SILVIO NON E’ MARGARET NE’ RONALD

 

 

Silvio non è Margaret né Ronald; non è equiparabile ai due campioni del liberalismo che sono e restano la Thatcher e Reagan. Basta leggere oggi Libero e Il Giornale per cogliere la delusione e anche la rabbia del popolo del centrodestra per il “sogno” di riduzione delle tasse annunciato e subito dopo affossato da Berlusconi.

Franco Bechis, vicedirettore di Libero, afferma che se proprio non si volevano ridurre le aliquote, quantomeno andavano “disboscate” le 1843 gabelle che dobbiamo pagare. Ma nemmeno questo invece si può fare. Non si può sostituire con un unico salasso i tanti prelievi più o meno piccoli. Perchè c’è il rischio che il cittadino si accorga di quanto enorme è il salasso (in cambio di quel poco che lo Stato restituisce in termini di servizi)…e le rivoluzioni dell’era moderna, non dimentichiamolo, sono sempre scoppiate per esasperazione da pressione fiscale…Così si va avanti alla democristiana: ti dissanguo e ti frego; ti porto via i soldi e faccio in modo che tu non te ne accorga perchè diluisco il salasso in 1843 diversi tributi.

Tornando al paragone di partenza, ieri Berlusconi ha affermato che non si possono ridurre le tasse perchè bisogna fare i conti con una crisi ancora pesante. Come se Reagan e la Thatcher avessero tagliato quando Gran Bretagna e Stati Uniti navigavano nell’oro del boom economico! Invece lo hanno fatto proprio perchè i loro Paesi erano in piena recessione e – da veri liberali – erano convinti che solo una drastica riduzione delle tasse potesse farli uscire dalla crisi, rilanciando i consumi, aumentando così gli introiti da tassazione indiretta e ampliando la platea dei contribuenti grazie alle aliquote più basse.

Barlusconi, se mai, assomiglia ad Angel Merkel. Il cancelliere tedesco che aveva promesso ai suoi alleati liberali e annunciato un forte riduzione delle imposte a imprese e famiglie; e che adesso è in piena marcia indietro. Ma la Merkel, da vecchia democristiana, in cuor suo al taglio delle tasse non ha forse mai creduto. Mentre Berlusconi è un imprenditore e, per un imprenditore, ridurre le tasse è il primo comandamento. Quindi oggi, oltre a tradire le attese del popolo di centrodestra, tradisce la sua stessa essenza…

Si può pensare che il suo errore sia stato affidarsi a quel commercialista che era e resta Giulio Tremonti. I commercialisti, i ragionieri, per carità, sono gente seria; ma sono dei tecnici: hanno anzitutto l’ossessione, connaturata alla loro professione, di far quadrare i conti…Ma da un politico, da un aspirante statista, è giusto aspettarsi invece una marcia in più, una visione più ampia, una diversa capacità di scommettere sul futuro del proprio Paese.

Oppure può darsi che di futuro il nostro Paese proprio non ne abbia. Può darsi che quelle ricette liberali, che funzionano nei Paesi normali, non siano applicabili all’anomalia italiana; qui dove metà Paese è farcito di assistenzialismo, dove c’è un numero senza eguali di statali; dove la principale attività sembra essere quella dei falsari: falsi invalidi, falsi braccianti, falsi disoccupati, falsi forestali, falsi agricoltori, falsi lavoro socialmente utili, falsi qualunque cosa purchè arrivi il contributo pubblico…

In un Paese così temo che basti togliere una pagliuzza, anche solo accorpare due gabelle in una, perchè tutto crolli; per ritrovarci come ad Haiti. Tutto questo però Berlusconi dovrebbe saperlo bene e da un pezzo. O se ne accorto solo in questi ultimi giorni dopo aver annunciato, sabato su Repubblica, l’introduzione delle due aliquote uniche al 23 e 33%? Non si capisce proprio che senso abbia avuto fare un annuncio clamoroso per rimangiarselo subito dopo.


IMMIGRATI E CLOCHARD

 La rivolta di Rosarno ha evidenziato come ci sia una bella differenza tra gli immigrati a seconda che si trovino al Nord o al Sud: Ma, per certi versi, è più clamorosa e certamente molto meno rimarcata, la differenza che esiste tra clochard nella nostra stessa regione, a seconda che stazionino nella Verona di Tosi o nella Venezia di Cacciari. Al gatòn il merito di avercelo ricordato e sottolineato nel post precedente.

