BERLUSCONI: LA “FOLLIA” E’ DI MASSA

 

 

 

Secondo Antonio Di Pietro, Berlusconi istiga reazioni violente perchè pensa solo alle leggi ad personam e trascura i problemi del Paese; primo tra tutti la crisi e la disoccupazione. Mi sembra più verosimile la tesi opposta: quando cioè, alle legittime critiche politiche, aggiungi i paragoni con Hitler (Di Pietro dixit) e sostiene che il premier è il mandante delle stragi di mafia, istighi qualcuno a passare alle vie di fatto. Qualcuno che certamente non ha tutte le carte in regola; come non le ha mai chi ricorre alla violenza (terroristi compresi). Ma un conto è la follia che esplode senza innesco, altro quella innescata dai cattivi maestri dell’odio politico.

Il ragionamento di Di Pietro è molto simile proprio a quello dei terroristi che giustificavano il ricorso alla violenza con le inadempienze e la crudeltà dello “Stato borghese” nei confronti della classe operaia. Mentre dovrebbe essere chiaro che – in democrazia – nemmeno il peggiore dei governi, nemmeno le leggi più nefande, possono giustificare il ricorso alla violenza. Dovrebbe essere ed è chiaro; lo è per tutti, compreso quel furbo contadino molisano di Di Pietro. Il quale però ci marcia per calcolo politico: è infatti riuscito a cancellare ed inglobare nell’Idv l’intera sinistra radicale. Nessuno va più nemmeno a raccogliere le dichiarazioni di Ferrero piuttosto che di Diliberto; bastano e avanzano le sue per soddisfare gli animi più esacerbati nei confronti del Cavaliere.

Sotto questo profilo più sconcertante di Di Pietro è Rosi Bindi. Lei che, di fronte al volto insanguinato del premier con il naso rotto e due denti spezzati, lo esorta a “non fare la vittima”. Difficile vederci un calcolo politico dietro questa affermazione ( Rosi vuol fondare la corrente dipietrista del Pd?), più verosimile un odio personale che l’ha fatta straparlare.

Alla fine può aver ragione Giannelli, il vignettista del Corriere, che racconta un Berlusconi con sette punti, non di sutura, ma di aumento della popolarità…Non c’è dubbio infatti che le persone di buon senso sono rimaste scosse e sono portate a dare concreta solidarietà al premier. Ma il clima resta pesante. Massimo Tartaglia infatti è tutt’altro che isolato, come dimostrano i suoi cinquantamila fans spuntati in poche ore su Facebook.

Molti esponenti del Pdl, sdegnati, chiedono di chiudere il sito. Ma sarebbe un errore. Perchè Internet, la rete, proprio grazie alla vigliaccheria dell’anonimato ci permette di capire che c’è anche questa fetta di Paese. Che non sono quattro gatti. Che se Tartaglia è matto, i matti in giro sono tanti. Fosse esistita la rete, ai tempi delle Brigate rosse, non avrebbero potuto raccontarci la balla sul loro isolamento sociale: avremmo avuto modo di constatare quanto ampi erano il consenso e la simpatia di cui godevano i nostri terroristi.

Proprio come oggi Facebook ci mostra tutto il seguito di Tartaglia. E per questi suoi fans scatenati non credo che il volto insanguinato di Berlusconi serva a ritrovare moderazione e senso della misura. Anzi, temo sia sangue sul fuoco di una guerra civile che affiora sempre più truculenta.

MAGISTRATI, PRETI E TELEVISIONE

 E’ sempre più evidente che lo scontro tra Berlusconi e i magistrati è la madre di tutte le battaglie, dal cui esito dipende la sopravvivenza stessa dell’attuale governo e del Cavaliere in quanto leader politico. Partendo da questa premessa, e a seconda che si tifi per la caduta o per la vittoria di Berlusconi, dovrebbero essere chiare le tattiche contrapposte. Mentre mi sembra ci sia una certa confusione, in entrambi i campi.

L’esortazione rivolta dal ministro Alfano ai magistrati – a non andare in televisione, a non partecipare a convegni o addirittura ad iniziative di partito, e a lavorare invece nei tribunali in modo serio e riservato – è infatti un’esortazione perfetta. Perchè non c’è dubbio che chi amministra la giustizia risulta tanto più credibile agli occhi dei cittadini quanto più adotta uno stile di vita diverso da quello di noi cittadini comuni (che siamo, appunto, soliti schierarci politicamente, partecipare a incontri e manifestazioni di piazza; che sbaviamo all’idea di esibirci in tivvù).

