PRETI PEDOFILI E ANTIFASCISMO

 

Non discuto che la Chiesa abbia le sue colpe, con i preti pedofili oppure con la pretesa di uniformare le leggi dello Stato ai dettami della fede. Anche il fascismo aveva di certo le sue colpe, a cominciare dalla negazione della libertà per continuare con la persecuzione del dissenso.

E’ però interessante notare che le colpe del fascismo sono state denunciate solo quando il fascismo non c’era più: l’antifascismo ha fatto capolino dopo il 25 Luglio ’43 ed è diventato movimento di massa dopo il 25 Aprile ’45. Prima, finché il Duce era in auge e il regime solido, tutti a spellarsi le mani, tutti a prendere la tessera, tutti a lodare le magnifiche sorti e progressive della “era fascista”. Gli antifascisti? Quattro gatti. Non che non ci fossero, ma erano pochi e politicamente ininfluenti; quando esserlo comportava rischi precisi…

Dopo è diventata quasi una festa, adesioni infinite, non c’era italiano (o quasi) che non si proclamasse tale. Finita la seconda guerra mondiale in Italia, come in tutto il resto dell’Occidente, non esistevano le condizioni per ipotizzare un ritorno al potere del fascismo. Era chiaro che si trattava di un fenomeno residuale e destinato ad estinguersi anche in Spagna e Portogallo. Eppure qui da noi era tutto un gridare al “pericolo fascista”. Per cinquant’anni, quand’era ormai inutile, siamo stati tutti guerrieri antifascisti. Nel Ventennio precedente, quando sarebbe servito, zitti mosca e consenso plebiscitario…

Anche la Chiesa, ripeto, ha le sue colpe. Ma perché quando i preti – stando alle accuse – violentavano bambini a raffica nessuno li denunciava? Non dico la gerarchia, non dico i tribunali ecclesiastici, ma nemmeno quelli civili. Questo silenzio di tomba non dipenderà dal fatto che allora la Chiesa aveva sul serio potere, ben più di quello odierno?

Negli anni Cinquanta e Sessanta la Chiesa orientava per davvero la coscienza degli italiani; chi osava violare i suoi dettami veniva additato come “pubblico peccatore”. Eppure nessuno denunciava “l’inaccettabile ingerenza”, anzi tutti erano pronti (e proni) a baciare anelli e pantofole…Ci si straccia le vesti adesso quando sono ben pochi gli italiani che uniformano la loro vita quotidiana ai dettami della Chiesa (pochi quasi come gli antifascisti durante il Ventennio…)

Il potere residuo della Chiesa è anzitutto un potere economico. Detto brutalmente, resta la più grande agenzia immobiliare d’Italia. E non è che questo potere economico non pesi. Ma il controllo delle coscienze è tutt’altra cosa. Massimo si dovrebbe parlare di “tentativo di ingerenza”. Tentativo respinto dall’evidenza che oggi solo una minima percentuale di persone, al momento di divorziare o di abortire, si pone il problema di commettere un peccato, di violare un dettame religioso.

In ogni caso è un fatto che attacchi così virulenti alla Chiesa, accompagnati perfino dalla richiesta di destituire il Papa, giungono in concomitanza con il declino della religione cattolica. Il parallelo con l’antisemitismo, fatto da padre Cantalamessa, è certo spropositato. Anche se non mancano i casi di persecuzione dei cristiani.

Personalmente mi limito al parallelo Chiesa-fascismo: finché un potere è in auge la prudenza consiglia molto rispetto, quando è al tramonto non ci vuole un gran coraggio per coprirlo di attacchi e critiche…

LO STELLA DELLA SINISTRA

 

Lo Stella della sinistra è Gian Antonio Stella, editorialista del Corriere, autore di pamphlet di grande successo, che svolge una funzione essenziale: basta leggere quello che ha scritto di Luca Zaia martedì, e si capisce bene perché la sinistra ha perso così nettamente e continuerà a perdere fino all’estinzione.