Torniamo brevemente sugli immigrati. In sintesi: al Nord sono lavoratori stranieri, al Sud sono schiavi stranieri. Qui da noi lavorano, come mediamente lavorano i veneti; magari lavorano anche di più, fanno più straordinari, accettano mansioni che i nostri rifiutano; magari sono pagati in nero, ma sono pagati. Il peggio che si possa dire è che sono lavoratori di serie B, rispetto ai veneti lavoratori di serie A. Ma restano pur sempre lavoratori.

Al Sud, in ampie zone del Mezzogiorno, è totalmente diverso. Ci sono da una parte gli schiavi, dall’altra gli assistiti. Da un lato i negri che lavorano come negri per pochi euri al giorno; dall’altro i bianchi che li guardano seduti sotto il portico sventolando chi il posto pubblico, chi la pensione di invalidità fasulla, chi altri sussidi statali…

Non capisco che senso abbia attribuire alla ‘ndreangheta la contro rivolta bianca di Rosarno. Anche ammesso che controlli lei ogni attività agricola, gli schiavi aveva tutto l’interesse a continuare a sfruttarli non a perderli; non a vederseli portar via da un nugolo di tutori dell’ordine che ora presidia il suo territorio…Insomma o tutto è ‘ndrangheta, oppure la si tira in ballo come capro espiatorio tutto fare…

Veniamo ai clochard e alla folgorante osservazione del gatòn. Quanto accaduto a Venezia, con i quattro giovinastri che hanno dato fuoco ad un barbone, è finito sì sulle prime pagine nazionali. Ma ci è finito come episodio di cronaca, come spunto per generiche osservazioni sociologiche sui giovani d’oggi: sono semplicemente degli imbecilli? Sono violenti perchè privi di valori? Chi deve educarli la famiglia, la scuola o la società? Nessuno ha nemmeno osato pensare – non dico scrivere o sussurrare – che sono amministrati dal sindaco Massimo Cacciari. Nessuno ha posto una correlazione tra l’accaduto ed il colore politico della giunta Cacciari, e il clima che si respira nella città di Venezia.

La stessa correlazione che tutti invece pongono a fondamento della loro analisi e spiegazioni per qualsiasi episodio di violenza si verifichi a Verona. Anche quando non c’è nemmeno la violenza. Anche quando, come accaduto qualche settimana fa, i vigili urbani spostano un clochard da piazza Dante ad un dormitorio pubblico. Anche questa non notizia veronese è divenuta un fatto politico nazionale, da correlare al clima di intolleranza e di paura del diverso che quel becero leghista di Tosi ha instaurato nella città di Giulietta.

E com’è possibile che, sotto il governo di un sindaco-filosofo tanto colto e civile, siano germinati quattro teppisti pronti ad appiccare il fuoco ad un barbone? Probabile che siano – direbbe il gatòn – tifosi dell’Hellas in trasferta a Venezia…


PORTE APERTE A ROSARNO-ITALIA

 

Quando accaduto a Rosarno, con la rivolta dei clandestini africani, è la conseguenza logica ed inevitabile della politica delle porte aperte applicata in un Paese già di per se sbrindellato come il nostro. Porte aperte a chiunque arrivi, a prescindere dalle possibilità di un inserimento civile e dignitoso, non può infatti che produrre masse di disperati ridotti a vivere in condizioni disumane e sottoposti ad un sfruttamento da schiavi (25 euro al giorno per raccogliere agrumi) come succede appunto a Rosarno.

In questa situazione di base, qualunque scintilla può innescare la rivolta; rivolta che definirei perfino sacrosanta. Anche se poi a farne le spese sono i cittadini incolpevoli (non i mercanti di schiavi degli agrumeti) che hanno visto la loro cittadina devastata, negozi e auto distrutti, e che si sono rinchiusi in casa terrorizzati di fronte al divampare della “rabbia africana”.

Angelo Panebianco sul Corriere sottolinea la follia di rinunciare ad una legge contro la clandestinità (legge che la Corte potrebbe rigettare come incostituzionale). Spiega infatti che significherebbe rinunciare all’esistenza stessa dello Stato italiano; dato che qualunque Stato si fonda anzitutto sul diritto sovrano al pieno controllo del proprio territorio, e dunque sulla facoltà di decidere chi può starci legalmente e chi no.

