ZANETTI NON ECCEDA IN TRIONFALISMO. TROVI CONTINUITÀ ED EQUILIBRIO

Capisco le emozioni: Zanetti era reduce da una settimana pesante, a un certo punto più di là che di qua dal burrone professionale. Le sue dichiarazioni dopo la vittoria di Parma sono quindi uno sfogo, un voler buttare fuori cose che l’allenatore ha covato e sedimentato a lungo. Però, ecco, non siamo fuori dal tunnel: la striscia negativa è stata talmente lunga e drammatica, che avrei evitato il passaggio su “l’orgoglio di aver saputo navigare tutti insieme nella tempesta”, che lascia intendere che (dalla tempesta) ne siamo usciti. Non basta infatti una vittoria a chiarire il futuro sportivo del Verona, nonostante la squadra abbia finalmente rimesso in campo un temperamento che mancava da mesi. Soprattutto contro un Parma che (conosciamo Pecchia…) concede tantissimo agli avversari, l’avversario ideale per le scorribande delle nostre individualità (il Verona, ribadisco, ha cifra tecnica e tante soluzioni) che sono andate a nozze negli spazi aperti. Al posto di Zanetti sarei stato più cauto, avrei aspettato qualche altra partita per considerare la crisi finita. Lo stesso trionfalismo eccessivo l’ho notato dopo l’emozionante vittoria con la Roma. Un tifoso ha il diritto ai saliscendi emotivi, da un addetto ai lavori invece mi aspetto analisi e ragionamento. Anche il “soli contro tutti”, che per i nostri tifosi da 40 anni è un modo di essere e di vivere, non può mai essere ad appannaggio di un allenatore, che peraltro solo non è (al contributo di Sogliano ci arriviamo dopo).
Mai come adesso suggerisco profilo basso e realismo. I margini di errore si sono ridotti e la classifica resta precaria (+1 dal Cagliari terz’ultimo). I danni delle 10 sconfitte in 12 partite si vedono ora. Tradotto, serve finalmente trovare quel che fino ad oggi è mancato: equilibrio e continuità, già dal trittico che ci porta all’anno nuovo, Milan, Bologna e Udinese. Poi, finalmente, potrà venire in soccorso anche il mercato di riparazione – con la vecchia o nuova società è da vedere – quando in un modo o nell’altro saranno da risolvere le situazioni dei senatori a scadenza (Magnani, Montipò e Dawidowicz).
Nel chiedere continuità torniamo a rimarcare i soliti concetti: lavorare profondamente sulla fase difensiva (anche a Parma deficitaria), mantenere un atteggiamento più accorto – tanto il Verona la via della rete la sa trovare – e cercare di far navigare nella stessa direzione un gruppo che qualche tensione interna ce l’ha (fattore di per sé non drammatico, la storia del calcio è piena di spogliatoi problematici e di squadre unite alla domenica).
Per quest’ultimo aspetto resta determinante il ruolo di Sogliano, che la settimana scorsa si è fatto “sentire” parecchio coi giocatori. La sua politica è chiara, come ho scritto la settimana scorsa: difendere l’allenatore e agire sui calciatori. Sean è un direttore sportivo sui generis, quasi un “allenatore ombra” (mi sia consentita l’iperbole e la provocazione). Questo suo “metodo totale” nelle squadre di medio-bassa fascia può funzionare. Del resto, questo Verona, grazie ai giocatori che il ds ha scelto, può valere anche 45 punti. Ce ne bastano 35-36 per salvarci.

P.s. Come ha ricordato Gianluca Vighini, nella replica al mio articolo dell’11 dicembre, in estate ho sostenuto la scelta di Zanetti (“Zanetti non è il migliore del mondo, ma è il migliore dei mondi possibili…” scrivevo). Lo rivendico, io stesso di recente avevo ricordato quell’endorsement. E rivendico queste mie parole estive: “Zanetti in carriera ha dimostrato che, se supportato dalla società e da calciatori di qualità, raggiunge gli obiettivi prefissati”. Non a caso la settimana scorsa, nel pezzo oggetto di discussione, ricordavo proprio la qualità della rosa e il sostegno di Sogliano al tecnico (analizzandone i motivi) e concludevo: “Se l’obiettivo è minimale, cioè una salvezza anche risicata (retrocedono tre squadre su venti, salvarsi mica è questa impresa), forse Sogliano pensa che può riuscirci con Zanetti, nonostante tutto”. A Verona siamo abituati calcisticamente al “regime dei minimis”, quindi a essere terribilmente pratici e badare al sodo per la mera sopravvivenza. Ma anche la praticità e gli endorsment estivi devono sempre fare i conti con la realtà.

