LA MAMMA METTE IL FIGLIO AI DOMICILIARI

 

 

Il buonsenso e la serietà della nostra gente emerge anche dall’ultima vicenda veronese. Parlo del gruppo di ragazzini che – sull’onda del caso Tommasoli – si sono inventati un’aggressione per una sigaretta negata, quando invece erano stati loro ad ustionarsi durante un gioco maldestro. Il buon senso emerge dalla dichiarazione della madre, di uno di questi adolescenti scapestrati, agli agenti che avevano passato la notte ad indagare sulla falsa aggressione: “Voi non li potete arrestare, ma ai domiciliari mio figlio lo terro io! E per parecchio tempo!”.

La mamma che si fa carceriera del proprio figlio perchè è consapevole che, o ci prova lei a raddrizzargli la schiena, o non lo fa nessuno. Da sempre sono i genitori il fulcro dell’educazioni dei figli, ma una volta lo Stato almeno ti dava una mano. Adesso invece sono abandonati a loro stessi.

Non li aiuta una classe politica che non da certo grandi esempi, non quando è al vertice di Palazzo Chigi e ancor meno quando è sul palco di Piazza Navona. Non li aiuta una magistratura che, al di là del fatto che i minori siano o no perseguibili, dovrebbe dare loro il senso che la legge esiste e va applicata con serietà; invece una volta é “da ovo” e un’altra “da latte” a seconda di chi è l’imputato, e adesso è arrivata anche a sentenziare che, se sei un rasta, puoi fumare quanta erba vuoi perchè fa parte del tuo itineriario religioso-spirituale…Non li aiutano insegnanti che non riescono nemmeno a fare gli insegnanti, che hanno portato un Di Pietro fino alla laurea senza nemmeno insegnargli i congiuntivi, e che certo non possono fare gli educatori.

Uno Stato che si muove come i gamberi. Una volta ragazzi e ragazze erano mediamente più maturi, perchè iniziavano a lavorare prima, perchè dovevano imparare prima a fare i conti con la vita, e diventavano maggiorenni a 21 anni; cioè restavano fino a quell’età sotto tutela dei genitori. Adesso languono nel limbo degli studi, cazzeggiano a tempo indeterminato al liceo e all’università, ma lo Stato ha deciso che sono pienamente responsabili di loro stessi fin dai 18 anni. E c’è chi vorrebbe addirittura abbassare la maggiore età a 16 anni.

Nemmeno la Chiesa contribuisce più ad educare i nostri ragazzi. Gli oratori appartengono all’archeologia della memoria. I pochi preti rimasti hanno troppo da fare con gli immigrati, con il sociale, con le prostitute, per dedicarsi ai giovani. Mi ricordano quel medico di base che non si prendeva mai la briga di andare a visitare a casa una sua anziana paziente invalida, in compenso era sempre pronto a partire volontario per l’Africa…

Insomma se non ci pensa la famiglia a dare un esempio, ad educare i figli, non ci pensa nessuno. E per raddrizzargli la schiena, ovviamente, non servono a nulla (anzi sortiscono l’effetto opposto) la permessività e il buonismo. Bisogna metterli ai domicialiari e usare il bastone. Ce lo ha ricordato questa mamma veronese. Confermandoci inoltre che la nostra gente col suo buon senso è molto più seria del nostro Stato con i suoi apparati.

 


ELUANA, L’EUTANASIA E I GIUDICI

 

 

Tre considerazione attorno ad Eluana e alla sentenza della Corte d’Appello di Milano che ha riconosciuto il “diritto di morire”.


