BASTA VESCOVI MASANIELLO

 

Insopportabile questo vescovo di Agrigento, Francesco Montenegro, che indossa i panni di Masaniello e cavalca la protesta politico-sociale dopo il crollo di Favara, rifiutandosi di fare la prima cosa che un religioso dovrebbe fare, cioè la celebrazione dei funerali delle due sorelline morte sotto il crollo. Lui fa la denuncia e non fa il prete. Vuol dire che la celebrazione dei funerali la affideremo a Bortolaso, oppure all’opposizione politica (ammesso che in Sicilia esista).

Non si tratta di contestare le affermazioni del vescovo-Masaniello: “le sorelline sono vittime del degrado”, la loro è “una morte annunciata”. Possono essere parole sacrosante, vere e condivisibili. Ma perfette in bocca ad un Masaniello. E cosa ci fanno invece in bocca ad un vescovo? Esiste ancora una separazione delle funzioni, un compito che ognuno deve svolgere prioritariamente oppure siamo tutti intercambiabili? Nel qual caso – per la gioia di Silvestro – io vado a dare multe per divieto di sosta e viene un vigile urbano a seguire il blog.

Spero siate d’accordo che non si tratta di compiacersi se un prete dice cose di destra gradite al popolo di destra, oppure di sinistra gradite al popolo di sinistra. Dovremmo concordare invece che quando si mescola religione e politica siamo agli ayatollah, cioè alla riproposizione di una pagina (recente) di storia politica del nostro Paese quando la domenica in chiesa si indicava di votare per lo Scudocrociato. Pagina che vorremmo (io almeno) chiusa per sempre.

Anche perchè non si può ciurlare nel manico: se la volontà è quella di salvare la povera gente dal degrado abitativo, si comincia a dare l’esempio ospitandoli in curia ad Agrigento oppure si destina l’otto per mille all’edilizia popolare; se invece si punta alla ribalta mediatica nazionale si annuncia il rifiuto di celebrare i funerali, che fa notizia senza mettere un tetto in testa ai diseredati…

E poi basta con questi che anche a Favara, puntualmente, denunciano “l’assenza dello Stato”, e subito vengono fiancheggiati dai vescovi-Masaniello. Lo chiariamo, una volta per tutte, che lo Stato non è un’entità metafisica ma siamo noi cittadini. Se lo Stato non c’è a Favara, non c’è a Rosarno, non c’è in tanti altri luoghi del Mezzogiorno, dipende anzitutto dal fatto che i cittadini non vogliono che lo Stato ci sia. Cittadini che non ci credono, che non lo vogliono nella quotidianità, che lo invocano solo – successa la tragedia – per la solita sceneggiata isterica.

Siamo fermi alla celebre frase di Kennedy: “Non chiedetevi cosa può fare il vostro Paese per voi. Chiedetevi che cosa potete fare voi per il vostro Paese”. Provano a dircelo quelli di Favara, col vescovo Montenegro in testa, cosa possono e vogliono fare per il loro Paese (che sarebbe poi anche il nostro)?

MANETTE AGLI EVASORI…DAL LAVORO

 

 

E così a Perugia sono scattate le manette ai polsi degli evasori. Non di quelli fiscali, degli evasori dal lavoro: cioè di quei sei dipendenti della Provincia che per mesi i carabinieri hanno filmato mentre – timbrato il cartellino – se ne andavano via chi a trovare la mamma, chi a fare la sauna, chi in giro per acquisti. Misura francamente eccessiva, questa delle manette. Se non altro per motivi logistici: se cominciamo ad arrestarli tutti, quelli che fanno finta di lavorare (anche nel privato), poi dove li mettiamo? Quanti milioni di nuovi posti in carcere dovremo costruire?…

Eccessive dunque le manette; ma fuori luogo anche le proteste di quanti vorrebbero vedere ai ferri, al loro posto, gli evasori fiscali. E’ infatti molto più grave – in puri termini economici – l’evasione dal lavoro di quella fiscale. Perchè l’artigiano, l’idraulico che non ti fa la fattura, ha comunque lavorato, ha comunque prodotto, si è guadagnato quello che prende; dopo di che non versa allo Stato la quota dovuta. Mentre l’evasore dal lavoro non produce, non si è guadagnato assolutamente nulla; incassa indebitamente l’intero stipendio e poi restituisce (allo Stato) solo un pezzetto dell’intero furto prendendosi, per giunta, il lusso di fare il moralista nei confronti dell’evasore fiscale…

