LUCI E OMBRE DI SETTI, VINCENTE MAI AMATO. FONDI STRANIERI? CALCIO SPECCHIO DEL PAESE

Maurizio Setti, nel Verona, è stato soprattutto e certamente un ottimo uomo d’affari, che ha comprato il club a poco e lo ha rivenduto a molto, anche al netto dei debiti. E nel frattempo ci ha guadagnato (e bene).
In questi suoi 12 anni e mezzo ha saputo costruire e sfruttare relazioni “politiche” nel palazzo calcistico, è stato fortunato e certamente abile, ma soprattutto ha avuto intuizione e timing: cioè ha saputo entrare e operare nel calcio nel periodo storico giusto, quello dove medi imprenditori come lui, forse anche con qualche aiuto personale (per anni si è parlato del cono d’ombra dei rapporti con Volpi…), potevano inserirsi e poi camminare da soli grazie a un sistema che grazie a enormi diritti tv e a paracaduti per le retrocesse dava la benzina necessaria per fare business speculativo (compra e vendi giocatori). Ed è uscito di scena prima di essere fagocitato dallo stesso sistema che sta cambiando alla velocità della luce, con i nuovi fondi della finanza globale che la fanno sempre più da padrone.
Questo timing perfetto ha permesso a Setti di essere il presidente del Verona più vincente dell’era moderna (quindi degli ultimi 35 anni). Eppure, il meno amato (in tandem con Pastorello). Perché?
Forse perché non è mai stato del tutto trasparente, né nella gestione (la Falco e la complessa architettura finanziaria in Lussemburgo nei primi anni, le indagini, la querelle con Volpi…), né nella comunicazione. Sono stati anni contradditori, i suoi: di sparate (“modello Borussia”) e di silenzi; di campionati illuminanti (con Mandorlini, Juric e Tudor) e di retrocessioni umilianti; di investimenti (primi anni di Sogliano-Mandorlini e poi stagione di Tudor) e di inopinate spending review (chiedere a Fusco e Pecchia). Il suo Verona ha sempre vissuto di chiari di luna, sul filo, volubilmente, tra curve e cambi di direzione improvvisi. Fino al sipario, che per Setti era calato da almeno un anno, in un calcio che non era più adatto alle sue possibilità e al suo modus operandi.
La sua, dicevo, è stata un’uscita di scena perfetta, per se stesso e anche il Verona. Ed è questo, alla resa dei conti, il merito storico di Setti: non tanto o solo i dieci campionati di serie A (questo è il sesto consecutivo), ma l’aver condotto l’Hellas da un’era all’altra del calcio: da quella ancora naif (per quanto già moderna) degli imprenditori nostrani, al capitalismo finanziario e globalista di oggi.
Un calcio che non è più sport, ma nemmeno intrapresa economica, ma perlopiù un contenitore di mera finanza, con centinaia di milioni di euro che girano protetti da complessi meccanismi e articolazioni. In questo contesto non potevamo pretendere che fossero dei veronesi – ma nemmeno degli italiani – a comprare il club. Non solo è un business che non interessa, ma è soprattutto un business a loro inaccessibile per molte ragioni. Inoltre l’Italia è segnata dalla deindustrializzazione e ancora caratterizzata da un capitalismo familiare ormai al crepuscolo. Non è un caso che anche molte aziende veronesi siano state acquisite da fondi. Come scriveva il compianto Oliviero Beha, il calcio non è altro che lo specchio del Paese.

MERCATO? NON SERVONO RIVOLUZIONI. E SU PRESIDIO INVESTORS E NUOVO STADIO…

Settimane di fuoco. Tra closing, mercato e due partite da non sbagliare (Venezia e Monza, il 27 gennaio e 1 febbraio). In questo breve arco di tempo capiremo molte cose del futuro del Verona.
Il centro di gravità permanente è chiaramente il cambio di proprietà, che sarà ufficiale tra pochi giorni: il fondo d’investimento americano è un’incognita nel lungo periodo, ma nel corto credo che si caratterizzerà per qualche buon investimento sulla squadra. Questione di interessi.

