Il pari del Padova nel derby di Vicenza ha il sorriso semplice (e l’implacabile piede) di Spagnoli. Che esulta ad uno dei gol più importanti della storia del Biancoscudo (e probabilmente anche della sua carriera) correndo verso la curva ospiti leggiadro, leggero, come stesse volando, con il vento sulla faccia che lo fa sorridere ancora di più e assottigliare gli occhi lucidi, incontenibilmente emozionati. Il pari del Padova nel derby di Vicenza porta con sé la capacità di spaccare le partite di Capelli, il colpo di bacchetta magica di Valente, la corsa in più di Fusi, la personalità (nonostante il fuorigioco non riuscito su Ferrari) di Delli Carri, il mettersi a disposizione sempre e comunque di Granata, la gamba di Villa, il dinamismo di Varas, la giornata così e così di Liguori (ma quante altre volte è stato determinante Michael, per esempio nel derby di andata!), il discorso motivazionale di capitan Kirwan in spogliatoio prima di scendere in campo (riferiscono sia stato “da brividi”). Il pari del Padova nel derby di Vicenza è la naturale conseguenza dell’attaccamento alla maglia (e al lavoro!) di tutti e 25 i giocatori a disposizione di mister Andreoletti, anche di quelli che fin qui hanno giocato pochi minuti o non hanno giocato affatto. Il pari del Padova nel derby di Vicenza ha il volto “calcisticamente strafottente” dell’appena ventunenne Mattia Fortin che chiede e ottiene di poter scendere in campo nel primo tempo sotto la curva del Vicenza che lo “accoglie” a fischi e fumogeni e, proprio nella prima frazione di gioco, dimostra di non aver paura di nulla sfoderando le parate più belle e difficili (e che cavolo, uno che sceglie di fare il portiere nella vita un pizzico di sana follia dovrà pure averla!). Il pari del Padova nel derby di Vicenza ha il cambio d’atteggiamento del fortissimo Crisetig che quando, vede che con il fioretto non c’è niente da fare, indossa l’elmetto e inizia ad andare di spada. E di legnate. Con un sinistro che all’improvviso diventa tra i più maleducati mai visti in un campo da calcio. Ecco, è proprio questo elmetto che oggi dobbiamo rimettere tutti in testa: giusto gioire, giusto gridare, giusto godere, giusto festeggiare, giusto inserire la data del 16 febbraio 2025 tra le più emozionanti della recente storia biancoscudata, giusto rendersi conto che si è trattato di un solo punto sì ma che è uno dei più pesanti portati a casa finora. Però ora basta così. Mancano 11 partite. 11. Ribadiamo: 11. Un’eternità. E il Vicenza visto al Menti per 60 minuti abbondanti, seppur “provato” dal pareggio strappato dal Padova all’ultimissimo respiro, di sicuro trasformerà la rabbia in ripartenza feroce. Non è finita, dunque. E la partita del “Menti” ci deve insegnare soprattutto questo.
NON POTEVA CHE ANDARE COSI’
Che sul cuore dei tifosi biancoscudati si potesse appoggiare una leggera patina di preoccupazione dopo che il Vicenza si era portato a -3 e il Padova aveva perso la sua prima partita in campionato (al 25esimo turno, bello ricordarlo) era nella normalità delle cose. Viste le tante “scottature” degli ultimi anni, comprensibile il timore di bruciarsi anche con l’acqua fredda.
Che vi si insinuasse invece dentro (e non solo in superficie) del pessimismo cosmico è stato eccessivo. Eccessivo perché i ragazzi di Andreoletti, fino alla vigilia della sconfitta al “Gavagnin Nocini”, non avevano mai “cannato” in pieno una partita. E, a ben vedere, non avevano sbagliato nemmeno quella contro la Virtus Verona, finita sì 1-0 per la banda di Gigi Fresco ma con 29 tiri totali nello specchio della porta da parte di Kirwan e compagni, due pali, una traversa e diverse parate importanti di Sibi. Non poteva essere che all’improvviso, pur avendo il Vicenza rosicchiato 7 punti di svantaggio su 10, il Padova si fosse “imbrocchito” o, peggio ancora, avesse dilapidato o esaurito tutto quello che aveva messo in campo fino ad allora, ovvero bel gioco, idee tattiche, pulizia tecnica, lucidità, impegno, cuore. Troppo importanti e concreti i contenuti creati in questi mesi per essere frutto di casualità o di fortuna e difatti, contro la Pro Patria, c’è stato un dirompente, prepotente, ritorno alla vittoria. Figlio delle stesse qualità sfoderate fino ad oggi.