Per i magistrati vale (dovrebbe valere) una regola simile a quella dei sacerdoti. Sono patetici i tanti pretini che hanno rinunciato perfino a vestirsi da preti, che non portano più nemmeno una croce all’occhiello della giacca, che indossano jeans e maglioni per apparire oltre che per essere in tutto identici ai laici, che hanno vizi e passatempi uguali ai nostri, che ti esortano a dargli del “tu”…Patetici perchè loro per primi hanno rinunciato alla sacralità del proprio ruolo: con un prete in jeans e maglione, cui dai del “tu”, puoi andare a giocare assieme a briscola al bar…Ma non ti passa nemmeno per l’anticamera del cervello che possa essere il tramite a Dio, quello che ti amministra dei Sacramenti che siano veri Sacramenti. Dopo aver visto un don Mazzi superstar in tivvù come si fa a prendere da lui l’Eucarestia?…Ed infatti la credibilità della fede è crollata agli occhi della larga maggioranza degli italiani, proprio grazie al comportamento di quelli che avrebbero dovuto essere i primi “promoter” della fede.

Esattamente come la credibilità di una giustizia con la g maiuscola, cioè “cieca” e al di sopra delle ideologie, è crollata quando i vari magistrati hanno cominciato ad andare in televisione a lanciare i loro programmi politici di parte; quando un Antonio Ingroia – per venire ad uno dei casi recentissimi – partecipa ai convegni dell’Idv di Di Pietro e dice quello che ha detto di Berlusconi. Quando ci sono toghe presenti perfino alle manifestazioni dei no global.

Ma torniamo alla questioni delle tattiche. L’entourage di Berlusconi, ministro Alfano in testa, non ha alcun interesse a cercare di riportare i magistrati sulla retta via, a fargli riconquistare credibilità. Ha anzi l’interesse di sputtanarli ulteriormente agli occhi dei cittadini. E quindi il ministro della giustizia dovrebbe dire l’opposto di cioè che ha detto: andate in tivvù, mostratevi tutte le sere e su tutte le reti, parlate ai cittadini, impegnatevi a tenere alta la tensione sulla legalità! Al contrario chi ha a cuore la sacralità della Giustizia – il presidente Napolitano in testa, Di Pietro, Travaglio, Santoro…Silvestro e Federico – dovrebbero usare le parole di Alfano e dire ai magistrati: non esibitevi inutilmente, lavorate in silenzio, mostratevi il più possibile diversi dalle persone comuni che operano in balia delle passioni ideologiche!

 

CORI RAZZISTI E FAVORI AI RAZZISTI

Bastonarli sul serio e con il minor risalto mediatico possibile. Forse questa scelta potrebbe funzionare per contrastare la violenza fisica e verbale dentro e fuori dagli stadi. Dico forse. Di certo le soluzioni prospettate fin’ora fanno semplicemente ridere. Anzi sono addirittura demenziali come l’ipotesi (o la disposizione, fortunatamente disattesa) di sospendere le partire di fronte ai cori razzisti.

Siamo all’istigazione a delinquere, come constatato sabato sera in occasione di Juve-Inter, quando i tifosi juventini hanno potuto rivolgere impunemente qualunque insulto a Balotelli ed è bastato evitare quelli qualificabili come razzisti. Come se potessi dire ad un negro “figlio di puttana”, “stupratore di minorenni”, “assassino di vecchietti” e va tutto bene; mentre scatta la pubblica riprovazione solo se gli dici “negro di merda”…(E se dicessi a Del Piero “bianco di merda”?)

E’ uno dei paradossi della campagna antirazzismo estrapolata (ed ultra enfatizzata) da quella che dovrebbe essere una più generale campagna per estirpare dal calcio qualunque violenza fisica e contenere l’intemperanza verbale. Dico contenere l’intemperanza verbale, perchè penso che lo sfogo di un minimo di aggressività a livello orale sia uno dei motivi che ti spingono ad andare allo stadio.

Tra l’altro la tesi dei cori razzisti all’indirizzo di Balotelli, per essere confermata, dovrebbe spiegare come mai – restando alla stessa partita di sabato sera a Torino – non ci sia stato un solo coro all’indirizzo né dell’interista Eto’ né dello juventino Sissoko, entrambi neri tanto quanto Super-Mario. Che abbia ragione Gian Antonio Stella che, sul Corriere, ha fatto un affresco storico-sociologico, partendo dai tempi dei faraoni, per arrivare a concludere che noi vorremmo gli immigrati “invisibili” e non accettiamo che possa esistere un “black italian”? Oppure che sia solo una questione di antipatia ed arroganza nell’atteggiamento, per cui Balotelli si becca la stessa reazione inviperita che colpisce i Cassano piuttosto che i Totti?