Primo. Chi non condivide questa sentenza sostiene che siamo di fronte ad una introduzione surrettizia dell’eutanasia nel nostro Paese. Non è così, è molto peggio. Perchè siamo di fronte alla più pericolosa delle degenerazioni che può seguire all’introduzione dell’eutanasia: quando cioè non è il diretto interessato a decidere della propria morte, ma è un altro che lo fa al suo posto. Nella fattispecie il padre di Eluana. Il quale sostiene che sua figlia, prima dell’incidente che 17 anni fa la ridusse in coma, ogni qualvolta vedeva una persona in quello stato affermava che lei, piuttosto di ridursi così, avrebbe preferito farla finita, cioè morire. Non escludo di aver detto anch’io qualcosa del genere in passato, il che però non da ai miei figli il diritto di darmi la morte quando (tra poco) sarò completamente incapace di intendere e di volere…Perchè si possa parlare di eutanasia, ci vuole una chiara ed inequivocabile espressione di volontà del diretto interessato. Non di un qualunque parente per quanto stretto, per quanto affezzionato, per quanto in buona fede. Infatti nel caso che oggi tutti ricordiamo, quello di Piergiorgio Welby, fu lui che fino all’ultimo e in piena coscienza rivendicava il diritto di morire. Non era sua moglie a raccontarci che 17 anni prima aveva espresso quel desiderio. Con Welby fu eutanasia, non lo è con Eluana.

Secondo. Nel caso di Eluana nemmeno Travaglio riesce…ad infilarci Silvio Berlusconi. E, non essendoci di mezzzo il Cavaiere nero, tutti dovrebbero capire quanto sia oggi invasivo e discrezionale il ruolo assunto da taluni magistrati. E’ infatti indiscutibile che al momento l’eutanasia è vietata dalle leggi italiane. Leggi che naturalmente si possono modificare, ma solo con la sovranità popolare espressa indirettamente, dal Parlamento, e/o direttamente attraverso un referendum. Proprio così furono introdotti nel nostro Paese prima il divorzio e poi l’aborto: con leggi confermate da un referendum. Sarebbe stato immaginabile introdurre divorzio e aborto attraverso la sentenza di una Corte d’Appello? No, chiunque l’avrebbe giudicata una forzatura inaudita. E altrettanto vale oggi per l’eutanasia.

Terzo. Proprio come nel caso di divorzio ed aborto anche con l’eutanasia siamo di fronte a questioni che hanno grandi implicazioni etiche, nel senso che legalizzandoli andiamo a modificare valori e regole di vita della nostra società. Non mi sembra dunque corretto invocare la dimensione privatistica: cioè sostenere che, se anche non sei favorevole, tu singolarmente non vi fai ricorso, ma devi riconoscere a chi lo vuole il diritto di utilizzarli. E’ un ragionamento da Ponzio Pilato. Se sono convinto che l’eutanasia sia un male per la società in cui vivo, se credo che diffonda la cultura della morte, ho il dovere di battermi contro la sua introduzione, non posso limitarmi a dire che io non vi farò mai ricorso. Salvo poi prendere atto, se così succede, che la maggioranza del Parlamento e dei cittadini ha deciso in maniera diversa dalle mie convinzioni.

 

MARONI FASCISTA O BOTTONI AUTOLESIONISTA?

 A volte ho l’impressione che la Chiesa italiana sia impegnata a far harakiri. Quantomeno quella parte (cospicua) della Chiesa italiana che si identifica nelle posizioni di mons. Bottoni, il responsabile delle relazioni interreligiose della diocesi di Milano, il quale ha dichiarato che è “da fascisti” chiudere la moschea di viale Jenner.

Bottoni, e i tanti sacerdoti che anche in Veneto la pensano come lui, si ergono a difensori dei diritti della fede islamica, cioè della concorrenza religiosa più insidiosa. E già questo lascia perlessi. Ma, soprattutto, sembrano ignorare che il peso enorme che tutt’ora la Chiesa esercita nella società italiana è dovuto al fatto che non esiste l’uguaglianza di diritti tra le varie confessioni religiose. Nel nostro Paese esiste la libertà religiosa, sancita in astratto, ed esistono poi tutti i privilegi che il Concordato garantisce solo alla Chiesa cattolica: l’otto per mille (con la quota inespressa che non va allo Sato ma viene ridistribuita a tutto vantaggio della Chiesa), le migliaia di insegnanti di religione scelti dai vescovi e pagati dallo Stato, i contributi economici per i luoghi di culto, l’esenzione dall’Ici, etc. etc.