All’indomani dello straordinario successo del neo governatore del Veneto, Stella scrive: ” Zaia, ex cameriere, muratore e uomo delle pulizie, diventato nuovo Doge”. Un commento, tra l’irridente e lo sdegnato, che è tipico della sinistra snob, della sinistra da salotto, che ha perso ogni contatto con il buon senso e la dimensione popolare. Una sinistra che giudica degni di andare al vertice delle istituzioni solo i professorini, gli ex rettori, i giornalisti (alla Marrazzo?). E’ la sinistra degli Stella che fanno i soldi a palate denigrando la casta, cioè loro stessi…

Dimenticano che quando la sinistra era degna di questo nome (e quando Togliatti mandava a quel paese certi pretenziosi intellettualini) considerava il lavoro un valore, e riteneva suo vanto aver portato anche in Parlamento proprio gli operai, i muratori, gli ex camerieri, cioè quei ceti che i “partiti borghesi” sdegnavano.

Adesso invece lo Stella della sinistra si sdegna perchè Zaia che ha fatto tutti i lavori, anche i più umili, è diventato governatore a furor di popolo veneto. Non capisce ha ottenuto tanti consensi anche perchè incarna l’anima più profonda di un Veneto cresciuto su un preciso comandamento: chi non lavora non mangia.

Comandamento che in parte è stato inquinato dall’assistenzialismo strisciante, che tenderebbe a trasformarlo così: chi non lavora mangia lo stesso, entrando nel pubblico impiego…Per fortuna solo in parte. Resta la convinzione profonda, in Veneto e in tutto il Nord, che devi costruirti tu il tuo futuro; che sei tu il primo responsabile di successi o insuccessi, che ottieni ciò che ti sei guadagnato.

Da questa convinzione profonda derivano tutta una serie di corollari politici: ha diritto ai servizi sociali e sanitari chi ha pagato le tasse, se pago la mensa scolastica (Montecchio Maggiore) posso pretendere che diano i pasti a mio figlio, chi entra illegalmente nel mio Paese ha diritto solo…ad essere espulso, non certo a creare degrado nelle città ed a rivendicare assistenza. Etc, etc

Di fronte al comune sentire, che deriva dall’esperienza di persone che si sono guadagnate tutto ciò che hanno avuto, c’è una sinistra che replica con la magnanimità dei salotti: non siamo così barbari da negare l’assistenza sanitaria a tutti, non siamo così incivili da affamare i bambini, non siamo così poco cristiani da non accogliere i diseredati, non siamo così crudeli da non assistere i nostri fratelli meridionali.

Questa sinistra alla Stella fa sfoggio di buoni sentimenti, trascura solo un piccolo particolare: non spiega mai chi deve pagare e perchè a favore dei bimbi affamati, dei clandestini, del Sud che “non ha lavoro”, dei diseredati del mondo. Omettendo questo dettaglio secondario dimentica però il lapidario ammonimento di Stefano Ricucci: non si può fare i froci col culo degli altri…I cittadini del Veneto e del Nord, invece, non lo dimenticano e votano di conseguenza.

Stella fa parte di quella sinistra che si domanda stupita: com’è possibile che raccolga tanti consensi una Lega che non ha attuato il federalismo, che ha cavalcato solo le paure della gente? Com’è possibile che continui a vincere Berlusconi che ne combina più Bertoldo? Fosse capace di guardarsi allo specchio, vedrebbe riflessa la più esaustiva delle risposte…

 

REGIONI VERE, CAMPAGNA FINTA

 

Le regioni sono vere, sono una realtà tangibile anzitutto nel confronto: cioè nella profonda differenza tra l’una e l’altra, tra un Veneto e una Campania. Ma la campagna elettorale che si conclude in queste ore è stata finta. Perché in gran parte finti sono i poteri delle regioni e dei loro organismi di governo.

Si è discusso di nucleare e di green economy, di lavoro e occupazione, di sicurezza ed immigrazione, di grandi opere e federalismo, fingendo di non sapere che solo il governo centrale ha potestà di decidere in tutte queste materie. E non i prossimi governatori del Veneto e delle altre regioni. Per il semplice motivo che non siamo né gli Usa con i suoi stati federati né la Svizzera con i suoi Cantoni e nemmeno la Germania con i suoi Lander.

Quindi tutte le decisioni strategiche – scelte energetiche, leggi sull’immigrazione, ammortizzatori sociali, incentivi, organizzazione dello Stato e delle forze dell’ordine, etc. – vengono assunte a Roma. Quindi i vari governi regionali, pur amministrando somme ingenti di denaro, in particolare in ambito di spesa sanitaria, hanno poteri assai limitati.

