COSA INSEGNA DROGBA “L’INGLESE”

 

Se l’ivoriano Didier Drogaba diventa "inglese", dobbiamo concludere che è determinante nella formazione di ognuno il Paese dove vivi e non quello dove sei nato. Ammesso, e non concesso, che un Paese sappia formare le persone.

Fin’ora questo grande centravanti del Chelsea aveva atteggiamenti tipici dei calciatori latini: sceneggiate a non finire ogni volta che subiva un fallo, proteste plateali nei confronti degli arbitri (sembrava un Totti o un Inzaghi, tanto per capirci) al punto che è stato espulso anche di recente dopo l’ennesimo litigio con un direttore di gara. Ma adesso non lo farà più, lo ha assicurato in un’intervista alla Gazzetta dello sport dove ha spiegato che è stato suo figlio a rimproverarlo dicendogli che non si deve mai discutere con gli arbitri!

E’ un cardine della cultura calcistica inglese che, anche per questo, la rende profondamente diversa dalla nostra: giuste o sbagliate, le decisioni degli arbitri si accettano senza protestare e si continua a giocare invece che perdere tempo a polemizzare. Nessun calciatore inglese discute col direttore di gare e tanto meno lo insulta, lo manda a vaffa…, come invece succede ogni domenica nei nostri stadi.

Ma la cosa notevole è che questo principio, squisitamente inglese, sia stato recepito dal figlio di Drogba un bambino di soli otto anni che da cinque vive in Inghilterra. Recepito al punto che lui è diventato il maestro, l’educatore, di suo padre. Significa che in quel Paese certi principi di civiltà calcistica li respiri nell’area, permeano l’esistenza quotidiana, “impregnano” chiunque viva là. E questo vale non solo per il calcio ma per tutti gli altri principi che stanno alla base di una civile convivenza: l’educazione che ti da, o non ti da, un Paese è fondamentale.

Anzitutto per questo, credo, quasi non ci si accorge dei milioni di turchi che vivono e lavorano in Germania: perchè sono diventati tedeschi. Così come sono diventati austriaci i membri di quella comunità bosniaca, che ho conosciuto anni fa a Linz, i quali mi hanno portato a vedere i monumenti della città con lo stesso orgoglio come se si fosse trattato della loro città natale .Ed erano talmente inseriti da preoccuparsi di fare loro da filtro sui nuovi arrivi: per essere certi che a Linz venissero a lavorare solo bosniaci seri che non li facessero sfigurare agli occhi dei concittadini austriaci…

In una splendida intervista a La Stampa il regista Pupi Avati sostiene che la disgregazione della società italiana è cominciata dalla famiglia per poi riversarsi sulla politica, sulla scuola, sulla stessa Chiesa. Non so se tutto parta dalla famiglia. Ma concorso sul risultato finale: siamo una società disgregata, dove nessuno più riesce ad esercitare un ruolo educativo. Trovo patetico il timore espresso ieri da Giorgio Israel sul Giornale; timore che gli insegnanti di sinistra, attraverso l’ora di educazione civica, arrivino a indottrinare gli studenti al culto dello Stato e della Costituzione. Magari arrivassero ad indottrinarli, a catechizzarli. Perchè sarebbe già qualcosa…Mentre oggi è peggio. Nel senso che qualunque cosa dica oggi ai nostri giovani la scuola, la famiglia, la Chiesa, l’informazione, la politica, tutto scorre su di loro come l’acqua sull’impermeabile senza lasciare traccia.

Il nostro è appunto un Paese che non sa più educare. Nemmeno i propri cittadini. Figuriamoci gli stranieri. Da noi Drogba sarebbe rimasto ivoriano, continuando a mandare affa…l’arbitro proprio come un Totti qualsiasi.

LA SANITA’ USA VA…DI LA’ DEL MURO

 

 

La Camera Usa ha detto sì alla riforma della sanità voluta da Barack Obama ed il presidente ha parlato di “una giornata storica per l’America”. Un voto arrivato in un altra giornata storica per l’Europa e per il mondo: l’anniversario della caduta del Muro di Berlino. Ed è curioso osservare che quella assistenza sanitaria garantita anche a chi non può pagarsela, che Barack è impegnato ad introdurre negli Usa, esisteva per tutti e assolutamente gratuita in ogni Paese dell’Europa comunista. E funzionava anche in maniera più che accettabile.

