legge a diciotto anni, presa alla lettera è una follia. Può valere come provocazione; perchè è una follia anche quello che succede adesso con troppi bamboccioni che restano in casa a tempo indeterminato. La funzione di educatori dei genitori non è delegabile ad alcuno. O la esercitiamo noi, o nostri i figli diventano handicappati sociali. La scuola, la società, le istituzioni al massimo possono dare una mano ai genitori. La sentenza di Bergamo invece la mano gliel’ha tagliata.