Fatte le debite proporzioni, decidono più i sindaci in ambito comunale dei presidenti in quello regionale. Infatti la campagna elettorale per le comunali ha una sua pregnanza e contenuti precisi, mentre quella regionale è in gran parte una finzione: Zaia, Bortolussi e De Poli ci hanno detto cosa pensano, cosa vorrebbero; ma quello che possono o che potrebbero concretamente fare è ben diverso. Limitandosi al solo esempio del nucleare, la loro è una pura opinione; la decisione è del capo del governo.

Eppure le regioni sono vere. Vere al punto che è falsa una dicitura del tipo “servizio sanitario nazionale”. Ma quale “servizio nazionale” quando la stessa prestazione ha non solo costi diversi ma affidabilità altrettanto diversa da una regione all’altra? Quando se vuoi almeno tentare di farti curare devi correre qui al Nord?

E la scuola? Vi pare che esista una qualità “nazionale” dell’istruzione? Sappiamo bene che la scuola al Sud è ancora più disastrata che al Nord.

E gli esami di Stato? A dimostrazione che hanno ben poco di statale, la Gelmini ci ha confermato che basta andare a Reggio Calabria per avere la certezza di diventare avvocato…E come spieghiamo i tempi diversi dei processi civili e penali a seconda che vengano celebrati a Bolzano, a Venezia o a Roma?

Se col termine “unità d’Italia” intendiamo servizi di analoga qualità garantiti sull’intero territorio nazionale, dobbiamo prendere atto che l’unità d’Italia non si è mai realizzata, non è mai esistita. Quindi prendiamo atto che l’unica unità possibile è quella di un’Italia federale; diamo poteri reali alle regioni e, solo così, non avremo più campagne elettorali fasulle.

 

LA “BALENA VERDE” NELL’URNA

 

 

Ormai la chiamano la “Balena verde”, intendendo dire che qui in Veneto e al Nord in genere è la nuova Dc. Stiamo parlando della Lega che tutti i sondaggi indicano come la vincitrice delle lezioni di domenica prossima.

Si discute se possa aumentare di più in una provincia come Padova, dove essendo relativamente bassa ha più ampi margini di crescita, oppure in una provincia come Verona dove è molto più radicata ma anche più vicina al top. Nessuno però dubita che la Lega in Veneto sorpasserà il Pdl.

Come mai la Lega è la grande favorita della vigilia? Si può scegliere la scorciatoia e rispondere che lo è perchè i veneti sono rozzi, razzisti e ignoranti. Oppure si possono cercare risposte che siano meno rozze, razziste e meno da ignoranti.

Paola Sacchi su Panorama ha scritto che la Lega è diventata ormai “un po’ come la Dc per l’ampia trasversalità dei consensi, un po’ come il Pci per l’appassionata militanza”. La trasversalità dei consensi è dimostrata dalla capacità di attrarre anche il voto operaio (proprio come in Veneto sapeva fare la Dc). Quanto alla militanza appassionata, Massimo Gramellini ha scritto su La Stampa: “In questa campagna elettorale solo chiacchiere (intercettate) e distintivo (dell’autorità giudiziaria), gli unici a non andare in piazza sono quelli che ci stanno tutti i giorni. I leghisti”.

Analisi perfetta. Sabato in piazza a Roma c’è andato solo Bossi perchè i leghisti veneti anche sabato sono rimasti qui dove sono tutti i giorni: nei bar, nelle palestre, nei quartieri, nei centri commerciali, coi banchetti; presenti sul territorio proprio come la Dc e il Pci degli anni d’oro. Presenti nel territorio per trovare poi i risultati nell’urna.

E’ l’unico partito che non ha bisogno di dare la caccia agli iscritti o di tesserare anche i morti: dovunque il Carroccio apra una nuova sezione i cittadini vanno spontaneamente ad aderire. Come mai? Roberto D’Alimonte ha scritto sul Sole 24 Ore che la Lega è “un partito unito con una precisa identità, un programma chiaro, una classe dirigente coesa”. Insomma non c’è Fini che dice l’opposto di Berlusconi, non c’è Veltroni che trama contro Bersani, non c’è De Magistris che tenta di fare le scarpe a Di Pietro.

