DELUSIONE DELUSIONE DELUSIONE

I tifosi biancoscudati hanno ragione ad avercela a morte con il Padova. Contro il Legnano la squadra si è dimostrata tutto quello che aveva promesso non sarebbe più stata: spenta, quasi rassegnata, senza lo straccio di un’idea, smarrita e assolutamente priva di quella "fame di vittoria" cavallo di battaglia dei due nuovi arrivati, Jidayi e Cesar, che l’hanno sbandierata come l’unico ingrediente assolutamente necessario, in A come in Prima divisione, per raggiungere la promozione.

I fischi ci stanno tutti, l’"andate a lavorare" pure, non ci sta invece che otto ultras irrompano come delle furie spintonando gli stewart, che sono allo stadio per lavorare e garantire l’ordine, ed entrando di soppiatto dentro lo spogliatoio per urlare alla squadra tutto il proprio malcontento. Capisco la rabbia, ma sarebbe stato molto meglio se la contestazione fosse andata in scena in termini civili, magari martedì pomeriggio a Bresseo, poco prima dell’allenamento o subito dopo la sua conclusione.

Detto questo, però, non vorrei che la faccenda degli otto ultras fungesse da distrazione a quelli che sono i reali problemi del Padova. 

I giocatori si devono davvero dare una mossa. Devono dimostrare di tenere a questa maglia. I problemi ci sono, mancano Varricchio e Gasparello, oggi non c’erano nemmeno Carbone (influenza) e Falsini (risentimento all’adduttore durante il riscaldamento). Pure Di Nardo è uscito a metà del secondo tempo con un ginocchio malconcio e chissà se per Lumezzane ce la farà a recuperare! Si tratta di grattacapi reali ma se a questi si aggiunge la mancanza di mordente e di una dose anche minima di "grinta" allora non si va proprio da nessuna parte. 

Tutti oggi invocavano il ritorno sul mercato per prendere, oltre al centrocampista e al difensore che sono già arrivati, anche un altro attaccante. Certo, a fine gara mi sono convinta anche io, oggi più che mai, che se a Varricchio viene un raffreddore siamo messi davvero male, ma non può essere solo questa la soluzione. Il Padova deve aver voglia di uscire dai suoi problemi. Se no può arrivare anche Maradona, ma la situazione non cambierà di una virgola.   

UN ABBRACCIO AFFETTUOSO A CAMPANHOLI MA NON SERVE UN ALTRO REGISTA

E’ davvero tremenda a volte la vita. Vien da dire dispettosa. Sì perchè se hai la sfiga di nascere dalla parte sbagliata del mondo, quella povera, e lì rimani fino alla fine dei tuoi giorni, vivi male ma mai saprai cosa avrebbe significato avere una vita migliore. Felipe Campanholi invece, nato in Brasile, era riuscito, coltivando la sua passione e il suo grande talento per il calcio, ad intraprendere la strada verso la fortuna, verso un’esistenza tenuta in piedi da quel che più amava fare nella vita: tirare calci al pallone, divertirsi, far divertire. E la stoffa ce l’ha davvero questo ragazzo: non solo dal punto di vista tecnico. Felipe ha anche testa, temperamento, voglia di impegnarsi, di non lasciare mai niente al caso. Non fosse stato così Sabatini non l’avrebbe certo fatto partire titolare contro il Ravenna, mettendolo in cabina di regia in una partita da vincere per forza per non precipitare di nuovo in una crisi.

Purtroppo si è trattato solo di un "assaggio". Un’anomalia al cuore, di cui ancora non si sa di più, lo porterà via per sempre dalla società biancoscudata e la vita migliore che sognava, perlomeno in Italia, non si potrà realizzare. Chissà quante lacrime ha versato in questi ultimi giorni, quando i medici si sono accorti che qualcosa non andava e lo hanno sottoposto agli approfondimenti del caso. Felipe è stato un grande campione anche nel sopportare in silenzio il suo dramma, a tenere tutto nascosto: per questo, ora che la verità è venuta a galla, merita un abbraccio ancora più forte da parte di tutta la piazza. La speranza che ciascun tifoso nutre in cuor suo è quella che, dopo avergli chiuso in faccia con così tanta violenza questo portone e avergli teso un tranello così crudele, il destino abbia in serbo per lui un’altra opportunità, magari nel calcio estero e che il ragazzo non sia costretto a tornarsene a casa, in Brasile, smettendo di giocare. Mi auguro che il Padova si adoperi con tutto se stesso per procurargli una sistemazione che gli faccia tornare quel raggiante sorriso che sempre lo ha contraddistinto.

