TROPPO LEGGERI

Troppo leggeri. Troppo prevedibili. Un po’ stanchi. E poco lucidi.

Questa l’amara verità del dopo Padova-Reggiana, terzo 0-0 della stagione.

Sotto il profilo dell’impegno e della volontà i biancoscudati non potevano dare di più, su questo sono perfettamente d’accordo con mister Sabatini. Solo che ora che mancano sia Varricchio che Gasparello (che, seppur in non perfette condizioni, comunque il suo peso lì davanti ce l’aveva) bisogna assolutamente inventarsi qualcosa di diverso con gli uomini a disposizione.

Di Nardo, Rabito, Baù ancora a mezzo servizio perchè appena rientrato da due mesi di stop, Filippini: ci metto pure Raimondi, visto che è ormai convocato in pianta stabile in prima squadra. Questi gli elementi a disposizione in attacco, tutt’altro che "marcantoni", piuttosto brevilinei, rapidi e veloci.

Questo il materiale umano a disposizione: almeno fino alla riapertura del mercato. La parola al… mister!

 

IL PADOVA HA PARLATO: ORA GRIDI!

Era proprio il segnale che volevo vedere quello di Lecco.

Una squadra capace, anche in corso d’opera, di rimettere nella guaina il fioretto e di tirare fuori la sciabola. Un Padova capace anche di essere "ignorante", come ha giustamente sottolineato a fine gara capitan Paolo Cotroneo.

Purtroppo in serie C si incontrano molto spesso squadre che si difendono in dieci uomini dietro la linea della palla. Se i biancoscudati si fossero ostinati a voler utilizzare solo le armi "fine" avrebbero ottenuto lo stesso risultato di chi pretende di aprire una cassaforte con l’apriscatole.

Di fondamentale importanza il passo avanti dimostrato a Lecco. Ora però c’è una doppia da non fallire, in cui il Padova potrà mettere da parte l’ignoranza appena imparata e tornare a sfoderare le armi a lui più care: all’Euganeo lunedì, nel posticipo, arriva la Reggiana, poi c’è la trasferta in casa della capolista Pro Patria, che chiude il girone d’andata. Se porterà a casa sei punti,  comincerò davvero a pensare che siamo a buon punto.

 

SILENZIO… PARLI IL PADOVA!

Ho atteso qualche giorno prima di aggiornare il blog. Ero troppo arrabbiata e risentita per il Padova che avevo visto domenica contro il Pergocrema. Ho pensato che, se dopo la sconfitta di Monza, mi era uscito un titolo come "che due palle", dopo lo 0-0 col Pergo poteva uscirmi di peggio. E non era il caso.

Ho preferito far sbollire un po’ la rabbia e rimanere all’angolo, ascoltando attentamente tutti gli spunti e i commenti che mi sono arrivati dai tifosi e dagli amici. C’è (comprensibilmente) tanto rammarico in chi da sempre ama i colori biancoscudati: la paura di tutti (che è anche la mia) è che si incappi nell’ennesima stagione fallimentare, nell’ennesimo campionato in cui fino all’ultimo si spera di raggiungere almeno i playoff e invece poi sfuma tutto, come una gigantesca e dolorosa bolla di sapone, per una sconfitta di troppo o un pareggio che doveva essere una vittoria. 

Non credo però che la soluzione che in molti mi hanno additato in questi giorni sia quella giusta, ovvero sollevare Carlo Sabatini dalla guida tecnica della squadra. Lo penso per due motivi, uno personale, uno oggettivo e puramente "statistico": 1) stimo tantissimo il mister, la sua profondità d’animo, il suo modo di intendere il calcio e la sua capacità di mettersi sempre in discussione: se nelle ultime partite ha commesso degli errori, saprà farne tesoro e apporre i correttivi che servono. Sperando magari che al mercato di gennaio arrivino i rinforzi giusti, soprattutto a centrocampo, laddove di incontristi non è rimasto più nessuno dopo l’infortunio di Crovari; 2) negli anni precedenti gli allenatori a Padova sono saltati come i birilli: Glerean è stato sostituito da Ulivieri, Pellegrino da Mandorlini, Ezio Rossi dallo stesso Sabatini. Eppure l’avvicendamento non ha portato a raggiungere l’ambito traguardo. Stima per Sabatini a parte, penso quindi sia comunque meglio, per una volta, lasciar lavorare l’allenatore e dargli massima fiducia fino alla fine, senza ogni domenica rimetterlo in discussione.