Ed il programma è chiaro: non solo sulla sicurezza e sull’immigrazione, ma anche sulla lotta contro la burocrazia e sulla distribuzione delle risorse tra Nord e Sud. Al momento i risultati possono ancora restare secondari: non è cioè decisivo che di semplificazione ci sia solo il nome del ministero di Calderoli, né che il federalismo resti il libro dei buoni propositi né che i clandestini (via terra) continuino ad arrivare. I cittadini quantomeno hanno chiaro cosa vorrebbe fare la Lega; mentre degli altri partiti non capiscono nemmeno cosa vorrebbero…(Fini, tanto per dire? Di Pietro oltre a sbattere in galera Berlusconi? Bersani al di la di sopravvivere?).

Non bastasse tutto questo la Balena verde ha assunto un tono moderato e rassicurante che era tipico della Balena bianca: se serve sa dialogare con l’opposizione, non insulta più né il Papa né il Capo dello Stato né il Tricolore. Da Maroni ai suoi tanti sindaci sta dimostrando capacità concreta di ascolto e di risposte. Per dirla alla Berlinguer, resta partito di lotta ma è sempre più partito di governo.

Questi alcuni dei motivi che rendono la Balena verde super favorita al Nord. Lunedì, aperte le urne, la sorpresa sarebbe la mancata vittoria della Lega, non certo la sua vittoria.

SE BERLUSCONI MORDE SANTORO

 

 

E’ una sorta di prima regola per aspiranti giornalisti: il cane che morde l’uomo – ti spiegano – non fa notizia. La notizia vera sarebbe il contrario, cioè l’uomo che mordesse il cane. Allo stesso modo non fa notizia Berlusconi che al telefono parla male di Santoro e cerca di liberarsi di Annozero.

Anche qui la notizia vera sarebbe il contrario: il premier che loda il suo equilibrio e pretende che la Rai gli metta a disposizione, non una, ma tre prime serate.

Al di là delle battute è giusto sdegnarsi per un presidente del consiglio che vuole eliminare dal video ( o dalla carta stampata) un giornalista sgradito. Succede sempre, ma non si dovrebbe sapere mai; come avveniva sempre e non lo abbiamo mai saputo durante l’era felpata dei premier democristiani…

Ma cosa dobbiamo pensare di un giornalista che, qualunque ruolo abbia Berlusconi al governo o all’opposizione, e di qualunque tema si occupi – escort, mafia, terremoto, informazione – da anni orienta ogni puntata della sua trasmissione contro il Cavaliere? Minimo dobbiamo pensare che sia ossessionato, o posseduto dal Cavaliere Nero.

Forse dovrebbe intervenire Padre Gabriele Armoth, il presidente degli esorcisti, per liberare Michele Santoro posseduto dal Berlusca Belzebù al quale imputa ogni nefandezza…Ma forse va bene così, perchè nulla garantisce ottimi ascolti meglio di certe possessioni…

Dopo di che togliere Santoro dal video, oltre al resto, è anche controproducente: non è lui infatti che fa perdere voti al Pdl (anzi…); chi li fa perdere sono i Fini, i Bonaiuti, i Ghedini, i Galan ogni volta che parlano e intervengono.

Su una cosa comunque Berlusconi ha ragione al cento per cento: siamo uno Stato di polizia, chiunque può essere intercettato e messo sotto controllo, anche senza alcuna ipotesi di reato, in spregio al diritto e alle libertà individuali.

La conferma arriva da Trani dove un pm ordina le intercettazioni per un giro sospetto di usura basato su carte di credito irregolari. E da lì arriva a origliare di tutto e di più. Ha la fortuna di incappare nelle telefonate di Minzolini e Berlusconi che nulla c’entrano col reato ipotizzato. Non si ferma come impone la legge. Anzi procede lancia in resta perché gli è capitata l’occasione di una vita: non è più un oscuro sostituto procuratore della provincia pugliese, arrivano le luci della ribalta nazionale…

A questo punto giunge, da parte dei moralisti, l’obiezione più stupida: chi è onesto – dicono – non ha nulla da nascondere, chi è pulito non ha paura delle intercettazioni! Certo: gli onesti e i puliti vivevano tranquilli e sicuri anche sotto Stalin o Hitler, il che non togliere che non fossero regimi molto liberali…

Detto in altre parole l’onesta o la disonesta individuale non c’entrano nulla nel giudicare il tasso di libertà di un regime. Il parametro determinante è il potere discrezionale degli sbirri (magistratura e polizie) a scapito delle libertà e dei diritti individuali. Ed è per questo che noi siamo sempre più uno Stato di polizia.