Se è valida la seconda ipotesi, che personalmente trovo più convincente, abbiamo capito anche cosa debbono fare i tifosi che vorrebbero il ritorno di Cassano in nazionale: basta gridargli “terrone di merda” e la convocazione diventerà obbligatoria in nome della battaglia contro il razzismo! Esattamente come ha proposto di fare perfino il presidente della Camera Gianfranco Fini, dopo i cori razzisti contro Balotelli: il Mario neroazzurro subito in nazionale!…

Tornando al rimedio presunto, si capisce subito come sia peggiore del male. Perchè se dovessimo davvero sospendere una sola partita in risposta ai cori razzisti, avremmo consegnato proprio ai razzisti lo svolgimento del campionato dando loro l’opportunità di trasformarlo in un percorso di guerra. Mi pare infatti non ci voglia molto per capire che, non appena si profilasse la sconfitta della propria squadra, subito i tifosi vomiterebbero i peggiori insulti all’indirizzo di un giocatore di colore della squadra avversaria (o anche della propria) presente in campo, in panchina o in tribuna. E, alla luce del precedente, arbitro e autorità di pubblica sicurezza non potrebbero che ordinare la sospensione immediata della partita.

Non se ne uscirebbe più. Sarebbe il Vietnam (o l’Afganistan) del nostro calcio. Quindi è demenziale continuare a tuonare e pretendere la sospensione nei vari dibattiti televisivi e con fondi in prima pagina, addirittura sul Corriere. Diventa solo un favore, il miglior regalo possibile, fatto proprio a quelli che bolliamo come razzisti! Invece, tenendo presente l’ansia di protagonismo di certe frange di ultras del calcio (e della politica), penso che il modo più efficace di rapportarsi con loro sia ignorali sui media, individuarli con lo spiegamento di telecamere che abbiamo in tutti gli stadi, per bastonarli con rigore in tribunale. Ma per rispondere così, anche in questo caso, dovremmo essere il Paese serio che non siamo.

 

FIGLIO MIO, VA VIA DA QUESTA ITALIA

 

 

“Non andatevene”, “possiamo crescere”, “dobbiamo avere fiducia nelle potenzialità del nostro Paese”. Con queste parole il presidente Napolitano ha lanciato oggi ai giovani un appello contrario a quello dell’ex direttore generale Rai, Pier Luigi Celli, che nei giorni scorsi aveva invitato suo figlio ad andarsene via dall’Italia, a costruirsi altrove il suo futuro.

L’esortazione del presidente della Repubblica, mi ricordano quelle ricorrenti a “comprare italiano” per aiutare le nostre industrie. Della serie: compratevi una Fiat perchè è un’auto italiana. Col cavolo. Compro la Fiat solo se nel rapporto qualità prezzo è più vantaggiosa della Volkswagen; altrimenti mi prendo la Golf, e non mi sento certo un traditore della Patria perchè ho scelto un auto tedesca.

Mi sembra inevitabile, oltre che giusto, che oggi i giovani nell’era della globalizzazione scelgano in quale Paese del mondo andare a vivere e lavorare. Che scelgano in base a tutta una serie di variabili: l’opportunità di reddito, la qualità del welfare, il clima, l’ordine o la trasgressione che regnano in un certo Paese. E mi sembra logico che lo facciano non solo i giovani laureandi, come il figlio di Celli, ma anche i giovani artigiani, operai, ragionieri; chiunque abbia una vita davanti.

Si potrà obiettare che noi anziani siamo più maturi, e magari compiremmo una scelta più oculata; purtroppo però abbiamo un’età in cui ci resta da scegliere solo il cimitero…(oppure i Caraibi, dove vivere decentemente anche con la pensione sociale…). Ma un giovane perchè mai dovrebbe chiudersi in partenza l’orizzonte delle opportunità invece che aprirlo? Dovrebbe farlo in omaggio alla sua Patria? A questa Patria italiana che per prima li ha traditi: nel senso che non ha trasmesso loro nemmeno un’idea comune, un sistema di valori condivisi. Ed invece – proprio come ha sottolineato Celli – continua quotidianamente a proporre una lezione di scontri e divisioni. Noi italiani perennemente in guerra civile: cinquant’anni fa divisi tra fascisti e antifascisti, cinquant’anni dopo tra berlusconiani e antiberlusconiani…Come si fa a dire ad un giovane che ha il dovere di restare qui, di impegnarsi a migliorare quel Paese che già Mussolini aveva compreso e proclamato essere ingovernabile? (“Non è difficile, è inutile provare a governare gli italiani”). Con che coscienza il presidente Napolitano li imbroglia fingendo di credere a ciò che lui per primo non crede, cioè che si possa riformare l’Italia?

