CHI FA SCHIFO E’ BALOTELLI

 

 

L’esordio del calcio all’ora di pranzo nel giorno dell’Epifania è stato contrassegnato dalle inaudite dichiarazioni di Balotelli al termine di Chievo-Inter. “Ogni volta che vengo qui a Verona – ha detto ai microfoni di Sky – mi rendo conto che questo pubblico mi fa sempre più schifo”.

Personalmente mi sono reso conto di una cosa leggermente diversa: chi fa veramente schifo è Mario Balotelli, questo ragazzino viziato ed indisponente che gioca a fare la vittima tirando in ballo strumentalmente ed a sproposito una questione seria come il razzismo. Troviamo il coraggio di dirglielo chiaro anche se è di colore? O dobbiamo tacere per timore di incorrere nelle ire dei professionisti dell’antirazzismo?

Non sarebbe male se l’Uefa, accanto alla nota campagna “No racism” lanciasse anche quella contro il vittimismo di certi ragazzini viziati dal calcio miliardario.

Bolotelli ha detto uno sproposito e insultato senza alcuna ragione una città e il suo pubblico. Questo per una serie di motivi: 1) è la seconda volta in assoluto che gioca a Verona; 2) Sempre e solo contro il Chievo, società notoriamente molto seria, con un pubblico educato e corretto anche politicamente (nel senso che è orientato a sinistra, contrariamente a quello dell’Hellas Verona…) 3) nel corso della partita non è accaduto assolutamente nulla di particolare: i tifosi del Chievo si sono solo limitati a fischiarlo come ogni tifoso ha diritto di fare con un giocatore avversario.

Quindi, se mai, abbiamo avuto la dimostrazione del contrario:cioè che questo Balotelli è talmente indisponente con i suoi atteggiamenti che perfino un pubblico (politicamente) corretto come quello del Chievo arriva a fischiarlo non ostante lui sia di colore…

Tanto scontata quanto condivisibile la reazione del sindaco di Verona Flavio Tosi che ha sottolineato come Balotelli sia “un ragazzino immaturo e presuntuoso, che non sarà mai un campione, perchè i veri campioni sono tali quando sono anche umili e hanno buon senso”.

Ma il vero sigillo alla vicenda lo ha posto l’allenatore dell’Inter, Josè Mourinho, che ha immediatamente smentito il suo giocatore ribattendo: “Verona è una città bellissima, la società è ben gestita, educata, con un ottimo allenatore, insomma gente che mi piace. Se succede qualcosa in tribuna non fa niente, non facciamo un dramma per questo”.

La cosa vergognosa, che mi porta a dire che chi fa schifo é Balotelli, è appunto quella sottolineata da Mourinho: fare un dramma per quattro fischi; fischi che regolarmente si prendono altri giocatori “antipatici naturali” come Totti o come Cassano. Se li prendono e devono tenerseli senza fare drammi, magari perchè sono bianchi. Mentre Balotelli i drammi li fa e lancia insulti a casaccio con la scusa che lui è un “bovero negro”…

 

MA IL 2009 NON E’ STATO UN ’29

Cari amici assieme agli auguri, lo zerbino di Berlusca vi propina anche l’inevitabile pensierino di fine anno. Che anno è stato questo 2009? Di sicuro non è stato un altro 1929: nel senso che la crisi ha certamente investito decine di migliaia di persone anche nel nostro Veneto, ma non è stata quella crisi epocale e finale che molti preconizzavano (e speravano fosse).

Capisco la delusione di chi, alla Di Pietro, considera Berlusconi un diavolo, cioè l’incarnazione assoluta del male, ma il nostro Paese – pur avendo il peggior governo e il più nefando presidente del consiglio della sua storia – sta uscendone meno male della Spagna e perfino della Germania. Sarà merito di chi a torso nudo ara le coline del Molise, comunque è così. E la stessa crisi mondiale non è lontanamente paragonabile a quella del ’29.

La cosa curiosa è, appunto, che molti nella sinistra radicale e nel sindacato sotto sotto facevano il tifo per la crisi, si auguravano e aspettavano fosse devastante come il passaggio di Attila. Ed il motivo è semplice: costoro, magari inconsciamente, sono ancora in attesa che si avveri la profezia di Marx sulla inevitabile fine del capitalismo. Ed infatti gioivano per i guasti prodotti dalla deregulation del mercato finanziario; senza capire che la causa principale del guasto sono le troppe pecore che – sua sponte – si offrivano alla tosatura convinte di far soldi con i soldi e con i debiti, e non con il lavoro e l’intraprendere.