In Italia per decenni il controllo dello Stato sul territorio lo abbiamo sostituito con le porte aperte, giustificate dai più ipocriti e farisaici motivi umanitari e/o preudocristriani. Col risultato che possiamo apprezzare a Rosarno: dove migliaia di africani vivono in condizioni del tutto umane e cristiane…

Senza un tetto preciso agli ingressi, e l’impegno a cercare di rispettarlo con ogni mezzo, l’immigrazione diventa ingestibile per qualunque Paese; figuriamoci per l’Italia sbrindellata. E i clandestini diventano una “risorsa” solo per quei farabutti di nostri connazionali che li schiavizzano negli agrumeti e in tante altre attività pseudo produttive. (attività che, se si reggono su una manodopera con costi cinesi, vanno semplicemente cancellate). D’accordo che in Calabria c’è la ‘ndrangheta da combattere, ma possibile che non si trovi il tempo per sbattere in galera nemmeno uno dei tanti “imprenditori” che sfruttano in questo modo i clandestini?

E qui c’è almeno un’ultima considerazione da fare. I casi eclatanti di sfruttamento dei clandestini esistono anche qui in Veneto e al Nord; ma sono l’eccezione rispetto alla maggioranza degli immigrati che lavorano e sono inseriti decorosamente nelle nostre città. Al Sud è l’esatto contrario: lo sfruttamento è la norma, il lavoro regolare l’eccezione.

L’Italia di oggi ricorda fin troppo gli Stati Uniti alla vigilia della Guerra di Secessione; quando in Massachussets i neri lavoravano da uomini liberi, mentre in Virginia erano ridotti in schiavitù…Non saranno mica i leghisti veneti, guidati da Zaia e Tosi, a dover marciare su Rosarno per andare a liberarli?

 

CHI FA SCHIFO E’ BALOTELLI

 

 

L’esordio del calcio all’ora di pranzo nel giorno dell’Epifania è stato contrassegnato dalle inaudite dichiarazioni di Balotelli al termine di Chievo-Inter. “Ogni volta che vengo qui a Verona – ha detto ai microfoni di Sky – mi rendo conto che questo pubblico mi fa sempre più schifo”.

Personalmente mi sono reso conto di una cosa leggermente diversa: chi fa veramente schifo è Mario Balotelli, questo ragazzino viziato ed indisponente che gioca a fare la vittima tirando in ballo strumentalmente ed a sproposito una questione seria come il razzismo. Troviamo il coraggio di dirglielo chiaro anche se è di colore? O dobbiamo tacere per timore di incorrere nelle ire dei professionisti dell’antirazzismo?

Non sarebbe male se l’Uefa, accanto alla nota campagna “No racism” lanciasse anche quella contro il vittimismo di certi ragazzini viziati dal calcio miliardario.

Bolotelli ha detto uno sproposito e insultato senza alcuna ragione una città e il suo pubblico. Questo per una serie di motivi: 1) è la seconda volta in assoluto che gioca a Verona; 2) Sempre e solo contro il Chievo, società notoriamente molto seria, con un pubblico educato e corretto anche politicamente (nel senso che è orientato a sinistra, contrariamente a quello dell’Hellas Verona…) 3) nel corso della partita non è accaduto assolutamente nulla di particolare: i tifosi del Chievo si sono solo limitati a fischiarlo come ogni tifoso ha diritto di fare con un giocatore avversario.

Quindi, se mai, abbiamo avuto la dimostrazione del contrario:cioè che questo Balotelli è talmente indisponente con i suoi atteggiamenti che perfino un pubblico (politicamente) corretto come quello del Chievo arriva a fischiarlo non ostante lui sia di colore…

Tanto scontata quanto condivisibile la reazione del sindaco di Verona Flavio Tosi che ha sottolineato come Balotelli sia “un ragazzino immaturo e presuntuoso, che non sarà mai un campione, perchè i veri campioni sono tali quando sono anche umili e hanno buon senso”.

Ma il vero sigillo alla vicenda lo ha posto l’allenatore dell’Inter, Josè Mourinho, che ha immediatamente smentito il suo giocatore ribattendo: “Verona è una città bellissima, la società è ben gestita, educata, con un ottimo allenatore, insomma gente che mi piace. Se succede qualcosa in tribuna non fa niente, non facciamo un dramma per questo”.