L’Italia vera è quella che ha dipinto Celli nella pubblica lettera scritta a suo figlio (sulle pagine di Repubblica): un Paese dove non esiste il merito, soffocato dalle corporazioni; dove fa agio il nepotismo, l’affiliazione politica e di clan; dove non sai nemmeno se potrai prendere un aereo perchè sei in balia delle bizze dei dipendenti Alitalia. E non si venga a dire che Pier Luigi Celli non ha titolo a parlare perchè, lui per primo, è arrivato dove e arrivato solo grazie all’appartenenza politica. Che obiezione è mai questa? Significa che solo un santo può parlare di santità? Manzoni e Dostoevskij ci hanno insegnato l’esatto contrario: cioè che proprio il grande peccatore, appunto perché ha sperimentato sulla propria pelle il male del mondo, ha molte più probabilità di redimersi e redimere il prossimo. Appunto come ha tentato di fare Celli con suo figlio. Mentre Napolitano tenta di perpetrare l’inganno.

CHI METTE LA COPPOLA A BERLUSCA

Agli ultras antiBerlusca, che anche nel post precedente mi accusano di essere zerbino acritico del Cavaliere, ricordo che gli imputo quello che per me è il peggiore dei tradimenti, un autentica apostasia: il taglio delle tasse solennemente promesso e mai mantenuto. Fossimo meno dediti alle pugnette ideologiche, magari capiremmo che questo è l’essenziale e tutto il resto fuffa o quasi. L’essenziale è quanto paghiamo allo Stato e che qualità dei servizi otteniamo in cambio. Ho scritto, e lo ripeto, che il governo Berlusconi-Tremonti è peggio di quello Prodi-Visco perchè ha aumentato di qualcosa le tasse continuando a propinarci gli stessi servizi di merda.

Ricordato quanto gli ultras dimenticano (perchè non funzionale ai loro preconcetti) aggiungo che, pur essendo tifoso dell’Inter, non posso per questo negare che Kaka sia un fuoriclasse. Non tifo Berlusconi, ma non ho sufficiente mortadella ideologica davanti agli occhi per non constatare che è lui il fuoriclasse della nostra politica. Come lo sono, a loro modo, anche Bossi e Di Pietro. Questi tre sono infatti gli unici politici che, con diverso successo, hanno saputo creare dal nulla nuovi partiti e raccogliere consensi crescenti. Gli altri invece sono scamorze perchè hanno seguito il percorso inverso: partivano cioè dall’eredità enorme del Pci e della Dc e via via hanno continuato e continuano a perdere il patrimonio di consensi. I primi sono, appunto, i Berlusconi; i secondi i Lapo Elkan della politica.

Ma – e arriviamo al dunque – nel nostro Paese c’è una intellighenzia, che non saprei se definire vetero comunista o neo monarchica, che rispetta solo i patrimoni ereditati e guarda con sospetto a chi ha saputo costruire una fortuna con le proprie forze e partendo dal nulla: per questo gli Agnelli, e perfino i loro epigoni, hanno sempre goduto di un rispetto omertoso; mentre questa intellighenzia snob guarda con sdegno ai pervenù, non accetta che una fortuna economica (come politica) possa essere costruita dal nulla con l’ingenio e la costanza.

Ecco perchè giornalisti come Giuseppe D’Avanzo di Repubblica non possono nemmeno concepire che ci sia un geniale imprenditore che, con i crediti ottenuti dalla banca Rasini, ha saputo costruire una fortuna prima nell’edilizia e poi con le televisioni. Subito vedono ombre, ombre lunghe. Escluso che, anche in Italia come negli Usa, possano esserci i self made man. Bisogna per forza arrampicarsi sugli specchi e immaginare che lo abbia finanziato la mafia riciclando tramite lui il denaro sporco delle attività criminali. E chissà mai che non spunti la teoria che i nazisti hanno finanziato Carlo De Benedetti, perchè nessuna copertura era più efficace per loro di quella data da un imprenditore ebreo…

Ci può stare tutto quando basta la “ricostruzione” di un pentito e si può cominciare a sparare a zero senza aspettare alcun serio riscontro. Ma, alla base, c’è appunto questa mentalità aristocratica di una certa sinistra italiana, vetero comunista o neo monarchica, che non tollera né in politica né in economia chi sale alla ribalta con le proprie forze. In America ad uno come Berlusconi avrebbero dato la medaglia, in Italia cercano di mettergli la coppola.

