DA PAPI A POLANSKY, IL PEDOFILO CHE PIACE

 Da Papi a Polansky cambia tutto, si rovescia completamente il giudizio dei nostri moralisti a corrente alterna. E, come osserva il Riformista, se di mezzo c’è il regista polacco al posto del Cavaliere Nero, ecco che di colpo “il pedofilo ci piace”.

Anche oggi, nel giorno del 73 compleanno del premier, Repubblica ha in mente un altro compleanno e gli ripete le celebri dieci domande, a cominciare dalla prima da cui tutto iniziò: “Ha frequentato e frequenta altre minorenni?”. Altre, oltre a Noemi Letizia. Con questa domanda Repubblica da per scontato ciò che scontato non è: cioè che Berlusconi, essendo andato alla feste per i diciott’anni di Noemi, la conoscesse e la “frequentasse” (cioè la scopasse) già da prima quando di anni ne aveva diciassette ed era quindi minorenne. Tutto da dimostrare, cosa che né Repubblica né altri sono riusciti a fare. Esistesse, per assurdo, una registrazione dal telefonino della D’Addario che ci mostra gli amplessi tra Berlusconi e una Noemi diciassettenne, non saremo comunque di fronte al reato di pedofilia perchè una diciassettenne può essere consenziente

Eppure senza prove, senza reato, sulla semplice base di illazioni ed insinuazioni, sappiamo quanto sia montata l’onda dello sdegno contro Berlusconi. Oso dire in maniera spropositata rispetto a fatti, che comunque non sono reati, e che restano tutti da dimostrare. Avessimo la conferma di tutto questo sesso a go go attribuito al Cavaliere, concluderemmo che ha sfruttato il suo potere come tanti altri uomini politici che certo non hanno praticato la castità né rispettato il vincolo matrimoniale: da Mao a Fidel Castro, da John a Ted Kennedy, da Clinton a Mitterrand a Giscard d’Estaing.

Tornando a Roman Polansky non ci sono né sospetti né insinuazioni, ma fatti, sentenze: condannato per aver stuprato quando aveva 45 anni una bambina di 13. E qui la tenera età della vittima esclude che possa essere consenziente, e quindi oltre allo stupro c’è la pedofilia. Non ci sono dubbi per questo reato tra i più odiosi: lei lo inchioda, lui è reo confesso e fugge dagli Stati Uniti per non finire in carcere. Eppure la stessa Repubblica, che crocefigge il Cavaliere dando per scontato ciò che scontato non è, assolve Polansky derubricando lo stupro tra gli “eccessi” di un “artista esagerato”. E aggiunge, come attenuante, che “nell’ambiente si sapeva che il regista aveva quello che qualcuno scherzando chiamava il morbo di Nabokov, cioè una predilezione per le lolite”.

Gli stessi che si lamentano per la prescrizione che avrebbe consentito a Berlusconi di cavarsela in vari processi, si indignano perchè non esiste col regista polacco e gli Usa continuano a perseguirlo anche trent’anni dopo. Moralisti a corrente alterna. Accendono lo sdegno con Papi, lo smorzano con Polansky

 

LIBERO CANONE IN LIBERO STATO

 Libero canone in libero Stato. Feltri e Belpietro, dopo la puntata d’esordio di AnnoZero, hanno rilanciato la campagna per la disdetta del canone Rai. Campagna che la Lega sostiene da sempre e alla quale ora aderisce anche Antonio Di Pietro, sia pure con motivi opposti a quelli dei direttori di Libero e Giornale: per il leader dell’Italia del Valori sarebbero cioè insopportabilmente faziosi i programmi di Vespa e il Tg1 di Minzolini e non le trasmissioni di Santoro, Floris e Fazio.

Il parallelo fatto da Di Pietro non è del tutto convincente. Perchè un conto è essere ossequioso nei confronti dei potenti, un conto è glissare sugli argomenti loro sgraditi, altro conto è usare la clava contro gli avversari politici: e mai abbiamo visto Vespa usare la clava contro Prodi, Bertinotti o Di Pietro; mentre Santoro e Travaglio hanno l’obiettivo prioritario di spaccarla in testa a Berlusconi.

Tuttavia proprio l’intervento del leader Idv ci fa capire qual’è il nocciolo della faccenda: il canone Rai non è un libero abbonamento (come a Sky), è una tassa che tutti i cittadini pagano ( o dovrebbero pagare, nel senso che già un’evasione del 30%). Chi paga appartiene ad un qualunque schieramento politico e non accetta che con i suoi soldi venga finanziata un’informazione pubblica che ritiene faziosa, ostile, o semplicemente svantaggiosa per il proprio partito. Ecco quindi le protesta degli elettori di centrodestra contro Santoro che sono speculari a quelle degli elettori di centrosinistra contro Vespa.