All’Euganeo domenica si è visto un Padova bellissimo, sicuro di sé, consapevole degli importanti mezzi costruiti in questa prima parte del campionato che ha superato brillantemente quella che si può definire, senza ombra di dubbio, una fisiologica crisi di risultati. Non certo di rendimento.
Giocare il derby a Vicenza domenica prossima con 6 punti di vantaggio sui berici e con la vittoria ritrovata è la miglior premessa in cui potessimo confidare.
BATTAGLIA ERA, BATTAGLIA CONTINUERA’ AD ESSERE
Primi a +10, ancora imbattuti, con la miglior difesa, con bomber Bortolussi già in doppia cifra, con un gruppo costruito in due anni e ritoccato il minimo indispensabile, con un allenatore giovane ma già sulla bocca di tutti per le idee messe in campo, trasformate dai suoi ragazzi in risultati positivi, con un budget decisamente inferiore a quello investito dal Vicenza secondo in classifica (sì, sottolineiamolo ancora una volta, secondo in classifica, primo è il Padova) ma anche dalla Triestina che naviga in zone ben più preoccupanti. In acque ben più agitate.
Quante volte, fino a qualche settimana fa, ci siamo vantati, pensando a tutti i bellissimi record raggiunti e poi ritoccati ulteriormente verso l’alto dal Padova, dall’inizio del campionato ad oggi. Eravamo contenti, orgogliosi, soddisfatti, finalmente desiderosi di esibire la nostra incrollabile fede biancoscudata, quella che ha resistito al Perugia primo al posto nostro per una banalissima differenza reti nello scontro diretto del 2021, all’ultimo rigore sbagliato ad Alessandria, alla finale playoff persa l’anno successivo a Palermo, al rigore sacrosanto non dato a Liguori nel turno preliminare dei playoff del 2023 con la Virtus Verona (sì, sempre lei…) che si qualifica con un gol di Gomez quando a noi bastava il pareggio, alla doppia sconfitta col Vicenza negli spareggi promozione del 2024. Una fede pazzesca, davvero, a prova di tutta una serie di situazioni che avrebbero demolito anche il più invasato degli ottimisti. Possibile sia bastata la primissima sconfitta in campionato (arrivata alla 25esima giornata!) a gettare tanti cuori scudati nello sconforto, nello scoramento?
Il mio telefono ha iniziato a illuminarsi presto ieri mattina, all’indomani dello 0-1 del “Gavagnin Nocini”. In tanti, troppi, a scrivere frasi del tipo: “E’ finita”, “Come ogni anno andrà male”, “Adesso che ci sono solo 3 punti di distacco col Vicenza diventerà una battaglia”. Be’, mi vien da dire, perché fino ad adesso cosa è stata questa stagione se non una guerra (sportiva) senza esclusione di colpi? Davvero pensavamo che 10 punti di vantaggio a gennaio sarebbero stati sufficienti per dormire sonni tranquilli fino a fine aprile? Che avremmo potuto deporre le armi, firmare l’armistizio col Vicenza e metterci a prendere il sole in attesa del termine della stagione regolare?