VERONICA PRIMA, ELISABETTA II

 

Veronica prima, dato che al momento la Lario resta la first lady italiana; Elisabetta II, con questo nome, nella dinastia Tudor. Ma, se guardiamo al volgarissimo lato economico, Veronica resta prima e la regina d’Inghilterra scivola invece al quinto posto: nel senso che percepisce, dalle tasse dei suoi sudditi come appannaggio annuo reale, solo un quinto di quello che la Lario chiede al marito per la separazione consensuale.

Il Corriere della sera ha anticipato l’ammontare esorbitante dell’assegno di mantenimento richiesto della separanda signora Berlusconi: 3,5 milioni di euro abbondanti al mese (sette miliardi di vecchie liruzze, 230 milioni al giorno) per un importo annuo complessivo di 43 milioni di euro. L’appannaggio annuale della regina d’Inghilterra è di 7,9 milioni di sterline che corrispondono a 8,75 milioni di euro. Ed il conto è bello e fatto: Veronica prima, Elisabetta quinta!

Si resta senza fiato pensando a quanto strada ha fatto questa ex giovane attrice della compagnia di Enrico Maria Salerno, che con le sue recite al teatro Manzoni folgorò il già maturo re delle televisioni italiane; tanta strada da far invidia perfino ad Elisabetta, alla più famosa e facoltosa regina del mondo…

E’ vero che Berlusconi è un riccone, e sappiamo che con i matrimoni si dividono anche i patrimoni. Ma è vero anche che ci vorrebbe un po’ meno di ipocrisia sulla causa scatenante: era insopportabile che andasse alla festa della diciottenne Noemi, che si circondasse di belle donne e le frequentasse anche nei dopo cena? O era insopportabile vedere sul ponte di comando i due figli di primo letto? Legittimo, per carità, pretendere una più equa spartizione: Ma avendo il coraggio di dire che stiamo parlando di fior di soldoni, non di pedofili assatanati di minorenni in fiore.

Silvio, ovviamente, cerca di resistere: i 3,5 milioni al mese non vuole sganciarli, è fermo ad una controproposta massima di 300 mila. Ma intanto, come effetto collaterale, si è già conquistato la simpatia di altri italiani: perchè fa sentire un po’ meno pirla i tanti che hanno perso la testa e pagato a caro prezzo la passione senile per una più giovane moglie, per un’amante, per un trans…Anche se, con tutto il rispetto per sua Maestà Veronica Prima, il confronto fra tariffe è inevitabile: cosa sono i duemila euro per una serata con la D’Addario o i cinquemila per la prestazione di una Brenda? Una miseria o, se vogliamo, un affare…D’ora in avanti chi ha soldi e patrimonio non potrà più sottovalutare le conseguenze economiche future, pensandoci bene se convenga percorrere un unico nuovo matrimonio o centomila nuove avventure…

Chi ha soldi e patrimonio. Poi ci sono tutti gli altri e tutte le altre, che magari avrebbero anche loro un rapporto logorato come Veronica e Silvio; ma non hanno nemmeno un euro da destinare agli alimento dopo e agli avvocati prima. A loro non resta che convincersi che il matrimonio è e deve restare indissolubile.

 

MA IL VERO STRONZO E’ FINI

 

Non so se esista il reato di vilipendio al presidente della Camera, ma mi prendi il rischio e lo scrivo: qui il vero stronzo è Fini.

Lo è anche per un aspetto formale. Che pena questa Terza Carica dello Stato che si atteggia a bulletto davanti ai ragazzini facendo (crede lui) il trasgressivo, cioè usando un epiteto del linguaggio corrente! Nessuno gli ha spiegato che mai come oggi gli studenti, fin troppo bulletti e trasgressivi di loro, hanno bisogno di trovarsi di fronte un serio educatore che ristabilisca le distanze anche con il rigore del linguaggio, e non un complice d’accatto?

