GUERRA CIVILE PERMANENTE

 In risposta alla bocciatura del lodo Alfano, Berlusconi ha impugnato lo spadone e negato ogni imparzialità alla Corte costituzionale, ("sono magistrati di sinistra”) e al presidente Napolitano (“sappiamo bene da che parte sta”). Il Cavaliere ha ufficializzato il convincimento della totalità suoi elettori, cioè del popolo di centrodestra Lega compresa. Il popolo di centrosinistra è sdegnato, afferma che non si può delegittimare così le istituzioni e che la Consulta ha solo riaffermato il principio che la legge è uguale per tutti.

Immaginiamo per un attimo che la Corte avesse approvato il lodo. Cosa avrebbe detto lo stesso popolo di centrosinistra? Che Berlusconi si è comprato anche le supreme toghe; lui che già si è comprato il cervello di metà abbondante degli italiani, portandolo all’ammasso con le sue televisioni, cioè a votare per lui. (A riprova il fatto che anche il Custode della Legge, cioè Di Pietro, ha già dato del vigliacco a Napolitano per la firma sullo scudo fiscale). E cosa avrebbe detto in questa ipotesi lo stesso Berlusconi con il popolo di centrodestra? Avrebbero detto che “c’è un giudice a Berlino”, cioè avrebbero applaudito all’operato della Corte…Il che dimostra che nessuno crede nelle istituzioni a prescindere, né alla loro terzietà. Ma tutti le legittimano o meno a seconda che operino nella direzione che la nostra appartenenza politica si aspetta.

Se non legittimiamo l’esistenza di istituzioni terze, al di sopra delle parti politiche, non c’è più il cuscinetto di uno Stato riconosciuto da tutti. E ci sono invece le condizioni per una guerra civile permanente. Che è appunto la situazione in cui si trova il nostro Paese. Di chi è la colpa? E’ il cittadino fazioso che non ha più fiducia nelle istituzioni o sono le istituzioni stesse che con loro operato hanno seminato l’auto-discredito?

Proviamo a partire dal semaforo. Perché, mi diceva stamane un amico di sinistra, se non credi nella magistratura e non credi nei codici, va a finire che non credi neppure più nel codice della strada e non sappiamo nemmeno se col rosso bisogna fermarsi o si passa. Giusto. Ma la realtà è appunto questa: non possiamo più credere nemmeno al rosso del semaforo. E non perchè abbiamo un pregiudizio fazioso, ma perchè i nostri sindaci (di ogni colore politico) hanno fatto taroccare anche i semafori, facendo “scomparire” il giallo, pur di far cassa con gli automobilisti beccati a passare col rosso. Gli stessi sindaci che – sbandierando il nobile obiettivo della sicurezza stradale – hanno sguinzagliato i vigili come banditi da strada a rapinare i viandanti con autovelox imboscati…

E’ qui che comincia a sgretolarsi lo Stato, dal semaforo taroccato e dal codice della strada trasformato in tassa locale, per poi procedere attraverso i concorsi burla, il clientelismo più sfacciato, le nomine pilotate, per arrivare al vertice cioè ad una Corte Costituzionale i cui membri per oltre la metà sono campani. Si vede Dio ha deciso che la somma scienza giuridica andava infusa attorno al Vesuvio…

Il risultato è che restano in campo solo le ideologie contrapposte a minacciare la guerra civile. A minacciarla perennemente e basta. Il che, per certi versi, è peggio ancora che attuarla. Nel senso che non c’è mai un vincitore definitivo; ma si rimane sempre in mezzo al guado, con i governi (anche quelli di Prodi) paralizzati, che non decidono nessuna vera riforma, e il Paese che marcisce ogni giorno di più. Ed è appunto quello che sta succedendo dal 1994 ad oggi.

NON RESTA CHE COMMISSARIARE LA SICILIA

 

 

A sostenerlo non è stato Bossi ma il presidente Napolitano: “Il Sud non ha retto alla prova dell’autogoverno”. Come dire che la classe politica campana ha dimostrato di non saper governare i campani, quella pugliese i pugliesi, quella siciliana i siculi. Nello stesso tempo il Capo dello Stato ha attaccato le “bestemmie separatiste”. Tuttavia, se la secessione è una bestemmia e se i meridionali non sono capaci di autogovernarsi, proprio per preservare l’unità nazionalenon resta che una soluzione: bisogna che siano altri a governarli, magari politici ed amministratori del Nord…

E’ esattamente quello che propone Giancarlo Lehner sul Giornale, all’indomani della tragedia di Messina, che ha scritto “altro che fondi, la Sicilia va commissariata” all’isola “servono come il pane i sindaci e gli amministratori padani”. “La strage di Messina – sostiene Lehner – rappresenta l’ennesima imperdonabile vergogna degli amministratori i quali hanno continuato e continuano ad esigere finanziamenti per assumere nullafacenti o impiegati di primo livello e, magari, dirottarli a lavorare a tempo pieno nella propria villa o sul proprio yacht”.