Tornando alla Provincia di Perugia, il problema vero è che nessuno s’era accorto dei sei finiti in manette. Nel senso che il tran tran burocratico di quella amministrazione procedeva comunque, fossero in ufficio o fossero in sauna. Così come procede nei nostri enti locali dove l’assenteismo è fisiologico. E dove, rispetto ai picchi di assunzione clientelari di fine anni Ottanta, gli organici sono stati quasi ovunque ridotti. E sempre senza che nessuno se ne accorgesse. Perchè un grossa quota dei “comunali” era ed è superflua (Anche nei nostri comuni “virtuosi” del Nord, una buona metà potrebbero starsene a casa da domani). Ma, se sono superflui come lo sono, è anche chiaro che non fa nessuna differenza se vanno a trovare la mamma o se si presentano in ufficio per grattarsi o per giochicchiare al computer.

Anzi, aggiungo che farei anch’io esattamente come i sei di Perugia: se non mi danno qualcosa da fare, e se nessuno viene a controllare se l’abbia fatto oppure no, e se a fine mese mi pagano sia che abbia lavorato sia che abbia fatto “fanella”, nemmeno io me stare in ufficio a fingere un’occupazione inesistente. Andrei al bar con gli amici. Anche perché è meno ipocrita e meno disonesto andarsene via!

Col che arriviamo al piano delle responsabilità, e magari anche a capire quel è la causa e quale l’effetto. La causa è una classe politico-amministrativa che, da decenni, ha rinunciato ad esercitare ogni serio controllo sul numero e sul carico di lavoro degli addetti al pubblico impiego. Non ha fatto alcuna verifica di produttività. Non ha riso in faccia ai sindacati che lamentavano carenze di organico inesistenti, perchè aveva l’interesse clientelare ad ampliare indefinitamente gli organici stessi (Ed ha smesso ora solo perché non c’è più una lira in cassa). L’effetto sono dei dipendenti privi di ogni motivazione e indotti a farsi gli affari loro.

Chiudo con l’esempio pedagogico ormai ricorrente. Se sto via da casa tutto il giorno, se quando rientro la sera non ho voglia di perder tempo a controllarli, poi non posso lamentarmi se i figli non hanno fatto i compiti. E sarebbe un delirio metter loro le manette per punizione. Devo metterle a me, ed impaccarmi al trave più alto.

FIGLI ROVINATI A VITA

 Ci mancava solo questo giudice di Bergamo, che condanna il padre a mantenere sua figlia a tempo indeterminato. Ci mancava solo lui per fornirci l’alibi che ci consente di rinunciare completamente ad esercitare il ruolo di padri, cioè di educatori dei nostri figli. Perchè questo dovremmo essere anzitutto: non amici né complici, ma educatori, cioè quelli che li abituano ad affrontare la vita e le sue difficoltà. A partire dalla difficoltà di raggiungere l’autosufficienza economica.

Anche senza questa sentenza irresponsabile, il nostro atteggiamento già è – mediamente e con tutte le lodevoli eccezioni – l’opposto. Trattiamo cioè i figli come gattini, come cagnetti, come animali domestici: l’importante è che facciano le fusa. E allora avanti con le paghette, i capi griffati, videogiochi e telefonino, vacanze e sabato sera con gli amici; anche se a scuola vanno male, anche se si comportano da lazzaroni, bisogna comunque viziarli. Whiskas e Gourmet a profusione, che altrimenti non fan più le fusa e minacciano di andarsene via lasciandoci soli, abbandonati e pieni di sensi di colpa.

Ci è diventato ormai quasi impossibile capire che amore vero si coniuga con rigore (e anche col bastone), che educare significa anzitutto vietare; che la cosa più spiccia e letale che puoi fare con i figli (invece che dedicare loro tempo e attenzione) è aprire il portafoglio.