Sul mercato, a differenza di un anno fa, non servono rivoluzioni, ma solo qualche aggiustamento: l’idea di Sogliano (ma il lavoro del diesse dipende dalle strategie della nuova proprietà) è cedere non più di un big (Belahyane o Tchatchoua) e reinvestire qualche milione di quella plusvalenza su un difensore centrale e un terzino sinistro, forse un mediano che dia corsa e copertura a un centrocampo di piedi raffinati.
Difendere la categoria è ampiamente alla portata dei gialloblu, che dopo aver toccato il fondo, da qualche settimana sono “più squadra”, come ha rimarcato Zanetti anche ieri sera dopo l’onorevole sconfitta di Napoli. E l’allenatore, pur tardivamente, ha trovato il bandolo della matassa con le due punte e il giusto posizionamento di Suslov. Però ribadiamo, a rischio di passare per noiosi: come ultimo step sarà determinante trovare una migliore quadra sul piano difensivo: da lì passa il confine tra una salvezza onorevole e l’affanno perpetuo, quindi il rischio.

Tornando a Presidio InvestorS. Il Verona, almeno nei primi anni, certamente troverà capitali per strutturarsi maggiormente (Setti da tempo aveva esaurito le risorse gestionali), mentre sono scettico su un possibile e deciso cambio di dimensione. Del resto, è lo stesso fondo che si presenta come specializzato in investimenti sul mercato medio-basso; tuttavia lavora per “aiutare le aziende a crescere e svilupparsi”. Traduciamo: l’auspicio è che il Verona con i capitali di Austin abbandoni gli affanni di questi ultimi anni e faccia un piccolo up grade per consolidarsi con tranquillità in serie A. Ma non farei ragionamenti di lunghissimo termine, “aiutare le aziende a crescere e svilupparsi” può significare anche rivalutarle economicamente per rivenderle. Chiariamoci, la ratio dei fondi è il business finanziario, il calcio è un corollario. E la “ciccia” sono gli investimenti immobiliari, nel caso nostro il nuovo stadio e il centro sportivo della prima squadra. La copertura politica del sindaco Tommasi pare esserci (ci fosse la stessa determinazione per gli altri ambiti della città…), ma è tanta la confusione sotto il cielo sul tipo di progetto che si potrebbe realizzare e soprattutto sulle reali coperture economico-finanziare dello stesso, dal momento che difficilmente l’Europeo del 2032 sarà a Verona. Ma ci torneremo.

HELLAS CAOTICO DI TALENTO. E SU SETTI E IL CLOSING…

Non ho mai creduto troppo alla fortuna. Il Verona, a Bologna, ha più che altro confermato di essere una squadra “pazza”, disarmonica, disordinata tatticamente, eppure di talento, di ottime qualità individuali dalla cintola in su. Una squadra che subisce, soffre e s’offre, ma che sa anche far male. Questo spiega i risultati incoerenti, dicotomici a stretto giro di posta: sconcertanti debacle, ma anche grandi imprese. Qualcosa vorrà pur dire se, dopo quasi un girone di andata, non abbiamo mai pareggiato. A Bologna, però, si è vista una maggiore voglia di soffrire, di fare il passo in più, di stringersi compatti nelle difficoltà: è un bel segnale. Ha detto bene Zanetti: “Ora siamo una squadra”. Rimane, purtroppo, la nota di una fase difensiva che ancora non funziona, mentre è positivo che Zanetti, seppur tardivamente, si sia convinto a giocare con due punte.
Adesso bisognerà vedere se il mercato di gennaio rinforzerà o meno il Verona (ma questo dipende anche dal possibile cambio societario). Restasse Setti, balla al centro della pista la cessione di Belahyane, che indebolirebbe le opzioni a centrocampo, però darebbe alla società liquidità sufficiente da reinvestire su un terzino sinistro e un centrale difensivo. Vanno poi risolte in un senso o nell’altro le questioni con i giocatori a scadenza di contratto, per evitare di trascinarsi malcontenti esistenziali ed esiziali. Il resto – ergo risolvere gli attuali disequilibri tattici – tocca a Zanetti: se ci riesce possiamo ancora aspirare a un campionato più tranquillo perché se ti registri dietro poi al resto ci pensano i Tengstedt, Sarr, Serdar, Duda e compagnia. Altrimenti cammineremo sempre sul filo, su un crinale sottile, come è destino dei caotici di talento (la giusta definizione per questo Hellas). Attenzione, potrebbe comunque bastare per guadagnarci la pagnotta, cioè il settimo anno di serie A consecutivo; servono 34-35 punti e, nella nostra follia, siamo già a 18.
Sulle questioni societarie, al momento, poco da dire: trattative di questo livello, con decine di milioni che girano e complesse questioni legali attorno, si osservano in silenzio. Poi resta sempre il principio di fondo di qualsiasi affare: si chiude quando la volontà di comprare e di vendere delle parti convergono. La mia sensazione? Setti ha ancora qualche carta importante da giocarsi. Tradotto: molla solo se strappa ciò che vuole (o si avvicina a ciò che vuole).