Sappiamo bene che non bisogna fare discorsi in odore di razzismo, che non si può sostenere la superiorità degli amministratori del Nord rispetto a quelli del Sud. Giusto. Allora per favore trovatemi un sindaco padano che abbia fatto come il palermitano Diego Cammarata, dislocando in pianta stabile un dipendente comunale a tenergli la barca e affittarla in nero. Sappiamo bene che le catastrofi sono tutte annunciate, che non si fa abbastanza per la tutela del territorio e la prevenzione in tutto il Paese. Ma trovatemi anche qui al Nord un’intera cittadina che sia come Triscina, la spiaggia di Castelvetrano in provincia di Trapani, dove ci sono, e lo ho viste con i miei occhi, diecimila casa completamente abusive; tutte costruite senza piano regolatore, senza un qualunque permesso, nel silenzio complice e compiacente degli amministratori locali. Trovatemi una Triscina nel Lombardo-Veneto e non oserò più pensare che gli amministratori padani abbiano una storia, una tradizione, un costume che li rendono più affidabili di quelli siciliani.

Giancarlo Lehner riempie di giusti complimenti gli abitanti della Sicilia così ospitali, simpatici, intelligenti, pieni di doti umane e sociali ma – aggiunge – “Non sono capaci di autogoverno. Serve loro il greco, il romano, l’arabo, il normanno, lo svevo, l’angioino, lo spagnolo, addirittura il borbone napoletano, il bandito Giuliano o il democristiano romano, altrimenti si disperdono…”

Saranno i dieci secoli di Serenissima o il lascito della mitica burocrazia asburgica (che nemmeno il democristiano romano è riuscito a cancellare del tutto…) fatto sta che noi veneti siamo meno “dispersi” dei siciliani; i nostri amministratori hanno conservato il senso dello Stato. Per noi il federalismo e l’autonomia sono la speranza. Per loro invece, che li hanno sperimentati, sono stati la disfatta. E la speranza sarebbe, è, il commissariamento, cioè l’ennesima dominazione “straniera”.

LA LIBERTA’ DI SPUTTANARE

 Dopo aver visto la D’Addario ad AnnoZero sputtanare il premier in tutta libertà, faccio fatica a pensare che siamo al regime; non ho mai visto un dittatore sputtanato dalla televisione di Stato del suo Paese. Il grande, il grandissimo Michele Santoro (il più grande di tutti, come certifica la dura legge degli indici d’ascolto) non ha dovuto difendere gli studi della sua trasmissione, col machete campesino in pugno, dagli assalti squadristici di Scajola e Cicchitto: dopo la solita manfrina di pareri legali e diffide, AnnoZero è andato tranquillamente in onda nel tripudio guardone di oltre sette milioni di italiani (me compreso) ansiosi di sbirciare sotto le lenzuola del Cavaliere.

Condivido in pieno quanto scritto da Antonio Polito, direttore del Riformista: il conflitto d’interessi di Berlusconi pesa eccome, il premier tenta di condizionare anche la Rai (come chiunque vinca le elezioni), ma la libertà d’informazione in Italia ha conosciuto tempi assai più cupi. Quando esisteva un unico canale televisivo pubblico (e nessuno privato) controllato totalmente dalla Dc che censurava qualunque notizia sgradita, che licenziava in tronco Dario Fo e Franca Rame da Canzonissima perchè si erano permessi di ironizzare sul governo (e nessun magistrato di sognava di sentenziare la loro riassunzione). Allora anche tutti i quotidiani erano filogovernativi e l’opposizione comunista trovava spazio solo sull’Unità.

Ma erano enclave chiuse, riserve di caccia esclusive, anche i tre successivi canali Rai rigidamente lottizzati tra Dc, Psi e Pci. I radicali di Pannella, tanto per dire, non avevano spazio alcuno. E ciò non ostante il referendum sul divorzio vinse con un clamoroso e del tutto inaspettato 60%, a conferma che il controllo dell’informazione conta ma non è tutto.

La libertà d’informazione arrivò con quelle che, non a caso, furono chiamate le radio e le televisioni “libere”. Cioè arrivò quando il privato spezzò il monopolio pubblico. E tanto maggiore sarebbe questa libertà se venisse privatizzato il carrozzone Rai ed affidato ad editori puri (razza quasi inesistente nel nostro Paese).