La televisione di Stato, essendo tale, non è paragonabile né alle televisioni private, che ognuno sceglie a gradimento o meno senza pagare tassa alcuna (e quindi non ha senso definire Fede contraltare di Santoro), né alla carta stampata che ognuno è libero di comprare o meno in edicola sempre a seconda del gradimento. Nessun lettore di sinistra è obbligato a comprare Libero, nessun lettore di destra il Manifesto; mentre i telespettatori sono obbligati, se non a guardare, a finanziare trasmissioni di orientamento politico sgradito e questo li fa infuriare.

Come esistono i giornali di partito così ci sono anche le televisioni di partito: Telepadania, Red Tv di d’Alema, la Tv della libertà che aveva messo in piedi la Brambilla. Ma anche queste non hanno canone, chi vuole le guarda chi non vuole le toglie pure dal telecomando. Mentre non dovrebbero esserci in Rai, pagate dai soldi di tutti, trasmissioni che sembrano prese pari pari da televisioni di partito; ed invece le troviamo puntualmente perchè i giornalisti Rai sono stati assunto proprio dai partiti col metodo della lottizzazione.

Aggiungiamo che la Rai è una sorta di “mostro” ermafrodito, sia uomo che donna, sia col canone che con la raccolta pubblicitaria. Un carrozzone che drena una gran fetta della pubblicità televisiva disponibile sul mercato, facendo così il grande favore a Berlusconi di ingurgitare le risorse indispensabili alla nascita di un grande polo televisivo nazionale privato alternativo a Mediaset (La vera legge sul conflitto di interessi sarebbe la privatizzazione della Rai, come sostiene da tempo Massimo D’Alema). La mitica Bbc, come la televisione di Stato francese non hanno un solo spot, non sono ermafrodite.

Essendo pubbliche vivono di finanziamenti pubblici, tratti dalla fiscalità generale o dal canone che paga solo chi vuole vederle e non è obbligatorio, come da noi, per chiunque possieda un televisore. Sono uno strumento di comunicazione pubblica, ovviamente utilizzato in primo luogo da chi è al governo in quel momento ma con spazi adeguati anche per l’opposizione. Strumenti di cultura e di divulgazione, che non spendono cifre rilevanti né per vallette né per programmi tipo Isola dei famosi. E che lasciamo tutto lo spazio alla pluralità dei poli televisivi privati.

Insomma un modello lontanissimo dal nostro; che nemmeno tentiamo di avvicinare perchè, da quei levantini che siamo, ci teniamo stretto il carrozzone Rai, beandoci con le zuffe su Santoro e rilanciando periodicamente lo sciopero del canone (senza mai attuarlo sul serio).


 

SE IL NERO DICE “VAFFANCULO” AL BIANCO

 Gli inglesi, come noto, il calcio l’hanno inventato e quindi non stupisce che un po’ tutte le novità, anche quelle collaterali, arrivino da questo Paese. L’ultima è così clamorosa che rischia di chiudere un epoca. El-Hadji Diouf, giocatore senegalese del Blackburn, durante l’ultimo turno di Premier League giocato a Liverpool, ha apostrofato un raccattapalle della squadra ospite dicendogli: “Vaffanculo ragazzo bianco!”.

Dopo tanti “negro di m…” urlati negli stadi, finalmente è arrivato anche il “bianco di m…”. Dico finalmente perchè mi auguro che questa “novità” giunta dall’Inghilterra serva a chiudere un’epoca. L’epoca in cui episodi e frasi del genere sono stati enfatizzati in modo spropositato quasi fossero il cancro del calcio (quando sono, se mai, simili ad un influenza suina).

Non voglio, sia chiaro, sostenere che gli ululati e gli insulti rivolti ai giocatori di colore siano edificanti. Li ritengo volgari, maleducati, stupidi. Ma non posso nemmeno accettare che li spaccino per il problema del calcio e nemmeno che ce li presentino come la prova del nuovo razzismo che serpeggia nella nostra società. Cerchiamo di collocarli nella loro giusta dimensione. Domandiamoci se ha senso che l’Uefa lanci campagne di spot milionarie contro il razzismo. Se è utile invocare la sospensione delle partite. Se è accettabile criminalizzare per i cori da stadio intere città, come accade abitualmente con Verona e come è successo adesso anche con Cagliari dopo che Balotelli è finito nel mirino dei tifosi sardi.

Trovo tutto questo spropositato e spero che un bel “vaffanculo ragazzo bianco”, pronunciato da un giocatore nero (che il politicamente corretto fatica assai ad accusare di razzismo…) serva a ritrovare una dimensione più equilibrata.