I nipotini di Marx già vagheggiavano l’imposizione salvifica dello statalismo a tempo pieno e in ogni settore: dal mondo del credito alla programmazione economica dei nuovi modelli produttivi. Come se uno stuolo di burocrati potesse avere l’inventiva di solo imprenditore; come se la crescita economica (in tutte le epoche) assieme ad alcun regole, che certamente ci vogliono, non richiedesse anche una forte dose di anarchia, di volontà e coraggio nell’affrontare il rischio in vista di grossi guadagni che soli possono garantire una ridistribuzione della ricchezza.

Faccio un unico esempio. Non c’è dubbio che usciremo diversi da questa crisi; non c’è dubbio che non potrà più essere l’edilizia il volano della ripresa, perchè abbiamo tante di quelle case sfitte ed invendute che ci vorrebbe una rottamazione abitative…Ma è altrettanto chiaro che non sarà lo Stato con i suoi burocrati ad individuare le nuove produzioni e le nuove fonti di ricchezza.

Lo stato, la burocrazia, dovrebbe fare esattamente quello che non fa: cioè favorire chi ha cuore e capacità di intraprendere, semplificandogli le procedure, agevolandolo fiscalmente; e non riempendolo invece di lacci e di balzelli. Da noi la ripresa rischia di essere più lenta proprio per queste scorie stataliste che la ostacoleranno. Ma ci sarà comunque con l’anno nuovo. E intanto, con buona pace dei nipotini di Marx, il 2009 non è stato un ’29.




SE IL KAMIKAZE SEMBRA CURCIO

 

Abbiamo passato i giorni di Natale all’insegna dei terroristi e dei komeinisti; dell’attentato fallito sul volo per Detroit e della rivolta popolare che divampa nel Paese degli Ayatollah.

La cosa che colpisce dell’aspirante kamikaze Umar Abdulmutallab è il suo status sociale: figlio di un ricco banchiere, abita nel cuore chic di Londra e frequenta una delle più prestigiose ed esclusive università inglesi. In poche parole sembra Curcio o Feltrinelli; siamo cioè di fronte all’ennesima reincarnazione di quei rampolli della borghesia tanto ricca quanto marcia che, non dovendo lavorare per costruirsi un avvenire, hanno tutto il tempo per farsi le pippe.

Pippe rivoluzionarie o pippe fondamentaliste, non fa una grande differenza: sempre pippe sono. Quando va bene questi rampolli si imbottiscono di coca, quando va male si imbottiscono di esplosivo e saltano sui tralicci o sugli Airbus.

Umar è la riprova di quanto bene si integri la terza generazione di immigrati mussulmani. Tanto bene quanto gli altri islamo-londinesi che, nel luglio 2005, un momento facevano rafting lungo i torrenti e il momento successivo piazzavano bombe nella metropolitana.

Per quelli come Abdulmutallab l’integrazione resta una Chimera. Va però aggiunto che non tutti gli islamici sono come lui, proprio come pochi sedicenti comunisti erano come Feltrinelli o come Curcio. Forse peccherò di ottimismo, ma resto convinto che, come la stragrande maggioranza degli italiani, negli Anni di Piombo, pensavano a guadagnare di più, ad andare in vacanza, ad essere sempre più liberi (cioè a liberarsi da fedi e ideologie), così oggi anche la quasi totalità degli islamici punti a migliorare il proprio tenore di vita e a liberarsi dal plagio dei loro pretoni barbuti falsi e bugiardi.

In questo senso i segnali che arrivano dall’Iran, quel Paese degli Aytollah dove iniziò il fanatismo fondamentalista, sono molto incoraggianti: non è la protesta di quattro intellettuali laici, è la rivolta del popolo iraniano che divampa e si estende da Teheran a tutte le altre città.

E’ vero che nessun aiuto arriva loro da un Occidente pavido e privo di leader epocali. Oggi non c’è né un Reagan né un Wojtyla che furono magli potenti contro la dittatura comunista. Ma il comunismo crollò anzitutto grazie alla televisione che mostrava ai popoli dell’Est come si viveva in Occidente, al di là delle balle della propaganda di regime.