Ma Fini stronzo lo è, soprattutto, per la questione sostanziale: nel senso che uno degli stronzi peggiori è colui che nega, che banalizza, la realtà in omaggio al politicamente corretto. Cosa vuole spiegarci il presidente della Camera che i veronesi “tuti mati” sono uguali ai padovani “gran dotori” o ai vicentini “magna gati”? Siamo forse di fronte alla riedizione della storica idiozia del proto femminismo che voleva omologare la donna all’uomo?

Per fortuna uomini e donne sono diversi, profondamente diversi. Per fortuna – intesa come ricchezza della varietà del mondo – ci sono differenze anche tra i vari “campanili” della nostra regione. E poi tra veneti e lombardi, tra settentrionali e meridionali. Tra italiani e tedeschi, tra europei e africani e asiatici. O Fini pensa che la storia, la cultura, le tradizioni, possano essere cancellate e negate? E’ banalizzando che si costruisce una “moderna destra europea”?

Ovviamente non stiamo parlando di diritti e doveri. Ovvio che uomini e donne, veronesi e padovani, bianchi e neri hanno gli stessi diritti. (Magari è meno accettato che abbiano anche gli stessi doveri). Chiaro che nessuno può essere discriminato per il colore della pelle, il credo religioso o le convinzioni politiche (al punto che anche Fini resta libero di dire le sue stronzate). Ma riaffermare questi principi è e resta una grande battaglia democratica e civile proprio perchè si parte da profonde diversità. Non ci fossero questi diversità, fossimo tutti “uguali” come banalmente si dice, non ci sarebbe nessuna battaglia da combattere.

D’altra parte perchè oggi è così difficile da governare la società multietnica? Difficile non solo in Italia ma anche in Francia, in Gran Bretagna, in Spagna, dovunque. Non perchè qualche stronzo dice che le varie etnie sono diverse; ma perchè sono diverse nei fatti ed è quindi molto difficile farle convivere in modo civile e pacifico. Avesse ragione Fini nella sua semplificazione, basterebbe mettere a tacere qualche stronzo e avremmo risolto i problemi.

Mentre i problemi riusciamo almeno ad affrontarli (non dico a risolverli,) solo se guardiamo in faccia la realtà invece che negarla. E la realtà è che oggi nel nostro Paese si trovano a convivere persone con stili di vita, culture, religioni molto diverse; al punto di essere spesso conflittuali. La convinvenza per tanto diventa possibile se si accetta un punto di partenza, che invece l’ultima dichiarazione di Fini rende ambiguo: c’è chi si trova a casa propria e chi arriva a casa d’altri; e questi ultimi sarebbe dunque tenuti – non dico a rinunciare alla propria diversità – ma almeno a non confliggere con lo stile di vita di chi li ha accolti.

Qui però emerge il vero problema, l’autentico dramma tutto italiano. Nel senso che noi italiani siamo così diversi tra noi, manchiamo di un’idea condivisa del nostro stesso Paese, della sua storia, del suo futuro, da non avere nemmeno una cultura intesa in senso lato (come possono avere i tedeschi o i francesi) da prospettare come stile di vita agli stranieri. I quali hanno dunque trovato da noi il Bengodi dove scorrazzare forti della loro diversità.

 

L’ONDA DEI PROFE FERMA I VANDALI

 

 

Finalmente un buona notizia: nell’autunno 2009 la solita “onda” (sempre più stantia e striminzita) degli studenti pronti ad occupare le scuole è stata fermata dall’onda dei profe che a Roma sono andati a presidiare il loro liceo impedendo così che venisse occupato, cioè devastato. Tanto di cappello a questi professori, e al loro coraggio, che hanno rischiato, anche fisicamente, pur di preservare un minimo di strumenti, lo stesso spazio fisico dove svolgere l’attività didattica. Hanno rischiato e rischiano il linciaggio pur di continuare il loro lavoro.

Avessimo un informazione seria, invece di andare ad accogliere come eroi (in un tripudio di flash e telecamere) i due teppisti che i magistrati milanesi hanno avuto la dabbenaggine di rilasciare impuniti dopo gli scontri e le auto bruciate del corteo anti Gelmini. Avessimo un informazione seria – dicevo – andrebbe a mostrare come riducono le scuole questi delinquenti che le occupano in nome di sedicenti motivazioni politiche: computer rubati, telefoni rotti, servizi igienici devastati, aule ridotte peggio delle curve dello stadio Olimpico.