Anche chi giudica i cosiddetti “cori razzisti” un fenomeno molto inquietante, dovrebbe comunque domandarsi che risultati hanno ottenuto le contromisure fin qui adottate. Mi sembra che la massiccia campagna “No racism” promossa dall’Uefa abbia sortito un effetto simile alle campagna antidroga o antialcol: promuove e diffondere il prodotto che si vorrebbe bandire. Altrettanto dicasi per lo spazio e lo sdegno che ogni volta vengono profusi sia nei giornali che il televisione: quasi un istigazione a delinquere, una coazione a ripetere per gli urlatori da stadio che, se mai ottenessero la sospensione della partita, si sentirebbero ancor più appagati…

Non pensate che ignorarli, liquidarli in due parole, non farli sentire protagonisti risulterebbe più efficace? Senza aggiungere che il razzismo, quello vero, si manifesta nei fatti molto più che nelle parole: gente ammazzata per il colore della pelle, per il credo religioso; persone sottomesse e schiavizzate a causa del loro sesso, come avviene oggi con le donne in tanta parte del mondo islamico, comprese certe enclave presenti nelle nostre città. Vogliamo metterlo sullo stesso piano di un coro indirizzato a Mario Balotelli?

Quanto al calcio, la prima emergenza, specie qui nel nostro Veneto, è radere al suolo stadi come l’Euganeo di Padova o il Bentegodi di Verona. Stadi così mal fatti, così poco accoglienti e funzionali, da diventare la prima fonte di istigazione alla violenza per un tifoso che – raggiunto lo stadio, pagato il biglietto e superati i tornelli – si rende conto che…la partita l’avrebbe vista molto meglio standosene a casa davanti alla tivvù.

Non basta l’atmosfera e il coinvolgimento, che certo contano, ci vorrebbero anche stadi all’inglese che ti fanno stare nel terreno di gioco (non a cento metri di distanza come all’Euganeo); stadi con tutti servizi e il contorno di negozi, bar, ristoranti che invoglino intere famiglie, spettatori più tranquilli, a varcare i cancelli.

Stadi funzionali, moderni, accoglienti: questo serve a prevenire la violenza, che poi va anche repressa con la stessa fermezza giudiziaria usata dagli inglesi per stroncare gli hooligans. La violenza verbale, che è cosa diversa, la si combatte anzitutto ignorandola. E anche trovando qualche giusto contrappeso della serie “vaffanculo ragazzo bianco”. Onore al merito di El-Hadji Diouf

 

SANAA E L’ISLAM, UGUALI MA COSI’ DIVERSI

 

 

La tragedia di Sanaa, la ragazza marocchina massacrata a Pordenone da suo padre perchè voleva vivere all’Occidentale e convivere con un italiano, dovrebbe quantomeno servire a farci capire che di uguale ci sono solo i diritti. Tutto il resto è diverso. Diverse sono le culture, le religioni, le tradizioni, le storie de vari Paesi. Affermare che tutte le culture, le religioni, le tradizioni, sono uguali è una colossale fesseria che diciamo solo per paura di venir accusati di razzismo.

Nulla lo dimostra meglio di Sanaa. Questa ragazza marocchina voleva esercitare il suo diritto, a decidere della propria vita, che è eguale a quello di ogni ragazza maggiorenne italiana o eschimese. Ma glielo ha impedito proprio la diversa formazione culturale e/o religiosa di suo padre per il quale è inconcepibile che una figlia viva come voleva fare sua figlia. Non facciamo confusione con i delitti e le violenze passionali, diffusi in cultura, ma che nulla c’entrano con questo caso. Non esiste che un padre italiano arrivi ad uccidere la propria figlia perchè esce la sera o si sceglie un fidanzato a lui sgradito; mentre può succedere e succede con un padre musulmano. Se neghiamo questa differenza, non capiamo nemmeno dove esercitare una qualche prevenzione.

Le religioni. Un conto è dire che va salvaguardato il diritto alla libertà religiosa. Diritto che vale per ogni credo religioso (a meno che non contempli sacrifici umani nei suoi rituali). Ma affermare che tutte le religioni sono uguali è di nuovo una fesseria. Non sono uguali nemmeno sotto il profilo teologico, nel senso che tre solo sono monoteiste, figuriamoci per il resto ossia per i comportamenti sociali che inducono nei loro fedeli. Ci sono sì corsi e ricorsi storici. Ida Magli ricorda che in passato furono migliaia le ragazze cristiane “condannate dai padri al carcere monastico a vita”, quando magari le fanciulle musulmane godevano di maggiore libertà. Ma il confronto dobbiamo farlo nel presente: ed oggi chi pretende, fino ad arrivare a sgozzarle, di imporre stili di vita e scelte matrimoniali alle figlie è il padre islamico (non dico tutti) non quello cristiano.

L’immigrazione in certi casi funziona come una macchina del tempo. Porta cioè in Occidente persone da distanze che sembrano più ancora temporali che geografiche. Mi spiego. Certi uomini islamici, che provengono da Paesi dove la donna vive nascosta e sottomessa, e qui la trovano libera e magari anche discinta, restano sconvolti. Proprio come lo fu il buon Oscar Luigi Scalfaro nell’Italia cattolica e “morigerata” degli Anni Cinquanta, con la cultura che l’aveva formato, di fronte ad una signora col seno generoso in vista: la prese a sberle. Magari per reprimere l’impulso di saltarle addosso…(ed in questo senso i padri di Sanaa e di Hina sono un po’ l’altra faccia degli stupratori).