Ma l’intero modello comunista – con la sua sanità gratuita, con la sua ottima pubblica istruzione, con i suoi fondamenti etici inoppugnabili – è saltato per aria,oltre che per la mancanza di libertà, perchè aveva costi insostenibili. Insostenibili a fronte di una produttività in progressiva ed inarrestabile dissoluzione. Lo statalismo, l’assistenzialismo, che elargiscono e garantiscono comunque e a prescindere, finiscono col distruggere la responsabilità individuale. Le persone lavorano sempre meno; non perchè siano cialtrone, ma perchè il sistema le fa diventare cialtrone. E così un modello che sulla carta ha – lo ripeto – un alto valore morale e umanitario, all’atto pratico diventa insostenibile.

Oggi la riforma sanitaria che Obama vuole introdurre negli Stati Uniti incontra fortissima resistenze non perchè gli americani siano insensibili alle esigenze della solidarietà e dell’umanità, ma perchè temono gli effetti deleteri dell’assistenzialismo che arriva a corrompere la vitalità dell’uomo. E’ un concetto che spiega molto bene oggi sul Corriere Massimo Gaggi che scrive: “Figli dei pionieri, influenzati dalla cultura protestante, gli americani restano convinti, in maggioranza, che ognuno è responsabile del proprio destino; che in nessun settore, nemmeno nella sanità, possono esserci i “pasti gratis”.

Per noi invece i “pasti gratis” ad ogni livello sono diventati la norma, la pretesa, il diritto acquisito e irrinunciabile. Ci beiamo autoproclamandoci molto più civili degli americani, che accusiamo di lasciar morire per strada chi non ha in tasca la carta di credito o l’assicurazione sanitaria. Dovremmo invece guardarci allo specchio e vedere i guasti che l’assistenzialismo ha prodotto tra di noi proprio perchè toglie ad ognuno la responsabilità del proprio destino. Qualunque cosa venga garantita gratuitamente è diseducativa perchè puoi averla senza merito e senza fatica. E i risultati li vediamo in almeno metà del nostro Paese…

Il Muro non c’è più ma, in compenso, noi abbiamo trasferito l’assistenzialismo anche in famiglia, dentro le mura delle nostre case: ai figli diamo la paghetta, le vacanze garantite, i vestiti griffati, l’università con appartamento pagato fuori sede, e poi ci lamentiamo che non comincino mai a lavorare…Quando, avendo tolto loro la responsabilità del proprio destino, c’è se mai da stupirsi che qualcuno si metta a lavorare ugualmente…

 

 

SI STAVA MEGLIO FINCHE’ C’ERA IL MURO

 

Alla vigilia del 9 novembre, ventesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino, un grido dovrebbe levarsi da tutti noi come da un sol uomo: arridatece er Muro! Ovvio che è solo un sogno, certo che l’orologio della storia non torna mai indietro (come il nostro, biologico, per altro…), ma che almeno sia chiaro che noi non abbiamo proprio nulla da festeggiare. Noi stavamo molto meglio prima. Proprio perchè loro, quelli che vivevano dietro il Muro, stavano molto peggio: è l’ovvietà dei vasi comunicanti.

Giusto quindi che festeggino l’anniversario i cittadini che abitavano nei Paesi ex comunisti la cui vita è migliorata sotto ogni profilo, sia economico che delle libertà individuali. Ma noi dovremmo vestirci e lutto e suonare le campane a morto: il 9 Novembre è la data del funerale dell’Occidente, del suo benessere, della stabilità. Una stabilità che era tutta a nostro beneficio e che, paradossalmente, sul piano planetario era garantita dai “nemici”, cioè dal pugno di ferro dell’Unione Sovietica (Si potesse riportarlo indietro, quel maledetto orologio, vedremmo le truppe usa combattere fianco a fianco dell’Armata rossa in Afganistan, altro che finanziare Bin Laden e i talebani!).

La retorica martellante sugli immigrati che sono “una risorsa” non serve a farci dimenticare che, prima del 1989, questa risorsa proprio non sapevamo cosa fosse. l’Unione Sovietica infatti, ferrea guardiana dello statu quo, bloccava qualsiasi flusso migratorio non solo dietro alla Cortina ma anche in Africa e nel resto del Mondo. E, dove non ci pensava l’Urss, c’era la vecchia, cara, Cina Comunista di quel tempo che ci aveva non solo il Muro ma addirittura la Muraglia attraverso la quale non transitava nemmeno uno spillo.