D’altra parte i due protagonisti del contenzioso giuridico sono emblematici dell’involuzione del nostro Paese: il padre un artigiano, cioè uno che lavora sul serio; la figlia che, per non mettersi a lavorare, finge di studiare, si iscrive a Filosofia (c’è un gran bisogno di questi laureati oggi in Italia!) ed è là che filosofeggia da nove anni fuori corso…Di fronte ad un figlio che fa il cialtrone, che non si impegna, che continua a rimandare l’impatto con il mondo del lavoro, un padre ha pochi strumenti. Uno dei pochi è quello di mettere un limite di tempo alla vita irresponsabile del figlio dicendogli: ti mantengo per altri quattro anni, ti mantengo fino a 25, 28 anni massimo. Sappi che dopo dovrai arrangiarti tu.

Adesso anche questo strumento è vietato per sentenza. Il giudice di Bergamo ci costringe a mantenerli a vita, cioè a rovinarli del tutto. Cosa potrà mai fare questa figlia, che già oggi ha 32 anni ed è mantenuta dal padre, quando il padre tra dieci, tra venti anni morirà? Dovremo darle la pensione di reversibilità, dovremmo fingere che sia un falso filosofo (come i falsi braccianti, come i falsi matti di Napoli) e darle comunque un sussidio perchè non si impara certo a guadagnarsi il pane a cinquant’anni.

La proposta del ministro Brunetta, di sbattere tutti i figli fuori casa per legge a diciotto anni, presa alla lettera è una follia. Può valere come provocazione; perchè è una follia anche quello che succede adesso con troppi bamboccioni che restano in casa a tempo indeterminato. La funzione di educatori dei genitori non è delegabile ad alcuno. O la esercitiamo noi, o nostri i figli diventano handicappati sociali. La scuola, la società, le istituzioni al massimo possono dare una mano ai genitori. La sentenza di Bergamo invece la mano gliel’ha tagliata.

 

SILVIO NON E’ MARGARET NE’ RONALD

 

 

Silvio non è Margaret né Ronald; non è equiparabile ai due campioni del liberalismo che sono e restano la Thatcher e Reagan. Basta leggere oggi Libero e Il Giornale per cogliere la delusione e anche la rabbia del popolo del centrodestra per il “sogno” di riduzione delle tasse annunciato e subito dopo affossato da Berlusconi.

Franco Bechis, vicedirettore di Libero, afferma che se proprio non si volevano ridurre le aliquote, quantomeno andavano “disboscate” le 1843 gabelle che dobbiamo pagare. Ma nemmeno questo invece si può fare. Non si può sostituire con un unico salasso i tanti prelievi più o meno piccoli. Perchè c’è il rischio che il cittadino si accorga di quanto enorme è il salasso (in cambio di quel poco che lo Stato restituisce in termini di servizi)…e le rivoluzioni dell’era moderna, non dimentichiamolo, sono sempre scoppiate per esasperazione da pressione fiscale…Così si va avanti alla democristiana: ti dissanguo e ti frego; ti porto via i soldi e faccio in modo che tu non te ne accorga perchè diluisco il salasso in 1843 diversi tributi.

Tornando al paragone di partenza, ieri Berlusconi ha affermato che non si possono ridurre le tasse perchè bisogna fare i conti con una crisi ancora pesante. Come se Reagan e la Thatcher avessero tagliato quando Gran Bretagna e Stati Uniti navigavano nell’oro del boom economico! Invece lo hanno fatto proprio perchè i loro Paesi erano in piena recessione e – da veri liberali – erano convinti che solo una drastica riduzione delle tasse potesse farli uscire dalla crisi, rilanciando i consumi, aumentando così gli introiti da tassazione indiretta e ampliando la platea dei contribuenti grazie alle aliquote più basse.

Barlusconi, se mai, assomiglia ad Angel Merkel. Il cancelliere tedesco che aveva promesso ai suoi alleati liberali e annunciato un forte riduzione delle imposte a imprese e famiglie; e che adesso è in piena marcia indietro. Ma la Merkel, da vecchia democristiana, in cuor suo al taglio delle tasse non ha forse mai creduto. Mentre Berlusconi è un imprenditore e, per un imprenditore, ridurre le tasse è il primo comandamento. Quindi oggi, oltre a tradire le attese del popolo di centrodestra, tradisce la sua stessa essenza…

Si può pensare che il suo errore sia stato affidarsi a quel commercialista che era e resta Giulio Tremonti. I commercialisti, i ragionieri, per carità, sono gente seria; ma sono dei tecnici: hanno anzitutto l’ossessione, connaturata alla loro professione, di far quadrare i conti…Ma da un politico, da un aspirante statista, è giusto aspettarsi invece una marcia in più, una visione più ampia, una diversa capacità di scommettere sul futuro del proprio Paese.