Quando provieni da queste distanze, da queste diversità di cultura e di costumi, non basta di sicuro imparare la lingua italiana e nemmeno la Costituzione. Quello puoi farlo in pochi mesi. Ma ci vogliono decenni, forse generazioni, per digerire e dimenticare certi dettami. Per accettare che la donna sia libera di disporre della propria vita. Almeno tanto tempo quanto ne impiegò Scalfaro per capire che non si possono prendere a sberle le signore scollate…

Concludendo con la tragedia di Sanaa e le contromisure concrete, ha certo ragione Ida Magli quando scrive che non è “sufficiente affermare che chi vive in Italia deve rispettare le leggi italiane”. Questa è solo una litania che ripetono alcuni politici. Bisognerebbe poter intervenire concretamente. Come secondo voi?

LA SANITA’ DI OBAMA E I CARROZZONI

 

La marcia su Washington dei centomila americani, che lo scorso fine settimana hanno protestato contro il presidente Obama e la sua riforma della sanità, è stata quasi ignorata e/o travisata dai nostri media. Questa protesta risulta infatti incomprensibile per la nostra mentalità corrente, statalista e illiberale, che santifica la sanità pubblica, considerata garanzia di cure gratuite per tutti, e demonizza quella privata considerandola solo mezzo di speculazione sulla pelle degli ammalati. Aggiungiamoci poi la leggenda corrente di un sistema sanitario usa che lascerebbe scoperti decine di milioni di cittadini e non raccoglierebbe nemmeno i moribondi dalla strada se non hanno in tasca una carta di credito o una assicurazione sanitaria.

Proviamo a dissipare l’equivoco smentendo proprio questo assunto. Gli Stati Uniti non abbandonano nessuno, semplicemente lasciano il cittadino lavoratore libero di scegliere: gli mettono cioè in tasca tutto lo stipendio, accettando che sia lui a decidere quanto destinarne all’assistenza e quanto alla previdenza. Noi italiani invece (e gli europei in genere) abbiamo il papà-Stato che decide al nostro posto; che decide quanto prelevarci alla fonte per destinarlo alla previdenza e all’assistenza. Assistenza, cure sanitarie, che non sono dunque gratuite ma prepagate e ad un prezzo (molto alto) prefissato dallo stesso Stato. Il cittadino non sceglie, subisce un’imposizione, ed è costretto a pagare anche per chi non paga pur potendo pagare (l’evasore fiscale) o per chi comunque non paga (l’immigrato clandestino).

I centomila in piazza a Washington non contestano tanto la volontà di estendere a tutti la copertura sanitaria. Contestano che questo avvenga aumentando le tasse anche a chi già si paga l’assicurazione sanitaria; e contestano anzitutto che Obama voglia introdurre una sorta di servizio sanitario pubblico. Perchè, da liberali, sono convinti che l’intervento statale generi carrozzoni tanto costosi quanto improduttivi. E’ già così nel loro sistema scolastico dove, a tutti i livelli, l’eccellenza si trova nel privato (accessibile anche ai nullatenenti capaci e meritevoli, tramite le borse di studio) mentre la scuola pubblica americana è un disastro simile alla nostra.

La vera discriminante è proprio questa. Una nostra mentalità, che oserei definire catto-comunista, considera il profitto fonte di ogni male e di ogni speculazione sulla pelle dei cittadini. Non capiamo che è esattamente il contrario: cioè che proprio la ricerca del profitto, per poter essere soddisfatta con continuità nel tempo, ti costringe ad un comportamento corretto nei confronti dell’acquirente del prodotto – anche di quello sanitario – mentre il sistema pubblico ogni volta diventa irresponsabile e immorale, proprio perchè non è tenuto in carreggiata dalla ricerca del profitto: quindi se ne frega della qualità del servizio erogato al cliente (che paga) e pensa magari ad ampliare l’organico dei propri dipendenti. Come avvenuto tanto nella scuola quanto nella sanità pubbliche italiane.

Capita che la sanità privata convenzionata speculi sulla pelle del malato, e gli impianti protesi o valvole cardiache speciosamente (cosa che fanno regolarmente anche i medici nella sanità pubblica) ma solo perchè non sta correttamente sul mercato, cioè ottiene la convenzione per coperture politiche e non per risultati e rapporto qualità prezzo. Sostenere che il privato specula per profitto è un idiozia. E’ come dire che un produttore privato di automobili ti vende un catorcio al doppio del valore. Facesse così di auto non ne venderebbe più una e finirebbe di guadagnare. Se vuole continuare a vendere, cioè a far profitto, deve fornire vetture competitive che soddisfino il cliente e lo facciano parlar bene di quella marca d’auto. La fabbrica, che vendeva autentici catorci e pagava stipendi a dipendenti del tutto improduttivi, era l’Afa Romeo statalizzata con la famigerata Alfa Sud. Era la Fiat con la Duna, le famose perdite a carico del pubblico e i profitti nascosti nei tesoroni all’estero dell’Avvocato…

Tutto ciò che è statalizzato ha lo stesso rapporto qualità prezzo della Duna o dell’Alfa Sud. La scuola, la sanità, qui da noi viaggiano in Duna. Gli americani cercano di non montarci…Per concludere: se preferite avere i soldi in tasca e scegliere di andarvi a vestire ai grandi magazzini o in boutique, siete negli Stati Uniti liberi e liberali. Se invece è lo Stato a “vestire gli ignudi”, col prelievo forzoso dagli stipendi, prezzi da boutique e qualità da grande magazzino, siete di sicuro nell’Italia statalista che continua a idolatrare gli sperperi pubblici e bolla come reazionarie le proteste anti Obama.