Oggi l’informazione è un po come…la D’Addario. Nel senso che è lo specchio fedele di una società e di una democrazia italiana che – sempre Polito – ha definito “casinara e chiacchierona quante altre mai”. Io sarei un tantino più esplicito: siamo un po’ un puttanaio. Sembra cioè essersi verificata la profezia di quei galantuomini che, in perfetta buona fede, nel 1958 erano contrari alla chiusura delle case perché ritenevano che servissero a tenere circoscritto il fenomeno. Se chiudiamo i casini – dicevano – sarà l’Italia a diventare tutto un casino…

Guardando ieri sera AnnoZero, e assistendo alla sfilata della D’Addario e delle sue amiche, ascoltando con che disinvoltura parlavano di tariffe, di prestazioni, di contropartite, non potevo non pensare che fino al 1958 stavano in casino mentre adesso vanno in onda su Rai due. Tutto si può pensare di loro: che si vendono, che sono interessate, che mentono, che recitano una parte, che hanno secondi fini. Tutto. Ma non che non siano libere. Lo stesso dicasi per l’informazione italiana, che ha anzi toccato una nuova frontiera: la libertà di sputtanare.

 

DA PAPI A POLANSKY, IL PEDOFILO CHE PIACE

 Da Papi a Polansky cambia tutto, si rovescia completamente il giudizio dei nostri moralisti a corrente alterna. E, come osserva il Riformista, se di mezzo c’è il regista polacco al posto del Cavaliere Nero, ecco che di colpo “il pedofilo ci piace”.

Anche oggi, nel giorno del 73 compleanno del premier, Repubblica ha in mente un altro compleanno e gli ripete le celebri dieci domande, a cominciare dalla prima da cui tutto iniziò: “Ha frequentato e frequenta altre minorenni?”. Altre, oltre a Noemi Letizia. Con questa domanda Repubblica da per scontato ciò che scontato non è: cioè che Berlusconi, essendo andato alla feste per i diciott’anni di Noemi, la conoscesse e la “frequentasse” (cioè la scopasse) già da prima quando di anni ne aveva diciassette ed era quindi minorenne. Tutto da dimostrare, cosa che né Repubblica né altri sono riusciti a fare. Esistesse, per assurdo, una registrazione dal telefonino della D’Addario che ci mostra gli amplessi tra Berlusconi e una Noemi diciassettenne, non saremo comunque di fronte al reato di pedofilia perchè una diciassettenne può essere consenziente

Eppure senza prove, senza reato, sulla semplice base di illazioni ed insinuazioni, sappiamo quanto sia montata l’onda dello sdegno contro Berlusconi. Oso dire in maniera spropositata rispetto a fatti, che comunque non sono reati, e che restano tutti da dimostrare. Avessimo la conferma di tutto questo sesso a go go attribuito al Cavaliere, concluderemmo che ha sfruttato il suo potere come tanti altri uomini politici che certo non hanno praticato la castità né rispettato il vincolo matrimoniale: da Mao a Fidel Castro, da John a Ted Kennedy, da Clinton a Mitterrand a Giscard d’Estaing.

Tornando a Roman Polansky non ci sono né sospetti né insinuazioni, ma fatti, sentenze: condannato per aver stuprato quando aveva 45 anni una bambina di 13. E qui la tenera età della vittima esclude che possa essere consenziente, e quindi oltre allo stupro c’è la pedofilia. Non ci sono dubbi per questo reato tra i più odiosi: lei lo inchioda, lui è reo confesso e fugge dagli Stati Uniti per non finire in carcere. Eppure la stessa Repubblica, che crocefigge il Cavaliere dando per scontato ciò che scontato non è, assolve Polansky derubricando lo stupro tra gli “eccessi” di un “artista esagerato”. E aggiunge, come attenuante, che “nell’ambiente si sapeva che il regista aveva quello che qualcuno scherzando chiamava il morbo di Nabokov, cioè una predilezione per le lolite”.

Gli stessi che si lamentano per la prescrizione che avrebbe consentito a Berlusconi di cavarsela in vari processi, si indignano perchè non esiste col regista polacco e gli Usa continuano a perseguirlo anche trent’anni dopo. Moralisti a corrente alterna. Accendono lo sdegno con Papi, lo smorzano con Polansky

 

LIBERO CANONE IN LIBERO STATO

 Libero canone in libero Stato. Feltri e Belpietro, dopo la puntata d’esordio di AnnoZero, hanno rilanciato la campagna per la disdetta del canone Rai. Campagna che la Lega sostiene da sempre e alla quale ora aderisce anche Antonio Di Pietro, sia pure con motivi opposti a quelli dei direttori di Libero e Giornale: per il leader dell’Italia del Valori sarebbero cioè insopportabilmente faziosi i programmi di Vespa e il Tg1 di Minzolini e non le trasmissioni di Santoro, Floris e Fazio.