Oppure può darsi che di futuro il nostro Paese proprio non ne abbia. Può darsi che quelle ricette liberali, che funzionano nei Paesi normali, non siano applicabili all’anomalia italiana; qui dove metà Paese è farcito di assistenzialismo, dove c’è un numero senza eguali di statali; dove la principale attività sembra essere quella dei falsari: falsi invalidi, falsi braccianti, falsi disoccupati, falsi forestali, falsi agricoltori, falsi lavoro socialmente utili, falsi qualunque cosa purchè arrivi il contributo pubblico…

In un Paese così temo che basti togliere una pagliuzza, anche solo accorpare due gabelle in una, perchè tutto crolli; per ritrovarci come ad Haiti. Tutto questo però Berlusconi dovrebbe saperlo bene e da un pezzo. O se ne accorto solo in questi ultimi giorni dopo aver annunciato, sabato su Repubblica, l’introduzione delle due aliquote uniche al 23 e 33%? Non si capisce proprio che senso abbia avuto fare un annuncio clamoroso per rimangiarselo subito dopo.


IMMIGRATI E CLOCHARD

 La rivolta di Rosarno ha evidenziato come ci sia una bella differenza tra gli immigrati a seconda che si trovino al Nord o al Sud: Ma, per certi versi, è più clamorosa e certamente molto meno rimarcata, la differenza che esiste tra clochard nella nostra stessa regione, a seconda che stazionino nella Verona di Tosi o nella Venezia di Cacciari. Al gatòn il merito di avercelo ricordato e sottolineato nel post precedente.

Torniamo brevemente sugli immigrati. In sintesi: al Nord sono lavoratori stranieri, al Sud sono schiavi stranieri. Qui da noi lavorano, come mediamente lavorano i veneti; magari lavorano anche di più, fanno più straordinari, accettano mansioni che i nostri rifiutano; magari sono pagati in nero, ma sono pagati. Il peggio che si possa dire è che sono lavoratori di serie B, rispetto ai veneti lavoratori di serie A. Ma restano pur sempre lavoratori.

Al Sud, in ampie zone del Mezzogiorno, è totalmente diverso. Ci sono da una parte gli schiavi, dall’altra gli assistiti. Da un lato i negri che lavorano come negri per pochi euri al giorno; dall’altro i bianchi che li guardano seduti sotto il portico sventolando chi il posto pubblico, chi la pensione di invalidità fasulla, chi altri sussidi statali…

Non capisco che senso abbia attribuire alla ‘ndreangheta la contro rivolta bianca di Rosarno. Anche ammesso che controlli lei ogni attività agricola, gli schiavi aveva tutto l’interesse a continuare a sfruttarli non a perderli; non a vederseli portar via da un nugolo di tutori dell’ordine che ora presidia il suo territorio…Insomma o tutto è ‘ndrangheta, oppure la si tira in ballo come capro espiatorio tutto fare…

Veniamo ai clochard e alla folgorante osservazione del gatòn. Quanto accaduto a Venezia, con i quattro giovinastri che hanno dato fuoco ad un barbone, è finito sì sulle prime pagine nazionali. Ma ci è finito come episodio di cronaca, come spunto per generiche osservazioni sociologiche sui giovani d’oggi: sono semplicemente degli imbecilli? Sono violenti perchè privi di valori? Chi deve educarli la famiglia, la scuola o la società? Nessuno ha nemmeno osato pensare – non dico scrivere o sussurrare – che sono amministrati dal sindaco Massimo Cacciari. Nessuno ha posto una correlazione tra l’accaduto ed il colore politico della giunta Cacciari, e il clima che si respira nella città di Venezia.