Ed ora contro il fondamentalismo islamico, oltre alla televisione, c’è uno strumento ulteriore, ancora meno controllabile dalle censure di regime, la Rete, che mostra alle donne e agli uomini mussulmani il paradiso terrestre delle libertà occidentali; diffondendo la convinzione che sia meglio per loro cogliere oggi l’uovo che vedono, invece che aspettare la gallina promessa per domani dagli Ayatollah (che quotidianamente di uova si ingozzano…).

Sarà, ripeto, un eccesso di ottimismo. Tuttavia resto convinto che nell’epoca della comunicazione globale, del villaggio universale, non possa resistere a gioco lungo nessuna dittatura, né politica né religiosa. Anche se, a gioco breve, dobbiamo difenderci dai Curcio e dai Feltrinelli dell’Islam.

 

UNA REPUBBLICA FONDATA SU…L’INCIUCIO

 Massimo D’Alema non fa in tempo ad aprire al dialogo con Berlusoni, per cercar di trovare un’accordo sulle grandi riforme, che subito viene crocefisso all’interno del suo stesso partito, oltre che da Di Pietro e dalla sinistra più radicale, con l’accusa di cercare “l’inciucio”.

L’aspetto comico è che questa accusa arriva da coloro che, nel contempo, sono i più ferrei custodi della Costituzione. Una Costituzione la nostra che – se vogliamo chiamare inciucio l’accordo – è proprio fondata sull’inciucio. Sull’inciucio tra cattolici e comunisti. In teoria sull’inciucio tra tutte le forze che parteciparono alla resistenza, tra tutti i partiti del Cnl, in pratica tra i due partiti principali: Dc e Pci. Dato che il Psi allora era una costola senza autonomia dei comunisti e i liberali (purtroppo) contavano come il due di picche.

Per decenni, e ancora oggi, siamo qui ad esaltare lo “spirito” dei tanto grandi e tanto rimpianti Padri Costituenti. I quali cosa avevano poi fatto di così grande se non inciuciare? Se non trovare un accordo tra i principi cattolici e comunisti? Dai quali principi è derivata la centralità riservata in Costituzione da un lato alla famiglia dall’altro al lavoro.

Se lo stesso spirito viene ripreso oggi dai due personaggi che (piaccia o non piaccia, la realtà resta) sono stati i protagonisti dei due campi politici negli ultimi quindici anni, cioè da Berlusconi e D’Alema, apriti cielo si grida allo scandalo: gli accordi e i ragionevoli compromessi, tanto esaltati da oltre mezzo secolo, improvvisamente diventano l’inciucio, il volto sporco della politica…

Domandiamoci cosa sarebbe successo, nel 1946, se Togliatti e De Gasperi non avessero inciuciato dando vita alla Carta? E’ ragionevole credere che sarebbe continuata quella guerra civile che non era terminata il 25 Aprile ’45, ed era invece proseguita nei mesi successivi in maniera più o meno sotterrranea e strisciante. Proprio l’accordo, l’inciucio, tra cattolici e comunisti diede inizio alla pacificazione nazionale. Anche grazie – non dimentichiamolo – al “lodo Togliatti” che, da ministro della Giustizia, varò l’amnistia perfino per i criminali fascisti…Il che dovrebbe ricordare agli amici di sinistra che, se si vogliono evitare scontri e violenze, qualche “sacrificio” bisogna pur farlo…

Oggi comunque le analogie sono impressionanti. Se fallirà infatti il tentativo di D’Alema e Berlusconi di trovare un intesa, un ragionevole accordo sulle riforme costituzionali da fare in comune, sarà logico attendersi un ulteriore inasprimento dello scontro; un nuovo alimento per quell’odio politico che ci ha portati all’anticamera della guerra civile.

Capisco benissimo che uno come Di Pietro, incapace di progetti costruttivi, punti allo sfascio che è il suo autentico spazio politico. Ma è inaudito, o se preferite da autentici irresponsabili, che Franeschini, Veltroni, la Bindi (e magari anche Casini) siano tentati di seguirlo; fingendo di dimenticare che proprio sull’inciucio è fondata la nostra Repubblica.

