SESSO E POTERE, MARRAZZO CONFERMA

 A prescindere dai risvolti giudiziari, la vicenda di Piero Marrazzo ci insegna (o ci conferma) alcune cose su quel piano dei rapporti interpersonali che, sulla carta, ci vedrebbe tutti molto aperti e disinibiti. Partiamo da Giorgio Gaber che, trent’anni fa, faceva dire al protagonista di una sua canzone “Per me vanno bene tutti: uomini, donne, animali, caloriferi…”. Questa sembrerebbe essere la regola sessuale corrente, con l’unica puntualizzazione che il gatto o il termosifone siano maggiorenni e consenzienti…

Fatto salvo cioè il reato di pedofilia, oggi diamo per scontato che tra maggiorenni consenzienti possa avvenire tutto quanto concordato, compreso il libero scambio di denaro per prestazioni. Dopo di che ognuno risponde ai propri retaggi di cultura sessuale: quel macista reazionario del Cav è rimasto fermo alla gnocca, mentre un progressista come Marrazzo giustamente coltiva le nuove frontiere della trans sessualità. Quindi l’unico torto del governatore del Lazio sarebbe quello di non aver trovato il coraggio di infilarsi i pantaloni e denunciare quel vergognoso ricatto che voleva impedire il diritto alla libera espressione del suo eros…

Qui però si intravvede una prima discrasia. Nel senso che mentre il Cavaliere non ha mai avuto problemi a vantarsi pubblicamente delle proprie conquiste femminili, Marrazzo (e prima di lui Sircana) sembrerebbero vergognarsi delle loro trans-frequentazioni…Come se la pubblica opinione fosse ancora così’ bigotta da considerare una perversione le performance di Piero con Natalie e un sano soddisfacimento le nottate (con doccia gelata) di Silvio con Patrizia. Che sia così? Vuoi vedere che nell’intimo l’opinione pubblica resta un tantino tradizionalista quanto a rapporti sessuali?

Seconda questione. Alle persone comuni hanno sempre spiegato (da secoli e secoli) che c’è una serietà, c’è un’etica nei rapporti interpersonali. E gli uomini veri, le donne responsabili, sanno che ci sono dei codici di comportamento…Mesi e mesi di gossip, il continuo spiare dal buco della serratura dei potenti a seguire prima le escort e adesso i trans, ci aiutano a capire che queste regole e questi codici per i potenti non sono (quasi) mai esistiti: né per i Kennedy né per Fidel Castro, né per Mitterand né per Berlusconi e, giù a scendere, né per Marrazzo né per Sircana né per Salvatore Sottile (lo ricordate? L’ex braccio destro di Fini che prometteva carriere televisive in cambio di gnocca)), fino a quel direttore di carcere arrestato nei giorni scorsi perchè pretendeva prestazioni sessuali da una detenuta in cambio dei permessi di semi libertà.

Ai vari livelli chiunque ha detenuto il potere lo ha usato per ampliare la sfera del piacere sessuale. (Gli unici che non lo hanno fatto, come Hitler o come Stalin, è solo perchè avevano gravi impedimenti in quella sfera…Ed è stato peggio ancora, nel senso che hanno trovato ben altri sfoghi per la loro libidine repressa). Possiamo anche capirlo, e magari pure invidiarli. Ma la cosa inaccettabile è che vengano a raccontare a noi, persone comuni, che c’è un’etica e che ci sono delle regole, che il coniuge o il partner va rispettato e che è indecente tradirlo…


 

 

 

NUOVO CALCIO, VETERO COMUNISMO

 

 

Neanche il tempo di varare la legge sui nuovi stadi, approvata dal Senato e non ancora dalla Camera, che già divampa la solita accusa: speculazione! La lancia Lega Ambiente perché chi costruirà i nuovi stadi, cioè le società calcistiche, potrà annetterci al posto dei soliti impianti sportivi o palazzetti (che non rendono nulla e comportano anzi solo costi di gestione) i “complessi multifunzionali”, cioè dei bei centri commerciali con negozi, bar, ristoranti e tutto il resto.