La stessa correlazione che tutti invece pongono a fondamento della loro analisi e spiegazioni per qualsiasi episodio di violenza si verifichi a Verona. Anche quando non c’è nemmeno la violenza. Anche quando, come accaduto qualche settimana fa, i vigili urbani spostano un clochard da piazza Dante ad un dormitorio pubblico. Anche questa non notizia veronese è divenuta un fatto politico nazionale, da correlare al clima di intolleranza e di paura del diverso che quel becero leghista di Tosi ha instaurato nella città di Giulietta.

E com’è possibile che, sotto il governo di un sindaco-filosofo tanto colto e civile, siano germinati quattro teppisti pronti ad appiccare il fuoco ad un barbone? Probabile che siano – direbbe il gatòn – tifosi dell’Hellas in trasferta a Venezia…


PORTE APERTE A ROSARNO-ITALIA

 

Quando accaduto a Rosarno, con la rivolta dei clandestini africani, è la conseguenza logica ed inevitabile della politica delle porte aperte applicata in un Paese già di per se sbrindellato come il nostro. Porte aperte a chiunque arrivi, a prescindere dalle possibilità di un inserimento civile e dignitoso, non può infatti che produrre masse di disperati ridotti a vivere in condizioni disumane e sottoposti ad un sfruttamento da schiavi (25 euro al giorno per raccogliere agrumi) come succede appunto a Rosarno.

In questa situazione di base, qualunque scintilla può innescare la rivolta; rivolta che definirei perfino sacrosanta. Anche se poi a farne le spese sono i cittadini incolpevoli (non i mercanti di schiavi degli agrumeti) che hanno visto la loro cittadina devastata, negozi e auto distrutti, e che si sono rinchiusi in casa terrorizzati di fronte al divampare della “rabbia africana”.

Angelo Panebianco sul Corriere sottolinea la follia di rinunciare ad una legge contro la clandestinità (legge che la Corte potrebbe rigettare come incostituzionale). Spiega infatti che significherebbe rinunciare all’esistenza stessa dello Stato italiano; dato che qualunque Stato si fonda anzitutto sul diritto sovrano al pieno controllo del proprio territorio, e dunque sulla facoltà di decidere chi può starci legalmente e chi no.

In Italia per decenni il controllo dello Stato sul territorio lo abbiamo sostituito con le porte aperte, giustificate dai più ipocriti e farisaici motivi umanitari e/o preudocristriani. Col risultato che possiamo apprezzare a Rosarno: dove migliaia di africani vivono in condizioni del tutto umane e cristiane…

Senza un tetto preciso agli ingressi, e l’impegno a cercare di rispettarlo con ogni mezzo, l’immigrazione diventa ingestibile per qualunque Paese; figuriamoci per l’Italia sbrindellata. E i clandestini diventano una “risorsa” solo per quei farabutti di nostri connazionali che li schiavizzano negli agrumeti e in tante altre attività pseudo produttive. (attività che, se si reggono su una manodopera con costi cinesi, vanno semplicemente cancellate). D’accordo che in Calabria c’è la ‘ndrangheta da combattere, ma possibile che non si trovi il tempo per sbattere in galera nemmeno uno dei tanti “imprenditori” che sfruttano in questo modo i clandestini?

E qui c’è almeno un’ultima considerazione da fare. I casi eclatanti di sfruttamento dei clandestini esistono anche qui in Veneto e al Nord; ma sono l’eccezione rispetto alla maggioranza degli immigrati che lavorano e sono inseriti decorosamente nelle nostre città. Al Sud è l’esatto contrario: lo sfruttamento è la norma, il lavoro regolare l’eccezione.

L’Italia di oggi ricorda fin troppo gli Stati Uniti alla vigilia della Guerra di Secessione; quando in Massachussets i neri lavoravano da uomini liberi, mentre in Virginia erano ridotti in schiavitù…Non saranno mica i leghisti veneti, guidati da Zaia e Tosi, a dover marciare su Rosarno per andare a liberarli?

 

CHI FA SCHIFO E’ BALOTELLI

 

 

L’esordio del calcio all’ora di pranzo nel giorno dell’Epifania è stato contrassegnato dalle inaudite dichiarazioni di Balotelli al termine di Chievo-Inter. “Ogni volta che vengo qui a Verona – ha detto ai microfoni di Sky – mi rendo conto che questo pubblico mi fa sempre più schifo”.