Il parallelo fatto da Di Pietro non è del tutto convincente. Perchè un conto è essere ossequioso nei confronti dei potenti, un conto è glissare sugli argomenti loro sgraditi, altro conto è usare la clava contro gli avversari politici: e mai abbiamo visto Vespa usare la clava contro Prodi, Bertinotti o Di Pietro; mentre Santoro e Travaglio hanno l’obiettivo prioritario di spaccarla in testa a Berlusconi.

Tuttavia proprio l’intervento del leader Idv ci fa capire qual’è il nocciolo della faccenda: il canone Rai non è un libero abbonamento (come a Sky), è una tassa che tutti i cittadini pagano ( o dovrebbero pagare, nel senso che già un’evasione del 30%). Chi paga appartiene ad un qualunque schieramento politico e non accetta che con i suoi soldi venga finanziata un’informazione pubblica che ritiene faziosa, ostile, o semplicemente svantaggiosa per il proprio partito. Ecco quindi le protesta degli elettori di centrodestra contro Santoro che sono speculari a quelle degli elettori di centrosinistra contro Vespa.

La televisione di Stato, essendo tale, non è paragonabile né alle televisioni private, che ognuno sceglie a gradimento o meno senza pagare tassa alcuna (e quindi non ha senso definire Fede contraltare di Santoro), né alla carta stampata che ognuno è libero di comprare o meno in edicola sempre a seconda del gradimento. Nessun lettore di sinistra è obbligato a comprare Libero, nessun lettore di destra il Manifesto; mentre i telespettatori sono obbligati, se non a guardare, a finanziare trasmissioni di orientamento politico sgradito e questo li fa infuriare.

Come esistono i giornali di partito così ci sono anche le televisioni di partito: Telepadania, Red Tv di d’Alema, la Tv della libertà che aveva messo in piedi la Brambilla. Ma anche queste non hanno canone, chi vuole le guarda chi non vuole le toglie pure dal telecomando. Mentre non dovrebbero esserci in Rai, pagate dai soldi di tutti, trasmissioni che sembrano prese pari pari da televisioni di partito; ed invece le troviamo puntualmente perchè i giornalisti Rai sono stati assunto proprio dai partiti col metodo della lottizzazione.

Aggiungiamo che la Rai è una sorta di “mostro” ermafrodito, sia uomo che donna, sia col canone che con la raccolta pubblicitaria. Un carrozzone che drena una gran fetta della pubblicità televisiva disponibile sul mercato, facendo così il grande favore a Berlusconi di ingurgitare le risorse indispensabili alla nascita di un grande polo televisivo nazionale privato alternativo a Mediaset (La vera legge sul conflitto di interessi sarebbe la privatizzazione della Rai, come sostiene da tempo Massimo D’Alema). La mitica Bbc, come la televisione di Stato francese non hanno un solo spot, non sono ermafrodite.

Essendo pubbliche vivono di finanziamenti pubblici, tratti dalla fiscalità generale o dal canone che paga solo chi vuole vederle e non è obbligatorio, come da noi, per chiunque possieda un televisore. Sono uno strumento di comunicazione pubblica, ovviamente utilizzato in primo luogo da chi è al governo in quel momento ma con spazi adeguati anche per l’opposizione. Strumenti di cultura e di divulgazione, che non spendono cifre rilevanti né per vallette né per programmi tipo Isola dei famosi. E che lasciamo tutto lo spazio alla pluralità dei poli televisivi privati.

Insomma un modello lontanissimo dal nostro; che nemmeno tentiamo di avvicinare perchè, da quei levantini che siamo, ci teniamo stretto il carrozzone Rai, beandoci con le zuffe su Santoro e rilanciando periodicamente lo sciopero del canone (senza mai attuarlo sul serio).


 

SE IL NERO DICE “VAFFANCULO” AL BIANCO

 Gli inglesi, come noto, il calcio l’hanno inventato e quindi non stupisce che un po’ tutte le novità, anche quelle collaterali, arrivino da questo Paese. L’ultima è così clamorosa che rischia di chiudere un epoca. El-Hadji Diouf, giocatore senegalese del Blackburn, durante l’ultimo turno di Premier League giocato a Liverpool, ha apostrofato un raccattapalle della squadra ospite dicendogli: “Vaffanculo ragazzo bianco!”.

Dopo tanti “negro di m…” urlati negli stadi, finalmente è arrivato anche il “bianco di m…”. Dico finalmente perchè mi auguro che questa “novità” giunta dall’Inghilterra serva a chiudere un’epoca. L’epoca in cui episodi e frasi del genere sono stati enfatizzati in modo spropositato quasi fossero il cancro del calcio (quando sono, se mai, simili ad un influenza suina).