Prima di entrare nel merito dei nuovi stadi, alcune considerazioni su questa mentalità davvero vetero-comunista che bolla come sprezzantemente negativa qualunque speculazione, cioè qualunque tentativo di guadagnare. Se parliamo di condomini costruiti nella Valle dei Templi, queste sono le speculazioni che tutti condanniamo. Non il resto, non quanto fatto con regole e leggi: la speculazione economica, intesa come impegno e ricerca del guadagno, è sacrosanta. Va benedetta e incoraggiata. E’ quella che ha fatto uscire il Veneto dal sottosviluppo secolare. Quando cioè, per puro calcolo speculativo, moltissimi veneti hanno abbandonato un’agricoltura con redditi da fame e sono passati all’industria. E poi tanti di loro sono diventati piccoli imprenditori in proprio, creando quel tessuto produttivo diffuso che è la ricchezza della nostra regione. Lo hanno fatto per spirito speculativo, cioè per migliorare la loro situazione materiale. La speculazione economica è la scelta etica. La scelta immorale invece è ripiegare sul posto di lavoro pubblico improduttivo, diventando così un parassita sociale.

(Uno dei tanti veneti che merita un monumento è quel signore di Montebelluna che ho conosciuto anni fa: era un pubblico dipendente, un dirigenti delle Poste, e si è licenziato; si è messo sul mercato. Ha usato la liquidazione per aprire una delle tante aziende “del sottoscala” che operava nell’indotto della calzatura sportiva. Oltre a fargli un monumento bisognerebbe clonarlo e diffonderlo al Meridione…)

Venendo ai nuovi stadi, vale un discorso analogo. Fin’ora troppe società calcistiche sono state dei parassiti, se non sociali (anche quello: pensiamo alla Regione Sardegna che sponsorizzava il Cagliari) individuali: cioè dipendenti per sopravvivere dalla munificenza dei vari mecenati. Adesso realizzando questi “complessi multifunzionali”, incentivando al massimo il merchandising, possono finalmente attuare una sana speculazione economica che le renda nuovamente competitive con il calcio europeo. Anche imprenditori “di sinistra” (cioè avversari di Berlusconi) come i Della Valle vogliono speculare, cioè realizzare a Firenze il nuovo stadio con la Cittadella che solo può consentire alla Fiorentina di avere una forza economica propria.

Il calcio marcio, il calcio immorale è quello che si fa ripianare i debiti da leggi statali ad hoc o da presidenti con le mani bucate, come ieri Berlusconi col Milan e oggi Moratti con l’Inter. Il calcio sano è quello che vive di speculazioni, moltiplicando cioè le opportunità di introiti grazie ai centri commerciali annessi ai nuovi stadi. Ma per capirlo bisogna superare l’approccio vetero-comunista alla Lega Ambiente.


POSTO FISSO, MISERIA GARANTITA

 

Nell’elogio fatto dal ministro Tremonti del posto fisso che, secondo lui, consentirebbe di organizzare meglio “il progetto di vita e di famiglia”, va però aggiunta questa postilla: sarà comunque un progetto a ribasso di reddito. L’economia ha infatti le sue leggi e le sue regole, che il ministro dell’Economia per primo non può ignorare, nemmeno quando si mette a filosofeggiare.

Questa equazione, posto fisso=reddito basso, è confermata sia dalla storia che dal presente. La storia dei Paesi dell’Est dove tutti, ma proprio tutti, avevano il posto fisso e non c’era alcuna angoscia per il futuro: nel senso che si sapeva che l’avresti passato in coda a cercar di comperare un chilo di patate… Dopo c’era la nomenclatura, con il posto un po’ meno fisso (nel senso che i suoi membri rischiavano di essere fatti fuori d’emblée) e tutta una serie di privilegi anche economici. Ma per la massa il posto fisso significava miseria sicura: lavoravano tutti, lavoravano poco, venivano pagati ancora meno. E alla fine quel sistema economico implose