La cosa vergognosa, che mi porta a dire che chi fa schifo é Balotelli, è appunto quella sottolineata da Mourinho: fare un dramma per quattro fischi; fischi che regolarmente si prendono altri giocatori “antipatici naturali” come Totti o come Cassano. Se li prendono e devono tenerseli senza fare drammi, magari perchè sono bianchi. Mentre Balotelli i drammi li fa e lancia insulti a casaccio con la scusa che lui è un “bovero negro”…

 

MA IL 2009 NON E’ STATO UN ’29

Cari amici assieme agli auguri, lo zerbino di Berlusca vi propina anche l’inevitabile pensierino di fine anno. Che anno è stato questo 2009? Di sicuro non è stato un altro 1929: nel senso che la crisi ha certamente investito decine di migliaia di persone anche nel nostro Veneto, ma non è stata quella crisi epocale e finale che molti preconizzavano (e speravano fosse).

Capisco la delusione di chi, alla Di Pietro, considera Berlusconi un diavolo, cioè l’incarnazione assoluta del male, ma il nostro Paese – pur avendo il peggior governo e il più nefando presidente del consiglio della sua storia – sta uscendone meno male della Spagna e perfino della Germania. Sarà merito di chi a torso nudo ara le coline del Molise, comunque è così. E la stessa crisi mondiale non è lontanamente paragonabile a quella del ’29.

La cosa curiosa è, appunto, che molti nella sinistra radicale e nel sindacato sotto sotto facevano il tifo per la crisi, si auguravano e aspettavano fosse devastante come il passaggio di Attila. Ed il motivo è semplice: costoro, magari inconsciamente, sono ancora in attesa che si avveri la profezia di Marx sulla inevitabile fine del capitalismo. Ed infatti gioivano per i guasti prodotti dalla deregulation del mercato finanziario; senza capire che la causa principale del guasto sono le troppe pecore che – sua sponte – si offrivano alla tosatura convinte di far soldi con i soldi e con i debiti, e non con il lavoro e l’intraprendere.

I nipotini di Marx già vagheggiavano l’imposizione salvifica dello statalismo a tempo pieno e in ogni settore: dal mondo del credito alla programmazione economica dei nuovi modelli produttivi. Come se uno stuolo di burocrati potesse avere l’inventiva di solo imprenditore; come se la crescita economica (in tutte le epoche) assieme ad alcun regole, che certamente ci vogliono, non richiedesse anche una forte dose di anarchia, di volontà e coraggio nell’affrontare il rischio in vista di grossi guadagni che soli possono garantire una ridistribuzione della ricchezza.

Faccio un unico esempio. Non c’è dubbio che usciremo diversi da questa crisi; non c’è dubbio che non potrà più essere l’edilizia il volano della ripresa, perchè abbiamo tante di quelle case sfitte ed invendute che ci vorrebbe una rottamazione abitative…Ma è altrettanto chiaro che non sarà lo Stato con i suoi burocrati ad individuare le nuove produzioni e le nuove fonti di ricchezza.

Lo stato, la burocrazia, dovrebbe fare esattamente quello che non fa: cioè favorire chi ha cuore e capacità di intraprendere, semplificandogli le procedure, agevolandolo fiscalmente; e non riempendolo invece di lacci e di balzelli. Da noi la ripresa rischia di essere più lenta proprio per queste scorie stataliste che la ostacoleranno. Ma ci sarà comunque con l’anno nuovo. E intanto, con buona pace dei nipotini di Marx, il 2009 non è stato un ’29.




SE IL KAMIKAZE SEMBRA CURCIO

 

Abbiamo passato i giorni di Natale all’insegna dei terroristi e dei komeinisti; dell’attentato fallito sul volo per Detroit e della rivolta popolare che divampa nel Paese degli Ayatollah.

La cosa che colpisce dell’aspirante kamikaze Umar Abdulmutallab è il suo status sociale: figlio di un ricco banchiere, abita nel cuore chic di Londra e frequenta una delle più prestigiose ed esclusive università inglesi. In poche parole sembra Curcio o Feltrinelli; siamo cioè di fronte all’ennesima reincarnazione di quei rampolli della borghesia tanto ricca quanto marcia che, non dovendo lavorare per costruirsi un avvenire, hanno tutto il tempo per farsi le pippe.