La risposta è ovviamente no. Questo campionato è sempre stato un’aspra contesa e continuerà ad esserlo. Il Padova si è fin qui aggiudicato tanti round e aveva effettivamente messo da parte davvero un gran numero di “viveri” di scorta per eventuali momenti di magra, ma nessuno, Andreoletti per primo, si era mai illuso dalle parti di viale Nereo Rocco che quanto fatto fino ad ora, per quanto straordinario, bastasse per tagliare il traguardo da primi in classifica. Il Vicenza non ha mollato e sabato, un’ora e mezza dopo che il Padova aveva incassato il primo stop stagionale a Verona, ha portato a casa la quinta vittoria di fila, segnando all’ultimo secondo il gol partita. Ora tocca al Padova fare altrettanto. Dimostrare che quel che si è costruito fino ad oggi posa su solidissime fondamenta e non sulla casualità e sulle botte di fortuna. E i tifosi, quelli di cui si parlava prima, quelli provati, toccati, feriti dalle tante delusioni del recente passato ma rincuorati e inorgogliti dal percorso incredibile della squadra in questi mesi, devono continuare a credere nelle qualità espresse, nella forza caratteriale e tecnica già manifestata in campo. Perché mai, solo perché il Vicenza ha fatto il Vicenza e ha cominciato a vincerle tutte, non dovrebbero più bastare per rimanere lì in alto davanti a tutti?
Non è questione di ottimismo ma di realismo. Di consapevolezza. Non è semplice speranza che le cose vadano in un certo modo, è la convinzione che andranno così perchè, finora, il senso del cammino ha detto questo. 19 vittorie e 5 pareggi, frutto non del caso ma del duro lavoro quotidiano, stanno lì a testimoniare che questo gruppo è forte. E che la battaglia continua, a maggior ragione adesso che i punti di vantaggio sono diventati solo 3. Si tratta di affinare le armi, di mantenere lucidità e di non perdersi d’animo. La capolista è il Padova: difenda la sua roccaforte con ancor più determinazione, ora che il nemico è alle porte.
LA (DOPPIA) LEZIONE
Neanche si sentisse che potevano tornare buoni per l’analisi post gara, Matteo Andreoletti, alla vigilia di Padova-Pro Vercelli, si è ritrovato, rispondendo ad alcune domande non strettamente legate alla partita che si sarebbe disputata all’Euganeo il giorno dopo, a sviscerare due temi che sono stati fin qui fondamentali per il cammino biancoscudato, senza alcun dubbio straordinario. Il primo lo ha affrontato, tradendo anche un pizzico di emozione che di solito non ama far salire in superficie, parlando della maglia celebrativa con cui i suoi ragazzi sono poi scesi in campo per il 115esimo compleanno della società. Dopo aver definito “storica e bellissima” la divisa creata ad hoc per l’anniversario del club, l’allenatore del Padova si è illuminato parlando del passato “lungo e glorioso” di viale Nereo Rocco, ribadendo tutto l’orgoglio per essere entrato a farne parte ma contemporaneamente anche il profondo senso di responsabilità che un “ingresso” del genere porta con sé.
Il secondo ha riguardato Fusi e la sua importante crescita dall’inizio della stagione ad oggi: Pietro in effetti è nettamente migliorato, tatticamente maturato, letteralmente sbocciato. Gli aggettivi utilizzati da Andreoletti per delinearne l’evoluzione sono stati parecchi e tutti con accezione positiva, ma la chiosa finale non ha lasciato scampo al numero 8 biancoscudato: tutto il bello infatti si azzera (e di brutto) se il centrocampista lombardo non getta sempre il cuore oltre l’ostacolo, se non mette più del massimo impegno, se non esce dal campo avendo lasciato sull’erba ogni volta anche l’ultima goccia di sudore che ha in corpo. A ben vedere il discorso vale per Fusi (e lasciamo perdere l’autogol, episodio fortuito e sfortunato che non intacca minimamente quel che si pensa di lui!) ma ben si adatta a tutto il Padova che, fin qui, ha fatto meglio di tutte le altre (Vicenza compreso, nonostante gli uomini di Vecchi, a livello di individualità, abbiano qualcosa in più) proprio perché, ogni volta che si è allenato e ogni volta che è sceso in campo, ha sempre dato tutto. Senza risparmiarsi.