Anche oggi, nell’Italia del 2009, c’è la nomenclatura privilegiata – l’ultracasta dei magistrati, i manager pubblici, i vertici militari, etc – che, senza nemmeno correre i rischi dei loro colleghi dell’Est, hanno ottimi stipendi. Ma anche per la nostra massa dei pubblici dipendenti c’è il lento, quanto inesorabile, declino del reddito: insegnanti, medici, poliziotti, comunali guadagnano oggi meno, hanno meno potere d’acquisto rispetto a 20-30 anni fa. E non può che essere così quando, col posto fisso a prescindere dai controlli e dalle verifiche, la produttività va in caduta libera. Quello che si faceva in due lo si fa in tre, ma anche le risorse vengono divise in tre invece che in due.

Il paradosso di questa nostra Repubblica, che pomposamente si definisce “fondata sul lavoro”, è che ha cancellato qualsiasi controllo sul fatto che i suoi dipendenti lavorino sul serio. E quindi non resta che pagarli poco per poterli pagare tutti.

A proposito di posto fisso, sempre più si parla quasi esclusivamente di statali. Perchè il posto fisso nel lavoro dipendete privato sta scomparendo. Mentre nel lavoro autonomo non è mai esistito. E questa enorme disparità di trattamento tra lavoratori è la più palese, vergognosa e sottaciuta violazione dell’art. 3 della Costituzione.

Ma, quantomeno, resta la nemesi: dipendenti privati e autonomi restano padroni del proprio reddito e della propria “fortuna” (sui quisque fortune faber); mentre i pubblici dipendenti, grazie al posto cristallizzato, subiscono l’impoverimento progressivo nell’impossibilità di reagire.

 

L’ORA DI RELIGIONE…PERDUTA

 

Su l’Islam in classe, cioè su l’ora di religione, non c’azzeccano né Luca Zaia né Gianfranco Fini.

Il presidente della Camera, nel suo slancio di neofita progressista, non si rende conto che prospetta per i giovani mussulmani la soluzione più codina, cioè la più reazionaria. Non bastassero gli imbonimenti oscurantisti che molti di loro subiscono a casa e in moschea, Fini vuole propinarglieli anche nell’orario di lezione della nostra scuola pubblica. E così facendo (cioè indossando i calzini verde islam) crede di essere molto a la page. Non si rende conto che la soluzione è esattamente opposta: per favorire l’integrazione degli immigrati islamici bisogna cioè liberarli dai cascami più retrivi della loro legge religiosa; che a nulla serve replicarglieli, anche a scuola, sia pure in un modo più annacquato e conforme al cosiddetto “Islam moderato”.

Esattamente come a nulla è servito alla Chiesa “modernizzare” l’ora di religione, trasformando cioè l’ora di catechismo cattolico in un’ora di storia delle religioni…La vecchia ora di religione aveva senso finchè in tutte le parrocchie il 99% dei bambini andavano a catechismo. Basta verificare quanti sono oggi quelli che frequentano i corsi di catechismo in parrocchia e si capisce subito quanto sia pregnante mantenere l’ora di religione a scuola.

E qui veniamo a Luca Zaia che ci racconta non come siamo, ma come eravamo. Il ministro, in polemica con Fini, sostiene infatti che per gli studenti islamici bisogna rendere obbligatoria proprio l’ora di religione cattolica perchè questo servirebbe “a far capire loro perchè noi siamo così e quali sono i risultati del cristianesimo e cattolicesimo profondamente radicati nella nostra società”. Tutto perfetto, tranne l’uso dei tempi: Zaia usa il presente al posto del passato (più o meno remoto). Ignora che oggi nemmeno gli insegnanti di religione (nominati e revocati dai vescovi nella scuola pubblica, ma ci rendiamo conto?…) insegnano più la religione cattolica, perchè lo considerano troppo retrivo, e preferiscono atteggiarsi a storici delle religioni.