Pippe rivoluzionarie o pippe fondamentaliste, non fa una grande differenza: sempre pippe sono. Quando va bene questi rampolli si imbottiscono di coca, quando va male si imbottiscono di esplosivo e saltano sui tralicci o sugli Airbus.

Umar è la riprova di quanto bene si integri la terza generazione di immigrati mussulmani. Tanto bene quanto gli altri islamo-londinesi che, nel luglio 2005, un momento facevano rafting lungo i torrenti e il momento successivo piazzavano bombe nella metropolitana.

Per quelli come Abdulmutallab l’integrazione resta una Chimera. Va però aggiunto che non tutti gli islamici sono come lui, proprio come pochi sedicenti comunisti erano come Feltrinelli o come Curcio. Forse peccherò di ottimismo, ma resto convinto che, come la stragrande maggioranza degli italiani, negli Anni di Piombo, pensavano a guadagnare di più, ad andare in vacanza, ad essere sempre più liberi (cioè a liberarsi da fedi e ideologie), così oggi anche la quasi totalità degli islamici punti a migliorare il proprio tenore di vita e a liberarsi dal plagio dei loro pretoni barbuti falsi e bugiardi.

In questo senso i segnali che arrivano dall’Iran, quel Paese degli Aytollah dove iniziò il fanatismo fondamentalista, sono molto incoraggianti: non è la protesta di quattro intellettuali laici, è la rivolta del popolo iraniano che divampa e si estende da Teheran a tutte le altre città.

E’ vero che nessun aiuto arriva loro da un Occidente pavido e privo di leader epocali. Oggi non c’è né un Reagan né un Wojtyla che furono magli potenti contro la dittatura comunista. Ma il comunismo crollò anzitutto grazie alla televisione che mostrava ai popoli dell’Est come si viveva in Occidente, al di là delle balle della propaganda di regime.

Ed ora contro il fondamentalismo islamico, oltre alla televisione, c’è uno strumento ulteriore, ancora meno controllabile dalle censure di regime, la Rete, che mostra alle donne e agli uomini mussulmani il paradiso terrestre delle libertà occidentali; diffondendo la convinzione che sia meglio per loro cogliere oggi l’uovo che vedono, invece che aspettare la gallina promessa per domani dagli Ayatollah (che quotidianamente di uova si ingozzano…).

Sarà, ripeto, un eccesso di ottimismo. Tuttavia resto convinto che nell’epoca della comunicazione globale, del villaggio universale, non possa resistere a gioco lungo nessuna dittatura, né politica né religiosa. Anche se, a gioco breve, dobbiamo difenderci dai Curcio e dai Feltrinelli dell’Islam.

 

UNA REPUBBLICA FONDATA SU…L’INCIUCIO

 Massimo D’Alema non fa in tempo ad aprire al dialogo con Berlusoni, per cercar di trovare un’accordo sulle grandi riforme, che subito viene crocefisso all’interno del suo stesso partito, oltre che da Di Pietro e dalla sinistra più radicale, con l’accusa di cercare “l’inciucio”.

L’aspetto comico è che questa accusa arriva da coloro che, nel contempo, sono i più ferrei custodi della Costituzione. Una Costituzione la nostra che – se vogliamo chiamare inciucio l’accordo – è proprio fondata sull’inciucio. Sull’inciucio tra cattolici e comunisti. In teoria sull’inciucio tra tutte le forze che parteciparono alla resistenza, tra tutti i partiti del Cnl, in pratica tra i due partiti principali: Dc e Pci. Dato che il Psi allora era una costola senza autonomia dei comunisti e i liberali (purtroppo) contavano come il due di picche.

Per decenni, e ancora oggi, siamo qui ad esaltare lo “spirito” dei tanto grandi e tanto rimpianti Padri Costituenti. I quali cosa avevano poi fatto di così grande se non inciuciare? Se non trovare un accordo tra i principi cattolici e comunisti? Dai quali principi è derivata la centralità riservata in Costituzione da un lato alla famiglia dall’altro al lavoro.