Ebbene, il pari contro la Pro Vercelli invita a tirare in ballo proprio questi due argomenti per ripartire con immutata convinzione nei propri mezzi: il Padova deve guardare solo alle proprie responsabilità, evitando di gettarsi sugli alibi (per quanto in questa partita ce ne fossero di veramente comodi e invitanti, dall’atteggiamento ostruzionistico della Pro Vercelli alla direzione arbitrale decisamente discutibile di Leone di Barletta) e ha il dovere di continuare con il grande lavoro fatto fin qui senza accontentarsi, senza illudersi mai di avercela fatta, senza abbassare il livello dell’attenzione e della prestazione. Contro la squadra piemontese è venuta meno la lucidità, c’è stata poca pulizia nelle giocate: la frenesia di volerla rimettere in piedi dopo un gol che era stato proprio il Padova a infilare nella porta di Fortin ha spinto la squadra a cercare la scorciatoia dei lanci lunghi per sfruttare le seconde palle, strategia tattica che non è mai stata nelle corde di questi giocatori.
Fin qui il Padova è stato grandioso perché non ha mai abbassato i giri del motore e non ha mai pensato di essersi levato dalle scatole il Vicenza neanche quando ha avuto 10 punti di distacco. E perché finora non ha mai disconosciuto né sé stesso né il percorso di grande lavoro che lo ha portato a far crescere di settimana in settimana il numero delle vittorie e dei punti in classifica lasciando a 0 le sconfitte.
Il Vicenza non mollerà, mai. Il Padova, se rispetta la sua identità e continua a stare dentro il solco che lui stesso ha tracciato, potrà però continuare a tenerlo a debita distanza. Se il Padova continuerà a fare il Padova, insomma, non avrà proprio nulla da temere.
STRAORDINARIO PADOVA, MA NON È ANCORA ABBASTANZA
Record di punti (51) così come fu per il Catanzaro al termine del girone d’andata della stagione 2022-2023. Miglior difesa d’Italia, con soli 9 gol finiti nella porta di Fortin che ha collezionato fin qui ben 10 clean sheet. Attacco a quota 38, con bomber Bortolussi già in doppia cifra (traguardo raggiunto a metà del percorso dopo due stagioni in cui l’attaccante è arrivato in fondo fermandosi a 9). 16 vittorie, 3 pareggi, nessuna sconfitta. I numeri sono numeri e, onestamente, c’è ben poco da dire di fronte a quelli che ha sfoderato, settimana dopo settimana, il Padova in questa prima parte di stagione. Parlano da soli ed esprimono appieno il senso di ciò che è stato finora il cammino biancoscudato imperniato, da un lato, sul duro impegno quotidiano e sulla grandissima disponibilità di ogni singolo giocatore e, dall’altra, sulla cultura del lavoro e sulla maniacale attenzione al dettaglio dell’allenatore Matteo Andreoletti, che, per la prima volta dall’inizio del campionato, è entrato in spogliatoio al termine del recupero vinto 2-1 a Chioggia per complimentarsi con i suoi ragazzi, ma con la premessa, ribadita fino allo sfinimento, che non si è fatto ancora nulla. E’ proprio così, non è banale frase di circostanza. Fin qui il Padova è andato oltre ogni più realistica aspettativa: ha proposto un bel calcio, divertente oltre che efficace, ha saputo soffrire quando l’avversario l’ha buttata sulla fisicità e sulla difesa a oltranza per poi uscire a testa alta con le proprie qualità, è stato in grado di riportare sfide complicate sui suoi binari, di cambiare pelle nell’arco dei novanta minuti a seconda della tipologia di partita. C’è anche da dire che tutto si è incastrato alla perfezione, con l’aiuto di quella minima dose di buona sorte che è sempre utile e che comunque aiuta gli audaci (e il Padova, fin qui, è stato molto più che audace, direi a tratti perfino spregiudicato, senza però macchiarsi mai di presunzione). Il traguardo finale però è ancora lontano, nonostante la distanza di sicurezza di 8 punti sulla diretta concorrente per eccellenza, il fortissimo Vicenza, l’unica squadra del girone A da cui ci si aspettava esattamente il rendimento che ha avuto. E’ davvero un attimo inciampare, incartarsi, perdere certezze (anche se davvero per dilapidare tutto il ben di Dio accumulato ci vorrebbe un suicidio in piena regola non una semplice giornata storta). Questo Padova, entrato di diritto nella storia come il migliore di tutti i tempi, conoscerà prima o poi l’”onta” della sconfitta ma non sarà un problema in sé perdere una partita, sarà il modo di gestirla a fare la differenza. L’umiltà che ha permesso alla squadra di rimanere coi piedi per terra quando fioccavano le vittorie e i complimenti di tifosi e ambiente dovrà trasformarsi nella forza per rialzarsi subito quando sarà ora. Non dovranno mai subentrare l’illusione di avercela fatta, la certezza del primato per quanto consolidato, il pensiero di essere forti e imbattibili solo perché, nel girone d’andata, nessuno è stato in grado di superarci.