ZANETTI E IL PARADOSSO DI SOGLIANO

Una scelta, quella del Verona di confermare Zanetti, che è un eufemismo definire controcorrente e impopolare. Va contro l’evidenza, la logica e i numeri, ma – al netto dell’aspetto economico (il Verona ha poco budget) e del prossimo probabile cambio di proprietà (ma in un affare in cui ballano 70-75 milioni di euro non incide l’ingaggio di un allenatore) –  forse si può spiegare così: Zanetti è funzionale al metodo di lavoro di Sogliano, che ha bisogno di essere quotidianamente dentro la squadra e di mantenere un filo diretto ed ultra-dialettico con il suo allenatore, per incidere, nella convinzione che solo in questo modo la situazione può restare sotto controllo e si può raggiungere l’obiettivo finale. Con l’attuale tecnico il feeling c’è, mentre con qualsiasi altro il rapporto sarebbe tutto da costruire.

Chi scrive pensa che questo sia un limite del nostro diesse. Un limite relativo e non assoluto, intendiamoci, perché se poi questo metodo, in un modo o nell’altro, porta al risultato è chiaro che il gioco vale la candela. Eppure un cambiamento di paradigma probabilmente aiuterebbe non poco anche la carriera dello stesso Sogliano, che con allenatori di profilo diverso valorizzerebbe meglio la sua indiscutibile abilità nello scegliere i calciatori. Ecco, se vogliamo, sta tutta qui l’anomalia e la contraddizione di Sogliano: difendendo Zanetti indirettamente espone alle critiche (ingiuste) il suo calciomercato, dunque se stesso. Tradotto: ma se non è colpa dell’allenatore, sarà che la squadra è scarsa? Ma come si possono considerare scarsi calciatori di livello internazionale come Serdar, Duda e Suslov, un gioiellino come Belahyane e un attaccante come Tengstedt che finalmente sta mostrando le qualità che gli addetti ai lavori gli hanno sempre riconosciuto?  Gli stessi Magnani e Dawidowicz, che hanno centinaia di presenze in serie A, non saranno diventati brocchi tutti di un colpo. La verità è che sul piano tecnico e individuale questo Verona è da salvezza tranquilla.

Del resto, il “metodo Sogliano” con gli allenatori lascia molte domande aperte. Per esempio, non sapremo mai se con un altro tecnico al posto di Bocchetti e Zaffaroni, o di Baroni l’anno scorso, avremmo fatto meglio o peggio (però Zaff è arrivato in corsa e ha inciso, quindi quello si può considerare un cambio). Conta il risultato finale e se l’obiettivo è minimale, cioè una salvezza anche risicata (retrocedono tre squadre su venti, salvarsi mica è questa questa impresa…), forse Sogliano pensa ancora che può riuscirci con Zanetti, nonostante tutto. Salvaguardando il suo metodo di lavoro.  Fino a prova contraria: Parma questa volta decide davvero.

LA CRISI NON È MORALE (VEDI RITIRO), MA TECNICO-TATTICA. ECCO PERCHÉ SOGLIANO STA CON ZANETTI (FINO A PROVA CONTRARIA)