Il profondo radicamento sociale del cattolicesimo è un ricordo dell’Italia del passato, quando tutto e tutti ruotavano attorno alla fede: anche gli anticlericali e i massoni, percorsi da un furore che era uguale e contrario a quello dei clericali. Ma oggi…Oggi esiste un sentimento che è davvero trasversale agli schieramenti politici, che è uguale tra gli elettori della Lega e del Pd, del Pdl e dell’Italia dei Valori: ed è l’indifferenza nei confronti della religione, che non rappresenta più un riferimento nella vita quotidiana dei cittadini.

Non si tratta di gioirne e nemmeno di strapparsi i capelli, ma solo di prendere atto della realtà. E quindi di arrivare ad abolire anche l’ora di religione cattolica, non certo di affiancare quella di religione islamica. Quanto all’integrazione, sarà possibile solo se e quando noi “cattolici indifferenti” avremo a che fare con mussulmani anche loro divenuti “indifferenti”.

 


 

BANCA DEL SUD, SOLDI DEL NORD

 

Finalmente abbiamo capito perchè il Meridione non è tutto un pullulare di piccole e medie aziende come in Veneto: mancava il credito. Ma, adesso che il governo ha varato la Banca del Sud, questo fervore imprenditoriale, fin’ora latente, avrà modo di dispiegarsi in pieno. E, speculare al Nordest, vedremo sorgere il nuovo fenomeno del Sudovest! Alzi la mano chi è disposto a prendere per buona questa prospettiva…

Come ben sappiamo al Meridione non mancano i finanziamenti (La famigerata Cassa del Mezzogiorno, gli stessi fondi Fas, l’hanno sommerso di soldi). Mancano – più semplicemente e più tragicamente – le condizioni per esercitare l’attività imprenditoriale, libera ed indipendente dalle mafie: quasi sempre puoi fare l’imprenditore solo su mandato del padrino e sotto il suo controllo. Resta quindi prioritaria l’eterna questione della bonifica del territorio dalle mafie, senza la quale bonifica non può esistere (o è l’eccezione) una vera attività imprenditoriale.

Dopo di che non dimentichiamo che, per fare azienda, oltre agli imprenditori ci vogliono anche i lavoratori. E, come diceva Pavesi, lavorare stanca. In qualche modo devi esserci costretto. Costretto ad alzarti e andare nella bottega artigiana, in fabbrica, ad operare nel turismo. Ma è molto difficile farlo finchè hai l’alternativa di alzarti ed andare a sederti a Palazzo dei Normanni…Tanto per citare la sede di quella Regione Sicilia che di dipendenti ne ha trenta mila, dieci volte il Veneto. Non nascondiamoci cioè che il tumore dell’assistenzialismo, le metastasi dei posti pubblici a profusione, hanno ridotto in fin di vita la voglia di lavorare del Mezzogiorno. (E l’esito, sia chiaro, sarebbe identico se lo stesso tumore avesse colpito le aree settentrionali del Paese).

Il ministro Tremonti, promotore della Banca del Sud, spiega che sono i piccoli numeri a fare i grandi numeri; cioè sostiene che la banca servirà a finanziare tanti piccoli interventi. E fa tre esempi: l’albergo che vuole ampliarsi, lo stabilimento balneare che vuole aggiungere la pizzeria, il comune che vuol fare il centro congressi. Scommettiamo che sarà la terza opzione quella corrente? Un bel centro congressi per ogni comune, con cinquanta uscieri neo assunti ciascuno a presidiarli…

Se vogliamo l’unica nota positiva è che sono i ministri meridionali, da Fitto alla Prestigiacomo, a protestare contro la Banca del Sud. Protestano perchè volevano un bel “carrozzone” come ai tempi della Cassa del Mezzogiorno, mentre Tremonti – in epoca di casse pubbliche magre – non può che dar loro un “carrozzino”. Ma la logica è sempre quella. E sempre gli stessi sono i finanziatori del nuovo “carrozzino”, cioè i produttori del Nord: ieri con le tasse oggi con gli appositi bond per la Banca del Sud che solo loro potranno sottoscrivere (dato che al Meridione c’è molto meno risparmio e molte più occasioni per “investimenti” ben altrimenti remunerativi…)