Se lo stesso spirito viene ripreso oggi dai due personaggi che (piaccia o non piaccia, la realtà resta) sono stati i protagonisti dei due campi politici negli ultimi quindici anni, cioè da Berlusconi e D’Alema, apriti cielo si grida allo scandalo: gli accordi e i ragionevoli compromessi, tanto esaltati da oltre mezzo secolo, improvvisamente diventano l’inciucio, il volto sporco della politica…

Domandiamoci cosa sarebbe successo, nel 1946, se Togliatti e De Gasperi non avessero inciuciato dando vita alla Carta? E’ ragionevole credere che sarebbe continuata quella guerra civile che non era terminata il 25 Aprile ’45, ed era invece proseguita nei mesi successivi in maniera più o meno sotterrranea e strisciante. Proprio l’accordo, l’inciucio, tra cattolici e comunisti diede inizio alla pacificazione nazionale. Anche grazie – non dimentichiamolo – al “lodo Togliatti” che, da ministro della Giustizia, varò l’amnistia perfino per i criminali fascisti…Il che dovrebbe ricordare agli amici di sinistra che, se si vogliono evitare scontri e violenze, qualche “sacrificio” bisogna pur farlo…

Oggi comunque le analogie sono impressionanti. Se fallirà infatti il tentativo di D’Alema e Berlusconi di trovare un intesa, un ragionevole accordo sulle riforme costituzionali da fare in comune, sarà logico attendersi un ulteriore inasprimento dello scontro; un nuovo alimento per quell’odio politico che ci ha portati all’anticamera della guerra civile.

Capisco benissimo che uno come Di Pietro, incapace di progetti costruttivi, punti allo sfascio che è il suo autentico spazio politico. Ma è inaudito, o se preferite da autentici irresponsabili, che Franeschini, Veltroni, la Bindi (e magari anche Casini) siano tentati di seguirlo; fingendo di dimenticare che proprio sull’inciucio è fondata la nostra Repubblica.

 

BERLUSCONI: LA “FOLLIA” E’ DI MASSA

 

 

 

Secondo Antonio Di Pietro, Berlusconi istiga reazioni violente perchè pensa solo alle leggi ad personam e trascura i problemi del Paese; primo tra tutti la crisi e la disoccupazione. Mi sembra più verosimile la tesi opposta: quando cioè, alle legittime critiche politiche, aggiungi i paragoni con Hitler (Di Pietro dixit) e sostiene che il premier è il mandante delle stragi di mafia, istighi qualcuno a passare alle vie di fatto. Qualcuno che certamente non ha tutte le carte in regola; come non le ha mai chi ricorre alla violenza (terroristi compresi). Ma un conto è la follia che esplode senza innesco, altro quella innescata dai cattivi maestri dell’odio politico.

Il ragionamento di Di Pietro è molto simile proprio a quello dei terroristi che giustificavano il ricorso alla violenza con le inadempienze e la crudeltà dello “Stato borghese” nei confronti della classe operaia. Mentre dovrebbe essere chiaro che – in democrazia – nemmeno il peggiore dei governi, nemmeno le leggi più nefande, possono giustificare il ricorso alla violenza. Dovrebbe essere ed è chiaro; lo è per tutti, compreso quel furbo contadino molisano di Di Pietro. Il quale però ci marcia per calcolo politico: è infatti riuscito a cancellare ed inglobare nell’Idv l’intera sinistra radicale. Nessuno va più nemmeno a raccogliere le dichiarazioni di Ferrero piuttosto che di Diliberto; bastano e avanzano le sue per soddisfare gli animi più esacerbati nei confronti del Cavaliere.

Sotto questo profilo più sconcertante di Di Pietro è Rosi Bindi. Lei che, di fronte al volto insanguinato del premier con il naso rotto e due denti spezzati, lo esorta a “non fare la vittima”. Difficile vederci un calcolo politico dietro questa affermazione ( Rosi vuol fondare la corrente dipietrista del Pd?), più verosimile un odio personale che l’ha fatta straparlare.

Alla fine può aver ragione Giannelli, il vignettista del Corriere, che racconta un Berlusconi con sette punti, non di sutura, ma di aumento della popolarità…Non c’è dubbio infatti che le persone di buon senso sono rimaste scosse e sono portate a dare concreta solidarietà al premier. Ma il clima resta pesante. Massimo Tartaglia infatti è tutt’altro che isolato, come dimostrano i suoi cinquantamila fans spuntati in poche ore su Facebook.