Credo che stiamo sbagliando prospettiva. La causa dei problemi del Verona non è morale, ma prettamente calcistica. Le dissoluzioni morali viste contro Atalanta e Inter sono conseguenze della mancanza di solide fondamenta tecnico-tattiche. Per questo ho creduto poco nel ritiro “punitivo” dopo lo 0-5 contro l’Inter, giunto poche settimane dopo il 6-1 di Bergamo.  Quelle partite sono situazioni estreme, clamorose, casi limite che non fanno “analisi”. L’analisi parte da un dato di fatto più asettico, se vogliamo: dal “trend” e dall’inerzia. Abbiamo perso 9 delle ultime 11 partite, tra cui Monza e Cagliari, compagini mediocri. Le due vinte sono contro il modestissimo Venezia e la disastrata Roma di Juric. Poco, troppo poco. E tralasciamo i 30 gol subiti in questo lasso di tempo. Da settimane sostengo che la nostra classifica è fuorviante, perché tiene conto anche delle due vittorie iniziali con Napoli e Genoa, e che la situazione è decisamente più seria. La “tendenza” dell’Hellas è (sportivamente) drammatica.

Nelle conferenze stampa Zanetti tocca sempre corde emotive. Il tecnico è un passionale, un sanguigno, vedi che ci tiene. Però noto che parla poco di calcio, non spiega il perché di queste sconfitte in serie. Sogliano finora lo ha sempre difeso a spada tratta, non con le parole, ma coi fatti. Anche la scelta del ritiro “punitivo” (un paternalismo tutto italiano che nel calcio globalizzato del 2024 non so quanto sia sensato) è stata dettata non tanto da convinzione (il diesse è uomo di mondo, profondamente intelligente), ma piuttosto dalla necessità di mettere il cerino in mano ai giocatori, spingerli a guardarsi dentro e a fare un esame di coscienza. Sogliano finora ha fatto una scelta di campo precisa: sto con l’allenatore, i giocatori si adeguino.

Un modo di agire inusuale nel calcio, ma lo sappiamo, Sogliano nei suoi pregi (tanti) e difetti (la scelta degli allenatori a mio avviso gli ha frenato la carriera, di certo gli ha fatto perdere alcuni campionati) ha caratteristiche temperamentali indiscutibili: è leale, onesto, coerente. Ma non c’è solo questo: Sogliano con il suo allenatore da sempre crea un rapporto osmotico, per questo poi gli diventa complicato esonerarlo.

Ma, come cantavano gli Afterhours, “non c’è niente che sia per sempre”. Con Empoli e Parma si decideranno i futuri equilibri del Verona.   

ZANETTI GIOCA PER VINCERE? POI È FACILE CHE PERDI

Bando ai gufi, ma guai anche agli ottimisti di professione. Un‘analisi severa qua va fatta perché se la classifica del Verona è ancora sopra il livello di guardia, preoccupa eccome il trend delle sette sconfitte nelle ultime nove partite e la fase difensiva colabrodo: 28 i gol presi in 12 giornate, 25 nelle ultime nove, 6 volte su 12 l’Hellas ha subito almeno tre reti. Aiuto! Avanti di ‘sto passo chiuderebbe il campionato a quasi 90 gol subiti. Significa rischiare grosso, dubito infatti che – per quanto ci sia innegabile talento dalla cintola in su – finiremo col segnare più di 70 gol (per salvarsi bisogna contenere il differenziale passivo non oltre i 20-25 gol tra fatti e subiti).  

Insomma, il problema va risolto. Ci sono dei limiti individuali, in primis il portiere (non impeccabile nemmeno nelle stagioni precedenti), ma anche di marcatura dei nostri difensori (caso di scuola: Coppola che non copre lo specchio a Kean nel raddoppio della Fiorentina). E di impostazione tattica. Un allenatore è chiamato sia a migliorare tecnicamente i singoli calciatori, che a dar loro gli strumenti tattici per nascondere i limiti. Finora Zanetti non è riuscito in nessuno dei due aspetti. Va messo agli atti.

E non capisco francamente il suo intestardirsi con un modulo (il 4-2-3-1) che sacrifica Belahyane (in panchina a Firenze) e limita l’estro di Suslov e Tengstedt: lo slovacco è il nostro più forte trequartista, non può restare confinato sulla fascia laterale; l’ex Benfica invece è un attaccante di manovra che si esalta con una prima punta a fianco.  

Zanetti ha dichiarato che preferisce vincere piuttosto che pareggiare. Non farebbe una piega, il punto è che senza equilibrio poi è più facile che perdi. Guardate la tendenza: sta succedendo.  