PRESERVATIVI E TAR A SCUOLA

 

 

Cari bei tempi andati quando le funzioni erano chiare e distinte! Non parlo della separazione dei poteri, ma delle “offerte formative”: se un giovane doveva imparare a copulare andava in casino, se doveva invece imparare l’italiano e la matematica andava a scuola. Oggi invece abbiamo presidi moderni e sensibili (sensibili soprattutto a farsi intervistare) che soddisfano in un colpo solo entrambe le esigenze. Che mettono a scuola i distributori di preservativi (a prezzo politico!…) di modo che un momento studi, o dovresti studiare, in classe e il momento dopo vai nei cessi a congiungerti senza pericolo di conseguenze indesiderate.

Anche ammesso che abbia senso insegnare educazione sessuale, non direi che necessita della presenza fisica dei preservativi. Presenza che invece sancisce in via definitiva che la nostra scuola è ridotta ad un postribolo. Con tanto di prezzi politici per gli studenti meno abbienti (mi sembrerebbe costituzionalmente corretto proporzionare il prezzo del condom al reddito dei genitori). Fosse meno sciagurato, e meno sensibile alla ribalta mediatica, questo preside del liceo Keplero di Roma si preoccuperebbe di distribuire a prezzo politico la Divina Commedia, che i ragazzi nemmeno più sanno cosa sia. O l’hanno imparato solo ora perché l’ultimo gioco della play station si chiama così…

Non bastassero certo presidi a devastare il poco che resta della scuola italiana, ci pensano anche i magistrati. Sì perché adesso se sei bocciato, invece che metterti a studiare per recuperare, puoi rivolgerti al Tar. E i giudici amministrativi hanno il buon tempo di risponderti e di darti ragione. Come hanno fatto con due genitori pugliesi che avevano presentato ricorso sostenendo che la loro figlia era stata bocciata a causa della sofferenza dovuta alla loro separazione. Ricorso accolto e figlia promossa all’anno successivo…

E qui siamo al delirio. Perché nessuno nega che la separazione dei genitori faccia soffrire i figli. Può farli soffrire al punto che trascurano lo studio e vanno in profonda depressione. Ma che c’entra la promozione a tavolino? Vogliamo forse compensarli della sofferenza condannandoli, in aggiunta, a restare ignoranti? Come si fa a non capire che è nel loro interesse recuperare le materia che non hanno studiato, sia pure per motivi comprensibili?

Considerazioni troppo di buon senso perché gli azzeccagarbugli del Tar arrivino a farle proprie. E, d’altra parte, possiamo credere che tanti genitori siano interessati al risultato didattico della scuola? Non direi proprio, ascoltando le proteste che si levano di fronte alla prospettiva di un lungo ponte che unisca le vacanze per seggi elettorali con quelle di Pasqua. C’è un genitore preoccupato che non venga completato il programma di studio? Non ne ho sentito nemmeno uno. Ho sentito invece un coro ragliare: “E i ragazzi dove li mettiamo, chi ce li tiene?”

Questa è la prima funzione richiesta oggi alla scuola pubblica: un parco buoi con baby sitter gratis. Cosa avvenga poi, in concreto, nella stalla interessa a ben pochi.


HA PERSO IL PDL MA ANCHE IL PD

 

Chiusa in qualche modo la vicenda delle liste, con il contestatissimo placet di Napolitano, va ribadito che il Pdl ne esce con le ossa rotte. Però anche il Partito democratico di Bersani poteva trarne maggior profitto, e non finire schiacciato su Di Pietro.

I pidiellini hanno dimostrato di essere “polli delle libertà”, come li ha definiti Libero, “dilettanti allo sbaraglio” incapaci di compiere gli adempimenti elettorali: anche perché preda della guerra interna per bande, prima responsabile del risultato alla Tafazzi.