Quando occupavamo quarant’anni fa noi sessantottini, facevamo almeno finta di avere una motivazione nobile: bisognava fare anti informazione, perchè la scuola borghese si rifiutava di insegnarci come si abbatte lo Stato borghese, e così organizzavamo in autogestione la nostra “oretta di religione”, cioè il corso di mistica marxista o le istruzione per l’uso della bomba molotov rivoluzionaria… Questi invece, quarant’anni dopo, nemmeno fanno più finta di avere un motivo per occupare. Motivo comunque inesistente. Perchè può aver senso occupare una fabbrica, puntando a bloccare le produzione e danneggiare la controparte. Ma quando occupi una scuola chi danneggi se non te stesso negandoti un qualunque apprendimento?

Da decenni le scuole vengono occupate dall’onda degli sfaticati e dei violenti. Da chi non vuole impegnarsi a studiare e da chi coglie ogni occasione per sfogare un aggressività distruttiva. Eppure i veri colpevoli, o i principali colpevoli, non sono questi teppisti travestiti da agitatori politici. I primi responsabili siamo noi adulti: politici, genitori, insegnanti. Tutti coloro che, con un atteggiamento che non può che essere definito da pedofili, hanno continuato a lusingare, a sedurre, questi ragazzi prendendo per buone le loro motivazioni ufficiali, accettando di fingere che ci fosse un problema e quindi una giustificazione politica ai loro atti. Quando invece tutti – politici, appunto, genitori, insegnanti e anche magistrati – dovevano solo prendere in mano il bastone e rimandarli sui banchi, oppure mandarli a lavorare

Non che la scuola non abbia mille problemi, non che la riforma della Gelmini sia il toccasana. Ma anche un idiota capisce che l’occupazione non serve né a risolvere una virgola né a migliorare di un etta la riforma. Oggi anche gli esponenti della sinistra scoprono che la maggioranza degli studenti vogliono entrare a scuola e fare lezione. Ma questo era evidente già nel Sessantotto; già allora le facoltà e i licei venivano occupati da una minoranza che violava il diritto allo studio della maggioranza, che commetteva un reato tanto preciso quanto grave. Ma per quarant’anni, da pedofili, abbiamo fatto finta di niente. (Forse per gli occupanti vigeva un qualche Lodo che ha sospeso l’obbligatorietà dell’azione penale…?)

Oggi è arrivata l’onda dei professori coraggiosi. L’importante è non lasciarli soli. E’ fondamentale dimostrare che tutta l’Italia civile è dalla loro parte, cioè è consapevole che la ricostruzione di una scuola degna di questo nome inizia proprio difendendo dai vandali lo spazio e le strutture dove deve svolgersi l’attività didattica.

GHEDDAFI LIBERO DI SPUTTANARE GESU’

 

 

Quanto combinato a Roma da Gheddafi è tanto più inaudito alla luce del precedente: le vignette satiriche su Maometto che innescarono le fiamme della rivolta nel mondo islamico. Una la mostrò anche il ministro Calderoli stampata sulla sua maglietta e provocò l’assalto della folla al nostro consolato proprio nella Libia del Colonnello.

Reazioni giustificate – a detta di molti – perchè tutte le religioni meritano rispetto e nessuna deve essere oggetto di ironie. Anche chi allora non prese una posizione così politicamente corretta, rimase comunque impressionato dalla forza di quella reazione, dalla fede granitica che permeava e permea i credenti mussulmani.

C’è poi l’altro precedente – per molti versi ancor più clamoroso – di un Papa Razinger che pensava di essere rimasto un professore di teologia colto e insinuante e che, a Ratisbona, osò citare quell’imperatore bizantino, Manuele Paleologo, secondo il quale l’Islam sarebbe una religione di guerra. Ricordate cosa successe? Il Papa dovette scusarsi e umiliarsi in ogni modo e luogo, per evitare che nei Paesi mussulmani iniziasse la caccia al sacerdore e al fedele cattolico.

Messi a fuoco i due precedenti, veniamo al nostro ineffabile Maummar Gheddafi che arriva a Roma che (come ben sappiamo) prima di essere la capitale d’Italia è la capitale del cristianesimo, la Mecca dei cristiani. Arriva e si mette a predicare il Corano alle escort. Fin qui niente da dire perchè anche Gesù amava circondarsi di Maddalene…Ma poi, nella sua predica, non è che abbia solo ironizzato né fatto semplicemente della satira sulla religione cristiana. Ha invece rivolto il peggiore insulto a quel Cristo che è il fulcro stesso della nostra religione, lo ha sputtanato definendolo – questo ha detto il Colonnello – un vigliacco che, dopo aver predicato bene, razzolò malissimo: cioè nel momento cruciale sarebbe scappato tra le braccia di Dio padre, mandando un suo sosia a morire sulla croce!… Se avete un dubbio, o eravate distratti, andate a leggervi i resoconti della “lectio magistralis” tenuta dal leader libico al cospetto delle cento fanciulle ingaggiate per ascoltarlo.