 

 

FORTUNA CHE C’E’ L’ALCIDE SUPERPREMIER…

 Mettiamola così. Berlusconi, nella sua megalomania, definendosi il miglior premier degli ultimi 150 anni, ha lanciato il gioco di fine estate: il Gioco del Super premier. Allora cominciamo a giocare e mettiamo subito fuorigioco l’autovincitore, perchè uno che non è casto e morigerato come tutti noi (Boffo compreso), uno che frequenta grappoli di trenta excort, non può certo ambire ad essere giudicato il migliore.

Di Migliore (con la emme maiuscola) ce ne sarebbe uno; tutti lo chiamavano così, almeno tutti i compagni. Ma era un leader politico, un segretario di partito, non uno statista; e quindi è fuorigioco anche Palmiro Togliatti. Cominciamo la ricerca del premier migliore, o almeno di uno migliore di Berlusconi, cominciamo a ritroso.

Difficile mettere sul podio un Agostino Depretis che, come ricorda nel post precedente apeiron, rese istituzionale il trasformismo, cioè un malcostume politico tra i peggiori e col vanto di essere tutto italiano. Non parliamo poi di Giovanni Giolitti passato alla storia per aver guidato i governi “del malaffare”, con il fallimento della Banca Romana e tanti altri scandali da far invidia alla stagione di Mani Pulite. Dopo di che arriva Lui; e il “compagno” Fini, quand’era ancora camerata, lo aveva definito “il più grande statista italiano del ventesimo secolo”…Ma è chiaro che l’Italia democratica e antifascista non può assegnare la palma proprio a Ben (sarebbe quasi come darla all’attuale massacratore della libertà di stampa).

D’altra parte anche cominciando dalla testa, invece che dalla coda, la ricerca del migliore resta molto ardua: prima del Berlusca c’era il Romano, ma credo che nemmeno i Silvestri riescano a considerarlo più bravo premier degli ultimi 150 anni…Poi ci sarebbe il Divo Giulio, che è stato più volte lui a Palazzo Chigi che la D’Addario e le sue colleghe a Palazzo Grazioli… Resta però l’ombra di quel bacio in bocca a Totò Riina, e così anche Andreotti non è premier da classifica. Vogliamo provare con Bettino Craxi, il cui governo fu uno dei più longevi della prima Repubblica? No perchè, se mettiamo tra i papabili un ladrone di socialista, il gioco è già bello e finito…

Niente in testa, niente in coda, la ricerca sarebbe proprio ardua. Ma per fortuna che in mezzo c’è l’Alcide. Italiano fino ad un certo punto: perchè non va dimenticato che la formazione politica di De Gasperi avvenne nell’imperial regio parlamento asburgico di Vienna…Comunque sia oggi sono tutti d’accordo nel santificarlo. Oggi, che è morto e sepolto. Perchè finché era vivo e politicamente vegeto gliene dicevano di tutti i colori: le sinistre lo accusavano di essere il “servo degli americani” e il “lacchè di Pio XII” (loro che erano i servi ciechi e deferenti di Mosca), e i suoi amici democristiani – che il tradimento lo hanno sempre avuto nell’animo – fecero di tutto per estrometterlo dal governo e mandarlo a morire in esilio a Borgo Valsugana…

Morto, sepolto e dimenticato, De Gasperi è però risorto come icona da “arco costituzionale”: destre e sinistra sono unite nel suo elogio sperticato. E così abbiamo trovato il vincitore, il miglior premier degli ultimi 150. E per fortuna, appunto, che c’è l’Alcide che ci toglie dall’imbarazzo di mettere qualcun altro in cima al podio. Oppure voi, amici del blog, avete qualche altra candidatura alternativa da proporre?


FELTRI E IL “COMPAGNO” FINI

 Vittorio Feltri come tutti i personaggi autentici spacca e divide, è tanto amato quanto odiato. Anche chi lo detesta, perchè lo considera servo di Berlusconi, dovrebbe però riconoscere che è un servo efficiente (non un valletto fru fru come Mario Giordano) nel senso che ha saputo prendere subito il centro del dibattito politico. Oggi è lui che decide di cosa si discute e su cosa ci si azzuffa. Prima su Boffo, adesso sul presidente della Camera definito il “compagno” Fini.