Non voglio, sia chiaro, sostenere che gli ululati e gli insulti rivolti ai giocatori di colore siano edificanti. Li ritengo volgari, maleducati, stupidi. Ma non posso nemmeno accettare che li spaccino per il problema del calcio e nemmeno che ce li presentino come la prova del nuovo razzismo che serpeggia nella nostra società. Cerchiamo di collocarli nella loro giusta dimensione. Domandiamoci se ha senso che l’Uefa lanci campagne di spot milionarie contro il razzismo. Se è utile invocare la sospensione delle partite. Se è accettabile criminalizzare per i cori da stadio intere città, come accade abitualmente con Verona e come è successo adesso anche con Cagliari dopo che Balotelli è finito nel mirino dei tifosi sardi.

Trovo tutto questo spropositato e spero che un bel “vaffanculo ragazzo bianco”, pronunciato da un giocatore nero (che il politicamente corretto fatica assai ad accusare di razzismo…) serva a ritrovare una dimensione più equilibrata.

Anche chi giudica i cosiddetti “cori razzisti” un fenomeno molto inquietante, dovrebbe comunque domandarsi che risultati hanno ottenuto le contromisure fin qui adottate. Mi sembra che la massiccia campagna “No racism” promossa dall’Uefa abbia sortito un effetto simile alle campagna antidroga o antialcol: promuove e diffondere il prodotto che si vorrebbe bandire. Altrettanto dicasi per lo spazio e lo sdegno che ogni volta vengono profusi sia nei giornali che il televisione: quasi un istigazione a delinquere, una coazione a ripetere per gli urlatori da stadio che, se mai ottenessero la sospensione della partita, si sentirebbero ancor più appagati…

Non pensate che ignorarli, liquidarli in due parole, non farli sentire protagonisti risulterebbe più efficace? Senza aggiungere che il razzismo, quello vero, si manifesta nei fatti molto più che nelle parole: gente ammazzata per il colore della pelle, per il credo religioso; persone sottomesse e schiavizzate a causa del loro sesso, come avviene oggi con le donne in tanta parte del mondo islamico, comprese certe enclave presenti nelle nostre città. Vogliamo metterlo sullo stesso piano di un coro indirizzato a Mario Balotelli?

Quanto al calcio, la prima emergenza, specie qui nel nostro Veneto, è radere al suolo stadi come l’Euganeo di Padova o il Bentegodi di Verona. Stadi così mal fatti, così poco accoglienti e funzionali, da diventare la prima fonte di istigazione alla violenza per un tifoso che – raggiunto lo stadio, pagato il biglietto e superati i tornelli – si rende conto che…la partita l’avrebbe vista molto meglio standosene a casa davanti alla tivvù.

Non basta l’atmosfera e il coinvolgimento, che certo contano, ci vorrebbero anche stadi all’inglese che ti fanno stare nel terreno di gioco (non a cento metri di distanza come all’Euganeo); stadi con tutti servizi e il contorno di negozi, bar, ristoranti che invoglino intere famiglie, spettatori più tranquilli, a varcare i cancelli.

Stadi funzionali, moderni, accoglienti: questo serve a prevenire la violenza, che poi va anche repressa con la stessa fermezza giudiziaria usata dagli inglesi per stroncare gli hooligans. La violenza verbale, che è cosa diversa, la si combatte anzitutto ignorandola. E anche trovando qualche giusto contrappeso della serie “vaffanculo ragazzo bianco”. Onore al merito di El-Hadji Diouf

 

SANAA E L’ISLAM, UGUALI MA COSI’ DIVERSI

 

 

La tragedia di Sanaa, la ragazza marocchina massacrata a Pordenone da suo padre perchè voleva vivere all’Occidentale e convivere con un italiano, dovrebbe quantomeno servire a farci capire che di uguale ci sono solo i diritti. Tutto il resto è diverso. Diverse sono le culture, le religioni, le tradizioni, le storie de vari Paesi. Affermare che tutte le culture, le religioni, le tradizioni, sono uguali è una colossale fesseria che diciamo solo per paura di venir accusati di razzismo.

Nulla lo dimostra meglio di Sanaa. Questa ragazza marocchina voleva esercitare il suo diritto, a decidere della propria vita, che è eguale a quello di ogni ragazza maggiorenne italiana o eschimese. Ma glielo ha impedito proprio la diversa formazione culturale e/o religiosa di suo padre per il quale è inconcepibile che una figlia viva come voleva fare sua figlia. Non facciamo confusione con i delitti e le violenze passionali, diffusi in cultura, ma che nulla c’entrano con questo caso. Non esiste che un padre italiano arrivi ad uccidere la propria figlia perchè esce la sera o si sceglie un fidanzato a lui sgradito; mentre può succedere e succede con un padre musulmano. Se neghiamo questa differenza, non capiamo nemmeno dove esercitare una qualche prevenzione.