COME DICE ZANETTI, IL VERONA RENDE SOTTO PRESSIONE. LA CRITICA FA SOLO CHE BENE

Ha detto tutto lui, Paolo Zanetti, ieri, nell’intensa conferenza stampa post Verona-Roma: “Dove possiamo arrivare? Non lo so, ma noi dobbiamo sempre pensare che siamo destinati a soffrire fino alla fine, se pensiamo a qualcos’altro emergono i nostri difetti. Ci serve mantenere l’umiltà, tenere il profilo basso, metterci un sassolino nella scarpa anche quando le cose vanno bene. Nel momento che ci sentiamo bravi abbassiamo la tensione, è nelle caratteristiche di questo gruppo che è ancora in fase di costruzione “.

Parole vere, lucide, oneste. Ma non definitive, perché Zanetti è ambizioso: “Questa squadra tecnicamente ha grandi margini, non abbiamo campioni, ma abbiamo talenti, ma se si vuole crescere bisogna abituarsi a fare grandi prestazioni non solo quando si ha l’acqua alla gola, che è tipico di chi è abituato a stare in basso”.

Ecco, il salto di qualità è racchiuso in queste parole: chi è davvero forte vince anche in condizioni normali. Non serve aggiungere altro, se non una considerazione: oggi il Verona, squadra di qualità ma ancora immatura, per il momento ha bisogno di essere sotto pressione per rendere al meglio. Quindi ben venga la critica, anche dura, purché argomentata e non fine a se stessa. A Verona, invece, spesso ci perdiamo nelle faziosità, ci avveleniamo di pregiudizi, nei pro e contro aprioristici, nel “va tutto bene madama la marchesa” da una parte o nel disfattismo velenoso dall’altra. Il grande assente in questa polarizzazione dialettica è il calcio, se ne parla sempre troppo poco. Per dire, ieri si è visto che Magnani e Coppola non sono scarsi, anzi; che la squadra è tecnicamente valida (chi li ha Duda e Serdar a centrocampo? E mancava Belahyane…); e che Zanetti sa allenare, semmai non ha ancora trovato l’equilibrio d’insieme (per le perduranti assenze a centrocampo, ma anche per errori suoi).

La vittoria con la Roma non cancella di per sé tutti i problemi. Sarebbe sciocco pensarlo. Abbiamo sfruttato il periodo incerto dell’avversario (fa parte del calcio, del resto…) e nel primo tempo non tutto è girato. Meglio dirlo, perché con la Fiorentina servirà qualcosa di più. Ma questa volta Zanetti ha saputo leggere la partita (Kastanos era spento e ti “abbassava” la squadra) e il Verona ha ritrovato corsa e atteggiamento. A differenza dell’allenatore, però, credo che in fase difensiva abbiamo sofferto troppo anche contro la Roma. E’ vero che la squadra ha “naturalmente” caratteristiche offensive e che non ha giocatori “di gamba” (i Folorunsho e Noslin dell’anno scorso) per rintanarsi dietro a difendersi e ripartire. E so bene che a Zanetti piace soprattutto attaccare. Però adesso con questi Serdar e Duda e il rientro di Belahyane può essere arrivato il momento di provare il centrocampo a tre. Un piccolo accorgimento che può aiutare a trovare solidità senza snaturarsi.

NON SPEGNETE LA LUCE

Questo mio articolo potrebbe essere un copia e incolla del precedente (22 ottobre, dopo lo 0-3 col Monza). Siamo sempre qui a dirci le stesse cose: il Verona continua ad avere seri problemi di equilibrio tattico. Anche a Lecce, l’espulsione di Tchatchoua nasce da una cattiva transizione tra fase offensiva e difensiva. Tradotto: non siamo mai preparati sulle ripartenze degli avversari. Quanti gol abbiamo preso centralmente? Gli errori individuali ci sono, ma spesso i difensori si trovano in affanno, alle prese con spericolati uno contro uno, senza la protezione dei centrocampisti e con le distanze tra i reparti sballate. Non impicchiamoci sui moduli, la questione è che bisogna lavorare di più e meglio sulla fase difensiva e forse anche cambiare atteggiamento, quindi giocare meno “alti” (riguardatevi l’azione che ha portato proprio all’espulsione di Tchatchoua, sullo 0-0…) e più coperti, almeno finché non passa la buriana.