 

BERLUSCONI: LA “FOLLIA” E’ DI MASSA

 

 

 

Secondo Antonio Di Pietro, Berlusconi istiga reazioni violente perchè pensa solo alle leggi ad personam e trascura i problemi del Paese; primo tra tutti la crisi e la disoccupazione. Mi sembra più verosimile la tesi opposta: quando cioè, alle legittime critiche politiche, aggiungi i paragoni con Hitler (Di Pietro dixit) e sostiene che il premier è il mandante delle stragi di mafia, istighi qualcuno a passare alle vie di fatto. Qualcuno che certamente non ha tutte le carte in regola; come non le ha mai chi ricorre alla violenza (terroristi compresi). Ma un conto è la follia che esplode senza innesco, altro quella innescata dai cattivi maestri dell’odio politico.

Il ragionamento di Di Pietro è molto simile proprio a quello dei terroristi che giustificavano il ricorso alla violenza con le inadempienze e la crudeltà dello “Stato borghese” nei confronti della classe operaia. Mentre dovrebbe essere chiaro che – in democrazia – nemmeno il peggiore dei governi, nemmeno le leggi più nefande, possono giustificare il ricorso alla violenza. Dovrebbe essere ed è chiaro; lo è per tutti, compreso quel furbo contadino molisano di Di Pietro. Il quale però ci marcia per calcolo politico: è infatti riuscito a cancellare ed inglobare nell’Idv l’intera sinistra radicale. Nessuno va più nemmeno a raccogliere le dichiarazioni di Ferrero piuttosto che di Diliberto; bastano e avanzano le sue per soddisfare gli animi più esacerbati nei confronti del Cavaliere.

Sotto questo profilo più sconcertante di Di Pietro è Rosi Bindi. Lei che, di fronte al volto insanguinato del premier con il naso rotto e due denti spezzati, lo esorta a “non fare la vittima”. Difficile vederci un calcolo politico dietro questa affermazione ( Rosi vuol fondare la corrente dipietrista del Pd?), più verosimile un odio personale che l’ha fatta straparlare.

Alla fine può aver ragione Giannelli, il vignettista del Corriere, che racconta un Berlusconi con sette punti, non di sutura, ma di aumento della popolarità…Non c’è dubbio infatti che le persone di buon senso sono rimaste scosse e sono portate a dare concreta solidarietà al premier. Ma il clima resta pesante. Massimo Tartaglia infatti è tutt’altro che isolato, come dimostrano i suoi cinquantamila fans spuntati in poche ore su Facebook.

Molti esponenti del Pdl, sdegnati, chiedono di chiudere il sito. Ma sarebbe un errore. Perchè Internet, la rete, proprio grazie alla vigliaccheria dell’anonimato ci permette di capire che c’è anche questa fetta di Paese. Che non sono quattro gatti. Che se Tartaglia è matto, i matti in giro sono tanti. Fosse esistita la rete, ai tempi delle Brigate rosse, non avrebbero potuto raccontarci la balla sul loro isolamento sociale: avremmo avuto modo di constatare quanto ampi erano il consenso e la simpatia di cui godevano i nostri terroristi.

Proprio come oggi Facebook ci mostra tutto il seguito di Tartaglia. E per questi suoi fans scatenati non credo che il volto insanguinato di Berlusconi serva a ritrovare moderazione e senso della misura. Anzi, temo sia sangue sul fuoco di una guerra civile che affiora sempre più truculenta.

MAGISTRATI, PRETI E TELEVISIONE

 E’ sempre più evidente che lo scontro tra Berlusconi e i magistrati è la madre di tutte le battaglie, dal cui esito dipende la sopravvivenza stessa dell’attuale governo e del Cavaliere in quanto leader politico. Partendo da questa premessa, e a seconda che si tifi per la caduta o per la vittoria di Berlusconi, dovrebbero essere chiare le tattiche contrapposte. Mentre mi sembra ci sia una certa confusione, in entrambi i campi.

L’esortazione rivolta dal ministro Alfano ai magistrati – a non andare in televisione, a non partecipare a convegni o addirittura ad iniziative di partito, e a lavorare invece nei tribunali in modo serio e riservato – è infatti un’esortazione perfetta. Perchè non c’è dubbio che chi amministra la giustizia risulta tanto più credibile agli occhi dei cittadini quanto più adotta uno stile di vita diverso da quello di noi cittadini comuni (che siamo, appunto, soliti schierarci politicamente, partecipare a incontri e manifestazioni di piazza; che sbaviamo all’idea di esibirci in tivvù).