In conclusione questa Banca del Sud fatta coi soldi del Nord è un’autentica beffa. Perchè qui sì, in Veneto e nel Nordest, il problema vero oggi è il credito al sistema vasto e radicato delle piccole e medie imprese che sono all’asfissia. Qui abbiamo i cavalli e non diamo loro da bere. E intanto costruiamo abbeveratoi al Sud in attesa che si creino le condizioni per cominciare ad allevare cavalli…

 

CALCIO PIU’ ONESTO DELLA POLITICA

 Leggo che Franceschini ha definito Berlusconi un “ominicchio”, e penso che il calcio è più serio ed onesto della politica. Nel senso che, nel calcio, ognuno tifa fino in fondo per la sua squadra, ma non è mai così fazioso ed obnubilato da non riconoscere i meriti e le capacità dei giocatori avversari. Perfino se si chiamano Mario Balotelli: tutti gli stadi lo fischiano perchè è nero o, più probabilmente, perchè è antipatico e arrogante; ma nessun tifoso avversario nega che sia capace di giocate da campione né lo ritiene una scamorza.

Personalmente sono interista da sempre, e vorrei che i nerazzurri vincessero di tutto e di più. Ma non posso negare che gli odiati rossoneri avevano un grandissimo fuoriclasse, che praticamente da solo ha fatto vincere l’ultima Champions al Milan nel 2007. Ragionassi come Franceschini dovrei dire che no, che Kakà è un brocco degno al massimo di giocare nella Spal…Gli esempi di sportività nel calcio sono infiniti: pensiamo solo ai tifosi del Real Madrid, lo scorso anno, tutti in piedi ad applaudire Messi e i suoi compagni che avevano stravinto al Bernabeu…Erano per caso diventati tutti tifosi del Barcellona? No, restavano madrilisti, sbavavano di rabbia e sognavano la riscossa, ma non potevano non riconoscere i meriti dei loro avversari.

Personalmente non ho mai tifato per Berlusconi, perchè lo considero il traditore della rivoluzione liberale (che pure aveva annunciato), perchè non ha nemmeno provato a ridurre il nostro apparato pubblico che è il più collassato d’Europa (e quindi continuiamo a pagare tasse svedesi per servizi turchi); ma non posso non constatare che, praticamente da solo, ha fatto vincere tre elezioni al centrodestra. Non posso negare che è lui il fuoriclasse sulla scena politica italiana della seconda Repubblica.

Un “campionato” che, oltre a lui, annovera un paio di Gattuso ringhianti (Bossi e Di Pietro) e qualche buon giocatore della prima Repubblica ormai imbolsito (D’Alema, Marini, Casini e Fini) nel deserto di nuovi talenti emergenti…Ma i tifosi del centrosinistra sono incapaci di apprezzare anche una sola giocata del Cavaliere: non c’è stato un applauso nemmeno quando è andato a Napoli a dare cappotto a Prodi nella partita dei rifiuti…

I tifosi del centrosinistra attribuiscono tutto al controllo dell’informazione. Come se i tifosi del calcio pensassero che il campionato lo vince chi controlla la Gazzetta dello sport…Il mondo del calcio è più serio perchè sa che una squadra sconfitta la ricostruisci con una robusta campagna acquisti di veri campioni, oppure aspettando che crescano dalle formazioni giovanili. Nel calcio non puoi pensare che basti prendere il maturo capitano della squadra dei boy scout, farlo diventare il perno della Spal , e pretendere che la porti a vincere in serie A. In politica invece ci si illude che basti questo…

NOBEL DELLA PACE A…ROMOLO AUGUSTOLO

 

A questo punto aspettiamoci che i clown di Stoccolma diano il nobel per la pace anche alla memoria di Romolo Augustolo.

Con l’Impero romano stremato, i barbari – che oggi chiameremo “le nuove potenze emergenti” – alle porte, persa anche l’ultima battaglia contro i Goti di Odoacre, l’ultimo imperatore romano era divenuto un pacifista più che convinto. Cioè convinto dalla dura necessità.