E sul fronte del mercato di gennaio, infine, bisognerà andare ancora di più coi piedi di piombo. Perché a costruire un gruppo, a rendere saldo uno spogliatoio, a mettere insieme 26 teste diverse contenendo al massimo gli attriti (e gli inevitabili malumori di chi gioca poco ma contribuisce alla costruzione della settimana e dunque al risultato finale del campo) ci si mette tanto. Tantissimo. A distruggere tutto basta un singolo ingranaggio che si inceppa o si rompe. Un equilibrio che salta. E, di solito, per rovinare una cosa che funziona, basta una frazione di secondo.
PIU’ FORTI DI QUALUNQUE BASTONE TRA LE RUOTE (E CAMPIONI D’INVERNO)
Ancora un rinvio. Ancora un ostacolo a pararsi davanti al Padova capolista. Sempre più capolista (e pure campione d’inverno), visto che la mano di Attilio Tesser, che già si era vista all’Euganeo una settimana fa, è riuscita a lasciare il segno anche contro il Vicenza al “Rocco”. 2-0, doppietta di Olivieri e seconda sconfitta stagionale per gli uomini di Vecchi. Che potevano pure finire a meno 8 dal primo posto se i biancoscudati avessero giocato, e ovviamente vinto, a Chioggia. Ma così appunto non è stato: la sfida del “Ballarin”, nel giorno che doveva essere dell’inaugurazione dello stadio dopo i lavori di ristrutturazione, è stata rinviata a causa della pioggia ma soprattutto del vento arrivato a soffiare a 70 chilometri orari. Troppo sferzanti le folate, impossibile dominare la palla. Ecco che così l’arbitro Vergaro di Bari, dopo un primo tentativo di spostare la partita di 45 minuti, ha mandato tutti a casa, optando per il rinvio a data da destinarsi, probabilmente mercoledì 18 dicembre.
Non è la prima volta che il Padova si ritrova un bastone tra le ruote: c’era già stato il rinvio della sfida con l’Atalanta Under 23 per gli impegni con le nazionali di 4 giocatori nerazzurri, con il Vicenza che, giocando due partite prima di Kirwan e compagni, si era portato momentaneamente da -7 a -1. Con la squadra di Andreoletti costretta a giocare 5 partite in due settimane, compresa la sfida di Coppa Italia. C’era già stato il ritorno di Tesser sulla panchina della Triestina fatalità a pochi giorni dalla sfida di viale Nereo Rocco, guarda caso finita 1-1, con gli Alabardati a dimostrare di avere un valore decisamente più importante rispetto a quello che dice la classifica. Finora i biancoscudati sono stati più forti degli improvvisi e imprevisti cambi di programma. Dimostrando che il primo posto in classifica non è un caso, bensì il frutto di un lavoro importante, sul campo, innanzitutto, ma anche nella testa e nell’approccio alle situazioni: a volte piangersi addosso o crearsi degli alibi è la strada più comoda. Non per questo Padova che, primo e ancora imbattuto, preferisce continuare ad alzare l’asticella delle proprie pretese e radere al suolo le difficoltà con la forza e le prestazioni, rendendo così vincente, seppur complicato, il proprio cammino.
E COSA VUOI DIRE A QUESTO PADOVA?
