È una mezzofondo, mica i cento metri. E noi qua a farci mangiare vivi dall’emotività (spesso negativa), o a menarla con ridicole velleità estetiche. È più una questione da social che da stadio, dove ieri in ventimila hanno spinto il Verona. Epperò i social, che è sbagliato sminuire, creano massa critica e danno pure l’idea dell’aria che tira. Ieri sera ho letto molti giudizi negativi dei tifosi gialloblu: vittoria fortunata, prestazione scialba, così non ci salviamo eccetera eccetera. Idem dopo Bologna, dove invece il Verona semplicemente aveva trovato un’avversaria ingiocabile.
Chiariamoci, il Verona ha raccolto 12 punti nelle ultime 11 giornate. Un bottino più che dignitoso per chi, causa Setti e i suoi pesanti problemi finanziari e giudiziari, vive nell’affanno e deve grattare perfino i muri per salvarsi. Un bottino che non è figlio della fortuna, ma di una squadra in netta ripresa e che non è più la babele del girone d’andata. Per dire, la partita di ieri tre mesi fa non l’avremmo mai vinta perché allora non avevi la stessa solidità in mezzo al campo (il reparto che conta) e quella capacità rabbiosa di pressare alto e di andare a guadagnarti un gol “di rapina”.
Insomma, non è fortuna. Capisco che dopo il sacchismo e, in tempi più recenti il guardiolismo, per qualcuno il calcio si misura con il parametro estetico dello “spettacolo”. Ma il calcio, unico sport che si gioca interamente con i piedi, è antropologicamente gioco “irregolare”, che non segue dei canoni logici men che meno estetici. Il calcio è anche carpe diem: difenditi con ordine e poi cogli l’attimo. Il calcio è la ricerca della verticalità per arrivare in porta nel minor tempo e con la minor fatica possibile, perché il suo unico senso è fare gol e non prenderlo. Vincere “giocando male”, come si suol dire, non è fortuna, ma forza, qualità (non nell’assoluto, altrimenti il Verona vincerebbe la Champions, ma riguardo alla partita di ieri).
La verità è che in parte dell’ambiente si respira pessimismo. È comprensibile che esista un pregiudizio negativo sulla squadra dopo la campagna vendite di gennaio, percepita dalla tifoseria come l’ennesimo tradimento morale di Setti. Tuttavia distinguerei Setti dalle questioni di campo. Perché nonostante le cessioni (quella davvero dolorosa è Ngonge) il Verona non si è indebolito al punto da essere condannato. Perché Sogliano – diesse “fantasista”, un borderline capace di mischiare le carte ed esaltarsi nella fatica, ai margini, quando saltano gli schemi e occorrono intuito, velocità di pensiero e idee – ha pescato ancora una volta bene con Swidersky, Noslin e Dani Silva. Perché Serdar, calciatore di livello internazionale, lo hai recuperato alla causa. Perché Suslov nel frattempo è emerso. Perché Bonazzoli, vedi ieri, con i piedi che ha può essere determinante anche nella sua insopportabile indolenza. Perché Baroni, seppur in ritardo e dopo mesi di errori e confusione, da un po’ ha trovato la quadra.
Di Setti continuo a pensarla come la penso da anni, quando (non mi riferisco ai tifosi) in tanti erano in coda con il numerino a ruffianarselo in cambio di qualche strapuntino (quindi non accetto lezioni da nessuno). Sono rimasto due anni fuori dallo stadio (ne scrisse Vighini, che ringrazio, per quanto mi riguarda ho sempre preferito il silenzio perché ero direttamente coinvolto e poi non credo che alla gente interessino le vicende personali). Verona merita di più e di meglio e con questo presidente vivremo sempre nella provvisorietà, con chiari di luna finanziari e poca trasparenza nella gestione. Quante volte l’ho scritto? Ma questa mia opinione non mi condiziona nel valutare la squadra. Che non so se si salverà (è una bagarre sanguinosa, ci sono mille squadre in due punti), ma quantomeno so che se la può giocare.