Dopo il doveroso saluto a Felipe, passo a parlare di mercato e lo faccio tirando un po’ le orecchie a una persona che sicuramente per il Padova e per Padova ha fatto tantissimo ma che ogni tanto, per troppo istinto e per troppa generosità, si lascia andare ad alcune uscite infelici: il presidente Cestaro. 

Ieri è stato presentato William Jidayi, prelevato dal Sassuolo: si tratta di un centrocampista incontrista, forte fisicamente e bravo nel gioco aereo. Insomma, un elemento di cui il Padova più che mai aveva bisogno lì nel mezzo e che giustamente il direttore sportivo Mauro Meluso ha inserito tra le priorità. Credo che a centrocampo ora la squadra sia a posto: è vero che purtroppo è venuto meno l’apporto di Campanholi, ma per il ruolo di regista ci sono Pederzoli, Gentile, anche Lewandowski può ricoprire questa posizione, perfino Jidayi, all’occorrenza, è in grado di fare il play davanti alla difesa. Non capisco allora perchè il presidente si ostini a dire "compreremo un altro regista", bocciando di fatto l’operato fin qui svolto da Pederzoli. Non è la prima volta che succede che Cestaro sconfessa pubblicamente un proprio tesserato, parlando magari sull’onda di un paio di prestazioni non del tutto positive, dicendosi pronto a riaprire il portafogli per portare a casa un altro elemento "di valore" in quel ruolo. Due sono gli ordini di errori in cui, a mio avviso il presidente cade, seppur in buona fede: 1) critica pubblicamente un giocatore e non dovrebbe farlo, anche perchè rischia di comprometterne il rendimento soprattutto dal punto di vista della motivazione e dell’equilibrio. 2) fa un lavoro che non è il suo: ovvero passa davanti a direttore sportivo e tecnico decidendo lui cosa è bene per la squadra ed esautorando di fatto i responsabili dell’area tecnica, che perdono così di autorità. E creando, di conseguenza, un po’ di scompiglio.

Secondo me un altro regista non serve: certo Pederzoli non è un piè veloce, ma è uno che quando ha il pallone tra i piedi ha nel novantanove per cento dei casi (e non è poco per la serie C) l’idea giusta. Forse, con le dovute proporzioni, è un po’ come Pirlo, che ha una grande visione di gioco ma che, essendo appunto un po’ lento, ha bisogno di un Gattuso di fianco. Be’ adesso il Padova il Gattuso che serviva ce l’ha ed è Jidayi. Meglio concentrare le energie nel trovare un difensore che prenda il posto di Giovannini. Di un regista non c’è davvero bisogno.

BENTORNATO SABATINI, BENTORNATO PADOVA

"Ho detto ai ragazzi che da stasera si specchieranno con qualcosa di più dentro. Guardandosi allo specchio si sentiranno più uomini e più giocatori importanti. Non abbiamo fatto ancora niente, ma ottenere questa vittoria e tirarsi fuori almeno in parte dal pantano in cui ci eravamo cacciati li farà sentire più forti e più consapevoli d’ora in avanti". Non poteva uscire frase più bella dalla bocca di Carlo Sabatini nel giorno del suo ritorno sulla panchina del Padova. Nel giorno della sua prima vittoria da nuovo allenatore del Padova. 

Questo era quello che i tifosi volevano vedere. Giocatori di calcio che prima che giocatori di calcio sono uomini. Che tengono alla maglia che indossano. Che lottano insieme per un obiettivo comune. Che sanno soffrire e tirarsi fuori dalla melma. A Venezia non si è visto un gran primo tempo e pure il gioco non è stato sempre entusiasmante: solo a tratti i biancoscudati sono riusciti a proporsi, a verticalizzare, a velocizzare e dare il ritmo giusto all’azione. Ma dal primo al novantesimo hanno preso in mano il loro cuore e lo hanno spremuto tirando fuori tutto quel patrimonio umano che negli ultimi mesi sembrava morto e sepolto.

Il gioco lo puoi migliorare, la tattica la puoi allenare. Il carattere no. Non lo vendono un tanto al chilo e se non ce l’hai sono problemi. Il Padova, vincendo a Venezia, ha dimostrato che, se vuole, ce l’ha. Ed è pure parecchio tosto.