Dopo il 9 Novembre di venti anni fa, i primi ad attraversare le macerie non sono stati né i lavoratori né le badanti ma i delinquenti, pronti e svegli come sempre ad andare ad arraffare la dove c’è il grasso che cola. Poi col passare degli anni ha cominciato ad arrivare la “risorsa”, cioè i lavoratori stranieri; ed ora negli ultimi anni è giunta anche l’iper risorsa: cioè i cinesi ed altre popolazioni orientali. Iper risorsa nel senso che i cinesi, come vediamo, lavorano molto più degli africani e di chi è arrivato dall’Europa dell’Est (che già lavorano più dei “nativi”, che saremmo noi). E noi, abbiamo semplicemente chiuso gli occhi e cercato di ignorare la realtà: come se ci fosse ancora il Muro a garantirci, pensiamo di potere avere il posto fisso; pensiamo di poter lavorare poco, lavorare tutti come se…fossimo noi ancora di là del Muro!

Per farla breve la caduta del Muro ha segnato l’inizio della globalizzazione, cioè la fine dei nostri privilegi. I terzomondisti militanti ci spiegano che finalmente è cominciata a finire la vergogna di un Occidente che si approfittava delle disgrazie altrui: delle popolazioni schiacciate sotto il tallone del comunismo, e delle altre a cui portavamo via impunemente le risorse. Tutto vero, tutto giusto. Ma con una piccola conseguenza. In questo mondo più equo e più libero dovremmo imparare a lavorare come cinesi, ad accettare la logica degli agenti di commercio:; si guadagna in proporzione a quanto di fattura e si produce. Perchè il Muro cadendo ha ripristinato la comunicazione tra i vasi del mondo.

Invece dentro di noi coltiviamo l’assurda utopia che il Muro sia ancora in piedi. Aiutati da una politica che per prima ha fatto finta di niente, pensando che bastasse cambiare nome…Quando invece i comunisti avrebbero dovuto scomparire anche di qua del muro come successo di là (E, non a caso, oggi sono i polacchi a dirci che è inaccettabile affidare ad un ex comunista la politica estera dell’Unione europea…). Chiudendo gli occhi di fronte ad una nuova realtà sgradita ci illudiamo che tutto possa continuare come prima: Quando è evidente che le macerie hanno liberato chi stava di là, rotolando però addosso a noi che dal Muro eravamo difesi.



LA FORMICA ATTACCA L’ELEFANTE CIA

 Dunque i magistrati di Milano hanno prima messo sotto processo e poi condannato non solo gli uomini della Cia, responsabili del sequestro di Abu Omar, ma, per loro tramite, anche le modalità di lotta al terrorismo islamico adottate dall’amministrazione Bush: rapimenti, interrogatori con tortura, carcere duro stile Guantanamo. Caspita.

La prima cosa che colpisce in questa vicenda è la protervia della formica che pretende di mettere in riga l’elefante. Mi spiego. Quando eravamo noi padroni del mondo cosa sarebbe accaduto se un qualche procuratore della Macedonia o della Numidia ( tanto per citare due delle centodiciassette province in cui era diviso l’Impero romano ai tempi di Marco Aurelio) avessero preteso di mettere sotto accusa e condannare i funzionari imperiali e magari lo stesso Cesare? Sarebbe accaduto che a Roma da un lato avrebbero irriso alle pretese della formica ma dall’altro si sarebbero irritati per la sua protervia. Esattamente quello che oggi succede a Washington.

Come noto il procuratore Spataro voleva processare anche i nostri servizi segreti accusati di aver agito in maniera illegale. E per loro non c’è stata condanna solo perchè è scattato il “lodo” del segreto di Stato. Mi pare che non abbia alcun senso discutere i dettagli. Diamo pure per scontato che la verità sia quella sostenuta dal procuratore Armando Spataro: i nostri servizi hanno tenuto bordone a quelli americani nel commettere tutta una serie di reati, a partire dal rapimento dell’ex imam di Milano. Tuttavia le questioni da discutere sono altre. E precisamente

1) Se accettiamo l’idea che possono e devono esistere dei servizi segreti è chiaro che questi non si comporteranno come vigili urbani. Si trattasse di agire nell’ambito della legge basterebbero le altre forze dell’ordine. Mentre se istituiamo dei servizi segreti lo facciamo accettando il principio che, in segreto, agiscano ai confini della legalità e anche al di fuori. Mi sembra che tutto questo sia connaturato alla loro esistenza. Servono, non servono? Sono utili a garantire la sicurezza oppure dannosi per le loro trame occulte? Si può discutere, ma solo tenendo fermo che alla fine la decisione spetta agli unici interpreti della sovranità popolare: cioè ai politici, e non ai magistrati che con processi come quello di Milano smantellano i nostri servizi segreti e li rendono inaffidabili agli occhi degli alleati.