Dopo di che, invece di scusarsi con i propri elettori e l’intera cittadinanza, invece che chiedere – da penitenti – l’aiuto del Capo dello Stato e della stessa opposizione, i polli hanno anche voluto fare gli arroganti. Hanno cioè tirato in ballo l’abituale “congiura dei magistrati”. Ipotesi che resta sempre plausibile finché ci saranno magistrati che partecipano ad iniziative di partito, ma che non può far dimenticare come – in ogni caso – siano stati i polli a fornire, ben confezionato sul classico piatto d’argento, tutto il materiale per l’ipotetica congiura…

Esilaranti, in conclusione, i leaders del Pdl nella loro difesa di Napolitano, nel loro sdegno per gli insulti che oggi Di Pietro rivolge al Capo dello Stato. Insulti identici a quelli che loro stessi gli avevano rivolto solo l’ottobre di fronte alla bocciatura del Lodo Alfano…

Ribadito questo, va aggiunto che Pd non ha saputo approfittare – come scrive oggi Giuliano Ferrara – di questo misto di “scemenza e arroganza” della destra. Il partito di Bersani infatti avrebbe dovuto cuocere a fuoco lento l’avversario, tenerlo fino all’ultimo sulla corda, sottolineare in ogni modo la dabbenaggine dei quadri dirigenti del Cavaliere. Ma alla fine, incassati tutti i benefit derivanti dallo sbracamento del Pdl, avrebbe dovuto e potuto sferrare anche il colpo di grazia: cioè offrire lui una soluzione. O, quantomeno, accogliere subito la soluzione che lo stesso (suo) presidente Napolitano aveva accettato.

Questo per due motivi. Il primo di puro buon senso, ricordato dallo stesso Capo dello Stato: la vittoria a tavolino è impensabile, impensabile che gli elettori di centrodestra restassero esclusi dalle urne in Lombardia e in Lazio. Il secondo di identità politica: dimostrando cioè, il Pd, di essere una sinistra riformista e di governo che sa farsi carico delle soluzioni dei problemi; e non una sinistra ululante, che ulula sempre il proprio sdegno, morale e legale, senza però mai indicare un percorso utile ad…abbassare il volume.

E così, il 28 marzo, il Pdl perderà di sicuro consensi, perchè è difficile aver fiducia in chi si dimostra incapace perfino di “governare” gli adempimenti burocratici. Ma ne perderà anche il Pd di Bersani, appiattito sul Di Pietro ululante.




 

 

 

 

 

 

 

 

LIBERTA’ DI PAROLA O DI CATECHISMO?

 

I giornalisti e i dipendenti della Rai, il “popolo viola” (area Di Pietro Travaglio), che martedì sera si sono ritrovati a manifestare in via Teulada contro la sospensione dei talk show, non sono affatto quei paladini della libertà di stampa che dicono di essere. Sono invece i paladini della libertà di…catechismo: voglio cioè sentire e ripetere solo i dogmi della loro fede, ma guai se prende la parola anche “l’eretico”. Non potendo più bruciarlo sul rogo, si sono accontentati di subissarlo di fischi ed insulti.

Andare a vedere (sui siti), chi non ha seguito mercoledì sera Rosso & Nero dove abbiamo mostrato cos’è accaduto: finchè hanno parlato Santoro e Floris, tutti a spellarsi le mani con gli applausi; quando invece ha osato dire la sua Bruno Vespa sono partiti i fischi e gli ululati. Ma non era stato “censurato” anche Porta a Porta? Sì, però fa niente perchè quello è il talk show del servo di Berlusconi e quindi si può benissimo farne a meno…Anzi: se lo cancellano meglio, un lecchino in meno.

Gli autoproclamati paladini della libertà di parola protestano perchè ad Augusto Minzolini la parola…non viene tolta! Anche lui andrebbe censurato perchè segue un catechismo diverso, ha dogmi diversi dai miei. Anzi no, scusate: i suoi sono i dogmi del lecca culo, mentre io possiedo la Verità.

Così ragionano “il popolo viola” e tanti giornalisti Rai. Non li sfiora nemmeno il dubbio che si deve difendere la libertà di parola proprio a partire da chi la pensa in maniera opposta a te. Perchè la parola di chi la pensa come te sono pronti a difenderla tutti, e gli ayatollah per primi. Gli stessi ayatollah che stroncano qualsiasi voce dissidente; proprio come faceva la Chiesa con gli eretici, e come vorrebbero fare oggi i talebani di via Teulada.