Dopo di che, più sconcertante ancora delle parole di Gheddafi è il silenzio totale che è seguito. Non mi aspettavo certo una rivolta di piazza da parte del popolo del Dio cristiano, ma mi sarebbe sembrato il minimo una protesta ufficiale. Anzitutto da parte della segreteria di Stato vaticana.

Invece a difendere il cristianesimo da un attacco così ignobile è rimasto solo l’agente segreto “betulla”, alias Renato Farina, che ha espresso tutto il suo sacrosanto sdegno di giornalista cattolico sul Giornale. Pierluigi Battista ha scritto sul Corriere un pezzo incentrato sulla dicriminazione della ragazze piccole e brutte, escluse dall’invito del Colonnello. Per il resto silenzio assordante.

E, se vogliamo, bene che se ne sia stato zitto il mondo politico; evitandoci così la replica della ridicola strumentalizzazione fatta attorno al crocifisso “sentenziato” dalla Corte europea (fatto, per altro, molto più veniale dei pesanti insulti lanciati impunemente da Gheddafi). Ma lascia allibiti il comportamento, la mancanza di reazioni, del Vaticano. Forse il cardinal Bertone era distratto…dalle voci che danno Lippi di ritorno sulla panchina della sua Juventus…Ma con tutti quegli uffici pontifici che intervengono e prendono posizione su tante questioni, anche non di pertinenza della fede, possibile che non ci sia stato nemmeno un monsignore pronto ad insorgere, a difendere Gesù Cristo dalla sciabolata islamica del Colonnello?

Da chiedersi se non avesse ragione la profetessa Oriana Fallaci a parlare di Eurabia, di un Occidente cristiano che si arrende senza nemmeno tentare di resistere.

 



 

MAFIA E (FINTA) FOLLA FESTANTE

 Ogni volta che viene catturato un boss della mafia puntualmente ce lo spacciano come il “numero uno di Cosa Nostra”; oppure, mal che vada, come il numero due. Ed è appunto il caso dell’ultimo, cioè di questo Domenico Raccuglia. Todos caballeros, todos generale: si vede che nelle cosche manca la truppa…Oppure che ci spacciano per “boss dei boss” uno che è poco più di un picciotto. Quale ipotesi vi sembra più convincente?

Intanto mi sembra molto poco convincente anche quella folla plaudente che ogni volta vediamo accogliere, fuori dalle questure, l’arrivo del mafioso ammanettato. L’ho appena vista anche con Raccuglia nei telegiornali della sera. E mi ricorda le claque che battono le mani nei vari studi televisivi quando si accende la scritta “applausi!”. Intanto definirla folla è un’esagerazione: per quanto le telecamere stringano, non riescono a nascondere che sono massimo una cinquantina di persone. Così come erano sparuti i lenzuoli bianchi che anni fa comparvero sui balconi di Palermo come manifestazione di protesta contro la mafia: pare li avessero esposti solo i famigliari dei tutori dell’ordine in servizio nella città siciliana.

La finta folla festante per la cattura del boss, che ci viene proposta, dovrebbe essere la dimostrazione di un’opinione pubblica locale – siciliana, piuttosto che calabrese o campana – che esulta per l’ennesimo “duro colpo inferto alla grande criminalità organizzata”. Quando in realtà, nella migliore delle ipotesi, è indifferente. Nella peggiore pronta a solidarizzare con i boss, anche sui campi di calcio.

E arriviamo alla vera questione. Perchè delle due l’una: o siamo razzisti, e quindi convinti che i cittadini del Mezzogiorno siano geneticamente predisposti al crimine; oppure dobbiamo domandarci come mai il nostro Stato abbia clamorosamente fallito ai loro occhi al punto di risultare meno appetibile delle cosche. Non ostante l’enorme quantità di risorse che lo Stato ha profuso al Sud sia come aiuti economici che sul piano della repressione affidata ai magistrati e alle forze di polizia.

Ripeto e concludo: o prendiamo per buona la folla festante fuori dalle questure, e ci convinciamo che rappresenti l’opinione pubblica meridionale, oppure dobbiamo capire perchè considera quelle dello Stato truppe di occupazione e quelle della mafia le sue brigate partigiane.