A patto però che, al silenzio di chi vorrebbe la sua testa, corrisponda una risposta sul campo della squadra. Subito. Domenica a Lecco.     
  

CHE DUE PALLE!

Penso sia proprio questo il pensiero più ricorrente che è passato per la testa dei tifosi dopo l’ennesima sconfitta maturata attraverso il medesimo identico preciso copione. Sì, proprio "che due palle!". "Che due palle" perchè non si può ogni volta salire sull’ottovolante e, sul più bello che ci si comincia a divertire, sentirsi dire dal giostraio: "belli, è ora di scendere, il giro è terminato".

I tifosi sono stanchi degli alti e bassi di questa squadra e hanno tutte le ragioni di questo mondo. Ha ragione Falsini quando dice: "se perdi contro un’avversaria che ti ha messo sotto, vai a casa bastonato, ma consapevole che hai dei limiti. Ma il Monza ha messo in campo l’anticalcio. Se esci sconfitto così, non possono non girarti i cosiddetti…". Già, ma allora qual è il problema? Secondo me solo in parte è questione di tattica, di 4-3-3 votato all’attacco o di 4-4-2 attendista, con tutti gli uomini dietro la linea della palla. Sabatini, da sempre sostenitore (secondo me, a ragione) della teoria per la quale anche fuori casa il Padova deve provare a fare la partita e a vincere, ieri, di fronte al quarto ko fuori casa della stagione, si è ricreduto, affermando che d’ora in avanti proverà altre soluzioni, come fanno molte altre realtà in Prima divisione, anche di spessore (pensiamo alla Cremonese), quando scendono nei campi altrui.

Eppure resto convinta che non sia questo il problema o perlomeno non solo questo. Perchè è vero che ieri il Monza ha alzato le barricate e trovare spazi era difficilissimo, ma è altrettanto innegabile che, se il Padova avesse giocato tutti e novanta i minuti con la voglia e la determinazione che ha messo nell’ultimo quarto d’ora, non sarebbe finita 1-0, bensì almeno 1-3. Con qualunque modulo. E allora il problema non è il tridente. E’ la testa. Ha ragione un collega che stamattina mi ha detto: "una squadra che vince lottando due partite di fila e alla terza perde per disattenzioni evitabili contro un’avversaria di basso spessore, non è matura al punto giusto. Questa è la differenza tra una buona squadra, qual è senz’altro il Padova, e un’ottima squadra". 

Ecco, è proprio questo il punto. Il Padova deve diventare una grande squadra. Le armi le ha, la forza, anche caratteriale, pure, perchè l’ha dimostrata in più di un’occasione. Manca l’ultimo passo e i biancoscudati devono darsi una mossa a farlo per diventare grandi davvero. Se no, torneremo a "lacrime e sangue" e le prime, purtroppo, non saranno più di gioia.         

BASTA SANGUE, SOLO LACRIME… MA DI GIOIA

Lo ammetto senza problemi: al gol di Baccolo stavo per mettermi a piangere dalla gioia. Ho ripetuto urlando il suo nome almeno una decina di volte e non trovavo altre parole per esprimere la magia di quel momento. Non sono peraltro stata l’unica a commuoversi: a fine gara, mentre scendevo trafelata e (incredibile!) senza voce in sala stampa, ho incrociato la mitica Ire con la sorella Elena. Ire aveva gli occhi più che lucidi, rossi e mi ha confessato: "Sì, sono scoppiata a piangere, non ci credevo!". 
La felicità è
 stata intensa per tutti gli oltre quattromila tifosi presenti allo stadio: il biondo Pietro, ad appena diciott’anni, ha regalato (e si è regalato) al popolo biancoscudato una gioia che da anni non provava. E lo spirito del Padova, determinato, combattivo, mai domo, alla ricerca disperata fino all’ultimo secondo di partita del gol della vittoria ha regalato al pubblico la sensazione che stavolta ci siamo. L’allenatore sta riuscendo meravigliosamente, un passo alla volta, a far superare ai giocatori i problemi degli ultimi anni, ovvero la mancanza di continuità, di reazione ai momenti di difficoltà e di determinazione fino all’ultimo secondo di partita. Ora questi aspetti fanno parte del Padova. Ci siamo. La strada è quella giusta. C’è ancora tanto da lavorare ma finalmente si vede l’orizzonte. Ed è sereno.  