Ora sotto col lavoro in questi quindici giorni di tempo prima della sfida interna contro la Sambenedettese. Che di tempo se ne è perso fin troppo. Bentornato Sabatini. Bentornato Padova. 

 

 

 

SARO’ PAZZA MA CI CREDO COME PRIMA E PIU’ DI PRIMA

Tutti depressi. Tutti giù di morale perchè si è chiuso l’anno (solare) peggio di come lo si era iniziato (con la sconfitta a Legnano). Perchè rispetto ad un anno fa abbiamo ben un punto in meno. Perchè la capolista è a più sette e allora addio sogni di gloria.

Spiacente, ragazzi, ma io non ho ancora voglia di fasciarmi la testa e di andare in depressione. 

Abbiamo di fronte un girone di ritorno tutt’altro che scontato. Sarà equilibrato, da lottare punto su punto, domenica dopo domenica e, dopo aver visto lo spirito con cui i giocatori hanno alzato la testa a Busto Arsizio in mezzo all’inferno, penso che il Padova potrà dire la sua. E pure ad alta voce.

Due particolari su tutti: gli occhi lucidi di Totò Di Nardo, che si è dannato l’anima per fare reparto da solo in mezzo ai colossi biancoblù e il magone di Alex Pederzoli che, gli avessero detto a fine gara guarda ci sono da giocare altri novanta minuti subito, non sarebbe nemmeno passato dallo spogliatoio per cambiarsi la maglia. E poi la rabbia del mister, la forza d’animo di Andrea Cano che, come sempre, nasconde il dispiacere affogandolo nell’ironia, i denti stretti di Paolo Cotroneo: di esempi ve ne posso citare davvero tanti, a testimonianza del fatto che questi ragazzi ci credono e anche con tutto il cuore. 

E allora ci mangeremo anche un panettone poco dolce, alzando al cielo un amaro calice, ma guardiamo con fiducia al 2009. A gennaio, poi, c’è il mercato e Meluso saprà porre rimedio agli attacchi della sfiga. 

Tanti auguri a tutti e… FORZA PADOVA, sempre!      

TROPPO LEGGERI

Troppo leggeri. Troppo prevedibili. Un po’ stanchi. E poco lucidi.

Questa l’amara verità del dopo Padova-Reggiana, terzo 0-0 della stagione.

Sotto il profilo dell’impegno e della volontà i biancoscudati non potevano dare di più, su questo sono perfettamente d’accordo con mister Sabatini. Solo che ora che mancano sia Varricchio che Gasparello (che, seppur in non perfette condizioni, comunque il suo peso lì davanti ce l’aveva) bisogna assolutamente inventarsi qualcosa di diverso con gli uomini a disposizione.

Di Nardo, Rabito, Baù ancora a mezzo servizio perchè appena rientrato da due mesi di stop, Filippini: ci metto pure Raimondi, visto che è ormai convocato in pianta stabile in prima squadra. Questi gli elementi a disposizione in attacco, tutt’altro che "marcantoni", piuttosto brevilinei, rapidi e veloci.

Questo il materiale umano a disposizione: almeno fino alla riapertura del mercato. La parola al… mister!

 

IL PADOVA HA PARLATO: ORA GRIDI!

Era proprio il segnale che volevo vedere quello di Lecco.

Una squadra capace, anche in corso d’opera, di rimettere nella guaina il fioretto e di tirare fuori la sciabola. Un Padova capace anche di essere "ignorante", come ha giustamente sottolineato a fine gara capitan Paolo Cotroneo.

Purtroppo in serie C si incontrano molto spesso squadre che si difendono in dieci uomini dietro la linea della palla. Se i biancoscudati si fossero ostinati a voler utilizzare solo le armi "fine" avrebbero ottenuto lo stesso risultato di chi pretende di aprire una cassaforte con l’apriscatole.

Di fondamentale importanza il passo avanti dimostrato a Lecco. Ora però c’è una doppia da non fallire, in cui il Padova potrà mettere da parte l’ignoranza appena imparata e tornare a sfoderare le armi a lui più care: all’Euganeo lunedì, nel posticipo, arriva la Reggiana, poi c’è la trasferta in casa della capolista Pro Patria, che chiude il girone d’andata. Se porterà a casa sei punti,  comincerò davvero a pensare che siamo a buon punto.