La “cattolicissima” Spagna era l’unico altro Paese occidentale dove la Chiesa esercitasse un peso e un potere simile all’Italia. E cos’è accaduto? Che Felipe Golzales prima e in particolare Luis Zapatero poi hanno preso sul serio proprio ciò che invocano i vari Bottoni: pari diritti tra tutte le fedi religiose, fini dei privilegi, gli islamici trattati come i cattolici. E così la Chiesa spagnola ha imboccato il viale del tramonto. La Chiesa italiana ora si impunta su viale Jenner. Ma non farebbe meglio a ringraziare invece che insulare chi cerca di rendere la vita non troppo facile ai suoi concorrenti?

Domada conclusiva: è fascista Maroni o è autolesionista Bottoni?

IL GREMBIULE NON FA IL GIAPPONESE

 

L’abito non fa il monaco, figuriamoci se il grembiule fa il giapponese.

Il ministro Gelmini vuole reintrodurre il grembiule nelle scuole, ed è difficile non essere d’accordo: è una questione di decoro, evitare che ragazzi e ragazze si presentino sbracati o con un look da discoteca; è anche una questione di decenza sociale nei confronti dei troppi stronzetti/e griffati dai loro genitori. Nel “tempio del sapere” si dovrebbe entrare vestiti con decenza e sobrietà.

Dopo di che prendiamo atto che nemmeno dieci grembiuli basterebbero ad avvicinarci alla civiltà che hanno dimostrato le scuole e l’intera società giapponese di fronte a quei loro connazionali (nove studenti e un docente) che avevano osato lordare con dei graffiti le pareti esterne della cupola del Brunelleschi. I tanti altri turisti giap giunti in vitita a Firenze hanno fotografato allibiti quei graffiti-ideogrammi e, una volta tornati in patria, è partita la caccia ai colpevoli. Un “chi l’ha visto?” lanciato dai principali quotidiani e dalle principali reti televisive del Giappone. Un intero Paese che trovava inaudito farsi conoscere all’estero con un gesto così rozzo e volgare. Per il rapporto armonioso che lega i giapponesi alla propria storia, alle opere d’arte, all’ambiente, è inaudito che qualcuno possa lordare un monumento, possa sporcare, possa comportarsi in modo non educato.

Giornali e televisione giapponesi all’unisono si sono scusati con l’Italia (!). Quanto ai grafittari, gli studenti sono stati sospesi e l’insegnante – tanto più colpevole in quanto da lui ci si aspettava il buon esempio – è stato licenziato in tronco. Il tutto col pieno e totale consenso dell’opinione pubblica, dei mezzi d’informazione, della cultura e della politica giapponesi. Senza proteste, accuse di discriminazione, tragedie né sceneggiate (immaginate cosa serebbe successo da noi?); con gli studenti e l’insegnante impegnati solo a cospargersi il capo di cenere. Una scuola e un’intera società in totale sintonia di fronte all’inciviltà sciocca e gratuita, che da noi invece viene addirittura promossa: per noi i graffiti sono una forma d’arte da tutelare…

Ce ne vogliono di grembiuli per diventare come i giapponesi. Da quegli italiani sgangherati che siamo possimo almeno ammirarli? Possiamo dire che sono un popolo, una razza, una civiltà superiore alla nostra? O la legge Mancino ce lo vieta?…

 

ROM: RAZZISTI NOI O LADRI LORO?

 Famiglia Cristiana definisce “razzista ed indecente l’idea delle impronte per i bambini rom” promossa dal ministro degli Interni Maroni. Il settimanale cattolico non dedica invece nemmeno una parola ai genitori rom. A quei genitori cioè, come gli otto arrestati a Verona, che costringano i figli a rubare con botte e violenze sessuali. Questi genitori degeneri e degenarati non meritano un po’ d’attenzione? O li giustifichiamo perchè provengono da una “cultura diversa”?