10 partite, 8 vittorie, 2 pareggi. Cosa si può dire a questo Padova se non un sincero “bravo bravissimo”? I numeri di questo primo quarto di campionato sono assolutamente dalla parte di Andreoletti e dei suoi ragazzi che continuano ad avere la miglior difesa (solo 4 i gol presi, sesto clean sheet per il portiere Fortin) e ad essere primi, a +5 dal Vicenza, e imbattuti. Qualche spunto di discussione e crescita però la sfida alla Feralpi l’ha lanciato (e sicuramente dalle parti della Guizza è stato accolto), due su tutti. Il primo è il (banale ma non così tanto) concetto che gli avversari ci studiano e, viste le tante qualità dimostrate in questo inizio di campionato, lo fanno con la massima cura ai dettagli. Normale che, capendo come si sviluppa il gioco del Padova, vadano a raddoppiare sugli esterni, aggrediscano alti per rendere il giropalla biancoscudato meno fluido e siano disposti a giocare per ampi tratti della partita in 10 sotto la linea della palla per chiudere ogni varco possibile, sperando in qualche buon contropiede per pungere a dovere e poi tornare a chiudersi. Un po’ di imprevedibilità in più bisognerà imparare a darsela, così come è successo, ad esempio, a Busto Arsizio contro la Pro Patria, quando, sotto di un gol al 45’, Andreoletti ha optato dall’inizio della ripresa per il 4-2-4 ha poi portato ad un cambio di marcia e al pareggio di Capelli grazie al bellissimo assist “no look” di Bortolussi dal limite dell’area.
Il secondo spunto è legato all’attacco: lungi dal lamentarsi della rosa che gli è stata messa a disposizione (ampia, di qualità e completa in tutti i reparti), l’allenatore del Padova ha però sottolineato, a fine gara, come gli sia mancata la seconda punta centrale da schierare a partita in corso al fianco di Bortolussi, vista l’assenza per infortunio di Spagnoli. In effetti quella contro la Feralpi era la classica partita sporca (basti guardare quante ne ha prese lì davanti Bortolussi dal primo al novantesimo), in cui avere a disposizione le caratteristiche di Alberto avrebbe fatto comodo. Il fatto che poi, avendo in lista sia Beccaro (autore di una bellissima doppietta il giorno prima con la Primavera) che Montrone, Andreoletti non se la sia sentita di rischiare né l’uno né l’altro dei “giovani” e che contemporaneamente abbia deciso di non adattare nessuno dei “senior” che aveva in panchina in quel ruolo per tentare di sopperire in qualche modo alla mancanza di Spagnoli, potrebbe essere un primo sintomo del fatto che, secondo il tecnico, in effetti invece qualcosa nel reparto avanzato manca se, per qualunque motivo, uno dei due centravanti non è a disposizione.
In conclusione: il punto preso contro la Feralpi è da considerarsi assolutamente positivo, sulla scia di quel detto secondo cui “quando una partita non la riesci a vincere, devi fare di tutto per non perderla”. Il ruolino di marcia del Padova fin qui lo è altrettanto. Qualche considerazione in più si potrà fare tra un mese dopo aver affrontato l’AlbinoLeffe, il Renate e, dopo la Pergolettese e il Novara, anche la rivelazione del campionato Atalanta Under 23.
PADOVA: NON BRILLANO SOLO LE STELLE
Un allenatore propenso al duro lavoro che “tra 10 anni ci vanteremo di avere avuto qui” (parola di Mirabelli). Una rosa ampia e di qualità, con coppie, nei vari ruoli, in cui la scelta dell’uno o dell’altro interprete nell’undici titolare è spesso dettata da piccoli, ma evidentemente significativi, dettagli. Sono decisamente granitiche le certezze che sta regalando il Padova di queste prime otto giornate, culminate ieri con la vittoria nel derby contro la corazzata Vicenza. Al fianco di quelle che possiamo considerare “stelle” indiscusse della squadra, però, stanno contemporaneamente emergendo nuovi attori che, partendo da dietro le quinte, si sono ritagliati strada facendo uno spazio sempre più importante e imprescindibile. E non può che andare a loro la “coccola” più grande all’indomani dell’impresa compiuta con la squadra di Vecchi.
In difesa, di fianco alla certezza Delli Carri ad esempio, ecco Perrotta di cui, nella passata stagione, si è sentito parlare solo per l’assist di Trieste che ha propiziato la rovesciata di Liguori e per il gol nella finale di Coppa Italia poi vinta dal Catania. Perrotta è diventato titolare nel Padova di Andreoletti e, col Vicenza, ha sfoderato la sua prestazione più eroica mettendo la testa (fasciata, a causa dello scontro con Morra) su ogni cross e ogni palla alta messa in area di rigore dai berici.