Fu vergognoso “l’editto Bulgaro” di Berlusconi contro Biagi e Santoro; ma questi sono i figliocci del Cav: pronti a lanciare un editto identico contro Bruno Vespa

L’accusa che gli viene fatta, a lui come a Minzolini, é di diffondere il verbo del Cavaliere, di pensarla come Berlusconi. Diamo per scontato che sia così. E’ forse vietato avere idee uguali a quelle del presidente del consiglio della maggioranza degli italiani? Chi la pensa come Berlusconi è un suo servo. E chi la penso all’opposto di lui che cos’è? Un eroe della Resistenza? Un apostolo della Verità rivelata?

I nostri talebani la pensano esattamente così. Non capiscono che abbiamo semplicemente due giornalisti, due cittadini, due pirla con idee diverse e l’identico diritto di espressione. A beneficio dei talebani veri, va in fine sottolineato che loro almeno non sono così spudorati da ergersi a paladini della libertà di parola.

LO SCIOPERO DEGLI IMMIGRATI, E IL NOSTRO

 

Alla vigilia dello sciopero degli immigrati, Gilberto Oneto scriveva domenica su Il Giornale che il loro vero sciopero sarebbe “lasciare l’Italia”. Intendeva che solo così, solo se tornassero tutti nei luoghi di provenienza , potremmo verificare davvero quanto contano e quanto pesano oggi nel nostro Paese. Dal momento che le cifre – numero dei regolari e degli irregolari, incidenza sul Pil, adesione stessa allo sciopero – sono cifre del tutto aleatorie.

Provocazione tanto interessante, quanto irrealistico è attendersi una verifica concreta attraverso il rimpatrio di massa. Nemmeno lo xenofobo più scatenato può oggi illudersi di rimandarli tutti a casa loro (sarebbe già tanto riuscire a controllare il numero di nuovi ingressi e non venir semplicemente sommersi da ondate successive…). Ma anche solo pensare a come sarebbe un’Italia senza immigrati, può essere utile a capire quanto la presenza di questi “schiavi moderni” ci abbia corrotto. Corrotto – ovviamente – per colpa nostra, non certo per colpa loro; che di colpe gli immigrati magari ne hanno, ma di tutt’altro genere.

Cominciamo con le badanti, questa presenza così diffusa specie nel ricco Nordest. Immaginiamo che scompaiano domani, cosa succederebbe: ci mettiamo a costruire case di riposo a raffica, finanziate da nuove tasse rette comprese? Ci prendiamo i nostri anziani in casa rinunciando ad andare anche in vacanza per accudirli? Gettiamo la maschera e li lasciamo morire soli e abbandonati (come di fatto già avviene molto spesso)? Di certo il ricorso capillare alle badanti non ci ha aiutato a sviluppare adeguate politiche per l’assistenza alla terza età, e meno che mai a ridimensionare il nostro egoismo a beneficio dei vecchi non più autosufficienti. (E quando, tra poco, lo saremo noi?…)

Passiamo poi ai lavori che “gli italiani si rifiutano di fare”. Che si rifiutino non c’è dubbio, che altrimenti non si spiega come mai interi comparti – dell’agricoltura, della produzione, dei servizi – siano monopolio dei lavoratori stranieri. Non c’è dubbio anche che il rifiuto nasca da retribuzioni inadeguate e orari di lavoro che solo gli stranieri sono costretti ad accettare. Ma qui entrano in ballo le scelte di datori di lavoro che puntano a restare sul mercato non con l’innovazione ma con il contenimento dei costi. Questo alla fine produce un sistema economico arretrato, che non è certo imputabile agli immigrati; ma che resta una realtà, una scelta sciagurata che imprenditori imprevidenti operano grazie alla presenza massiccia degli “schiavi moderni” sul nostro mercato del lavoro. Una scelta che è l’esatto contrario di quella fatta negli anni del boom economico, quando investimenti e stipendi aumentavano di pari passo.

Facciamo un esempio concreto, partendo da quanto successo a Padova con delle donne africane impiegate a separare a mano i rifiuti d’estate dentro un capannone torrido, ad una paga regolare (per le cooperative) di tre euro circa l’ora. Immaginiamo che non ci siano più loro: o troviamo una tecnologia che li separi meccanicamente; o li gettiamo tal quali nell’inceneritore, senza sottilizzare troppo sulla qualità dei fumi; oppure paghiamo venti euro l’ora chi è disposto a fare a mano un lavoro tanto infame (e magari cominciamo anche a domandarci se c’è più bisogno di docenti universitari con tre studenti a corso o di operai che separino i rifiuti…).