2) Che limiti poniamo alle azioni border-line dei servizi segreti: possono solo spiare o anche corrompere? Possono rapire e torturare oppure no? Fino a che punto possono agire al di fuori della legge e delle regole della civiltà democratica? Anche qui la più ampia discussione, ma sempre tenendo fermo il punto che sono i politici a stabilire che reati sono concessi ai servizi e che reati no. Mai comunque i magistrato

3) Il rapimento a Milano di Abu Omar da parte di agenti Cia con la complicità dei nostri servizi è la conferma che siamo i lacchè degli Usa, che il nostro è un Paese a sovranità limitata? Può essere. E magari si può pretendere di ritrovare uno scatto d’orgoglio come ai tempi di Sigonella. Ma anche questo lo decidono solo i depositari della nostra sovranità popolare. Perchè la novità più clamorosa di questo processo alla Cia è che certi magistrati, i quali da anni pretendono di determinare la politica interna del nostro Paese, per la prima volta han voluto dettare anche le linee di politica estera, la scelta delle alleanze, i termini del rapporto della provincia Italica con l’Impero Usa.

In conclusione però senza dimenticare mai che questa esondazione dagli argini di competenza della magistratura può avvenire solo perchè il potere politico dorme o è in altre faccende affaccendato oppure è preda di un attacco di panico. I paletti può e deve metterli la politica, invece di accusare i magistrati di aver attraversato confini inesistenti. Nella fattispecie, dopo l’11 settembre, lo scudo del segreto di Stato avrebbe dovuto essere esteso e coprire anche l’attività dei servizi segreti alleati, Cia in primis. Evitando così di essere coprotagonisti nella comica della formica che va all’assalto dell’elefante.

 

 

MARRAZZO, VELINE E SPECCHIETTI PER ALLODOLE

 

C’è una nemesi nel caso Marrazzo, una nemesi tutta politica che prescinde dai risvolti etici e dagli sviluppi giudiziari: è la giusta punizione per chi ha pensato di conquistare il consenso dei cittadini usando gli specchietti per allodole. Nella fattispecie per chi ha puntato ad ottenere la guida del Lazio, di una delle più grandi e complesse regioni italiane, candidando una star del giornalismo televisivo prestata alla politica senza alcuna preventiva verifica di attitudini e capacità specifiche. Non che il Pd sia l’unico a ricorrere allo specchietto per allodole; ma rischia di essere recidivo se è vero, come si racconta, che sarebbe pronto a candidare al posto del Marrazzo bruciato una sua fotocopia, cioè Davide Sassoli (fotocopia non nel senso dei trans e della coca, ma in quanto anche lui star del giornalismo televisivo prestato alla politica).

Si è tanto criticato Berlusconi per la sua volontà di candidare le veline; sostenendo che erano un oltraggio alla democrazia, un insulto all’intelligenza dei cittadini elettori, uno sfregio all’arte nobile della politica. C ‘è del vero in queste reprimende. Ma aggiungiamo che le veline sono il più banale specchietto per allodole, il più scoperto, il più ovvio: candido una bella gnocca che gli amanti del genere me la votano…Mentre trovo più subdolo, più vergognoso, e alla fine anche più stupido candidare la star del giornalismo, il medico di grido, l’intellettuale engagée, l’imprenditore di successo, il magistrato d’assalto, attori e cantanti, l’avvocato bravo a difendermi in tribunale, il rampollo di casa Savoia. Categorie ricordate a posta per riassumere le scelte operate da quasi tutti i partiti. Scelte fatte in spregio alla specificità della professione politica che richiede doti e caratteristiche diverse. Il medico, il giornalista, l’imprenditore di successo si è già realizzato nella sua professione e quasi mai è capace di farlo anche nella professione politica. Paradossalmente è più probabile che diventi un bravo politico l’oscuro giornalista di provincia rispetto a Scalfari, il medico di base nei confronti di Umberto Veronesi, nel senso che magari fin’ora avevano sbagliato mestiere e potrebbero “esplodere” nel cambio di professione. Mentre tutti i “grandi” passati alla politica hanno deluso.