Zanetti degli alibi li ha: Serdar, che è un equilibratore, è stato fermo a lungo e ancora adesso non è in condizione, Duda tra impegni in nazionale, infortunio e squalifiche non riesce a trovare continuità, Belahyane ora sarà fermato dal giudice sportivo. Menziono, non a caso, i nostri tre migliori centrocampisti, che il tecnico sostanzialmente non ha mai potuto schierare insieme. La linea mediana è il reparto determinante e Zanetti, forse, adesso è davvero intenzionato a giocare a tre per dare più copertura alla difesa, ma è chiaro che lo aiuterebbe avere i migliori a disposizione.

D’altro canto, il tecnico qualcosina in lucidità sta smarrendo.  Puoi avere cuore, sensibilità, attaccamento, metterci la faccia – tutte caratteristiche apprezzabili che sono nel bagaglio di Zanetti –  ma poi devi anche ragionare e saper leggere la situazione. E torniamo al punto di partenza: se prendi 19 gol in 7 partite, spesso in modo similare, significa che hai un enorme problema tattico da risolvere. Abbiamo prestato il fianco perfino al Lecce, che prima di noi aveva realizzato solo tre reti.  

Il calcio poi ha delle consuetudini, in ogni tempo e in ogni luogo. Se non fornisci loro gli strumenti più adatti, poi capita che ai giocatori si spenga la luce e perdano in temperamento, motivazione, autostima, concentrazione, anche inconsapevolmente. Non è questione di giocare contro l’allenatore (non sta accadendo nel Verona), è questione forse di credere meno nelle possibilità di fare risultato e nelle proprie capacità. Questo spiega anche il palese nervosismo che si manifesta spesso in campo (da Dawidowicz col Torino a Belahyane ieri i casi si sprecano…).

Ecco, riaccendete la luce. Zanetti trovi l’interruttore giusto. Altrimenti sarà buio pesto.

MANCA (ANCORA) L’EQUILIBRIO, TOCCA A ZANETTI TROVARLO

Siamo Dr Jekyll e Mr Hide. Dopo otto partite il Verona non ha ancora un suo equilibrio. Zanetti deve incidere di più. La classifica, discreta, è più figlia degli assoli dei talenti (che dalla cintola in su non mancano), assecondati certamente dalla predisposizione all’attacco, più che alla difesa, del tecnico. La squadra però è disarticolata nelle due fasi, pressa “alto” e sa offendere, ma si scopre dietro. Risultato? Vittorie altisonanti e rumorosi tonfi, mai un pareggio. Non sarà un caso. E 15 gol presi sono tanti, troppi, 12 solo nelle ultime cinque partite. Houston abbiamo un problema! E non si possono mettere in croce i singoli difensori, sarebbe riduttivo, anche perché i nostri, presi uno a uno, sono comunque di categoria.

Piuttosto c’è una tema tattico da affrontare: con una squadra che ha qualità offensiva e giocate individuali, e quindi il gol prima o poi lo trova (solo con Juve e Monza non siamo andati a referto), non varrebbe forse la pena giocare un po’ più coperti, meno “alti”, un po’ sornioni, pensando innanzitutto a non subire, in attesa degli eventi? Forse così perdi in trame di gioco, ok, la coperta potrebbe essere corta, ma è compito dell’allenatore trovare il giusto compromesso.

Tradotto: perché non giocare con i tre a centrocampo – Serdar, Belahyane, Duda – in modo da proteggere maggiormente la difesa? A maggior ragione con un terzino offensivo come Bradaric. Perché Suslov deve essere confinato sulla linea laterale, all’ala, quando è una mezza punta naturale? Prima di “punirlo” con la panchina, come sento dire da qualche tifoso, non sarebbe il caso di valorizzarlo? Zanetti, anche sabato scorso in conferenza stampa, ha sottolineato che lui punta a mettere i migliori nei ruoli più adatti: non è sempre stato così.