E se fossero genitori veneti a rifiutarsi di mandare i figli a scuola, ad educarli all’accattonaggio, a trasformarli in mini delinquenti, ad insegnare loro come cavarsela nelle maglie slabbrate della giustizia (per cui se anche i carabinieri ti fernano, tu scappi il giorno dopo dall’istituto minorile e torni a delinquere)? Cosa diremmo in questo caso? Credo che Famiglia Cristiana per prima chiederebbe di togliere la patria potestà a questi genitori e sbatterli in galera. Dopo di che prenderebbe atto che, se i veneti sistematicamente educano i figli alla criminalità, bisogna per difendersi cominciare a prendere anche le impronte digitali a questi baby criminali…

Il problema con i rom non è che siamo razzisti noi, è che sono ladri loro. Non tutti loro; ma tanti di loro, ma troppi di loro. E, come ha riconosciuto la Corte di Cassazione assolvendo il sindaco Tosi dall’accusa di istigazione all’odio razziale, di fronte ad un comportamento da ladri o li “discrimini” o rinunci a perseguerli e a difendere la tua comunità.

La mossa più vergognosa del politicamente corretto è l’accostamento tra i rom e gli ebrei, che sarebbero entrambi vittime della persecuzione razzista. Si dimentica che gli ebrei venivano dicriminati a priori, pur rispettando tutte le regole e le leggi delle varie comunità nazionali in cui vivevano. Con i rom è l’esatto contrario.Sono loro che non accettano le regole e le leggi: pretendono di darsi al nomadismo senza controlli, non mandoni i figli a scuola, non cercano un lavoro, scelgono sistematicamente di vivere ai margini della legge e, alla fine, i cittadini li discriminano per difendersi. Chi impedisce ai rom di condurre un esistenza normale? Se i loro genitori avessero educato i figli in maniera radicalmente diversa, nessuno si sognerebbe di prendere le impronte digitali ai bambini rom. L’antirazzismo salottiero di Famiglia Cristiana non può confondere la causa con l’effetto, né sottrarsi alla responsabilità complice di chi giustifica il furto invocando la “diversità culturale”.

 

MARIASTELLA CONTINUE LE COMBAT

 

 

 

 A quanto pare la cacciata del burocrate ministeriale Caterna Petruzzi, incapace di formulare il tema della maturità, davvero non è stato “qu’un debut” e il ministro Mariastella “continue le combat” impugnando addirittura la scure; cioè annunciando uno storico taglio del personale della pubbica istruzione: ben 148 mila posti, 101 mila tra gli insegnanti e 48 mila tra il personale non docente. Un 15% in meno sul milione circa di dipendenti.

Taglio come si vede colossale. Ma, se la Gelmini riuscirà a combattere e a vincere, sarà più significativo ancora dei tagli l’impegno a devolvere un quarto del risparmio di spesa così ottenuto come premio per i docenti più capaci e preparati. Questa sarebbe l’autentica rivoluzione. Anzi: sarebbe la restaurazione del merito che il Sessantotto aveva bandito in nome del più becero egualitarismo vetero comunista. Equalitarismo che puntualmente si realizza nell’appiattimento generale ai livelli più bassi. Reintrodurre il merito è il perno fondamentale da cui tutto deriva, compreso il taglio dei docenti più incapaci che diventa la logica conseguenza.

Intanto, a corollario del piano-scure di Mariastella, Il Foglio sottolinea la diseguale distribuzione degli insegnanti in rapporto alla popolazione sul territorio nazionale: nel Nord-Ovest c’è il 26% degli abitanti ma solo il 22% degli insegnanti, nel nostro Nord-Est il 18% di abitanti e il 14% di insegnanti. Quindi al Nord i docenti sono sottomedia. Al Centro il rapporto è equilibrato: 19% tanto di abitanti che di insegnanti. Al Sud e nelle isole il rapporto si inverte: al Mezzogiorno 24.5% di abitanti e 30% di insegnanti, in Sicilia e Sardegna 11,5% di abitanti e 16% di insegnanti.

E’ la solita solfa. Che si parli di insegnanti piuttosto che di postini, di netturbini piuttosto che di magistrati, di comunali o di regionali piuttosto che di forestali, ogni volta li troviamo esuberanti al Sud. Non dico carenti al Settentrione (che magari sono troppi anche qui da noi) ma in percentuali nettamente inferiori…E allora torniamo a bomba: la scuola “ce n’est qu’un debut” e “le combat” deve contuinuare in ogni settore della pubblico e del parapubblico, concentrandosi in particolare al Mezzogiorno. Qui e solo qui si gioca il risanamento o la bancarotta del nostro Paese.