E poi, come dicevo, queste veline d’alto bordo sono una scelta stupida per i partiti che l’hanno fatta: cosa hanno dato al Pd un Santoro o una Lilli Gruber mandati a Strasburgo? Quanti nuovi consensi ha conquistato in Veneto candidando ieri Massimo Carraro e oggi Calearo? Il Pd in Veneto ha vinto candidando un solido e quadrato professionista della politica come Flavio Zanonato, non una star o un qualunque specchietto per allodole. (Perchè gli stessi elettori del Pd sono meno stupidi di quanto pensino certi loro dirigenti…E il declino del vecchio Pci è iniziato quando ha cominciato a preferire i “cattolici del dissenso” ai suoi fidati funzionari che per il partito lavoravano 24 ore al giorno).

A Strasburgo ha senso mandarci i Lorenzo Fontana che, da quando c’è approdato, lavora pancia a terra per garantire al proprio territorio e al proprio partito i tanti possibili “ritorni” della comunità europea. E, con Fontana, siamo arrivati all’eccezione: cioè alla Lega che è l’unico partito – correggetemi se sbaglio – che non candida specchietti per allodole: non ne ricordo uno di attore, cantante, intellettuale, giornalista di fama, magistrato, noto imprenditore candidato dal Carroccio negli ultimi dieci-quindici anni (qualcuno c’era agli esordi, ascrivibile a errori di gioventù…). La Lega privilegia i Tosi, gli Zaia, i Bitonci, formatesi e cresciuti nel territorio, proprio come accadeva un tempo con la Dc e il Pci; persone con autentica dimensione popolare capaci di stare con i cittadini comuni e recepire le loro attese.

Galan ironizza su un Luca Zaia pronto a inaugurare tutte le fiere e presente a tutte le sagre. Ma anche qui c’è una nemesi: sappiamo infatti come sta per concludersi la partita tra loro due…

 


E’ LA MERKEL CHE FA CUCU’ A SILVIO

 Altro che fare cucù alla Merkel. Sulla questione cruciale per qualunque governante – quella delle tasse – è Angela che fa cucù a Silvio! Nel senso che il cancelliere tedesco, appena insediato il suo nuovo governo di coalizione con i liberali, ha annunciato un piano di sgravi fiscali che il Cavaliere se lo sogna: 14 miliardi di euro dal gennaio 2010 e altri 24 a partire dal 2011. Sgravi sia per le famiglie che per le imprese. E in Germania quello che si annuncia si attua.

Ecco perchè il Cavaliere, sulla carta imprenditore e dunque campione del liberalismo, dovrebbe andare a lezione da questa democristiana cresciuta nella ex Germania comunista. Andare a lezione ed imparare, anzitutto a mantenere gli impegni presi con gli elettori, e poi a tagliare le tasse con l’accetta.

Nel 2001 Berlusconi si era impegnato a portare l’Irpef a due sole aliquote, 23 e 33%. Nel 2008 aveva annunciato l’abolizione dell’Irap. Oggi si è perso anche il ricordo di ridurre l’imposta sul reddito, mentre ci si accapiglia attorno ad un “taglietto” dell’Irap con Tremonti che sostiene manchino le risorse per farlo. C’è la crisi e quindi non si taglia l’Irap, così come nel 2001 ci furono le Torri Gemelle e quindi non si tagliò l’Irpef. In realtà non c’è stato nemmeno il taglio…delle palle, perchè la nostra classe politica non le ha mai avute…E noi cittadini dovremmo prendere atto che il vero problema è la mancanza di quegli attributi che ha invece Frau Angela Merkel.

La Germania infatti è alle prese con una crisi economica molto più grave della nostra. Ma appunto per questo la Merkel taglia drasticamente le tasse. Ha il coraggio di farlo sorretta dalla consapevolezza che questo è il vero punto di ripartenza, questo è il fulcro per rilanciare la produzione, i consumi e quindi anche gli introiti fiscali dello Stato e i conti pubblici. Noi invece (e perfino il Cav. pseudo liberale) ragioniamo come gamberi statalisti e diciamo: prima bisogna ridurre il debito pubblico, prima bisogna uscire dalla crisi, prima bisogna combattere l’evasione fiscale, e solo dopo potremo ridurre le tasse. Confidiamo cioè che sia un miracolo a salvarci e non scelte coraggiose di politica economica. Quando perfino il povero Veltroni l’aveva capito e, rovesciando il dogma della sinistra jurassica, su tasse ed evasione aveva detto: pagare meno per pagare tutti.