ZANETTI NON ECCEDA IN TRIONFALISMO. TROVI CONTINUITÀ ED EQUILIBRIO

Capisco le emozioni: Zanetti era reduce da una settimana pesante, a un certo punto più di là che di qua dal burrone professionale. Le sue dichiarazioni dopo la vittoria di Parma sono quindi uno sfogo, un voler buttare fuori cose che l’allenatore ha covato e sedimentato a lungo. Però, ecco, non siamo fuori dal tunnel: la striscia negativa è stata talmente lunga e drammatica, che avrei evitato il passaggio su “l’orgoglio di aver saputo navigare tutti insieme nella tempesta”, che lascia intendere che (dalla tempesta) ne siamo usciti. Non basta infatti una vittoria a chiarire il futuro sportivo del Verona, nonostante la squadra abbia finalmente rimesso in campo un temperamento che mancava da mesi. Soprattutto contro un Parma che (conosciamo Pecchia…) concede tantissimo agli avversari, l’avversario ideale per le scorribande delle nostre individualità (il Verona, ribadisco, ha cifra tecnica e tante soluzioni) che sono andate a nozze negli spazi aperti. Al posto di Zanetti sarei stato più cauto, avrei aspettato qualche altra partita per considerare la crisi finita. Lo stesso trionfalismo eccessivo l’ho notato dopo l’emozionante vittoria con la Roma. Un tifoso ha il diritto ai saliscendi emotivi, da un addetto ai lavori invece mi aspetto analisi e ragionamento. Anche il “soli contro tutti”, che per i nostri tifosi da 40 anni è un modo di essere e di vivere, non può mai essere ad appannaggio di un allenatore, che peraltro solo non è (al contributo di Sogliano ci arriviamo dopo).
Mai come adesso suggerisco profilo basso e realismo. I margini di errore si sono ridotti e la classifica resta precaria (+1 dal Cagliari terz’ultimo). I danni delle 10 sconfitte in 12 partite si vedono ora. Tradotto, serve finalmente trovare quel che fino ad oggi è mancato: equilibrio e continuità, già dal trittico che ci porta all’anno nuovo, Milan, Bologna e Udinese. Poi, finalmente, potrà venire in soccorso anche il mercato di riparazione – con la vecchia o nuova società è da vedere – quando in un modo o nell’altro saranno da risolvere le situazioni dei senatori a scadenza (Magnani, Montipò e Dawidowicz).
Nel chiedere continuità torniamo a rimarcare i soliti concetti: lavorare profondamente sulla fase difensiva (anche a Parma deficitaria), mantenere un atteggiamento più accorto – tanto il Verona la via della rete la sa trovare – e cercare di far navigare nella stessa direzione un gruppo che qualche tensione interna ce l’ha (fattore di per sé non drammatico, la storia del calcio è piena di spogliatoi problematici e di squadre unite alla domenica).
Per quest’ultimo aspetto resta determinante il ruolo di Sogliano, che la settimana scorsa si è fatto “sentire” parecchio coi giocatori. La sua politica è chiara, come ho scritto la settimana scorsa: difendere l’allenatore e agire sui calciatori. Sean è un direttore sportivo sui generis, quasi un “allenatore ombra” (mi sia consentita l’iperbole e la provocazione). Questo suo “metodo totale” nelle squadre di medio-bassa fascia può funzionare. Del resto, questo Verona, grazie ai giocatori che il ds ha scelto, può valere anche 45 punti. Ce ne bastano 35-36 per salvarci.