Obama Augustulus (letteralmente: un Augusto da poco) la sua ultima battaglia sta combattendola in Afganistan e, a conferma di quanto sia appropriato avergli conferito il nobel per la pace, sta dando il via libera all’incremento del contingente di militari usa: cioè tenta di giocarsela fino all’ultimo con le armi. L’Augustulus non è lui ma il Paese che guida, nel senso che mai gli Stati Uniti erano stati così deboli negli ultimi settant’anni come sono oggi, incalzati da enorme potenze economiche come la Cina. Oggi l’Impero americano è al declino; al tempo di Romolo Augustolo l’Impero romano era arrivato alla fine del declino, cioè al crollo; il declino era iniziato quando dovette cedere le ricchissime province nordafricane ai Visigoti, arretrare in Oriente sotto l’incalzare dei Persiani e in Occidente di fronte al dilagare dei Germani in Gallia.

Ma il paragone ci sta tutto. Nel senso che oggi Obama sta rinunciando al ruolo di Usa unico “guardiano” del mondo non perchè è stato folgorato dal pacifismo sulla via di Teheran, ma perchè non ha più la forza (economica e, di conseguenza, militare) necessaria per esercitare questo ruolo. E quindi non gli resta che aprirsi alla patnership con le altre potenze emerse. E’ l’unica soluzione per cercare di rallentare il declino dell’Impero americano, un po’ la setssa carta che giocarono gli imperatori romani dal terzo secolo in poi.

Solo chi ignora l’abc della storia degli imperi, solo i clown di Stoccolma, possono conferire il nobel per la pace all’ultimo, pragmatico, “gladiatore” statunitense.


GUERRA CIVILE PERMANENTE

 In risposta alla bocciatura del lodo Alfano, Berlusconi ha impugnato lo spadone e negato ogni imparzialità alla Corte costituzionale, ("sono magistrati di sinistra”) e al presidente Napolitano (“sappiamo bene da che parte sta”). Il Cavaliere ha ufficializzato il convincimento della totalità suoi elettori, cioè del popolo di centrodestra Lega compresa. Il popolo di centrosinistra è sdegnato, afferma che non si può delegittimare così le istituzioni e che la Consulta ha solo riaffermato il principio che la legge è uguale per tutti.

Immaginiamo per un attimo che la Corte avesse approvato il lodo. Cosa avrebbe detto lo stesso popolo di centrosinistra? Che Berlusconi si è comprato anche le supreme toghe; lui che già si è comprato il cervello di metà abbondante degli italiani, portandolo all’ammasso con le sue televisioni, cioè a votare per lui. (A riprova il fatto che anche il Custode della Legge, cioè Di Pietro, ha già dato del vigliacco a Napolitano per la firma sullo scudo fiscale). E cosa avrebbe detto in questa ipotesi lo stesso Berlusconi con il popolo di centrodestra? Avrebbero detto che “c’è un giudice a Berlino”, cioè avrebbero applaudito all’operato della Corte…Il che dimostra che nessuno crede nelle istituzioni a prescindere, né alla loro terzietà. Ma tutti le legittimano o meno a seconda che operino nella direzione che la nostra appartenenza politica si aspetta.

Se non legittimiamo l’esistenza di istituzioni terze, al di sopra delle parti politiche, non c’è più il cuscinetto di uno Stato riconosciuto da tutti. E ci sono invece le condizioni per una guerra civile permanente. Che è appunto la situazione in cui si trova il nostro Paese. Di chi è la colpa? E’ il cittadino fazioso che non ha più fiducia nelle istituzioni o sono le istituzioni stesse che con loro operato hanno seminato l’auto-discredito?