Per dei cittadini, come noi italiani, cresciuti a pane ed ideologia è assai difficile diventare laici e capire che la cosa fondamentale, la base del contratto sociale, è il rapporto fiscale che si stabilisce tra governati e governanti: conta solo quanto pago e che qualità di servizi ottengo in cambio, il resto è fuffa o quasi. E noi da decenni abbiamo costi svedesi per servizi maghrebini.

Quando il passaggio dal governo Prodi al governo Berlusconi comporta una qualità dei servizi immutati, con le aliquote che si innalzano ulteriormente sopra il 43%, dovrebbe essere chiaro che questo cambio può entusiasmare solo chi…ha i gusti di Marrazzo.



SESSO E POTERE, MARRAZZO CONFERMA

 A prescindere dai risvolti giudiziari, la vicenda di Piero Marrazzo ci insegna (o ci conferma) alcune cose su quel piano dei rapporti interpersonali che, sulla carta, ci vedrebbe tutti molto aperti e disinibiti. Partiamo da Giorgio Gaber che, trent’anni fa, faceva dire al protagonista di una sua canzone “Per me vanno bene tutti: uomini, donne, animali, caloriferi…”. Questa sembrerebbe essere la regola sessuale corrente, con l’unica puntualizzazione che il gatto o il termosifone siano maggiorenni e consenzienti…

Fatto salvo cioè il reato di pedofilia, oggi diamo per scontato che tra maggiorenni consenzienti possa avvenire tutto quanto concordato, compreso il libero scambio di denaro per prestazioni. Dopo di che ognuno risponde ai propri retaggi di cultura sessuale: quel macista reazionario del Cav è rimasto fermo alla gnocca, mentre un progressista come Marrazzo giustamente coltiva le nuove frontiere della trans sessualità. Quindi l’unico torto del governatore del Lazio sarebbe quello di non aver trovato il coraggio di infilarsi i pantaloni e denunciare quel vergognoso ricatto che voleva impedire il diritto alla libera espressione del suo eros…

Qui però si intravvede una prima discrasia. Nel senso che mentre il Cavaliere non ha mai avuto problemi a vantarsi pubblicamente delle proprie conquiste femminili, Marrazzo (e prima di lui Sircana) sembrerebbero vergognarsi delle loro trans-frequentazioni…Come se la pubblica opinione fosse ancora così’ bigotta da considerare una perversione le performance di Piero con Natalie e un sano soddisfacimento le nottate (con doccia gelata) di Silvio con Patrizia. Che sia così? Vuoi vedere che nell’intimo l’opinione pubblica resta un tantino tradizionalista quanto a rapporti sessuali?

Seconda questione. Alle persone comuni hanno sempre spiegato (da secoli e secoli) che c’è una serietà, c’è un’etica nei rapporti interpersonali. E gli uomini veri, le donne responsabili, sanno che ci sono dei codici di comportamento…Mesi e mesi di gossip, il continuo spiare dal buco della serratura dei potenti a seguire prima le escort e adesso i trans, ci aiutano a capire che queste regole e questi codici per i potenti non sono (quasi) mai esistiti: né per i Kennedy né per Fidel Castro, né per Mitterand né per Berlusconi e, giù a scendere, né per Marrazzo né per Sircana né per Salvatore Sottile (lo ricordate? L’ex braccio destro di Fini che prometteva carriere televisive in cambio di gnocca)), fino a quel direttore di carcere arrestato nei giorni scorsi perchè pretendeva prestazioni sessuali da una detenuta in cambio dei permessi di semi libertà.

Ai vari livelli chiunque ha detenuto il potere lo ha usato per ampliare la sfera del piacere sessuale. (Gli unici che non lo hanno fatto, come Hitler o come Stalin, è solo perchè avevano gravi impedimenti in quella sfera…Ed è stato peggio ancora, nel senso che hanno trovato ben altri sfoghi per la loro libidine repressa). Possiamo anche capirlo, e magari pure invidiarli. Ma la cosa inaccettabile è che vengano a raccontare a noi, persone comuni, che c’è un’etica e che ci sono delle regole, che il coniuge o il partner va rispettato e che è indecente tradirlo…


 

 

 

NUOVO CALCIO, VETERO COMUNISMO

 

 

Neanche il tempo di varare la legge sui nuovi stadi, approvata dal Senato e non ancora dalla Camera, che già divampa la solita accusa: speculazione! La lancia Lega Ambiente perché chi costruirà i nuovi stadi, cioè le società calcistiche, potrà annetterci al posto dei soliti impianti sportivi o palazzetti (che non rendono nulla e comportano anzi solo costi di gestione) i “complessi multifunzionali”, cioè dei bei centri commerciali con negozi, bar, ristoranti e tutto il resto.