Personalmente mi sono reso conto di una cosa leggermente diversa: chi fa veramente schifo è Mario Balotelli, questo ragazzino viziato ed indisponente che gioca a fare la vittima tirando in ballo strumentalmente ed a sproposito una questione seria come il razzismo. Troviamo il coraggio di dirglielo chiaro anche se è di colore? O dobbiamo tacere per timore di incorrere nelle ire dei professionisti dell’antirazzismo?

Non sarebbe male se l’Uefa, accanto alla nota campagna “No racism” lanciasse anche quella contro il vittimismo di certi ragazzini viziati dal calcio miliardario.

Bolotelli ha detto uno sproposito e insultato senza alcuna ragione una città e il suo pubblico. Questo per una serie di motivi: 1) è la seconda volta in assoluto che gioca a Verona; 2) Sempre e solo contro il Chievo, società notoriamente molto seria, con un pubblico educato e corretto anche politicamente (nel senso che è orientato a sinistra, contrariamente a quello dell’Hellas Verona…) 3) nel corso della partita non è accaduto assolutamente nulla di particolare: i tifosi del Chievo si sono solo limitati a fischiarlo come ogni tifoso ha diritto di fare con un giocatore avversario.

Quindi, se mai, abbiamo avuto la dimostrazione del contrario:cioè che questo Balotelli è talmente indisponente con i suoi atteggiamenti che perfino un pubblico (politicamente) corretto come quello del Chievo arriva a fischiarlo non ostante lui sia di colore…

Tanto scontata quanto condivisibile la reazione del sindaco di Verona Flavio Tosi che ha sottolineato come Balotelli sia “un ragazzino immaturo e presuntuoso, che non sarà mai un campione, perchè i veri campioni sono tali quando sono anche umili e hanno buon senso”.

Ma il vero sigillo alla vicenda lo ha posto l’allenatore dell’Inter, Josè Mourinho, che ha immediatamente smentito il suo giocatore ribattendo: “Verona è una città bellissima, la società è ben gestita, educata, con un ottimo allenatore, insomma gente che mi piace. Se succede qualcosa in tribuna non fa niente, non facciamo un dramma per questo”.

La cosa vergognosa, che mi porta a dire che chi fa schifo é Balotelli, è appunto quella sottolineata da Mourinho: fare un dramma per quattro fischi; fischi che regolarmente si prendono altri giocatori “antipatici naturali” come Totti o come Cassano. Se li prendono e devono tenerseli senza fare drammi, magari perchè sono bianchi. Mentre Balotelli i drammi li fa e lancia insulti a casaccio con la scusa che lui è un “bovero negro”…

 

MA IL 2009 NON E’ STATO UN ’29

Cari amici assieme agli auguri, lo zerbino di Berlusca vi propina anche l’inevitabile pensierino di fine anno. Che anno è stato questo 2009? Di sicuro non è stato un altro 1929: nel senso che la crisi ha certamente investito decine di migliaia di persone anche nel nostro Veneto, ma non è stata quella crisi epocale e finale che molti preconizzavano (e speravano fosse).

Capisco la delusione di chi, alla Di Pietro, considera Berlusconi un diavolo, cioè l’incarnazione assoluta del male, ma il nostro Paese – pur avendo il peggior governo e il più nefando presidente del consiglio della sua storia – sta uscendone meno male della Spagna e perfino della Germania. Sarà merito di chi a torso nudo ara le coline del Molise, comunque è così. E la stessa crisi mondiale non è lontanamente paragonabile a quella del ’29.

La cosa curiosa è, appunto, che molti nella sinistra radicale e nel sindacato sotto sotto facevano il tifo per la crisi, si auguravano e aspettavano fosse devastante come il passaggio di Attila. Ed il motivo è semplice: costoro, magari inconsciamente, sono ancora in attesa che si avveri la profezia di Marx sulla inevitabile fine del capitalismo. Ed infatti gioivano per i guasti prodotti dalla deregulation del mercato finanziario; senza capire che la causa principale del guasto sono le troppe pecore che – sua sponte – si offrivano alla tosatura convinte di far soldi con i soldi e con i debiti, e non con il lavoro e l’intraprendere.