P.s. Come ha ricordato Gianluca Vighini, nella replica al mio articolo dell’11 dicembre, in estate ho sostenuto la scelta di Zanetti (“Zanetti non è il migliore del mondo, ma è il migliore dei mondi possibili…” scrivevo). Lo rivendico, io stesso di recente avevo ricordato quell’endorsement. E rivendico queste mie parole estive: “Zanetti in carriera ha dimostrato che, se supportato dalla società e da calciatori di qualità, raggiunge gli obiettivi prefissati”. Non a caso la settimana scorsa, nel pezzo oggetto di discussione, ricordavo proprio la qualità della rosa e il sostegno di Sogliano al tecnico (analizzandone i motivi) e concludevo: “Se l’obiettivo è minimale, cioè una salvezza anche risicata (retrocedono tre squadre su venti, salvarsi mica è questa impresa), forse Sogliano pensa che può riuscirci con Zanetti, nonostante tutto”. A Verona siamo abituati calcisticamente al “regime dei minimis”, quindi a essere terribilmente pratici e badare al sodo per la mera sopravvivenza. Ma anche la praticità e gli endorsment estivi devono sempre fare i conti con la realtà.

ZANETTI E IL PARADOSSO DI SOGLIANO

Una scelta, quella del Verona di confermare Zanetti, che è un eufemismo definire controcorrente e impopolare. Va contro l’evidenza, la logica e i numeri, ma – al netto dell’aspetto economico (il Verona ha poco budget) e del prossimo probabile cambio di proprietà (ma in un affare in cui ballano 70-75 milioni di euro non incide l’ingaggio di un allenatore) –  forse si può spiegare così: Zanetti è funzionale al metodo di lavoro di Sogliano, che ha bisogno di essere quotidianamente dentro la squadra e di mantenere un filo diretto ed ultra-dialettico con il suo allenatore, per incidere, nella convinzione che solo in questo modo la situazione può restare sotto controllo e si può raggiungere l’obiettivo finale. Con l’attuale tecnico il feeling c’è, mentre con qualsiasi altro il rapporto sarebbe tutto da costruire.

Chi scrive pensa che questo sia un limite del nostro diesse. Un limite relativo e non assoluto, intendiamoci, perché se poi questo metodo, in un modo o nell’altro, porta al risultato è chiaro che il gioco vale la candela. Eppure un cambiamento di paradigma probabilmente aiuterebbe non poco anche la carriera dello stesso Sogliano, che con allenatori di profilo diverso valorizzerebbe meglio la sua indiscutibile abilità nello scegliere i calciatori. Ecco, se vogliamo, sta tutta qui l’anomalia e la contraddizione di Sogliano: difendendo Zanetti indirettamente espone alle critiche (ingiuste) il suo calciomercato, dunque se stesso. Tradotto: ma se non è colpa dell’allenatore, sarà che la squadra è scarsa? Ma come si possono considerare scarsi calciatori di livello internazionale come Serdar, Duda e Suslov, un gioiellino come Belahyane e un attaccante come Tengstedt che finalmente sta mostrando le qualità che gli addetti ai lavori gli hanno sempre riconosciuto?  Gli stessi Magnani e Dawidowicz, che hanno centinaia di presenze in serie A, non saranno diventati brocchi tutti di un colpo. La verità è che sul piano tecnico e individuale questo Verona è da salvezza tranquilla.

Del resto, il “metodo Sogliano” con gli allenatori lascia molte domande aperte. Per esempio, non sapremo mai se con un altro tecnico al posto di Bocchetti e Zaffaroni, o di Baroni l’anno scorso, avremmo fatto meglio o peggio (però Zaff è arrivato in corsa e ha inciso, quindi quello si può considerare un cambio). Conta il risultato finale e se l’obiettivo è minimale, cioè una salvezza anche risicata (retrocedono tre squadre su venti, salvarsi mica è questa questa impresa…), forse Sogliano pensa ancora che può riuscirci con Zanetti, nonostante tutto. Salvaguardando il suo metodo di lavoro.  Fino a prova contraria: Parma questa volta decide davvero.

LA CRISI NON È MORALE (VEDI RITIRO), MA TECNICO-TATTICA. ECCO PERCHÉ SOGLIANO STA CON ZANETTI (FINO A PROVA CONTRARIA)