Proviamo a partire dal semaforo. Perché, mi diceva stamane un amico di sinistra, se non credi nella magistratura e non credi nei codici, va a finire che non credi neppure più nel codice della strada e non sappiamo nemmeno se col rosso bisogna fermarsi o si passa. Giusto. Ma la realtà è appunto questa: non possiamo più credere nemmeno al rosso del semaforo. E non perchè abbiamo un pregiudizio fazioso, ma perchè i nostri sindaci (di ogni colore politico) hanno fatto taroccare anche i semafori, facendo “scomparire” il giallo, pur di far cassa con gli automobilisti beccati a passare col rosso. Gli stessi sindaci che – sbandierando il nobile obiettivo della sicurezza stradale – hanno sguinzagliato i vigili come banditi da strada a rapinare i viandanti con autovelox imboscati…

E’ qui che comincia a sgretolarsi lo Stato, dal semaforo taroccato e dal codice della strada trasformato in tassa locale, per poi procedere attraverso i concorsi burla, il clientelismo più sfacciato, le nomine pilotate, per arrivare al vertice cioè ad una Corte Costituzionale i cui membri per oltre la metà sono campani. Si vede Dio ha deciso che la somma scienza giuridica andava infusa attorno al Vesuvio…

Il risultato è che restano in campo solo le ideologie contrapposte a minacciare la guerra civile. A minacciarla perennemente e basta. Il che, per certi versi, è peggio ancora che attuarla. Nel senso che non c’è mai un vincitore definitivo; ma si rimane sempre in mezzo al guado, con i governi (anche quelli di Prodi) paralizzati, che non decidono nessuna vera riforma, e il Paese che marcisce ogni giorno di più. Ed è appunto quello che sta succedendo dal 1994 ad oggi.

NON RESTA CHE COMMISSARIARE LA SICILIA

 

 

A sostenerlo non è stato Bossi ma il presidente Napolitano: “Il Sud non ha retto alla prova dell’autogoverno”. Come dire che la classe politica campana ha dimostrato di non saper governare i campani, quella pugliese i pugliesi, quella siciliana i siculi. Nello stesso tempo il Capo dello Stato ha attaccato le “bestemmie separatiste”. Tuttavia, se la secessione è una bestemmia e se i meridionali non sono capaci di autogovernarsi, proprio per preservare l’unità nazionalenon resta che una soluzione: bisogna che siano altri a governarli, magari politici ed amministratori del Nord…

E’ esattamente quello che propone Giancarlo Lehner sul Giornale, all’indomani della tragedia di Messina, che ha scritto “altro che fondi, la Sicilia va commissariata” all’isola “servono come il pane i sindaci e gli amministratori padani”. “La strage di Messina – sostiene Lehner – rappresenta l’ennesima imperdonabile vergogna degli amministratori i quali hanno continuato e continuano ad esigere finanziamenti per assumere nullafacenti o impiegati di primo livello e, magari, dirottarli a lavorare a tempo pieno nella propria villa o sul proprio yacht”.

Sappiamo bene che non bisogna fare discorsi in odore di razzismo, che non si può sostenere la superiorità degli amministratori del Nord rispetto a quelli del Sud. Giusto. Allora per favore trovatemi un sindaco padano che abbia fatto come il palermitano Diego Cammarata, dislocando in pianta stabile un dipendente comunale a tenergli la barca e affittarla in nero. Sappiamo bene che le catastrofi sono tutte annunciate, che non si fa abbastanza per la tutela del territorio e la prevenzione in tutto il Paese. Ma trovatemi anche qui al Nord un’intera cittadina che sia come Triscina, la spiaggia di Castelvetrano in provincia di Trapani, dove ci sono, e lo ho viste con i miei occhi, diecimila casa completamente abusive; tutte costruite senza piano regolatore, senza un qualunque permesso, nel silenzio complice e compiacente degli amministratori locali. Trovatemi una Triscina nel Lombardo-Veneto e non oserò più pensare che gli amministratori padani abbiano una storia, una tradizione, un costume che li rendono più affidabili di quelli siciliani.