Le religioni. Un conto è dire che va salvaguardato il diritto alla libertà religiosa. Diritto che vale per ogni credo religioso (a meno che non contempli sacrifici umani nei suoi rituali). Ma affermare che tutte le religioni sono uguali è di nuovo una fesseria. Non sono uguali nemmeno sotto il profilo teologico, nel senso che tre solo sono monoteiste, figuriamoci per il resto ossia per i comportamenti sociali che inducono nei loro fedeli. Ci sono sì corsi e ricorsi storici. Ida Magli ricorda che in passato furono migliaia le ragazze cristiane “condannate dai padri al carcere monastico a vita”, quando magari le fanciulle musulmane godevano di maggiore libertà. Ma il confronto dobbiamo farlo nel presente: ed oggi chi pretende, fino ad arrivare a sgozzarle, di imporre stili di vita e scelte matrimoniali alle figlie è il padre islamico (non dico tutti) non quello cristiano.

L’immigrazione in certi casi funziona come una macchina del tempo. Porta cioè in Occidente persone da distanze che sembrano più ancora temporali che geografiche. Mi spiego. Certi uomini islamici, che provengono da Paesi dove la donna vive nascosta e sottomessa, e qui la trovano libera e magari anche discinta, restano sconvolti. Proprio come lo fu il buon Oscar Luigi Scalfaro nell’Italia cattolica e “morigerata” degli Anni Cinquanta, con la cultura che l’aveva formato, di fronte ad una signora col seno generoso in vista: la prese a sberle. Magari per reprimere l’impulso di saltarle addosso…(ed in questo senso i padri di Sanaa e di Hina sono un po’ l’altra faccia degli stupratori).

Quando provieni da queste distanze, da queste diversità di cultura e di costumi, non basta di sicuro imparare la lingua italiana e nemmeno la Costituzione. Quello puoi farlo in pochi mesi. Ma ci vogliono decenni, forse generazioni, per digerire e dimenticare certi dettami. Per accettare che la donna sia libera di disporre della propria vita. Almeno tanto tempo quanto ne impiegò Scalfaro per capire che non si possono prendere a sberle le signore scollate…

Concludendo con la tragedia di Sanaa e le contromisure concrete, ha certo ragione Ida Magli quando scrive che non è “sufficiente affermare che chi vive in Italia deve rispettare le leggi italiane”. Questa è solo una litania che ripetono alcuni politici. Bisognerebbe poter intervenire concretamente. Come secondo voi?

LA SANITA’ DI OBAMA E I CARROZZONI

 

La marcia su Washington dei centomila americani, che lo scorso fine settimana hanno protestato contro il presidente Obama e la sua riforma della sanità, è stata quasi ignorata e/o travisata dai nostri media. Questa protesta risulta infatti incomprensibile per la nostra mentalità corrente, statalista e illiberale, che santifica la sanità pubblica, considerata garanzia di cure gratuite per tutti, e demonizza quella privata considerandola solo mezzo di speculazione sulla pelle degli ammalati. Aggiungiamoci poi la leggenda corrente di un sistema sanitario usa che lascerebbe scoperti decine di milioni di cittadini e non raccoglierebbe nemmeno i moribondi dalla strada se non hanno in tasca una carta di credito o una assicurazione sanitaria.

Proviamo a dissipare l’equivoco smentendo proprio questo assunto. Gli Stati Uniti non abbandonano nessuno, semplicemente lasciano il cittadino lavoratore libero di scegliere: gli mettono cioè in tasca tutto lo stipendio, accettando che sia lui a decidere quanto destinarne all’assistenza e quanto alla previdenza. Noi italiani invece (e gli europei in genere) abbiamo il papà-Stato che decide al nostro posto; che decide quanto prelevarci alla fonte per destinarlo alla previdenza e all’assistenza. Assistenza, cure sanitarie, che non sono dunque gratuite ma prepagate e ad un prezzo (molto alto) prefissato dallo stesso Stato. Il cittadino non sceglie, subisce un’imposizione, ed è costretto a pagare anche per chi non paga pur potendo pagare (l’evasore fiscale) o per chi comunque non paga (l’immigrato clandestino).

I centomila in piazza a Washington non contestano tanto la volontà di estendere a tutti la copertura sanitaria. Contestano che questo avvenga aumentando le tasse anche a chi già si paga l’assicurazione sanitaria; e contestano anzitutto che Obama voglia introdurre una sorta di servizio sanitario pubblico. Perchè, da liberali, sono convinti che l’intervento statale generi carrozzoni tanto costosi quanto improduttivi. E’ già così nel loro sistema scolastico dove, a tutti i livelli, l’eccellenza si trova nel privato (accessibile anche ai nullatenenti capaci e meritevoli, tramite le borse di studio) mentre la scuola pubblica americana è un disastro simile alla nostra.