Molti esponenti del Pdl, sdegnati, chiedono di chiudere il sito. Ma sarebbe un errore. Perchè Internet, la rete, proprio grazie alla vigliaccheria dell’anonimato ci permette di capire che c’è anche questa fetta di Paese. Che non sono quattro gatti. Che se Tartaglia è matto, i matti in giro sono tanti. Fosse esistita la rete, ai tempi delle Brigate rosse, non avrebbero potuto raccontarci la balla sul loro isolamento sociale: avremmo avuto modo di constatare quanto ampi erano il consenso e la simpatia di cui godevano i nostri terroristi.

Proprio come oggi Facebook ci mostra tutto il seguito di Tartaglia. E per questi suoi fans scatenati non credo che il volto insanguinato di Berlusconi serva a ritrovare moderazione e senso della misura. Anzi, temo sia sangue sul fuoco di una guerra civile che affiora sempre più truculenta.

MAGISTRATI, PRETI E TELEVISIONE

 E’ sempre più evidente che lo scontro tra Berlusconi e i magistrati è la madre di tutte le battaglie, dal cui esito dipende la sopravvivenza stessa dell’attuale governo e del Cavaliere in quanto leader politico. Partendo da questa premessa, e a seconda che si tifi per la caduta o per la vittoria di Berlusconi, dovrebbero essere chiare le tattiche contrapposte. Mentre mi sembra ci sia una certa confusione, in entrambi i campi.

L’esortazione rivolta dal ministro Alfano ai magistrati – a non andare in televisione, a non partecipare a convegni o addirittura ad iniziative di partito, e a lavorare invece nei tribunali in modo serio e riservato – è infatti un’esortazione perfetta. Perchè non c’è dubbio che chi amministra la giustizia risulta tanto più credibile agli occhi dei cittadini quanto più adotta uno stile di vita diverso da quello di noi cittadini comuni (che siamo, appunto, soliti schierarci politicamente, partecipare a incontri e manifestazioni di piazza; che sbaviamo all’idea di esibirci in tivvù).

Per i magistrati vale (dovrebbe valere) una regola simile a quella dei sacerdoti. Sono patetici i tanti pretini che hanno rinunciato perfino a vestirsi da preti, che non portano più nemmeno una croce all’occhiello della giacca, che indossano jeans e maglioni per apparire oltre che per essere in tutto identici ai laici, che hanno vizi e passatempi uguali ai nostri, che ti esortano a dargli del “tu”…Patetici perchè loro per primi hanno rinunciato alla sacralità del proprio ruolo: con un prete in jeans e maglione, cui dai del “tu”, puoi andare a giocare assieme a briscola al bar…Ma non ti passa nemmeno per l’anticamera del cervello che possa essere il tramite a Dio, quello che ti amministra dei Sacramenti che siano veri Sacramenti. Dopo aver visto un don Mazzi superstar in tivvù come si fa a prendere da lui l’Eucarestia?…Ed infatti la credibilità della fede è crollata agli occhi della larga maggioranza degli italiani, proprio grazie al comportamento di quelli che avrebbero dovuto essere i primi “promoter” della fede.

Esattamente come la credibilità di una giustizia con la g maiuscola, cioè “cieca” e al di sopra delle ideologie, è crollata quando i vari magistrati hanno cominciato ad andare in televisione a lanciare i loro programmi politici di parte; quando un Antonio Ingroia – per venire ad uno dei casi recentissimi – partecipa ai convegni dell’Idv di Di Pietro e dice quello che ha detto di Berlusconi. Quando ci sono toghe presenti perfino alle manifestazioni dei no global.

Ma torniamo alla questioni delle tattiche. L’entourage di Berlusconi, ministro Alfano in testa, non ha alcun interesse a cercare di riportare i magistrati sulla retta via, a fargli riconquistare credibilità. Ha anzi l’interesse di sputtanarli ulteriormente agli occhi dei cittadini. E quindi il ministro della giustizia dovrebbe dire l’opposto di cioè che ha detto: andate in tivvù, mostratevi tutte le sere e su tutte le reti, parlate ai cittadini, impegnatevi a tenere alta la tensione sulla legalità! Al contrario chi ha a cuore la sacralità della Giustizia – il presidente Napolitano in testa, Di Pietro, Travaglio, Santoro…Silvestro e Federico – dovrebbero usare le parole di Alfano e dire ai magistrati: non esibitevi inutilmente, lavorate in silenzio, mostratevi il più possibile diversi dalle persone comuni che operano in balia delle passioni ideologiche!