Come tutti i grandi giornalisti – Scalfari, Montanelli – anche Feltri non potrebbe mai essere un leader politica (un po’ come i giornalisti sportivi non potrebbero mai fare, e non fanno mai, gli allenatori), interpreta però molto bene gli umori dei suoi lettori e degli elettori. Cittadini di destra che sono sconcertati dalle ultime prese di posizione di Fini, in particolare in materia di immigrazione. Per capire questo sconcerto basta pensare a quale sarebbe la reazione del popolo di sinistra se un D’Alema plaudisse ai respingimenti definendoli una misura necessaria e doverosa per tutelare i cittadini italiani dall’invasione di immigrati clandestini. “L’è matt!”, è diventato matto, direbbero quelli di sinistra di D’Alema, esattamente come ha detto Bossi di Fini e del suo auspicio di concedere al più presto cittadinanza e diritto di voto agli immigrati.

Siamo (spero) abbastanza adulti e vaccinati per sapere che non esistono né ricette vincenti né Verità rivelate. Ma solo ipotesi politiche. E’ certo però che le ipotesi politiche della destra non possono essere quelle della sinistra, e viceversa. La destra è convinta che il fenomeno epocale dell’immigrazione si affronti chiudendo il più possibile le porte, la sinistra crede invece che vada favorita al massimo l’integrazione. L’esperienza dei vari Paesi non indica soluzioni vincenti. Ma si resta a bocca aperta sentendo un leader della destra che vuole aprire le porte.

E’ vero che la coerenza totale è tipica solo degli ottusi; è vero che saper aggiornare le proprie convinzioni è segno di intelligenza; è vero anche se non sei un po’ puttana non puoi fare politica (e nemmeno giornalismo)…Dovrebbe però esserci un limite. Quindi diciamo che l’aggiornamento di un Fini che nasce delfino di Almirante, che andava sul palco con Le Pen, che vagheggiava il varo di Fascismo Duemila, che detestava i gay al punto di confonderli con i pedofili, è davvero un aggiornamento poderoso. Tanto poderoso da andare oltre il transessuale fino a vagheggiando un approdo ermafrodita.

Ma forse il limite di Fini è proprio questo: anche in politica, come nella vita, puoi cambiare sesso diventando uomo da donna che eri (o viceversa). Non puoi però immaginarti ermafrodito, cioè con entrambi i sessi in contemporanea. Così puoi diventare leader della sinistra, senza però pretendere di restarlo anche della destra.


 

BOFFO, MAURO E LA PRIMA PIETRA

 

Riprendo da dove eravamo rimasti all’inizio di Agosto, perchè mi pare che le novità dell’ultimo mese abbiamo confermato l’assunto: i ladri non sono né di destra né di sinistra, sono ladri a prescindere dalla loro collocazione politica. E altrettanto vale per gli evasori fiscali o per i comportamenti sessuali disinvolti . Resta più che mai attuale il detto evangelico sulla prima pietra che nessuno può azzardarsi a scagliare essendo tutti peccatori; ed è particolarmente grave che l’avesse scordato proprio il direttore del quotidiano dei vescovi Dino Boffo. Feltri e Belpietro, mulinando lo spadone, hanno spiaggiato sia lui che Ezio Mauro che i moralisti in genere. Hanno dimostrato che sdegnandosi per gli altrui peccati non si va da nessuna parte, meno che mai si possono conseguire obbiettivi politici, si finisce solo col ritrovarsi moralisti moralizzati; perchè nessuno, appunto, è in grado di scagliare la prima pietra.

Il che non significa accettare di vivere in un mondo di ladri, di evasori o di libertini; non significa voler assolvere qualcuno in particolare argomentando che tanto tutti sono corrotti; significa solo andarci cauti con lo sdegno e cominciare la critica dall’autocritica: cioè dalla propria immagine riflessa nello specchio.

Dopo di che va aggiunto che questi peccati o vizi privati – spesso – contano relativamente con la professione pubblica del “peccatore”. Dovrebbe risultare evidente con la vicenda del direttore di Repubblica Ezio Mauro, il quale ha fatto esattamente come la quasi totalità degli italiani: cioè si è comprato la casa denunciando meno del suo valore e quindi pagando meno tasse. Bene. Vi pare concepibile che Carlo De Benedetti decida per questo di licenziarlo? Direi proprio di no. All’editore non gliene può fregar di meno dell’evasione fiscale del suo direttore. Gli interessa invece, e molto, come svolge il lavoro per cui è assunto e pagato; se guadagna o perde lettori e copie, se riesce a pilotare una corazzata come Repubblica pur nella crisi che ha investito tutta la carta stampata oppure se rischia il naufragio. Per il resto De Benedetti penserà che come Mauro abbia pagato l’attico al Pincio e se ci organizzi o meno orge transessuali (il nome del colle romano, certo, un po’ ispira…) sono questioni del tutto private dello stesso direttore.