La vera discriminante è proprio questa. Una nostra mentalità, che oserei definire catto-comunista, considera il profitto fonte di ogni male e di ogni speculazione sulla pelle dei cittadini. Non capiamo che è esattamente il contrario: cioè che proprio la ricerca del profitto, per poter essere soddisfatta con continuità nel tempo, ti costringe ad un comportamento corretto nei confronti dell’acquirente del prodotto – anche di quello sanitario – mentre il sistema pubblico ogni volta diventa irresponsabile e immorale, proprio perchè non è tenuto in carreggiata dalla ricerca del profitto: quindi se ne frega della qualità del servizio erogato al cliente (che paga) e pensa magari ad ampliare l’organico dei propri dipendenti. Come avvenuto tanto nella scuola quanto nella sanità pubbliche italiane.

Capita che la sanità privata convenzionata speculi sulla pelle del malato, e gli impianti protesi o valvole cardiache speciosamente (cosa che fanno regolarmente anche i medici nella sanità pubblica) ma solo perchè non sta correttamente sul mercato, cioè ottiene la convenzione per coperture politiche e non per risultati e rapporto qualità prezzo. Sostenere che il privato specula per profitto è un idiozia. E’ come dire che un produttore privato di automobili ti vende un catorcio al doppio del valore. Facesse così di auto non ne venderebbe più una e finirebbe di guadagnare. Se vuole continuare a vendere, cioè a far profitto, deve fornire vetture competitive che soddisfino il cliente e lo facciano parlar bene di quella marca d’auto. La fabbrica, che vendeva autentici catorci e pagava stipendi a dipendenti del tutto improduttivi, era l’Afa Romeo statalizzata con la famigerata Alfa Sud. Era la Fiat con la Duna, le famose perdite a carico del pubblico e i profitti nascosti nei tesoroni all’estero dell’Avvocato…

Tutto ciò che è statalizzato ha lo stesso rapporto qualità prezzo della Duna o dell’Alfa Sud. La scuola, la sanità, qui da noi viaggiano in Duna. Gli americani cercano di non montarci…Per concludere: se preferite avere i soldi in tasca e scegliere di andarvi a vestire ai grandi magazzini o in boutique, siete negli Stati Uniti liberi e liberali. Se invece è lo Stato a “vestire gli ignudi”, col prelievo forzoso dagli stipendi, prezzi da boutique e qualità da grande magazzino, siete di sicuro nell’Italia statalista che continua a idolatrare gli sperperi pubblici e bolla come reazionarie le proteste anti Obama.

 

 

FORTUNA CHE C’E’ L’ALCIDE SUPERPREMIER…

 Mettiamola così. Berlusconi, nella sua megalomania, definendosi il miglior premier degli ultimi 150 anni, ha lanciato il gioco di fine estate: il Gioco del Super premier. Allora cominciamo a giocare e mettiamo subito fuorigioco l’autovincitore, perchè uno che non è casto e morigerato come tutti noi (Boffo compreso), uno che frequenta grappoli di trenta excort, non può certo ambire ad essere giudicato il migliore.

Di Migliore (con la emme maiuscola) ce ne sarebbe uno; tutti lo chiamavano così, almeno tutti i compagni. Ma era un leader politico, un segretario di partito, non uno statista; e quindi è fuorigioco anche Palmiro Togliatti. Cominciamo la ricerca del premier migliore, o almeno di uno migliore di Berlusconi, cominciamo a ritroso.

Difficile mettere sul podio un Agostino Depretis che, come ricorda nel post precedente apeiron, rese istituzionale il trasformismo, cioè un malcostume politico tra i peggiori e col vanto di essere tutto italiano. Non parliamo poi di Giovanni Giolitti passato alla storia per aver guidato i governi “del malaffare”, con il fallimento della Banca Romana e tanti altri scandali da far invidia alla stagione di Mani Pulite. Dopo di che arriva Lui; e il “compagno” Fini, quand’era ancora camerata, lo aveva definito “il più grande statista italiano del ventesimo secolo”…Ma è chiaro che l’Italia democratica e antifascista non può assegnare la palma proprio a Ben (sarebbe quasi come darla all’attuale massacratore della libertà di stampa).