Nel frattempo, rileggendo queste percentuali sulla diversa distribuzione degli insegnanti sul territorio nazionale, qualcuno ancora si stupisce che la Lega in Veneto abbia ottenuto il 30% di voti!? Probabilmente lo stupore è dovuto al fatto che abbia ottenuto solo il 30% dei voti…

 

LEGA GALAN LA LOTTA CONTINUA

Gli aggettivi si sprecano, da scontro frontale a lotta continua. In effetti tra il governatore del Veneto Giancarlo Galan e la Lega Nord infuria ormai la battaglia quotidiana giocata sul botta e risposta delle dichiarazioni. Il governatore si dice pronto ad aprire una crisi in regione per “fargliela pagare”, il segretario veneto del Carroccio Paolo Gobbo invoca l’intervento di Bossi, il neo vicepresidente Franco Manzato accusa lo spilungone Galan di “nanismo politico”.

La lotta continua c’è di sicuro. Ma non è chiaro il motivo per cui è scoppiata e per cui prosegue. Vediamo di scambiarci qualche opinione. Prima ipotesi: Galan ha annunciato la volontà di varare il Pdl del Veneto. Possibile che la Lega sia tanto preoccupata da andare per questo allo scontro? Teme a tal punto la concorrenza di un secondo partito territoriale? Può l’imitazione (molto, molto tardiva) avere altrettanto successo dell’originale? E’ sufficiante che sia Galan al posto di Berlusconi a scegliere le candidature per far risalire la china agli azzurri in Veneto? (Anche se dovesse sceglierle come già fatto con Bolla a Verona e la Sartori a Vicenza?…).

In ogni caso, se il Pdl del Veneto è una minaccia per la Lega, si capisce la reazione furiosa e preoccupata del Carroccio. Ma perchè Galan continua ad attaccare? Quindi, seconda ipotesi: Galan spara sulla Lega perchè sa che la successione è ormai designata, cioè che sarà un leghista il prossimo presidente del Veneto nel 2010. Si tratta di vedere se sarà Tosi o Zaia o Gobbo il prossimo governatore, ma nessun dubbio che sia un leghista perchè Berlusconi si è impegnato a mantenere l’azzurro Formigoni al vertice della Lombardia fino al 2015 e quindi non può che lasciare a Bossi la scelta del nuovo governatore veneto.

Senza aggiungere, terza ipotesi, che se Berlusconi non dovesse cedere il Veneto alla Lega, La Lega il Veneto potrebbe prenderselo anche senza l’accordo col Pdl: attraverso un rovesciamento delle alleanze verso il Pd (il quale non aspetta di meglio per poter finalmente rientrare nei giochi veneti). Cosa ne dite? E’ fantapolitica o è realistico pensare ad un Tosi nuovo governatore del Veneto sull’asse Lega-Pd?

Intanto c’è anche una quarta ipotesi per spiegare la guerra tra Galan e la Lega. Ed è l’ipotesi che continua a ribadire il nuovo capogruppo del Pd in Regione Gianni Gallo. Il quale accusa Galan di essere ormai arrivato al capolinea politico (“è un Re Nudo”) e di essere interessato solo a tentare “operazioni da Basso Impero” come la mega speculazione sugli immobili di proprietà della Regione. Immobili che Galan avrebbe voluto trasferire alla finanziaria regionale Veneto Sviluppo, presieduta da “una galaniana di ferro come Irene Gemmo”, sottraendoli così al controllo del consiglio regionale. Operazione però bloccata – come sottolinea sempre Gallo – non solo dall’opposizione ma anche dagli alleati (Lega) e dallo stesso partito di Galan (Il capogruppo azzurro Remo Sernagiotto). La lotta continua avrebbe dunque anche questa spiegazione: una Lega che non solo si appresta a sostituire Galan al vertice del Veneto ma che non gli consente nemmeno più di spadroneggiare nell’ultima parte del suo terzo mandato da governatore.