 

SILENZIO… PARLI IL PADOVA!

Ho atteso qualche giorno prima di aggiornare il blog. Ero troppo arrabbiata e risentita per il Padova che avevo visto domenica contro il Pergocrema. Ho pensato che, se dopo la sconfitta di Monza, mi era uscito un titolo come "che due palle", dopo lo 0-0 col Pergo poteva uscirmi di peggio. E non era il caso.

Ho preferito far sbollire un po’ la rabbia e rimanere all’angolo, ascoltando attentamente tutti gli spunti e i commenti che mi sono arrivati dai tifosi e dagli amici. C’è (comprensibilmente) tanto rammarico in chi da sempre ama i colori biancoscudati: la paura di tutti (che è anche la mia) è che si incappi nell’ennesima stagione fallimentare, nell’ennesimo campionato in cui fino all’ultimo si spera di raggiungere almeno i playoff e invece poi sfuma tutto, come una gigantesca e dolorosa bolla di sapone, per una sconfitta di troppo o un pareggio che doveva essere una vittoria. 

Non credo però che la soluzione che in molti mi hanno additato in questi giorni sia quella giusta, ovvero sollevare Carlo Sabatini dalla guida tecnica della squadra. Lo penso per due motivi, uno personale, uno oggettivo e puramente "statistico": 1) stimo tantissimo il mister, la sua profondità d’animo, il suo modo di intendere il calcio e la sua capacità di mettersi sempre in discussione: se nelle ultime partite ha commesso degli errori, saprà farne tesoro e apporre i correttivi che servono. Sperando magari che al mercato di gennaio arrivino i rinforzi giusti, soprattutto a centrocampo, laddove di incontristi non è rimasto più nessuno dopo l’infortunio di Crovari; 2) negli anni precedenti gli allenatori a Padova sono saltati come i birilli: Glerean è stato sostituito da Ulivieri, Pellegrino da Mandorlini, Ezio Rossi dallo stesso Sabatini. Eppure l’avvicendamento non ha portato a raggiungere l’ambito traguardo. Stima per Sabatini a parte, penso quindi sia comunque meglio, per una volta, lasciar lavorare l’allenatore e dargli massima fiducia fino alla fine, senza ogni domenica rimetterlo in discussione.

A patto però che, al silenzio di chi vorrebbe la sua testa, corrisponda una risposta sul campo della squadra. Subito. Domenica a Lecco.     
  

CHE DUE PALLE!

Penso sia proprio questo il pensiero più ricorrente che è passato per la testa dei tifosi dopo l’ennesima sconfitta maturata attraverso il medesimo identico preciso copione. Sì, proprio "che due palle!". "Che due palle" perchè non si può ogni volta salire sull’ottovolante e, sul più bello che ci si comincia a divertire, sentirsi dire dal giostraio: "belli, è ora di scendere, il giro è terminato".

I tifosi sono stanchi degli alti e bassi di questa squadra e hanno tutte le ragioni di questo mondo. Ha ragione Falsini quando dice: "se perdi contro un’avversaria che ti ha messo sotto, vai a casa bastonato, ma consapevole che hai dei limiti. Ma il Monza ha messo in campo l’anticalcio. Se esci sconfitto così, non possono non girarti i cosiddetti…". Già, ma allora qual è il problema? Secondo me solo in parte è questione di tattica, di 4-3-3 votato all’attacco o di 4-4-2 attendista, con tutti gli uomini dietro la linea della palla. Sabatini, da sempre sostenitore (secondo me, a ragione) della teoria per la quale anche fuori casa il Padova deve provare a fare la partita e a vincere, ieri, di fronte al quarto ko fuori casa della stagione, si è ricreduto, affermando che d’ora in avanti proverà altre soluzioni, come fanno molte altre realtà in Prima divisione, anche di spessore (pensiamo alla Cremonese), quando scendono nei campi altrui.

Eppure resto convinta che non sia questo il problema o perlomeno non solo questo. Perchè è vero che ieri il Monza ha alzato le barricate e trovare spazi era difficilissimo, ma è altrettanto innegabile che, se il Padova avesse giocato tutti e novanta i minuti con la voglia e la determinazione che ha messo nell’ultimo quarto d’ora, non sarebbe finita 1-0, bensì almeno 1-3. Con qualunque modulo. E allora il problema non è il tridente. E’ la testa. Ha ragione un collega che stamattina mi ha detto: "una squadra che vince lottando due partite di fila e alla terza perde per disattenzioni evitabili contro un’avversaria di basso spessore, non è matura al punto giusto. Questa è la differenza tra una buona squadra, qual è senz’altro il Padova, e un’ottima squadra". 