Il Verona ha potenziale, che per ora è rimasto lì, un po’ strozzato, a metà del guado. Zanetti ha competenze e conoscenze, ma commette un errore di fondo che è tipico degli allenatori emergenti: spingere molto sulla didattica, gli schemi e il proprio “credo”, trascurando però la visione d’insieme e un po’ di sana praticità. Occorre badare più al sodo, disegnare un assetto che sappia nascondere i difetti congeniti (hai difensori lenti? Crea filtro per evitare loro gli uno contro uno a campo aperto) ed esaltare i pregi (il rombo in mezzo al campo è l’ideale per una squadra ricca di mezz’ali e trequartisti). Missione pragmatismo.  

IL VERONA DIFETTA DI PERSONALITÀ, NON DI UMILTÀ. SE PRENDE COSCIENZA DELLA SUA FORZA CI DIVERTIREMO…

La settimana scorsa scrivevo che toccava a Zanetti registrare una squadra che sul piano delle individualità è competitiva per il campionato che deve disputare, cioè salvarsi. Va riconosciuto all’allenatore di non aver perso tempo dopo le tre sconfitte consecutive (e gli 11 gol subiti): ha inserito Ghilardi e Bradovic, ed ha messo fine a una certa ambiguità tattica tornando a quattro dietro (puntualizzo: chi scrive non è uno che s’impicca ai moduli essendo il calcio sport di movimento, quel che conta è mettere i calciatori nel posto giusto e dare indicazioni chiare). Il Verona è sembrato meno confuso e quindi anche più concentrato e intenso nelle due fasi, difensiva e offensiva. Detto che un senatore come Dawidovicz deve essere recuperato mentalmente (almeno fino a gennaio gli va dato credito) e che Frese può ristabilirsi senza forzare, è giusto che l’allenatore abbia dato dei segnali anche nel reparto difensivo, sulla carta quello con le alternative più risicate, ragion per cui qualche senatore forse ha dato la titolarità scontata.

Adesso, grazie alla sosta e al recupero di Serdar, si può anche provare a dare alla squadra quella che a nostro avviso è la sua più congeniale fisionomia: copione fisso 4 difensori e tre centrocampisti (Belahyane, Duda e Serdar) e davanti la possibilità di essere camaleontici date le tante alternative – puoi giocare con la punta centrale e due trequartisti esterni come Suslov e Lazovic, o anche Livramento; o con il trequartista (qui hai gli stessi Suslov, Lazovic, Harrui e Kastanos) e le due punte, qui Tengstedt, Mosquera e Lambourde danno ampie garanzie.

Ma, al di là delle alchimie, quel che più conta è che il Verona prenda consapevolezza dei suoi mezzi. A questa squadra non fa difetto l’umiltà, semmai la personalità, specie, paradossalmente, nei più esperti. Aggiungici che i (tanti) talenti più giovani sono ancora in fase di maturazione e non hanno nelle corde la continuità, e capiamo che il nostro sarà un campionato di alti e bassi, imprese e tonfi (non abbiamo ancora pareggiato, non è un caso…). Dove non arriviamo con la malizia, arriveremo con la qualità tecnica. Non saremo i più solidi (ma dobbiamo diventarlo), ma siamo i più estrosi. Tuttavia lo ribadiamo: nel circoscritto ambito di quelle 5-6 contendenti per non retrocedere, l’Hellas è forte, probabilmente la più forte. Non facciamoci ingannare dal budget, il calcio lì in basso è tante altre cose. Prendiamone coscienza e (un po’) ci divertiremo.

LA SQUADRA C‘È, SPETTA A ZANETTI REGISTRARLA. NEL PROSSIMO MESE CAPIREMO IL VALORE DEL VERONA

I numeri sono impietosi: otto gol subiti nelle ultime tre partite. A girarla, la statistica, vengono i brividi: nonostante I cinque gol realizzati con Lazio, Torino e Como non abbiamo preso un punto. Si sta discutendo tanto, giustamente, di questo aspetto, però non condivido la vulgata generale che vorrebbe addebitare tutto agli errori individuali (vulgata rilanciata dallo stesso allenatore prima di Como). Certo, all’occhio del profano balzano gli svarioni più clamorosi, ma poi se ci si addentra in un’analisi più attenta si scorge una fase difensiva non all’altezza. Zanetti venerdì affermava che con Lazio e Torino avevamo subito gol a difesa schierata (sottointeso: sul piano tattico non ci sono problemi). A mio avviso è un’aggravante, perché significa che siamo schierati male, nelle distanze tra i reparti e tra i giocatori dei reparti medesimi. In effetti ci infilano con facilità.