Per i magistrati vale (dovrebbe valere) una regola simile a quella dei sacerdoti. Sono patetici i tanti pretini che hanno rinunciato perfino a vestirsi da preti, che non portano più nemmeno una croce all’occhiello della giacca, che indossano jeans e maglioni per apparire oltre che per essere in tutto identici ai laici, che hanno vizi e passatempi uguali ai nostri, che ti esortano a dargli del “tu”…Patetici perchè loro per primi hanno rinunciato alla sacralità del proprio ruolo: con un prete in jeans e maglione, cui dai del “tu”, puoi andare a giocare assieme a briscola al bar…Ma non ti passa nemmeno per l’anticamera del cervello che possa essere il tramite a Dio, quello che ti amministra dei Sacramenti che siano veri Sacramenti. Dopo aver visto un don Mazzi superstar in tivvù come si fa a prendere da lui l’Eucarestia?…Ed infatti la credibilità della fede è crollata agli occhi della larga maggioranza degli italiani, proprio grazie al comportamento di quelli che avrebbero dovuto essere i primi “promoter” della fede.

Esattamente come la credibilità di una giustizia con la g maiuscola, cioè “cieca” e al di sopra delle ideologie, è crollata quando i vari magistrati hanno cominciato ad andare in televisione a lanciare i loro programmi politici di parte; quando un Antonio Ingroia – per venire ad uno dei casi recentissimi – partecipa ai convegni dell’Idv di Di Pietro e dice quello che ha detto di Berlusconi. Quando ci sono toghe presenti perfino alle manifestazioni dei no global.

Ma torniamo alla questioni delle tattiche. L’entourage di Berlusconi, ministro Alfano in testa, non ha alcun interesse a cercare di riportare i magistrati sulla retta via, a fargli riconquistare credibilità. Ha anzi l’interesse di sputtanarli ulteriormente agli occhi dei cittadini. E quindi il ministro della giustizia dovrebbe dire l’opposto di cioè che ha detto: andate in tivvù, mostratevi tutte le sere e su tutte le reti, parlate ai cittadini, impegnatevi a tenere alta la tensione sulla legalità! Al contrario chi ha a cuore la sacralità della Giustizia – il presidente Napolitano in testa, Di Pietro, Travaglio, Santoro…Silvestro e Federico – dovrebbero usare le parole di Alfano e dire ai magistrati: non esibitevi inutilmente, lavorate in silenzio, mostratevi il più possibile diversi dalle persone comuni che operano in balia delle passioni ideologiche!

 

CORI RAZZISTI E FAVORI AI RAZZISTI

Bastonarli sul serio e con il minor risalto mediatico possibile. Forse questa scelta potrebbe funzionare per contrastare la violenza fisica e verbale dentro e fuori dagli stadi. Dico forse. Di certo le soluzioni prospettate fin’ora fanno semplicemente ridere. Anzi sono addirittura demenziali come l’ipotesi (o la disposizione, fortunatamente disattesa) di sospendere le partire di fronte ai cori razzisti.

Siamo all’istigazione a delinquere, come constatato sabato sera in occasione di Juve-Inter, quando i tifosi juventini hanno potuto rivolgere impunemente qualunque insulto a Balotelli ed è bastato evitare quelli qualificabili come razzisti. Come se potessi dire ad un negro “figlio di puttana”, “stupratore di minorenni”, “assassino di vecchietti” e va tutto bene; mentre scatta la pubblica riprovazione solo se gli dici “negro di merda”…(E se dicessi a Del Piero “bianco di merda”?)

E’ uno dei paradossi della campagna antirazzismo estrapolata (ed ultra enfatizzata) da quella che dovrebbe essere una più generale campagna per estirpare dal calcio qualunque violenza fisica e contenere l’intemperanza verbale. Dico contenere l’intemperanza verbale, perchè penso che lo sfogo di un minimo di aggressività a livello orale sia uno dei motivi che ti spingono ad andare allo stadio.