Invece, finché abbiamo a disposizione le novelle schiave africane, né cerchiamo alternative né ci poniamo domande.

Concludo ripetendo che nessuna colpa va fatta a questi disperati che, comprensibilmente, cercano qui una vita migliore. Nemmeno la colpa di arrivare in massa e da clandestini, dal momento che noi dovremmo saper affrontare questa emergenza e non ne siamo capaci. Ma che non vengano a decantarci le magnifiche sorti e progressive della società multietnica, né a spiegarci che gli immigrati “sono una ricchezza”: per colpa nostra, con la loro presenza, siamo diventati più poveri e più gretti.

Oggi, lunedì, hanno scioperato gli immigrati. Il nostro “sciopero” è cominciato col loro arrivo.




 

MAFIE E STATO DI POLIZIA

 

 

Berlusconi sostiene che il nostro Paese è divenuto uno Stato di polizia: tutti intercettati, tutti controllati, tutti sotto inchiesta. Repubblica invece denuncia la corruzione dilagante e, dopo le accuse mosse al senatore del Pdl Di Girolamo, titola “La ‘ndrangheta in Parlamento”. E se fossero, più semplicemente, le due facce della stessa medaglia? Per trovare Paesi dove le mafie prosperino come da noi bisogna infatti andare proprio nel regimi totalitari; in quelli Stati di polizia dove anche la corruzione è capillare e quotidiana.

Se davvero vogliamo trovare una via d’uscita, dobbiamo partire dagli esempi e dalla storia. I regimi dittatoriali, pensiamo all’Unione sovietica, hanno sempre avuto gli apparati repressivi più poderosi – poliziotti, servizi segreti, magistrati – e le leggi più puntuali e rigorose; era superfluo perfino mettere i telefoni sotto controllo, perchè tutti erano intenti a spiare tutti, e a denunciarsi a vicenda. Risultato: l’Urss è crollata, sbriciolata dalla corruzione più diffusa e sistematica che si ricordi. Sulla carta c’erano pene severissime – anni ed anni di carcere – per chi “sabotava” la produzione, per chi rubava anche un lapis dall’ufficio. Risultato: nessuno più lavorava; tutti si portavano via anche i mobili dagli uffici, anche i rotoli di carta igienica

Quando abbiamo proposto di sbattere in carcere chi scia fuori pista e provoca slavine, ho pensato che siamo proprio ridotti alla draconiana impotenza che fu dell’Unione sovietica…Ogni volta invochiamo “inasprimento delle pene” contro gli stupratori, contro i corrotti, contro i clandestini, contro i mafiosi. Invocazione tipica degli impotenti, ciechi per giunta: dato che i deludenti risultati sono davanti agli occhi.

Ogni volta ci stracciamo le vesti perché “gli organici sono insufficienti” e bisognerebbe “aumentare gli stanziamenti”. Ci verrà mai il sospetto che il rimedio è esattamente l’opposto? Ci fossero meno poliziotti, forse, non avrebbero il tempo per diventare contigui alla malavita; ci fossero meno magistrati, forse, non potrebbero dedicarsi ai lucrosissimi incarichi extragiudiziali. Se riducessimo drasticamente il numero delle leggi avremmo la certezza matematica di ridurre il numero dei reati.

Questo non vuol dire cancellare i reati veri, ma evitare di confonderli con ciò che merita una sanzione amministrativa; evitare che sia un reato anche respirare. In Unione sovietica tutto era reato col risultato che – essendo impossibile perseguire tutto – tutto diventava di fatto lecito. E da noi oggi le cose non vanno più o meno così?

Per chi ha (come me) anche solo un’infarinatura di cultura liberale, certi esiti sono evidenti: se davvero vogliamo ridurre la corruzione – prima di pensare a nuove pene più severe, nuovi tribunali, intercettazioni estese anche agli asili nido – cominciamo a ridurre drasticamente gli apparati burocratici che sono la causa prima di corruzione. Riduciamo altrettanto drasticamente la presenza dello Stato in economia, la quota del Pil che passa attraverso la mano pubblica, e avremo ridotto la materia prima della corruzione.

Finchè metà della ricchezza prodotto ogni anno nel nostro Paese viene sequestrata e ridistribuita dall’interposizione pubblica, finchè abbiamo più burocrati che partite iva, non c’è Di Pietro né Travaglio né pm che ci salvi; né dalla corruzione né dalle mafie.