Non meravigliamoci dunque se gli “editori” di Berlusconi, cioè i suoi elettori, ragionano in maniera molto simile a Carlo De Benedetti. Nel senso che interessa loro come il Cavaliere governa la Repubblica (italiana), cioè come affronta i temi della crisi economica, dell’immigrazione, della ricostruzione in Abruzzo. Su questo gli confermeranno o gli negheranno la fiducia, non per le sue frequentazioni sotto le lenzuola o sotto le docce più o meno gelate. E nemmeno interessa loro più che tanto quello che ha fatto da imprenditore: ne avesse anche combinate più dell’Avvocato (e ce ne vuole…) lo ritengono poco attinente con il suo attuale mandato politico.

Una breve parentesi la merita anche il nipote dell’Avvocato. Quel John-pesce in barile-Elkan che si proclama indignato per le “falsità contro mio nonno”. Dimenticandosi che le “falsità” e gli “attacchi” contro il nonno non sono partiti dai media ma da…sua madre, Margherita Agnelli che ha accusato il padre Gianni di aver occultato all’estero un mega tesoro in nero! Così “svagato”, così impacciato è apparso il giovane John da pensare che almeno su un punto sua madre abbia ragione: quando cioè accusa Gabetti e Grande Stevens di averlo messo sul ponte di comando Fiat vestito da ammiraglio per mantenere loro dietro le quinte il potere reale…

Ultima considerazione per Dino Boffo. Perchè nel caso del direttore di Avvenire il confine tra ruolo pubblico e scelte private diventa più scivoloso, a prescindere dalla condanna per molestie a sfondo sessuale che è un dato di fatto. Boffo infatti deve fare i conti con la posizione ufficiale della Chiesa nei confronti dell’omosessualità. Una Chiesa che, come noto, non è aperta come noi che consideriamo i gay manifestazione delle sorti magnifiche e progressive della società. La Chiesa, bieca e oscurantista, considera invece l’omosessualità un fattore di disordine morale. Ma allora come può restare un gay a dirigere proprio il giornale dei vescovi? Che ci sia arrivato sospinto da una cordata o da… un “trenino”?

LADRI DI DESTRA E DI SINISTRA

 Gli sviluppi giudiziari (non quelli pruriginosi) dell’inchiesta di Bari sul servizio sanitario in Puglia, le accuse e le perquisizioni che hanno investito tutto il mondo della sinistra – dal Pd a Rifondazione, passando per Sinistra e Libertà del presidente pugliese Nichi Vendola – pongono una domanda inquietante: vuoi vedere che i ladri ci sono anche a sinistra e non solo nella destra becera, berlusconiana e leghista?

Il povero Enrico Berlinguer lo escludeva, e infatti proclamava: “Siamo il partito dalle mani pulite”. Come dire che l’onestà è questione genetico-ideologica: i comunisti, essendo tali, non possono rubare. Uguale e contrario della corruzione: i fascisti o i democristiani o i socialisti, essendo tali, sono naturalmente ladri. I magistrati, di quella stagione che prese il nome dallo slogan di Berlinguer, si sforzarono di dimostrare l’assunto del segretario del Pci: indagarono da una parte sola, col risultato di perdere ogni credibilità agli occhi della maggioranza (non trinaricciuta) dei cittadini. Un’eco, un residuo culturale, di questa impostazione genetico-ideologica. Anzi chiamiamola pure di razzismo politico. Un’eco, dicevo, la troviamo anche in questi giorni: quasi ci si stupisce che un post comunista sia accusato di essere lo stupratore di Roma, mentre avremmo accolto come “naturale” la stessa accusa rivolta ad un post fascista…

Ai tempi di mani pulite, quando sembrava che la ladroneria riguardasse solo i politici di Dc e Psi e gli imprenditori a loro legati, un amico, che ora siede al vertice di un importante ente veronese e che allora era sindacalista nelle ferrovie, mi raccontava che in quell’ambito rubavano perfino la carta igienica. Quella vecchia carta igienica cresposa della Fs, inutilizzabile perchè ti avrebbe procurato le emorroidi…Eppure, non trovando di meglio, anche quella arraffavano. E i ladri di carta igienica non erano i politici corrotti, ma i cittadini “onesti” che, dopo aver compiuto ciascuno nel proprio ambito il suo furtarello quotidiano (materiale d’ufficio o di officina, orario di lavoro, rimborsi, tasse, quant’altro), erano in prima fila ad inveire contro i politici corrotti…

Il loro stereotipo era ed è Antonio Di Pietro. Quello della Mercedes “in regalo”, dei cento milioni in prestito senza interessi, della garconniere in usufrutto a piazza Duomo, che diventa il capo dei moralizzatori. L’ex magistrato senza macchia, alfiere della massima trasparenza. Ma, di fronte ai finanziamenti per l’Idv, gli scatta l’istinto del contadino molisano e tenta di imboscarli in cascina…Se Di Pietro è il campione della pubblica moralità, allora Berlusconi è l’emblema della fedeltà coniugale. Con la differenza che, mentre il premier confessa di non essere un santo, il leader dell’Idv ha la pretesa che i cittadini lo considerino il Savonarola della seconda Repubblica, il santo redentore dalla corruzione.