Prima di entrare nel merito dei nuovi stadi, alcune considerazioni su questa mentalità davvero vetero-comunista che bolla come sprezzantemente negativa qualunque speculazione, cioè qualunque tentativo di guadagnare. Se parliamo di condomini costruiti nella Valle dei Templi, queste sono le speculazioni che tutti condanniamo. Non il resto, non quanto fatto con regole e leggi: la speculazione economica, intesa come impegno e ricerca del guadagno, è sacrosanta. Va benedetta e incoraggiata. E’ quella che ha fatto uscire il Veneto dal sottosviluppo secolare. Quando cioè, per puro calcolo speculativo, moltissimi veneti hanno abbandonato un’agricoltura con redditi da fame e sono passati all’industria. E poi tanti di loro sono diventati piccoli imprenditori in proprio, creando quel tessuto produttivo diffuso che è la ricchezza della nostra regione. Lo hanno fatto per spirito speculativo, cioè per migliorare la loro situazione materiale. La speculazione economica è la scelta etica. La scelta immorale invece è ripiegare sul posto di lavoro pubblico improduttivo, diventando così un parassita sociale.

(Uno dei tanti veneti che merita un monumento è quel signore di Montebelluna che ho conosciuto anni fa: era un pubblico dipendente, un dirigenti delle Poste, e si è licenziato; si è messo sul mercato. Ha usato la liquidazione per aprire una delle tante aziende “del sottoscala” che operava nell’indotto della calzatura sportiva. Oltre a fargli un monumento bisognerebbe clonarlo e diffonderlo al Meridione…)

Venendo ai nuovi stadi, vale un discorso analogo. Fin’ora troppe società calcistiche sono state dei parassiti, se non sociali (anche quello: pensiamo alla Regione Sardegna che sponsorizzava il Cagliari) individuali: cioè dipendenti per sopravvivere dalla munificenza dei vari mecenati. Adesso realizzando questi “complessi multifunzionali”, incentivando al massimo il merchandising, possono finalmente attuare una sana speculazione economica che le renda nuovamente competitive con il calcio europeo. Anche imprenditori “di sinistra” (cioè avversari di Berlusconi) come i Della Valle vogliono speculare, cioè realizzare a Firenze il nuovo stadio con la Cittadella che solo può consentire alla Fiorentina di avere una forza economica propria.

Il calcio marcio, il calcio immorale è quello che si fa ripianare i debiti da leggi statali ad hoc o da presidenti con le mani bucate, come ieri Berlusconi col Milan e oggi Moratti con l’Inter. Il calcio sano è quello che vive di speculazioni, moltiplicando cioè le opportunità di introiti grazie ai centri commerciali annessi ai nuovi stadi. Ma per capirlo bisogna superare l’approccio vetero-comunista alla Lega Ambiente.


POSTO FISSO, MISERIA GARANTITA

 

Nell’elogio fatto dal ministro Tremonti del posto fisso che, secondo lui, consentirebbe di organizzare meglio “il progetto di vita e di famiglia”, va però aggiunta questa postilla: sarà comunque un progetto a ribasso di reddito. L’economia ha infatti le sue leggi e le sue regole, che il ministro dell’Economia per primo non può ignorare, nemmeno quando si mette a filosofeggiare.

Questa equazione, posto fisso=reddito basso, è confermata sia dalla storia che dal presente. La storia dei Paesi dell’Est dove tutti, ma proprio tutti, avevano il posto fisso e non c’era alcuna angoscia per il futuro: nel senso che si sapeva che l’avresti passato in coda a cercar di comperare un chilo di patate… Dopo c’era la nomenclatura, con il posto un po’ meno fisso (nel senso che i suoi membri rischiavano di essere fatti fuori d’emblée) e tutta una serie di privilegi anche economici. Ma per la massa il posto fisso significava miseria sicura: lavoravano tutti, lavoravano poco, venivano pagati ancora meno. E alla fine quel sistema economico implose

Anche oggi, nell’Italia del 2009, c’è la nomenclatura privilegiata – l’ultracasta dei magistrati, i manager pubblici, i vertici militari, etc – che, senza nemmeno correre i rischi dei loro colleghi dell’Est, hanno ottimi stipendi. Ma anche per la nostra massa dei pubblici dipendenti c’è il lento, quanto inesorabile, declino del reddito: insegnanti, medici, poliziotti, comunali guadagnano oggi meno, hanno meno potere d’acquisto rispetto a 20-30 anni fa. E non può che essere così quando, col posto fisso a prescindere dai controlli e dalle verifiche, la produttività va in caduta libera. Quello che si faceva in due lo si fa in tre, ma anche le risorse vengono divise in tre invece che in due.