D’altra parte anche cominciando dalla testa, invece che dalla coda, la ricerca del migliore resta molto ardua: prima del Berlusca c’era il Romano, ma credo che nemmeno i Silvestri riescano a considerarlo più bravo premier degli ultimi 150 anni…Poi ci sarebbe il Divo Giulio, che è stato più volte lui a Palazzo Chigi che la D’Addario e le sue colleghe a Palazzo Grazioli… Resta però l’ombra di quel bacio in bocca a Totò Riina, e così anche Andreotti non è premier da classifica. Vogliamo provare con Bettino Craxi, il cui governo fu uno dei più longevi della prima Repubblica? No perchè, se mettiamo tra i papabili un ladrone di socialista, il gioco è già bello e finito…

Niente in testa, niente in coda, la ricerca sarebbe proprio ardua. Ma per fortuna che in mezzo c’è l’Alcide. Italiano fino ad un certo punto: perchè non va dimenticato che la formazione politica di De Gasperi avvenne nell’imperial regio parlamento asburgico di Vienna…Comunque sia oggi sono tutti d’accordo nel santificarlo. Oggi, che è morto e sepolto. Perchè finché era vivo e politicamente vegeto gliene dicevano di tutti i colori: le sinistre lo accusavano di essere il “servo degli americani” e il “lacchè di Pio XII” (loro che erano i servi ciechi e deferenti di Mosca), e i suoi amici democristiani – che il tradimento lo hanno sempre avuto nell’animo – fecero di tutto per estrometterlo dal governo e mandarlo a morire in esilio a Borgo Valsugana…

Morto, sepolto e dimenticato, De Gasperi è però risorto come icona da “arco costituzionale”: destre e sinistra sono unite nel suo elogio sperticato. E così abbiamo trovato il vincitore, il miglior premier degli ultimi 150. E per fortuna, appunto, che c’è l’Alcide che ci toglie dall’imbarazzo di mettere qualcun altro in cima al podio. Oppure voi, amici del blog, avete qualche altra candidatura alternativa da proporre?


FELTRI E IL “COMPAGNO” FINI

 Vittorio Feltri come tutti i personaggi autentici spacca e divide, è tanto amato quanto odiato. Anche chi lo detesta, perchè lo considera servo di Berlusconi, dovrebbe però riconoscere che è un servo efficiente (non un valletto fru fru come Mario Giordano) nel senso che ha saputo prendere subito il centro del dibattito politico. Oggi è lui che decide di cosa si discute e su cosa ci si azzuffa. Prima su Boffo, adesso sul presidente della Camera definito il “compagno” Fini.

Come tutti i grandi giornalisti – Scalfari, Montanelli – anche Feltri non potrebbe mai essere un leader politica (un po’ come i giornalisti sportivi non potrebbero mai fare, e non fanno mai, gli allenatori), interpreta però molto bene gli umori dei suoi lettori e degli elettori. Cittadini di destra che sono sconcertati dalle ultime prese di posizione di Fini, in particolare in materia di immigrazione. Per capire questo sconcerto basta pensare a quale sarebbe la reazione del popolo di sinistra se un D’Alema plaudisse ai respingimenti definendoli una misura necessaria e doverosa per tutelare i cittadini italiani dall’invasione di immigrati clandestini. “L’è matt!”, è diventato matto, direbbero quelli di sinistra di D’Alema, esattamente come ha detto Bossi di Fini e del suo auspicio di concedere al più presto cittadinanza e diritto di voto agli immigrati.

Siamo (spero) abbastanza adulti e vaccinati per sapere che non esistono né ricette vincenti né Verità rivelate. Ma solo ipotesi politiche. E’ certo però che le ipotesi politiche della destra non possono essere quelle della sinistra, e viceversa. La destra è convinta che il fenomeno epocale dell’immigrazione si affronti chiudendo il più possibile le porte, la sinistra crede invece che vada favorita al massimo l’integrazione. L’esperienza dei vari Paesi non indica soluzioni vincenti. Ma si resta a bocca aperta sentendo un leader della destra che vuole aprire le porte.

E’ vero che la coerenza totale è tipica solo degli ottusi; è vero che saper aggiornare le proprie convinzioni è segno di intelligenza; è vero anche se non sei un po’ puttana non puoi fare politica (e nemmeno giornalismo)…Dovrebbe però esserci un limite. Quindi diciamo che l’aggiornamento di un Fini che nasce delfino di Almirante, che andava sul palco con Le Pen, che vagheggiava il varo di Fascismo Duemila, che detestava i gay al punto di confonderli con i pedofili, è davvero un aggiornamento poderoso. Tanto poderoso da andare oltre il transessuale fino a vagheggiando un approdo ermafrodita.

Ma forse il limite di Fini è proprio questo: anche in politica, come nella vita, puoi cambiare sesso diventando uomo da donna che eri (o viceversa). Non puoi però immaginarti ermafrodito, cioè con entrambi i sessi in contemporanea. Così puoi diventare leader della sinistra, senza però pretendere di restarlo anche della destra.