Credo che stiamo sbagliando prospettiva. La causa dei problemi del Verona non è morale, ma prettamente calcistica. Le dissoluzioni morali viste contro Atalanta e Inter sono conseguenze della mancanza di solide fondamenta tecnico-tattiche. Per questo ho creduto poco nel ritiro “punitivo” dopo lo 0-5 contro l’Inter, giunto poche settimane dopo il 6-1 di Bergamo.  Quelle partite sono situazioni estreme, clamorose, casi limite che non fanno “analisi”. L’analisi parte da un dato di fatto più asettico, se vogliamo: dal “trend” e dall’inerzia. Abbiamo perso 9 delle ultime 11 partite, tra cui Monza e Cagliari, compagini mediocri. Le due vinte sono contro il modestissimo Venezia e la disastrata Roma di Juric. Poco, troppo poco. E tralasciamo i 30 gol subiti in questo lasso di tempo. Da settimane sostengo che la nostra classifica è fuorviante, perché tiene conto anche delle due vittorie iniziali con Napoli e Genoa, e che la situazione è decisamente più seria. La “tendenza” dell’Hellas è (sportivamente) drammatica.

Nelle conferenze stampa Zanetti tocca sempre corde emotive. Il tecnico è un passionale, un sanguigno, vedi che ci tiene. Però noto che parla poco di calcio, non spiega il perché di queste sconfitte in serie. Sogliano finora lo ha sempre difeso a spada tratta, non con le parole, ma coi fatti. Anche la scelta del ritiro “punitivo” (un paternalismo tutto italiano che nel calcio globalizzato del 2024 non so quanto sia sensato) è stata dettata non tanto da convinzione (il diesse è uomo di mondo, profondamente intelligente), ma piuttosto dalla necessità di mettere il cerino in mano ai giocatori, spingerli a guardarsi dentro e a fare un esame di coscienza. Sogliano finora ha fatto una scelta di campo precisa: sto con l’allenatore, i giocatori si adeguino.

Un modo di agire inusuale nel calcio, ma lo sappiamo, Sogliano nei suoi pregi (tanti) e difetti (la scelta degli allenatori a mio avviso gli ha frenato la carriera, di certo gli ha fatto perdere alcuni campionati) ha caratteristiche temperamentali indiscutibili: è leale, onesto, coerente. Ma non c’è solo questo: Sogliano con il suo allenatore da sempre crea un rapporto osmotico, per questo poi gli diventa complicato esonerarlo.

Ma, come cantavano gli Afterhours, “non c’è niente che sia per sempre”. Con Empoli e Parma si decideranno i futuri equilibri del Verona.   

ZANETTI GIOCA PER VINCERE? POI È FACILE CHE PERDI

Bando ai gufi, ma guai anche agli ottimisti di professione. Un‘analisi severa qua va fatta perché se la classifica del Verona è ancora sopra il livello di guardia, preoccupa eccome il trend delle sette sconfitte nelle ultime nove partite e la fase difensiva colabrodo: 28 i gol presi in 12 giornate, 25 nelle ultime nove, 6 volte su 12 l’Hellas ha subito almeno tre reti. Aiuto! Avanti di ‘sto passo chiuderebbe il campionato a quasi 90 gol subiti. Significa rischiare grosso, dubito infatti che – per quanto ci sia innegabile talento dalla cintola in su – finiremo col segnare più di 70 gol (per salvarsi bisogna contenere il differenziale passivo non oltre i 20-25 gol tra fatti e subiti).  

Insomma, il problema va risolto. Ci sono dei limiti individuali, in primis il portiere (non impeccabile nemmeno nelle stagioni precedenti), ma anche di marcatura dei nostri difensori (caso di scuola: Coppola che non copre lo specchio a Kean nel raddoppio della Fiorentina). E di impostazione tattica. Un allenatore è chiamato sia a migliorare tecnicamente i singoli calciatori, che a dar loro gli strumenti tattici per nascondere i limiti. Finora Zanetti non è riuscito in nessuno dei due aspetti. Va messo agli atti.

E non capisco francamente il suo intestardirsi con un modulo (il 4-2-3-1) che sacrifica Belahyane (in panchina a Firenze) e limita l’estro di Suslov e Tengstedt: lo slovacco è il nostro più forte trequartista, non può restare confinato sulla fascia laterale; l’ex Benfica invece è un attaccante di manovra che si esalta con una prima punta a fianco.  

Zanetti ha dichiarato che preferisce vincere piuttosto che pareggiare. Non farebbe una piega, il punto è che senza equilibrio poi è più facile che perdi. Guardate la tendenza: sta succedendo.  