Tra l’altro la tesi dei cori razzisti all’indirizzo di Balotelli, per essere confermata, dovrebbe spiegare come mai – restando alla stessa partita di sabato sera a Torino – non ci sia stato un solo coro all’indirizzo né dell’interista Eto’ né dello juventino Sissoko, entrambi neri tanto quanto Super-Mario. Che abbia ragione Gian Antonio Stella che, sul Corriere, ha fatto un affresco storico-sociologico, partendo dai tempi dei faraoni, per arrivare a concludere che noi vorremmo gli immigrati “invisibili” e non accettiamo che possa esistere un “black italian”? Oppure che sia solo una questione di antipatia ed arroganza nell’atteggiamento, per cui Balotelli si becca la stessa reazione inviperita che colpisce i Cassano piuttosto che i Totti?

Se è valida la seconda ipotesi, che personalmente trovo più convincente, abbiamo capito anche cosa debbono fare i tifosi che vorrebbero il ritorno di Cassano in nazionale: basta gridargli “terrone di merda” e la convocazione diventerà obbligatoria in nome della battaglia contro il razzismo! Esattamente come ha proposto di fare perfino il presidente della Camera Gianfranco Fini, dopo i cori razzisti contro Balotelli: il Mario neroazzurro subito in nazionale!…

Tornando al rimedio presunto, si capisce subito come sia peggiore del male. Perchè se dovessimo davvero sospendere una sola partita in risposta ai cori razzisti, avremmo consegnato proprio ai razzisti lo svolgimento del campionato dando loro l’opportunità di trasformarlo in un percorso di guerra. Mi pare infatti non ci voglia molto per capire che, non appena si profilasse la sconfitta della propria squadra, subito i tifosi vomiterebbero i peggiori insulti all’indirizzo di un giocatore di colore della squadra avversaria (o anche della propria) presente in campo, in panchina o in tribuna. E, alla luce del precedente, arbitro e autorità di pubblica sicurezza non potrebbero che ordinare la sospensione immediata della partita.

Non se ne uscirebbe più. Sarebbe il Vietnam (o l’Afganistan) del nostro calcio. Quindi è demenziale continuare a tuonare e pretendere la sospensione nei vari dibattiti televisivi e con fondi in prima pagina, addirittura sul Corriere. Diventa solo un favore, il miglior regalo possibile, fatto proprio a quelli che bolliamo come razzisti! Invece, tenendo presente l’ansia di protagonismo di certe frange di ultras del calcio (e della politica), penso che il modo più efficace di rapportarsi con loro sia ignorali sui media, individuarli con lo spiegamento di telecamere che abbiamo in tutti gli stadi, per bastonarli con rigore in tribunale. Ma per rispondere così, anche in questo caso, dovremmo essere il Paese serio che non siamo.

 

FIGLIO MIO, VA VIA DA QUESTA ITALIA

 

 

“Non andatevene”, “possiamo crescere”, “dobbiamo avere fiducia nelle potenzialità del nostro Paese”. Con queste parole il presidente Napolitano ha lanciato oggi ai giovani un appello contrario a quello dell’ex direttore generale Rai, Pier Luigi Celli, che nei giorni scorsi aveva invitato suo figlio ad andarsene via dall’Italia, a costruirsi altrove il suo futuro.

L’esortazione del presidente della Repubblica, mi ricordano quelle ricorrenti a “comprare italiano” per aiutare le nostre industrie. Della serie: compratevi una Fiat perchè è un’auto italiana. Col cavolo. Compro la Fiat solo se nel rapporto qualità prezzo è più vantaggiosa della Volkswagen; altrimenti mi prendo la Golf, e non mi sento certo un traditore della Patria perchè ho scelto un auto tedesca.

Mi sembra inevitabile, oltre che giusto, che oggi i giovani nell’era della globalizzazione scelgano in quale Paese del mondo andare a vivere e lavorare. Che scelgano in base a tutta una serie di variabili: l’opportunità di reddito, la qualità del welfare, il clima, l’ordine o la trasgressione che regnano in un certo Paese. E mi sembra logico che lo facciano non solo i giovani laureandi, come il figlio di Celli, ma anche i giovani artigiani, operai, ragionieri; chiunque abbia una vita davanti.