MINISTRO GELMINI CE N’EST QU’UN DEBUT

 

"Ce n’est qu’un debut, continuons le combat!" Era lo slogan del maggio parigino nel 1968. Speriamo diventi il motto guida nell’operato del ministro Mariastella Gelmini: che la cacciata di questa Caterina Petruzzi, che non sa distinguere nemmeno il genere maschile da quello femminile e pretende di formulare il tema della maturità su Montale, che la sua cacciata sia solo l’inizio; e che la lotta continui fino a ripulire l’intero vertice del Ministero della Pubblica…Ignoranza da tutti i burocrati della sua risma.

E che la lotta continui a partire dal vertice delle altre istituzioni. Per l’ovvia ragione che l’esempio non può che arrivare dal vertice. Finchè ci sono persone come la Petruzzi, il Ministero non può che essere, appunto, quello della Pubblica Ignoranza e, per caduta, non puoi che avere il 57% degli insegnnati assunti senza concorso e, per ulteriore caduta, non possiamo che avere la quasi totalità degli studenti sempre promossi senza alcuna seria verifica, cioè condannati ad iniziare una vita professionale da asini. Ma, con che coraggio e credibilità, vai a proporre agli studenti degli esami più seri, vai a spiegare loro la necessità della selezione, quando l’apice del ministero non sa nemmeno formulare correttamente le domande d’esame?

E questo vale a 360 gradi. Con che credibilità il ministro Brunetta pensa di combattare la battaglia, in se sacrosanta, contro i fannulloni del pubblico impiego, se non comincia a colpire i fannulloni che in Parlamento non ci vanno nemmeno quei due-tre giorni alla settimana e si fanno sostituire nelle votazioni dai colleghi “pianisti”? Come fai a prendertela con l’impiegato che timbra e se ne esce a far la spesa, quando il presidente della nostra Regione Giancarlo Galan è assente a 91 sedute del consiglio regionale su 126? (la denuncia del Galan “sempre assente” è del capogruppo del Pd in consiglio regionale Gianni Gallo)

Con che credibilità possiamo annunciare l’altra sacrosanta battaglia, contro gli sperperi e gli sprechi della pubblica amministrazione, quando le spese del Quirinale sono il doppio di quelle di Buckingham Palace? Finchè il vertice stesso della nostra repubblica ( a prescindere dall’inquilino che lo occupa) si comporta come un Mugabe è chiaro che manca l’esempio per proporre un qualunque intervento di rigore economico.

Ministro Gelmini, Ce n’est qu’un debut.

 

STRAGI IN MARE E RESPONSABILITA’

 

Il barcone, con 150 immigrati egiziani a bordo, è affondato nelle acque territoriali libiche poco dopo essere partito. Tant’è che il mare ha restituito i corpi sulle coste della Libia. Nessuno ne sapeva nulla. Le autorità di Tripoli hanno dato notizia giorni dopo che la tragedia era avvenuta. Sarebbe una follia anche ipotizzare un mancato soccorso da parte della nostra marina. Eppure i giornali della sinistra comunista (e non solo) non esitano a mettere questi morti in conto al nostro Paese e al nostro governo.

"Di chi è la responsabilità di questa strage continua? – si domanda Valentino Parlato sul Manifesto e si risponde – Nostra, della nostra globalizzazione aperta a tutti i movimenti di capitali, ma chiusa, fino all’omicidio di massa, alle persone”. Quindi per non commettere più omicidi massa dovremmo aprirci, magari costruire un ponte dalla Sicilia alla Libia per garantire che tutti i disperati dell’Africa arrivino incolumi nel nostro Paese…

L’Unità è ancora più diretta nell’accusa. Sopra la foto in prima pagina di un annegato titola: Morti per l’Italia. Ed Enrico Fierro scrive:” Quanti morti dovremo ancora contare nel Canale di Sicilia prima che il governo italiano capisca che la campagna elettorale è finita e che è arrivata l’ora di affrontare seriamente un tema epocale come quello dell’immigrazione?”