 

CORI RAZZISTI E FAVORI AI RAZZISTI

Bastonarli sul serio e con il minor risalto mediatico possibile. Forse questa scelta potrebbe funzionare per contrastare la violenza fisica e verbale dentro e fuori dagli stadi. Dico forse. Di certo le soluzioni prospettate fin’ora fanno semplicemente ridere. Anzi sono addirittura demenziali come l’ipotesi (o la disposizione, fortunatamente disattesa) di sospendere le partire di fronte ai cori razzisti.

Siamo all’istigazione a delinquere, come constatato sabato sera in occasione di Juve-Inter, quando i tifosi juventini hanno potuto rivolgere impunemente qualunque insulto a Balotelli ed è bastato evitare quelli qualificabili come razzisti. Come se potessi dire ad un negro “figlio di puttana”, “stupratore di minorenni”, “assassino di vecchietti” e va tutto bene; mentre scatta la pubblica riprovazione solo se gli dici “negro di merda”…(E se dicessi a Del Piero “bianco di merda”?)

E’ uno dei paradossi della campagna antirazzismo estrapolata (ed ultra enfatizzata) da quella che dovrebbe essere una più generale campagna per estirpare dal calcio qualunque violenza fisica e contenere l’intemperanza verbale. Dico contenere l’intemperanza verbale, perchè penso che lo sfogo di un minimo di aggressività a livello orale sia uno dei motivi che ti spingono ad andare allo stadio.

Tra l’altro la tesi dei cori razzisti all’indirizzo di Balotelli, per essere confermata, dovrebbe spiegare come mai – restando alla stessa partita di sabato sera a Torino – non ci sia stato un solo coro all’indirizzo né dell’interista Eto’ né dello juventino Sissoko, entrambi neri tanto quanto Super-Mario. Che abbia ragione Gian Antonio Stella che, sul Corriere, ha fatto un affresco storico-sociologico, partendo dai tempi dei faraoni, per arrivare a concludere che noi vorremmo gli immigrati “invisibili” e non accettiamo che possa esistere un “black italian”? Oppure che sia solo una questione di antipatia ed arroganza nell’atteggiamento, per cui Balotelli si becca la stessa reazione inviperita che colpisce i Cassano piuttosto che i Totti?

Se è valida la seconda ipotesi, che personalmente trovo più convincente, abbiamo capito anche cosa debbono fare i tifosi che vorrebbero il ritorno di Cassano in nazionale: basta gridargli “terrone di merda” e la convocazione diventerà obbligatoria in nome della battaglia contro il razzismo! Esattamente come ha proposto di fare perfino il presidente della Camera Gianfranco Fini, dopo i cori razzisti contro Balotelli: il Mario neroazzurro subito in nazionale!…

Tornando al rimedio presunto, si capisce subito come sia peggiore del male. Perchè se dovessimo davvero sospendere una sola partita in risposta ai cori razzisti, avremmo consegnato proprio ai razzisti lo svolgimento del campionato dando loro l’opportunità di trasformarlo in un percorso di guerra. Mi pare infatti non ci voglia molto per capire che, non appena si profilasse la sconfitta della propria squadra, subito i tifosi vomiterebbero i peggiori insulti all’indirizzo di un giocatore di colore della squadra avversaria (o anche della propria) presente in campo, in panchina o in tribuna. E, alla luce del precedente, arbitro e autorità di pubblica sicurezza non potrebbero che ordinare la sospensione immediata della partita.

Non se ne uscirebbe più. Sarebbe il Vietnam (o l’Afganistan) del nostro calcio. Quindi è demenziale continuare a tuonare e pretendere la sospensione nei vari dibattiti televisivi e con fondi in prima pagina, addirittura sul Corriere. Diventa solo un favore, il miglior regalo possibile, fatto proprio a quelli che bolliamo come razzisti! Invece, tenendo presente l’ansia di protagonismo di certe frange di ultras del calcio (e della politica), penso che il modo più efficace di rapportarsi con loro sia ignorali sui media, individuarli con lo spiegamento di telecamere che abbiamo in tutti gli stadi, per bastonarli con rigore in tribunale. Ma per rispondere così, anche in questo caso, dovremmo essere il Paese serio che non siamo.