Ecco, è proprio questo il punto. Il Padova deve diventare una grande squadra. Le armi le ha, la forza, anche caratteriale, pure, perchè l’ha dimostrata in più di un’occasione. Manca l’ultimo passo e i biancoscudati devono darsi una mossa a farlo per diventare grandi davvero. Se no, torneremo a "lacrime e sangue" e le prime, purtroppo, non saranno più di gioia.         

BASTA SANGUE, SOLO LACRIME… MA DI GIOIA

Lo ammetto senza problemi: al gol di Baccolo stavo per mettermi a piangere dalla gioia. Ho ripetuto urlando il suo nome almeno una decina di volte e non trovavo altre parole per esprimere la magia di quel momento. Non sono peraltro stata l’unica a commuoversi: a fine gara, mentre scendevo trafelata e (incredibile!) senza voce in sala stampa, ho incrociato la mitica Ire con la sorella Elena. Ire aveva gli occhi più che lucidi, rossi e mi ha confessato: "Sì, sono scoppiata a piangere, non ci credevo!". 
La felicità è
 stata intensa per tutti gli oltre quattromila tifosi presenti allo stadio: il biondo Pietro, ad appena diciott’anni, ha regalato (e si è regalato) al popolo biancoscudato una gioia che da anni non provava. E lo spirito del Padova, determinato, combattivo, mai domo, alla ricerca disperata fino all’ultimo secondo di partita del gol della vittoria ha regalato al pubblico la sensazione che stavolta ci siamo. L’allenatore sta riuscendo meravigliosamente, un passo alla volta, a far superare ai giocatori i problemi degli ultimi anni, ovvero la mancanza di continuità, di reazione ai momenti di difficoltà e di determinazione fino all’ultimo secondo di partita. Ora questi aspetti fanno parte del Padova. Ci siamo. La strada è quella giusta. C’è ancora tanto da lavorare ma finalmente si vede l’orizzonte. Ed è sereno.  

PEDERZOLI, CHE SIMPATICO BURLONE!

Ho visto poco fa per la prima volta le immagini della partita Ravenna-Padova e quindi il gol di Alex Pederzoli. Allo stadio "Benelli" ero seduta in un punto della tribuna stampa che, nel momento in cui il centrocampista ha segnato, mi ha permesso solo di vederlo mentre, di spalle, correva verso gli spalti. Mi sono accorta solo pochi minuti fa, appunto rivedendo le immagini del nostro cameraman Giuseppe Zwirner, di cosa ha urlato subito dopo aver messo sotto l’incrocio dei pali il pallone dell’1-0. Altro che "dedica a mio padre per una cosa che mi ha detto in settimana che mi ha portato fortuna". Pederzoli ce l’aveva proprio coi giornalisti: rallentando l’immagine si legge chiaramente dal movimento delle labbra che dice "scrivetela, scrivetela", mentre mima con la mano il gesto della penna che scrive. Evidentemente le critiche che gli sono piovute addosso dalla stampa padovana dopo l’opaca prestazione contro la Spal non gli sono piaciute e ha pensato bene di esprimere così il suo disappunto. 
Onestamente la sua reazione mi è parsa eccessiva: è vero che i giornalisti non ci sono andati giù tanto teneri dopo la battuta d’arresto di Ferrara (non solo con lui, un po’ con tutto il Padova per la verità),  ma nessuno ha messo in discussione le sue qualità: anzi, proprio perchè le conosciamo, ci siamo stupiti che in quella giornata non sia riuscito a tirarne fuori nemmeno una. 
Detto questo, ci può anche stare lo sfogo istintivo dettato dalla gioia del gol: ma perchè a fine partita non dire la verità? Perchè tirare fuori la storia del padre? Alex poteva benissimo dire: "sì, ce l’avevo con voi, ma ora è acqua passata" e buttarla in ridere come ha fatto dicendo: "se i risultati sono questi, continuate pure a criticarci che a noi fa bene". Sinceramente, fatico a capirlo. E voi che interpretazione date alla sua reazione?