In questo fragile contesto, permettetemi, non aiuta il rendimento di Montipò, portiere dalle grandi doti acrobatiche e dagli ottimi riflessi, ma non impeccabile nel posizionamento e nella lettura delle azioni (e sofferente nelle uscite). Ne abbiamo avuto conferma con Lazio e Torino, ma la partita di ieri è esemplare di ciò che è (e soprattutto non è) il nostro portiere. Quattro parate spettacolari nel primo tempo – ecco, spettacolari (per i fotografi, si diceva una volta) più che difficili perché, a parte la seconda molto istintiva su Paz, le altre sono su tiri centrali (Montipò tende a tuffarsi molto, anche sulle traiettorie non angolate) – ma nella ripresa i soliti decisivi errori tecnici che hanno causato il secondo e terzo gol del Como: sul raddoppio di Crutone Montipo’ è leggermente fuori posizione, il 3-1 di Belotti nasce dalla sua goffa respinta con i piedi.

Non possiamo pensare di andare lontano con questi numeri. Ma per fortuna è tutto risolvibile e credo che il rientro a tempo pieno del miglior Duda e (speriamo presto) di Serdar (che possono giocare con il bravissimo Belahyane in un centrocampo a 3) aiuterà a dare più equilibrio alla squadra. Nel frattempo bisogna prendere qualche accorgimento tattico perché i Magnani, i Coppola e i Dawidovicz, che chiaramente non sono Maldini e Nesta, restano però difensori di categoria sufficientemente competitivi per un club che deve salvarsi.

Nel prossimo mese incontriamo Venezia, Monza e Lecce (e Atalanta). Dopo questo mini-ciclo capiremo il reale valore del Verona. Rosa piena di talento (Lambourde può essere un altra rivelazione), ma ancora da registrare. Compito che spetta a Zanetti.

GIRAMENTO DI SCATOLE (PARADOSSALMENTE MERAVIGLIOSO)

La sconfitta dell’Olimpico con la Lazio è figlia dell’inesperienza. Per inesperienza intendo l’incapacità di calciatori di qualità e di talento come i nostri (questo Verona ha indubbiamente una cifra tecnica da salvezza tranquilla) di tenere alta la tensione emotiva, quindi agonistica, per più settimane consecutive. Il calo di tensione lo si nota tutto nel secondo gol preso (inammissibile e il portiere nella sua area deve uscire) e più in generale nel non essere riusciti a graffiare sul 2-1.

“Ti manca un centesimo per fare la lira” diceva un mio vecchio allenatore. Il Verona è zeppo di giocatori forti, ma per un motivo o per l’altro non ancora calcisticamente maturi e risolti. A Roma non si è demeritato, ma è mancato “quel qualcosa” in tutte le fasi di gioco: in marcatura, nella velocità delle controffensive, nelle verticalizzazioni. Attitudini che la squadra ha, ma che per ora non sa esprimere con costanza e continuità. Insomma, i tipici alti e bassi di chi è ancora in fase di maturazione.

Ma se notate, questa sconfitta ci rammarica più del solito e forse più del dovuto. È un paradosso, perché chi lotta per la salvezza mette nel computo di perdere in casa della Lazio che gioca per la zona Coppe. Il fatto è che da Roma ci portiamo dietro una strana, ma anche meravigliosa (poi spiego perché) sensazione di incompiuta. Nasce dalla consapevolezza che, nonostante tutto (la differenza di obiettivi e di budget, le assenze) avremmo potuto-dovuto giocarcela alla pari e strappare tranquillamente un punto. È una sensazione meravigliosa, dicevo, perché conferma ciò che da un po’ penso: il Verona ha dei valori importanti e quindi è comprensibile che girino le scatole per una sconfitta del genere.