Quanti decenni dovranno passare – mi domando io – prima che una sinistra accecata dall’ideologia si renda conto che nessun italiano di buon senso può sentirsi in colpa per questi poveri morti e che nessuna responsabilità può essere adossata al nostro governo (benchè lo guidi il Cavaliere Nero)…Anche la nostra emigrazione verso gli Stati Uniti e il Sudamerica fu funestata da tragedie del mare, centinaia di italiani morirono nei naufragi. Ma nessuno fu così sconsiderato e fazioso da sostenere che erano morti per colpa dell’America.

Oggi come allora c’è una responsabilità diretta ed immediata: delle carette dei mari che trasportavano i nostri emigranti, dei mercanti di schiavi che stipano carne umana sui gommoni. Oggi come allora c’è una responsabilità indiretta, strutturale, di governi incapaci di garantire la sopravvivenza delle proprie popolazioni che le costringono a cercarla in Paesi lontani. Una responsabilità che ebbero anche i governi dell’Italia prefascista. E che è evidente oggi se guardiamo ai regimi dittatoriali e razzisti che dominano e affamano gran parte dell’Africa, incamerando ogni aiuto internazionale, incuranti della crescita ecomica dei loro Paesi, attenti solo all’arricchimento personale, famigliare di clan o di tribù.

Non vi pare che la strage nel Mediterraneo vada messa in conto ai regimi africani e agli scafisti che sono i loro carnefici?

SE DUE ITALIANI BRUCIANO UN ROMENO

 

Cosa dobbiamo pensare se due italiani (veronesi d’adozione: lei piacentina, lui di Bitonto) bruciano un rumeno?

Dobbiamo essere e siamo convinti che per questa coppia, che ha massacrato con tanta ferocia il proprio autista al fine di incassare l’assicurazione sulla vita, non possono esserci né clemenza, né attenuanti né giustificazioni: ai carnefici nostrani vanno comminate pene più severe ancora che a quelli stranieri. I quali ultimi una qualche attenuante possono averla, legata al loro stato di sradicati, alla miseria, alla diversa concezione della vita a della civiltà.

Nessuna attenuante invece per i carnefici italiani. Come non ce ne sono per il milanese che ha stuprato la ragazzina marocchina di 13 anni. Mentre per i tanti stupratori stranieri dobbiamo magari considerare che gli immigrati sono in massima parte uomini, in massima parte giovani, in massima parte privi di possibilità di rapporti con l’altro sesso…(e magari dovremmo essere così laici e pragmatici da chiederci se dei “Mc Donald’s del sesso” a prezzi popolari non servirebbero a prevenire un certo numero si stupri).

Chiarito e ribadito che il criminale nostrano merita pene ancor più severe, va data però una riposta anche a chi, quasi compiaciuto di fronte ai due italiani che bruciano il romeno, ritiene di avere ottenuto la dimostrazione di non si sa bene cosa: del fatto che i criminali sono tutti italiani? Del fatto che gli stranieri sono solo vittime e non carnefici? Maso, Abel e Furlan hanno colpito prima che arrivassero gli immigrati; il che non toglie che oggi al Nord il 70% dei delitti, come ricordava Manganelli, vengano compiuti da stranieri.

Sono due fattori giunti a sommarsi producendo un risultato disastroso: uno Stato che nelle sue varie articolazioni – legislatori, magistratura, tutori dell’ordine – era già incapace di fronteggiare la criminalità italiana, quella comune e quella organizzata, cioè le varie mafie che non a caso da noi imperano come in nessun altro Paese del mondo civile (per trovare qualcosa di simile bisogna andare in Colombia o in Messico con i narcos), quello stesso Stato è divenuto terra d’elezione per la criminalità straniera che non l’ha scelto a caso ma, appunto, perché era già il più sbrindellato cioè quello che garantiva i rischi più bassi e l’impunità maggiore.

Una criminalità straniera che, per certi versi, è meno pericolosa di quella nostrana organizzata (nel senso che non ha ambizioni da anti stato) ma che al Nord ha una diffusione molto più capillare e genera nei cittadini più allarme sociale delle mafie stesse.

Due italiani che massacrano un romeno aggiungono solo terrore e orrore, non spazzano via pregiudizi; perché non ce ne sono da spazzar via