Si potrà obiettare che noi anziani siamo più maturi, e magari compiremmo una scelta più oculata; purtroppo però abbiamo un’età in cui ci resta da scegliere solo il cimitero…(oppure i Caraibi, dove vivere decentemente anche con la pensione sociale…). Ma un giovane perchè mai dovrebbe chiudersi in partenza l’orizzonte delle opportunità invece che aprirlo? Dovrebbe farlo in omaggio alla sua Patria? A questa Patria italiana che per prima li ha traditi: nel senso che non ha trasmesso loro nemmeno un’idea comune, un sistema di valori condivisi. Ed invece – proprio come ha sottolineato Celli – continua quotidianamente a proporre una lezione di scontri e divisioni. Noi italiani perennemente in guerra civile: cinquant’anni fa divisi tra fascisti e antifascisti, cinquant’anni dopo tra berlusconiani e antiberlusconiani…Come si fa a dire ad un giovane che ha il dovere di restare qui, di impegnarsi a migliorare quel Paese che già Mussolini aveva compreso e proclamato essere ingovernabile? (“Non è difficile, è inutile provare a governare gli italiani”). Con che coscienza il presidente Napolitano li imbroglia fingendo di credere a ciò che lui per primo non crede, cioè che si possa riformare l’Italia?

L’Italia vera è quella che ha dipinto Celli nella pubblica lettera scritta a suo figlio (sulle pagine di Repubblica): un Paese dove non esiste il merito, soffocato dalle corporazioni; dove fa agio il nepotismo, l’affiliazione politica e di clan; dove non sai nemmeno se potrai prendere un aereo perchè sei in balia delle bizze dei dipendenti Alitalia. E non si venga a dire che Pier Luigi Celli non ha titolo a parlare perchè, lui per primo, è arrivato dove e arrivato solo grazie all’appartenenza politica. Che obiezione è mai questa? Significa che solo un santo può parlare di santità? Manzoni e Dostoevskij ci hanno insegnato l’esatto contrario: cioè che proprio il grande peccatore, appunto perché ha sperimentato sulla propria pelle il male del mondo, ha molte più probabilità di redimersi e redimere il prossimo. Appunto come ha tentato di fare Celli con suo figlio. Mentre Napolitano tenta di perpetrare l’inganno.

CHI METTE LA COPPOLA A BERLUSCA

Agli ultras antiBerlusca, che anche nel post precedente mi accusano di essere zerbino acritico del Cavaliere, ricordo che gli imputo quello che per me è il peggiore dei tradimenti, un autentica apostasia: il taglio delle tasse solennemente promesso e mai mantenuto. Fossimo meno dediti alle pugnette ideologiche, magari capiremmo che questo è l’essenziale e tutto il resto fuffa o quasi. L’essenziale è quanto paghiamo allo Stato e che qualità dei servizi otteniamo in cambio. Ho scritto, e lo ripeto, che il governo Berlusconi-Tremonti è peggio di quello Prodi-Visco perchè ha aumentato di qualcosa le tasse continuando a propinarci gli stessi servizi di merda.

Ricordato quanto gli ultras dimenticano (perchè non funzionale ai loro preconcetti) aggiungo che, pur essendo tifoso dell’Inter, non posso per questo negare che Kaka sia un fuoriclasse. Non tifo Berlusconi, ma non ho sufficiente mortadella ideologica davanti agli occhi per non constatare che è lui il fuoriclasse della nostra politica. Come lo sono, a loro modo, anche Bossi e Di Pietro. Questi tre sono infatti gli unici politici che, con diverso successo, hanno saputo creare dal nulla nuovi partiti e raccogliere consensi crescenti. Gli altri invece sono scamorze perchè hanno seguito il percorso inverso: partivano cioè dall’eredità enorme del Pci e della Dc e via via hanno continuato e continuano a perdere il patrimonio di consensi. I primi sono, appunto, i Berlusconi; i secondi i Lapo Elkan della politica.

Ma – e arriviamo al dunque – nel nostro Paese c’è una intellighenzia, che non saprei se definire vetero comunista o neo monarchica, che rispetta solo i patrimoni ereditati e guarda con sospetto a chi ha saputo costruire una fortuna con le proprie forze e partendo dal nulla: per questo gli Agnelli, e perfino i loro epigoni, hanno sempre goduto di un rispetto omertoso; mentre questa intellighenzia snob guarda con sdegno ai pervenù, non accetta che una fortuna economica (come politica) possa essere costruita dal nulla con l’ingenio e la costanza.