COME DICE ZANETTI, IL VERONA RENDE SOTTO PRESSIONE. LA CRITICA FA SOLO CHE BENE

Ha detto tutto lui, Paolo Zanetti, ieri, nell’intensa conferenza stampa post Verona-Roma: “Dove possiamo arrivare? Non lo so, ma noi dobbiamo sempre pensare che siamo destinati a soffrire fino alla fine, se pensiamo a qualcos’altro emergono i nostri difetti. Ci serve mantenere l’umiltà, tenere il profilo basso, metterci un sassolino nella scarpa anche quando le cose vanno bene. Nel momento che ci sentiamo bravi abbassiamo la tensione, è nelle caratteristiche di questo gruppo che è ancora in fase di costruzione “.

Parole vere, lucide, oneste. Ma non definitive, perché Zanetti è ambizioso: “Questa squadra tecnicamente ha grandi margini, non abbiamo campioni, ma abbiamo talenti, ma se si vuole crescere bisogna abituarsi a fare grandi prestazioni non solo quando si ha l’acqua alla gola, che è tipico di chi è abituato a stare in basso”.

Ecco, il salto di qualità è racchiuso in queste parole: chi è davvero forte vince anche in condizioni normali. Non serve aggiungere altro, se non una considerazione: oggi il Verona, squadra di qualità ma ancora immatura, per il momento ha bisogno di essere sotto pressione per rendere al meglio. Quindi ben venga la critica, anche dura, purché argomentata e non fine a se stessa. A Verona, invece, spesso ci perdiamo nelle faziosità, ci avveleniamo di pregiudizi, nei pro e contro aprioristici, nel “va tutto bene madama la marchesa” da una parte o nel disfattismo velenoso dall’altra. Il grande assente in questa polarizzazione dialettica è il calcio, se ne parla sempre troppo poco. Per dire, ieri si è visto che Magnani e Coppola non sono scarsi, anzi; che la squadra è tecnicamente valida (chi li ha Duda e Serdar a centrocampo? E mancava Belahyane…); e che Zanetti sa allenare, semmai non ha ancora trovato l’equilibrio d’insieme (per le perduranti assenze a centrocampo, ma anche per errori suoi).

La vittoria con la Roma non cancella di per sé tutti i problemi. Sarebbe sciocco pensarlo. Abbiamo sfruttato il periodo incerto dell’avversario (fa parte del calcio, del resto…) e nel primo tempo non tutto è girato. Meglio dirlo, perché con la Fiorentina servirà qualcosa di più. Ma questa volta Zanetti ha saputo leggere la partita (Kastanos era spento e ti “abbassava” la squadra) e il Verona ha ritrovato corsa e atteggiamento. A differenza dell’allenatore, però, credo che in fase difensiva abbiamo sofferto troppo anche contro la Roma. E’ vero che la squadra ha “naturalmente” caratteristiche offensive e che non ha giocatori “di gamba” (i Folorunsho e Noslin dell’anno scorso) per rintanarsi dietro a difendersi e ripartire. E so bene che a Zanetti piace soprattutto attaccare. Però adesso con questi Serdar e Duda e il rientro di Belahyane può essere arrivato il momento di provare il centrocampo a tre. Un piccolo accorgimento che può aiutare a trovare solidità senza snaturarsi.

NON SPEGNETE LA LUCE

Questo mio articolo potrebbe essere un copia e incolla del precedente (22 ottobre, dopo lo 0-3 col Monza). Siamo sempre qui a dirci le stesse cose: il Verona continua ad avere seri problemi di equilibrio tattico. Anche a Lecce, l’espulsione di Tchatchoua nasce da una cattiva transizione tra fase offensiva e difensiva. Tradotto: non siamo mai preparati sulle ripartenze degli avversari. Quanti gol abbiamo preso centralmente? Gli errori individuali ci sono, ma spesso i difensori si trovano in affanno, alle prese con spericolati uno contro uno, senza la protezione dei centrocampisti e con le distanze tra i reparti sballate. Non impicchiamoci sui moduli, la questione è che bisogna lavorare di più e meglio sulla fase difensiva e forse anche cambiare atteggiamento, quindi giocare meno “alti” (riguardatevi l’azione che ha portato proprio all’espulsione di Tchatchoua, sullo 0-0…) e più coperti, almeno finché non passa la buriana.