I nipotini di Marx già vagheggiavano l’imposizione salvifica dello statalismo a tempo pieno e in ogni settore: dal mondo del credito alla programmazione economica dei nuovi modelli produttivi. Come se uno stuolo di burocrati potesse avere l’inventiva di solo imprenditore; come se la crescita economica (in tutte le epoche) assieme ad alcun regole, che certamente ci vogliono, non richiedesse anche una forte dose di anarchia, di volontà e coraggio nell’affrontare il rischio in vista di grossi guadagni che soli possono garantire una ridistribuzione della ricchezza.

Faccio un unico esempio. Non c’è dubbio che usciremo diversi da questa crisi; non c’è dubbio che non potrà più essere l’edilizia il volano della ripresa, perchè abbiamo tante di quelle case sfitte ed invendute che ci vorrebbe una rottamazione abitative…Ma è altrettanto chiaro che non sarà lo Stato con i suoi burocrati ad individuare le nuove produzioni e le nuove fonti di ricchezza.

Lo stato, la burocrazia, dovrebbe fare esattamente quello che non fa: cioè favorire chi ha cuore e capacità di intraprendere, semplificandogli le procedure, agevolandolo fiscalmente; e non riempendolo invece di lacci e di balzelli. Da noi la ripresa rischia di essere più lenta proprio per queste scorie stataliste che la ostacoleranno. Ma ci sarà comunque con l’anno nuovo. E intanto, con buona pace dei nipotini di Marx, il 2009 non è stato un ’29.




SE IL KAMIKAZE SEMBRA CURCIO

 

Abbiamo passato i giorni di Natale all’insegna dei terroristi e dei komeinisti; dell’attentato fallito sul volo per Detroit e della rivolta popolare che divampa nel Paese degli Ayatollah.

La cosa che colpisce dell’aspirante kamikaze Umar Abdulmutallab è il suo status sociale: figlio di un ricco banchiere, abita nel cuore chic di Londra e frequenta una delle più prestigiose ed esclusive università inglesi. In poche parole sembra Curcio o Feltrinelli; siamo cioè di fronte all’ennesima reincarnazione di quei rampolli della borghesia tanto ricca quanto marcia che, non dovendo lavorare per costruirsi un avvenire, hanno tutto il tempo per farsi le pippe.

Pippe rivoluzionarie o pippe fondamentaliste, non fa una grande differenza: sempre pippe sono. Quando va bene questi rampolli si imbottiscono di coca, quando va male si imbottiscono di esplosivo e saltano sui tralicci o sugli Airbus.

Umar è la riprova di quanto bene si integri la terza generazione di immigrati mussulmani. Tanto bene quanto gli altri islamo-londinesi che, nel luglio 2005, un momento facevano rafting lungo i torrenti e il momento successivo piazzavano bombe nella metropolitana.

Per quelli come Abdulmutallab l’integrazione resta una Chimera. Va però aggiunto che non tutti gli islamici sono come lui, proprio come pochi sedicenti comunisti erano come Feltrinelli o come Curcio. Forse peccherò di ottimismo, ma resto convinto che, come la stragrande maggioranza degli italiani, negli Anni di Piombo, pensavano a guadagnare di più, ad andare in vacanza, ad essere sempre più liberi (cioè a liberarsi da fedi e ideologie), così oggi anche la quasi totalità degli islamici punti a migliorare il proprio tenore di vita e a liberarsi dal plagio dei loro pretoni barbuti falsi e bugiardi.

In questo senso i segnali che arrivano dall’Iran, quel Paese degli Aytollah dove iniziò il fanatismo fondamentalista, sono molto incoraggianti: non è la protesta di quattro intellettuali laici, è la rivolta del popolo iraniano che divampa e si estende da Teheran a tutte le altre città.

E’ vero che nessun aiuto arriva loro da un Occidente pavido e privo di leader epocali. Oggi non c’è né un Reagan né un Wojtyla che furono magli potenti contro la dittatura comunista. Ma il comunismo crollò anzitutto grazie alla televisione che mostrava ai popoli dell’Est come si viveva in Occidente, al di là delle balle della propaganda di regime.