Giancarlo Lehner riempie di giusti complimenti gli abitanti della Sicilia così ospitali, simpatici, intelligenti, pieni di doti umane e sociali ma – aggiunge – “Non sono capaci di autogoverno. Serve loro il greco, il romano, l’arabo, il normanno, lo svevo, l’angioino, lo spagnolo, addirittura il borbone napoletano, il bandito Giuliano o il democristiano romano, altrimenti si disperdono…”

Saranno i dieci secoli di Serenissima o il lascito della mitica burocrazia asburgica (che nemmeno il democristiano romano è riuscito a cancellare del tutto…) fatto sta che noi veneti siamo meno “dispersi” dei siciliani; i nostri amministratori hanno conservato il senso dello Stato. Per noi il federalismo e l’autonomia sono la speranza. Per loro invece, che li hanno sperimentati, sono stati la disfatta. E la speranza sarebbe, è, il commissariamento, cioè l’ennesima dominazione “straniera”.

LA LIBERTA’ DI SPUTTANARE

 Dopo aver visto la D’Addario ad AnnoZero sputtanare il premier in tutta libertà, faccio fatica a pensare che siamo al regime; non ho mai visto un dittatore sputtanato dalla televisione di Stato del suo Paese. Il grande, il grandissimo Michele Santoro (il più grande di tutti, come certifica la dura legge degli indici d’ascolto) non ha dovuto difendere gli studi della sua trasmissione, col machete campesino in pugno, dagli assalti squadristici di Scajola e Cicchitto: dopo la solita manfrina di pareri legali e diffide, AnnoZero è andato tranquillamente in onda nel tripudio guardone di oltre sette milioni di italiani (me compreso) ansiosi di sbirciare sotto le lenzuola del Cavaliere.

Condivido in pieno quanto scritto da Antonio Polito, direttore del Riformista: il conflitto d’interessi di Berlusconi pesa eccome, il premier tenta di condizionare anche la Rai (come chiunque vinca le elezioni), ma la libertà d’informazione in Italia ha conosciuto tempi assai più cupi. Quando esisteva un unico canale televisivo pubblico (e nessuno privato) controllato totalmente dalla Dc che censurava qualunque notizia sgradita, che licenziava in tronco Dario Fo e Franca Rame da Canzonissima perchè si erano permessi di ironizzare sul governo (e nessun magistrato di sognava di sentenziare la loro riassunzione). Allora anche tutti i quotidiani erano filogovernativi e l’opposizione comunista trovava spazio solo sull’Unità.

Ma erano enclave chiuse, riserve di caccia esclusive, anche i tre successivi canali Rai rigidamente lottizzati tra Dc, Psi e Pci. I radicali di Pannella, tanto per dire, non avevano spazio alcuno. E ciò non ostante il referendum sul divorzio vinse con un clamoroso e del tutto inaspettato 60%, a conferma che il controllo dell’informazione conta ma non è tutto.

La libertà d’informazione arrivò con quelle che, non a caso, furono chiamate le radio e le televisioni “libere”. Cioè arrivò quando il privato spezzò il monopolio pubblico. E tanto maggiore sarebbe questa libertà se venisse privatizzato il carrozzone Rai ed affidato ad editori puri (razza quasi inesistente nel nostro Paese).

Oggi l’informazione è un po come…la D’Addario. Nel senso che è lo specchio fedele di una società e di una democrazia italiana che – sempre Polito – ha definito “casinara e chiacchierona quante altre mai”. Io sarei un tantino più esplicito: siamo un po’ un puttanaio. Sembra cioè essersi verificata la profezia di quei galantuomini che, in perfetta buona fede, nel 1958 erano contrari alla chiusura delle case perché ritenevano che servissero a tenere circoscritto il fenomeno. Se chiudiamo i casini – dicevano – sarà l’Italia a diventare tutto un casino…

Guardando ieri sera AnnoZero, e assistendo alla sfilata della D’Addario e delle sue amiche, ascoltando con che disinvoltura parlavano di tariffe, di prestazioni, di contropartite, non potevo non pensare che fino al 1958 stavano in casino mentre adesso vanno in onda su Rai due. Tutto si può pensare di loro: che si vendono, che sono interessate, che mentono, che recitano una parte, che hanno secondi fini. Tutto. Ma non che non siano libere. Lo stesso dicasi per l’informazione italiana, che ha anzi toccato una nuova frontiera: la libertà di sputtanare.