Zanetti degli alibi li ha: Serdar, che è un equilibratore, è stato fermo a lungo e ancora adesso non è in condizione, Duda tra impegni in nazionale, infortunio e squalifiche non riesce a trovare continuità, Belahyane ora sarà fermato dal giudice sportivo. Menziono, non a caso, i nostri tre migliori centrocampisti, che il tecnico sostanzialmente non ha mai potuto schierare insieme. La linea mediana è il reparto determinante e Zanetti, forse, adesso è davvero intenzionato a giocare a tre per dare più copertura alla difesa, ma è chiaro che lo aiuterebbe avere i migliori a disposizione.

D’altro canto, il tecnico qualcosina in lucidità sta smarrendo.  Puoi avere cuore, sensibilità, attaccamento, metterci la faccia – tutte caratteristiche apprezzabili che sono nel bagaglio di Zanetti –  ma poi devi anche ragionare e saper leggere la situazione. E torniamo al punto di partenza: se prendi 19 gol in 7 partite, spesso in modo similare, significa che hai un enorme problema tattico da risolvere. Abbiamo prestato il fianco perfino al Lecce, che prima di noi aveva realizzato solo tre reti.  

Il calcio poi ha delle consuetudini, in ogni tempo e in ogni luogo. Se non fornisci loro gli strumenti più adatti, poi capita che ai giocatori si spenga la luce e perdano in temperamento, motivazione, autostima, concentrazione, anche inconsapevolmente. Non è questione di giocare contro l’allenatore (non sta accadendo nel Verona), è questione forse di credere meno nelle possibilità di fare risultato e nelle proprie capacità. Questo spiega anche il palese nervosismo che si manifesta spesso in campo (da Dawidowicz col Torino a Belahyane ieri i casi si sprecano…).

Ecco, riaccendete la luce. Zanetti trovi l’interruttore giusto. Altrimenti sarà buio pesto.

MANCA (ANCORA) L’EQUILIBRIO, TOCCA A ZANETTI TROVARLO

Siamo Dr Jekyll e Mr Hide. Dopo otto partite il Verona non ha ancora un suo equilibrio. Zanetti deve incidere di più. La classifica, discreta, è più figlia degli assoli dei talenti (che dalla cintola in su non mancano), assecondati certamente dalla predisposizione all’attacco, più che alla difesa, del tecnico. La squadra però è disarticolata nelle due fasi, pressa “alto” e sa offendere, ma si scopre dietro. Risultato? Vittorie altisonanti e rumorosi tonfi, mai un pareggio. Non sarà un caso. E 15 gol presi sono tanti, troppi, 12 solo nelle ultime cinque partite. Houston abbiamo un problema! E non si possono mettere in croce i singoli difensori, sarebbe riduttivo, anche perché i nostri, presi uno a uno, sono comunque di categoria.

Piuttosto c’è una tema tattico da affrontare: con una squadra che ha qualità offensiva e giocate individuali, e quindi il gol prima o poi lo trova (solo con Juve e Monza non siamo andati a referto), non varrebbe forse la pena giocare un po’ più coperti, meno “alti”, un po’ sornioni, pensando innanzitutto a non subire, in attesa degli eventi? Forse così perdi in trame di gioco, ok, la coperta potrebbe essere corta, ma è compito dell’allenatore trovare il giusto compromesso.

Tradotto: perché non giocare con i tre a centrocampo – Serdar, Belahyane, Duda – in modo da proteggere maggiormente la difesa? A maggior ragione con un terzino offensivo come Bradaric. Perché Suslov deve essere confinato sulla linea laterale, all’ala, quando è una mezza punta naturale? Prima di “punirlo” con la panchina, come sento dire da qualche tifoso, non sarebbe il caso di valorizzarlo? Zanetti, anche sabato scorso in conferenza stampa, ha sottolineato che lui punta a mettere i migliori nei ruoli più adatti: non è sempre stato così.

Il Verona ha potenziale, che per ora è rimasto lì, un po’ strozzato, a metà del guado. Zanetti ha competenze e conoscenze, ma commette un errore di fondo che è tipico degli allenatori emergenti: spingere molto sulla didattica, gli schemi e il proprio “credo”, trascurando però la visione d’insieme e un po’ di sana praticità. Occorre badare più al sodo, disegnare un assetto che sappia nascondere i difetti congeniti (hai difensori lenti? Crea filtro per evitare loro gli uno contro uno a campo aperto) ed esaltare i pregi (il rombo in mezzo al campo è l’ideale per una squadra ricca di mezz’ali e trequartisti). Missione pragmatismo.