Ed ora contro il fondamentalismo islamico, oltre alla televisione, c’è uno strumento ulteriore, ancora meno controllabile dalle censure di regime, la Rete, che mostra alle donne e agli uomini mussulmani il paradiso terrestre delle libertà occidentali; diffondendo la convinzione che sia meglio per loro cogliere oggi l’uovo che vedono, invece che aspettare la gallina promessa per domani dagli Ayatollah (che quotidianamente di uova si ingozzano…).

Sarà, ripeto, un eccesso di ottimismo. Tuttavia resto convinto che nell’epoca della comunicazione globale, del villaggio universale, non possa resistere a gioco lungo nessuna dittatura, né politica né religiosa. Anche se, a gioco breve, dobbiamo difenderci dai Curcio e dai Feltrinelli dell’Islam.

 

UNA REPUBBLICA FONDATA SU…L’INCIUCIO

 Massimo D’Alema non fa in tempo ad aprire al dialogo con Berlusoni, per cercar di trovare un’accordo sulle grandi riforme, che subito viene crocefisso all’interno del suo stesso partito, oltre che da Di Pietro e dalla sinistra più radicale, con l’accusa di cercare “l’inciucio”.

L’aspetto comico è che questa accusa arriva da coloro che, nel contempo, sono i più ferrei custodi della Costituzione. Una Costituzione la nostra che – se vogliamo chiamare inciucio l’accordo – è proprio fondata sull’inciucio. Sull’inciucio tra cattolici e comunisti. In teoria sull’inciucio tra tutte le forze che parteciparono alla resistenza, tra tutti i partiti del Cnl, in pratica tra i due partiti principali: Dc e Pci. Dato che il Psi allora era una costola senza autonomia dei comunisti e i liberali (purtroppo) contavano come il due di picche.

Per decenni, e ancora oggi, siamo qui ad esaltare lo “spirito” dei tanto grandi e tanto rimpianti Padri Costituenti. I quali cosa avevano poi fatto di così grande se non inciuciare? Se non trovare un accordo tra i principi cattolici e comunisti? Dai quali principi è derivata la centralità riservata in Costituzione da un lato alla famiglia dall’altro al lavoro.

Se lo stesso spirito viene ripreso oggi dai due personaggi che (piaccia o non piaccia, la realtà resta) sono stati i protagonisti dei due campi politici negli ultimi quindici anni, cioè da Berlusconi e D’Alema, apriti cielo si grida allo scandalo: gli accordi e i ragionevoli compromessi, tanto esaltati da oltre mezzo secolo, improvvisamente diventano l’inciucio, il volto sporco della politica…

Domandiamoci cosa sarebbe successo, nel 1946, se Togliatti e De Gasperi non avessero inciuciato dando vita alla Carta? E’ ragionevole credere che sarebbe continuata quella guerra civile che non era terminata il 25 Aprile ’45, ed era invece proseguita nei mesi successivi in maniera più o meno sotterrranea e strisciante. Proprio l’accordo, l’inciucio, tra cattolici e comunisti diede inizio alla pacificazione nazionale. Anche grazie – non dimentichiamolo – al “lodo Togliatti” che, da ministro della Giustizia, varò l’amnistia perfino per i criminali fascisti…Il che dovrebbe ricordare agli amici di sinistra che, se si vogliono evitare scontri e violenze, qualche “sacrificio” bisogna pur farlo…

Oggi comunque le analogie sono impressionanti. Se fallirà infatti il tentativo di D’Alema e Berlusconi di trovare un intesa, un ragionevole accordo sulle riforme costituzionali da fare in comune, sarà logico attendersi un ulteriore inasprimento dello scontro; un nuovo alimento per quell’odio politico che ci ha portati all’anticamera della guerra civile.

Capisco benissimo che uno come Di Pietro, incapace di progetti costruttivi, punti allo sfascio che è il suo autentico spazio politico. Ma è inaudito, o se preferite da autentici irresponsabili, che Franeschini, Veltroni, la Bindi (e magari anche Casini) siano tentati di seguirlo; fingendo di dimenticare che proprio sull’inciucio è fondata la nostra Repubblica.