PEDERZOLI, CHE SIMPATICO BURLONE!

Ho visto poco fa per la prima volta le immagini della partita Ravenna-Padova e quindi il gol di Alex Pederzoli. Allo stadio "Benelli" ero seduta in un punto della tribuna stampa che, nel momento in cui il centrocampista ha segnato, mi ha permesso solo di vederlo mentre, di spalle, correva verso gli spalti. Mi sono accorta solo pochi minuti fa, appunto rivedendo le immagini del nostro cameraman Giuseppe Zwirner, di cosa ha urlato subito dopo aver messo sotto l’incrocio dei pali il pallone dell’1-0. Altro che "dedica a mio padre per una cosa che mi ha detto in settimana che mi ha portato fortuna". Pederzoli ce l’aveva proprio coi giornalisti: rallentando l’immagine si legge chiaramente dal movimento delle labbra che dice "scrivetela, scrivetela", mentre mima con la mano il gesto della penna che scrive. Evidentemente le critiche che gli sono piovute addosso dalla stampa padovana dopo l’opaca prestazione contro la Spal non gli sono piaciute e ha pensato bene di esprimere così il suo disappunto. 
Onestamente la sua reazione mi è parsa eccessiva: è vero che i giornalisti non ci sono andati giù tanto teneri dopo la battuta d’arresto di Ferrara (non solo con lui, un po’ con tutto il Padova per la verità),  ma nessuno ha messo in discussione le sue qualità: anzi, proprio perchè le conosciamo, ci siamo stupiti che in quella giornata non sia riuscito a tirarne fuori nemmeno una. 
Detto questo, ci può anche stare lo sfogo istintivo dettato dalla gioia del gol: ma perchè a fine partita non dire la verità? Perchè tirare fuori la storia del padre? Alex poteva benissimo dire: "sì, ce l’avevo con voi, ma ora è acqua passata" e buttarla in ridere come ha fatto dicendo: "se i risultati sono questi, continuate pure a criticarci che a noi fa bene". Sinceramente, fatico a capirlo. E voi che interpretazione date alla sua reazione?   

SE REAGISCONO COSI’, BEN VENGANO LE CRITICHE!

Altra crisi, altra risposta concreta e convincente sul campo. C’è poco da fare: quando è messo sotto pressione e criticato, in termini più o meno pesanti, questo Padova reagisce. E come reagisce: a Ravenna è arrivata non solo la vittoria che ha permesso ai biancoscudati di mantenere il quinto posto in classifica a sole quattro lunghezze dalla vetta, ma anche la prestazione più bella fuori casa dall’inizio del campionato, fatta di palla a terra, gioco veloce e sfondamento sulle fasce laterali. 

Il Padova la stoffa della grande ha dimostrato indiscutibilmente di averla. E con lui il suo allenatore, Carlo Sabatini, che ad ogni mezzo passo falso viene messo in discussione e risponde pure lui alla grande, con coraggio, buttando nella mischia i giovani che ha fatto crescere e in cui giustamente crede.

Il prossimo passo, però, per scrollarsi di dosso l’etichetta di squadra più altalenante della Prima divisione, deve essere quello di trovare continuità di rendimento e di risultati, indipendentemente dal clima che respira intorno a sè durante la settimana. A cominciare dalla sfida casalinga contro la Cremonese di domenica. La squadra ha davvero tutto quest’anno per centrare l’obiettivo che aspettiamo da quasi due lustri. Non se lo può davvero lasciar sfuggire.    

 

NON E’ ANCORA UN PADOVA… DA ESPORTAZIONE

I numeri non mentono mai. E se alla decima giornata il Padova, su trenta punti a disposizione, ne ha portati a casa quindici (ovvero la metà esatta) vuol dire che non è da primi posti. Se alla visione generale del campionato fin qui disputato dai biancoscudati si accosta l’analisi della parte relativa alle trasferte le cose vanno ancora peggio: solo quattro i punti che Faisca e compagni hanno portato a casa lontano dall’Euganeo, frutto della vittoria al Bentegodi di Verona e del pari a Legnano che, se non fosse intervenuto il gol all’ultimo momento di Varricchio, sarebbe stata la sconfitta più cocente di tutte. Per il resto solo sconfitte, una pesante e senza appello a Novara e altre due maturate con lo stesso canovaccio: ovvero il Padova che fa la partita ma che non affonda l’unghiata decisiva, che non ci mette quel pizzico di determinazione in più per portare gli episodi dalla sua parte. 