Altro che onestà genetica, altro che “partito dalla mani pulite”. La realtà è fotografata molto meglio dal vecchio proverbio: è l’occasione che rende l’uomo ladro. Quindi una democrazia che tema anzitutto il rischio Sharia, una democrazia consapevole che lo stato etico è l’anticamera della dittatura, si preoccupa di ridurre le occasioni per tutti: per i politici come per i magistrati, per gli imprenditori, per i professionisti, per i giornalisti, per ogni lavoratore. Sapendo che si può ridurle ma non eliminarle, dal momento che l’uomo è e resta per sua natura un ladro e un disonesto, sia che voti a destra che a sinistra.

Ridurre le occasioni significa, ad esempio, instaurare le regole più semplici e trasparenti su tutti gli appalti pubblici, compresi quelli per le forniture sanitarie. Un intervento che sarebbe molto più efficace della celebrazione dei processi per corruzione. Dal momento che la prevenzione – come insegnano i bravi progressisti – è sempre molto più efficace (e di sinistra) della repressione…Prescindendo da quest’ultima piccola provocazione (l’ultima prima di andare in ferie: ci risentiamo ai primi di Settembre), siete d’accordo che i ladri ci sono in tutto l’arco costituzionale? O siete rimasti fermi a Berlinguer?

 

 

ADESSO 4 MILIARDI ANCHE AL VENETO…

 

E adesso 4 miliardi di euri anche al Veneto. Valesse il criterio del merito, della buona e proficua amministrazione delle risorse, lo stesso che si è appena applicato nella ripartizione dei fondi alle università, al Veneto di miliardi dovrebbero arrivarne 40 più, e alla Sicilia 40 meno…Ma è un criterio troppo equo, logico, trasparente, stimolante a dare il meglio, perchè venga adottato a tutto campo…

E comunque speriamo proprio che di finanziamenti a fondo perduto nel nostro Veneto non ne arrivino. Speriamo che il governo non li stanzi per non rovinarci, per non perdere la voglia di lavorare, per non intossicarci di assistenzialismo. Però questi 4 miliardi alla Sicilia sono un vergogna, sono l’eterna calata di braghe che ciascun governo subisce (a prescindere dal suo colore politico e da chi lo guida) in seguito all’eterno ricatto meridionalista. Che almeno si abbia il coraggio di chiamarli con il loro nome: pubblico finanziamento alla mafia. E quando, a breve, cifre corrispondenti verranno elargite a Puglia, Calabria e Campania (è una questione di equità!) si ripeta: pubblico finanziamento alla sacra corona unita, alla ‘ndrangheta, alla camorra.

Questa classe politica, non fosse composta solo di vigliacchi acchiappa voti da sempre in combutta con le mafie a prescindere dal colore politico di giunte e presidenti delle regioni meridionali, li chiamerebbe così gli ultimi fondi fas prontamente sbloccati dal governo; perchè sempre questa fine hanno fatto i denari pubblici elargiti nei decenni al Mezzogiorno: sono serviti ad ingrossare i fatturati delle organizzazioni criminali, mai alla crescita economica e sociale e civile di una popolazione che, infatti, continua a languire e sopravvivere su parametri incomparabili a quelli del Centro-Nord.

Ci fosse un dubbio (che non c’è) basti guardare a cosa servono questi ultimi 4 miliardi: come sempre ad appaltare grandi opere pubbliche, a realizzare “le infrastrutture – così ce la raccontano – indispensabili allo sviluppo del Meridione”. E chi li controlla gli appalti pubblici? Dove vanno a finire tutti quei soldi? Nemmeno servono a pagare il cemento indispensabile per far si che l’ospedale di Agrigento (costruito 5 anni fa) non crolli come un castello di sabbia.

Forse lo capiscono perfino i frequentatori più trinaricciuti di questo blog che, se prima non bonifichi il territorio dalle mafie, non puoi e non devi fare alcuna elargizione di denaro pubblico: serve solo ad ingrassare la bestia che si dovrebbe uccidere. Rispetto a dieci, a venti, a trent’anni fa non è mutata nessuna delle condizioni strutturali che condannano il nostro Meridione al sottosviluppo economico e civile. Ed il governo Berlusconi – ricattato dall’accoppiata Lombardo-Miccicchè – interviene con le identiche modalità di dieci, di venti, di trent’anni fa. Con la certezza che otterrà l’identico risultato: garantire la florida perpetuazione delle mafie anche per i prossimi dieci, venti, trent’anni.

In conclusione c’è però una cosa, o meglio un personaggio siciliano, che i leghisti per primi dovrebbero invidiare: Raffaele Lombardo che, in un colpo e due movimenti, ha ottenuto per la sua Sicilia quello che Bossi rincorre da ormai vent’anni per la sua Padania…Nel far cassa a beneficio (?) del proprio territorio i politici merionali confermano "un’efficienza sconosciuta" ai loro colleghi nordisti.