Ecco perchè giornalisti come Giuseppe D’Avanzo di Repubblica non possono nemmeno concepire che ci sia un geniale imprenditore che, con i crediti ottenuti dalla banca Rasini, ha saputo costruire una fortuna prima nell’edilizia e poi con le televisioni. Subito vedono ombre, ombre lunghe. Escluso che, anche in Italia come negli Usa, possano esserci i self made man. Bisogna per forza arrampicarsi sugli specchi e immaginare che lo abbia finanziato la mafia riciclando tramite lui il denaro sporco delle attività criminali. E chissà mai che non spunti la teoria che i nazisti hanno finanziato Carlo De Benedetti, perchè nessuna copertura era più efficace per loro di quella data da un imprenditore ebreo…

Ci può stare tutto quando basta la “ricostruzione” di un pentito e si può cominciare a sparare a zero senza aspettare alcun serio riscontro. Ma, alla base, c’è appunto questa mentalità aristocratica di una certa sinistra italiana, vetero comunista o neo monarchica, che non tollera né in politica né in economia chi sale alla ribalta con le proprie forze. In America ad uno come Berlusconi avrebbero dato la medaglia, in Italia cercano di mettergli la coppola.

VERONICA PRIMA, ELISABETTA II

 

Veronica prima, dato che al momento la Lario resta la first lady italiana; Elisabetta II, con questo nome, nella dinastia Tudor. Ma, se guardiamo al volgarissimo lato economico, Veronica resta prima e la regina d’Inghilterra scivola invece al quinto posto: nel senso che percepisce, dalle tasse dei suoi sudditi come appannaggio annuo reale, solo un quinto di quello che la Lario chiede al marito per la separazione consensuale.

Il Corriere della sera ha anticipato l’ammontare esorbitante dell’assegno di mantenimento richiesto della separanda signora Berlusconi: 3,5 milioni di euro abbondanti al mese (sette miliardi di vecchie liruzze, 230 milioni al giorno) per un importo annuo complessivo di 43 milioni di euro. L’appannaggio annuale della regina d’Inghilterra è di 7,9 milioni di sterline che corrispondono a 8,75 milioni di euro. Ed il conto è bello e fatto: Veronica prima, Elisabetta quinta!

Si resta senza fiato pensando a quanto strada ha fatto questa ex giovane attrice della compagnia di Enrico Maria Salerno, che con le sue recite al teatro Manzoni folgorò il già maturo re delle televisioni italiane; tanta strada da far invidia perfino ad Elisabetta, alla più famosa e facoltosa regina del mondo…

E’ vero che Berlusconi è un riccone, e sappiamo che con i matrimoni si dividono anche i patrimoni. Ma è vero anche che ci vorrebbe un po’ meno di ipocrisia sulla causa scatenante: era insopportabile che andasse alla festa della diciottenne Noemi, che si circondasse di belle donne e le frequentasse anche nei dopo cena? O era insopportabile vedere sul ponte di comando i due figli di primo letto? Legittimo, per carità, pretendere una più equa spartizione: Ma avendo il coraggio di dire che stiamo parlando di fior di soldoni, non di pedofili assatanati di minorenni in fiore.

Silvio, ovviamente, cerca di resistere: i 3,5 milioni al mese non vuole sganciarli, è fermo ad una controproposta massima di 300 mila. Ma intanto, come effetto collaterale, si è già conquistato la simpatia di altri italiani: perchè fa sentire un po’ meno pirla i tanti che hanno perso la testa e pagato a caro prezzo la passione senile per una più giovane moglie, per un’amante, per un trans…Anche se, con tutto il rispetto per sua Maestà Veronica Prima, il confronto fra tariffe è inevitabile: cosa sono i duemila euro per una serata con la D’Addario o i cinquemila per la prestazione di una Brenda? Una miseria o, se vogliamo, un affare…D’ora in avanti chi ha soldi e patrimonio non potrà più sottovalutare le conseguenze economiche future, pensandoci bene se convenga percorrere un unico nuovo matrimonio o centomila nuove avventure…

Chi ha soldi e patrimonio. Poi ci sono tutti gli altri e tutte le altre, che magari avrebbero anche loro un rapporto logorato come Veronica e Silvio; ma non hanno nemmeno un euro da destinare agli alimento dopo e agli avvocati prima. A loro non resta che convincersi che il matrimonio è e deve restare indissolubile.