Detto questo, ora la palla passa a Carlo Sabatini. Io continuo a nutrire la massima fiducia nella sua capacità di capire il materiale umano che ha a disposizione e di tirarne fuori il meglio. Dovrà trovare lui la strada per trasformare questo Padova bello in casa anche in Padova da… esportazione. Il tempo è ancora dalla sua parte, lasciamolo lavorare.   

SABATINI E’ UN SIGNOR ALLENATORE

Che il Padova sia una squadra costruita per tentare il salto il B nessuno si sogna di metterlo in dubbio. L’organico, ben fornito in tutti i reparti, è dotato sia di giocatori che per la Prima divisione sono un lusso sia di giovani che si stanno dimostrando, di domenica in domenica, sempre più interessanti e affamati di gloria. Se i biancoscudati ieri hanno vinto col Cesena il primo scontro diretto del campionato l’applauso va fatto a tutti loro, dal primo all’ultimo: a Di Nardo che, dopo mesi in panchina, si è fatto trovare pronto (sì, perchè il Padova di giocatori di lusso ne ha talmente tanti da potersi permettere anche di tenerne fuori qualcuno), a Varricchio, che ha dimostrato una volta di più quanto è generoso, a Rabito che ha disputato un primo tempo su altissimi livelli, pur avendo una caviglia slogata e dolorante, a Pederzoli, che ha saputo dettare i tempi alla squadra in maniera eccezionale, ai centrali della difesa che non hanno fatto passare nemmeno uno spillo. A tutti, insomma. Ma un battimani scrosciante e speciale non si può non rivolgerlo ancora una volta all’allenatore, Carlo Sabatini. Per la seconda volta dall’inizio del campionato si è ritrovato un ostacolo da superare. L’inesperienza poteva giocargli un brutto scherzo e invece si è dimostrato assolutamente all’altezza pure in questa occasione: dopo la sconfitta di Novara, è riuscito a tirare fuori il meglio dai suoi dal punto di vista motivazionale e li ha fatti ripartire di slancio grazie al successo per 3-0 sulla Pro Sesto. Stavolta invece ha saputo cambiare in corsa il modulo, trasformando il 4-3-3 in 4-3-1-2 e offrendo agli occhi dei tifosi un Padova altrettanto bello, anzi addirittura più bello di quello ammirato fin qui, mettendo i giocatori nelle condizioni di esprimere al meglio le proprie qualità e caratteristiche. Se qualcuno aveva ancora dei dubbi se li tolga per piacere: Carlo Sabatini è un signor allenatore. Non è "di marca", ma se va avanti così presto lo diventerà.   

IL TRIDENTE DELLE MERAVIGLIE PERDE I PEZZI

Senza Andrea Rabito, costretto domenica a San Benedetto ad uscire alla fine del primo tempo per una distorsione alla caviglia e adesso anche senza Eder Baù, che la pubalgia ci restituirà solo dopo Natale, se tutto va bene. Onestamente io sono preoccupata: del maggiore punto di forza di questo Padova, ovvero il tridente d’attacco, sopravvive (calcisticamente parlando) il solo Max Varricchio e chissà per quanto tempo dovrà rinunciare ad almeno una delle sue due ali. 
Nell’ambiente biancoscudato, giustamente, tutti si affrettano a precisare che la rosa è ampia: che in panchina ci sono signori giocatori come Di Nardo, Gasparello e Filippini, che per la categoria rappresentano un lusso, e giovani interessanti come Lewandowski e Baccolo. Non mi sognerei mai di mettere in dubbio che sia così, ma il tridente Baù – Varricchio – Rabito aveva una marcia in più: oltre alle qualità individuali dei tre componenti, ha quell’amalgama nata da un campionato intero passato a conoscersi, a trovare i meccanismi. L’attacco del Padova è così stellare perchè, rispetto al precedente torneo, è il reparto in cui non è stato cambiato nulla e c’è stato il rispetto della continuità.
Di Nardo, Gasparello, Lewandowski e Baccolo faranno senz’altro benissimo. Ma saranno ancora più bravi se riusciranno a ridurre ai minimi termini il periodo di ambientamento e a restituire in tempi brevissimi all’attacco la sua specialità. L’orizzonte dice che stanno arrivando il Cesena, la Spal, il Ravenna e la Cremonese. Mica fronzoli.