Il paradosso di questa nostra Repubblica, che pomposamente si definisce “fondata sul lavoro”, è che ha cancellato qualsiasi controllo sul fatto che i suoi dipendenti lavorino sul serio. E quindi non resta che pagarli poco per poterli pagare tutti.

A proposito di posto fisso, sempre più si parla quasi esclusivamente di statali. Perchè il posto fisso nel lavoro dipendete privato sta scomparendo. Mentre nel lavoro autonomo non è mai esistito. E questa enorme disparità di trattamento tra lavoratori è la più palese, vergognosa e sottaciuta violazione dell’art. 3 della Costituzione.

Ma, quantomeno, resta la nemesi: dipendenti privati e autonomi restano padroni del proprio reddito e della propria “fortuna” (sui quisque fortune faber); mentre i pubblici dipendenti, grazie al posto cristallizzato, subiscono l’impoverimento progressivo nell’impossibilità di reagire.

 

L’ORA DI RELIGIONE…PERDUTA

 

Su l’Islam in classe, cioè su l’ora di religione, non c’azzeccano né Luca Zaia né Gianfranco Fini.

Il presidente della Camera, nel suo slancio di neofita progressista, non si rende conto che prospetta per i giovani mussulmani la soluzione più codina, cioè la più reazionaria. Non bastassero gli imbonimenti oscurantisti che molti di loro subiscono a casa e in moschea, Fini vuole propinarglieli anche nell’orario di lezione della nostra scuola pubblica. E così facendo (cioè indossando i calzini verde islam) crede di essere molto a la page. Non si rende conto che la soluzione è esattamente opposta: per favorire l’integrazione degli immigrati islamici bisogna cioè liberarli dai cascami più retrivi della loro legge religiosa; che a nulla serve replicarglieli, anche a scuola, sia pure in un modo più annacquato e conforme al cosiddetto “Islam moderato”.

Esattamente come a nulla è servito alla Chiesa “modernizzare” l’ora di religione, trasformando cioè l’ora di catechismo cattolico in un’ora di storia delle religioni…La vecchia ora di religione aveva senso finchè in tutte le parrocchie il 99% dei bambini andavano a catechismo. Basta verificare quanti sono oggi quelli che frequentano i corsi di catechismo in parrocchia e si capisce subito quanto sia pregnante mantenere l’ora di religione a scuola.

E qui veniamo a Luca Zaia che ci racconta non come siamo, ma come eravamo. Il ministro, in polemica con Fini, sostiene infatti che per gli studenti islamici bisogna rendere obbligatoria proprio l’ora di religione cattolica perchè questo servirebbe “a far capire loro perchè noi siamo così e quali sono i risultati del cristianesimo e cattolicesimo profondamente radicati nella nostra società”. Tutto perfetto, tranne l’uso dei tempi: Zaia usa il presente al posto del passato (più o meno remoto). Ignora che oggi nemmeno gli insegnanti di religione (nominati e revocati dai vescovi nella scuola pubblica, ma ci rendiamo conto?…) insegnano più la religione cattolica, perchè lo considerano troppo retrivo, e preferiscono atteggiarsi a storici delle religioni.

Il profondo radicamento sociale del cattolicesimo è un ricordo dell’Italia del passato, quando tutto e tutti ruotavano attorno alla fede: anche gli anticlericali e i massoni, percorsi da un furore che era uguale e contrario a quello dei clericali. Ma oggi…Oggi esiste un sentimento che è davvero trasversale agli schieramenti politici, che è uguale tra gli elettori della Lega e del Pd, del Pdl e dell’Italia dei Valori: ed è l’indifferenza nei confronti della religione, che non rappresenta più un riferimento nella vita quotidiana dei cittadini.

Non si tratta di gioirne e nemmeno di strapparsi i capelli, ma solo di prendere atto della realtà. E quindi di arrivare ad abolire anche l’ora di religione cattolica, non certo di affiancare quella di religione islamica. Quanto all’integrazione, sarà possibile solo se e quando noi “cattolici indifferenti” avremo a che fare con mussulmani anche loro divenuti “indifferenti”.