A centrocampo sicuramente l’attore primario è Lorenzo Crisetig: per qualità, per esperienza, per palmares (per lui l’esperienza a Padova è la prima in serie C dopo 82 presenze in A e 178 in B). Ma al suo fianco brilla come non mai in questo momento la stella di Pietro Fusi, il mediano tutto magnesio che sta imparando anche a tirare fuori il fosforo, il centrocampista ruvido che, domenica dopo domenica, sta smussando i lati più duri e impulsivi (e la diminuzione dei cartellini gialli rimediati sta lì a dimostrarlo) pur non smettendo di recuperare preziosissimi palloni con cui poi fa ripartire la manovra offensiva dei compagni.
In attacco Spagnoli e Bortolussi sono entrambi prim’attori, ma mentre Mattia si è subito fregiato della bellezza (e importanza) dei due gol segnati contro Caldiero e Arzignano in appena 66 minuti entrando dalla panchina, Spagnoli è andato in difficoltà in zona gol realizzando finora un’unica rete, su rigore, dopo tante occasioni mancate. Questo non deve però essere un cruccio per lui: contro il Vicenza il suo apporto in termini di spazi creati per i compagni, di sportellate e di palloni conquistati a discapito di Leverbe lo hanno fatto entrare di diritto nella lista dei migliori in campo.
Chiude la lista, ma con il numero uno sulla schiena, Fortin: quest’estate la società si è assunta una responsabilità non da poco quando ha deciso di rinunciare a Donnarumma (che del Padova era anche il capitano): puntare sul giovane prodotto del settore giovanile biancoscudato e lasciarsi alle spalle l’esperienza (e, diciamolo pure, l’attaccamento alla maglia e alla città di Antonio) poteva sembrare azzardato. In realtà invece il giovane Mattia, sta dimostrando tra i pali una sicurezza incredibile. Non solo si è guadagnato la prima vetrina importante, impedendo al Trento all’Euganeo di portarsi in vantaggio all’esordio del campionato, ma ha messo i guantoni anche in altri successi, ultimo ma non ultimo proprio quello nel derby, sbarrando la strada al Vicenza sia sullo 0-0 che dopo l’1-0 di Liguori. Già, Liguori: il protagonista del derby è stato proprio lui, con l’ennesimo sigillo bello e prezioso della sua carriera. Ma anche su di lui non c’è mai stato il dubbio che non fosse una delle stelle di questo Padova.
SAPER CAMBIARE PELLE
La criticità era già emersa nelle ultime due partite: il Padova che va sotto nei primi minuti ed è costretto a inseguire fin da subito, complicandosi il cammino verso la vittoria. Era successo contro la Pro Vercelli, a segno con l’eurogol di Iotti, era accaduto con la Virtus Verona, in rete con Mehic. In entrambe le gare poi i biancoscudati avevano ribaltato il risultato a loro favore conquistando 6 punti, a Busto invece l’impresa è riuscita solo a metà e, per la prima volta, la squadra di Andreoletti è andata in reale difficoltà di fronte all’aggressività e alla capacità di chiudere gli spazi della Pro Patria.
Dinanzi al dilemma se allo Speroni siano stati più due punti persi che un punto guadagnato, però, la bilancia pende dalla parte dell’importanza del pareggio portato a casa. Senza ombra di dubbio. E non tanto (o non solo) per il risultato in sé che permette al Padova di rimanere imbattuto e di allungare a 7 risultati consecutivi la striscia positiva da inizio campionato, ma anche e soprattutto per come i biancoscudati sono riusciti a riemergere dalle sabbie mobili della partita rimettendola quantomeno in equilibrio, trasformando in risultato positivo una gara davvero trappola, che aveva tutte le caratteristiche per sfuggire di mano, anche dal punto di vista nervoso.
E se alla fine Kirwan e compagni hanno portato a casa la pelle è perché hanno saputo… cambiarla in corso d’opera capendo che stavolta, per arrivare al traguardo, era necessario andare di spada e non di fioretto. Bisognava evitare un giropalla diventato sterile e infruttuoso e modificare l’atteggiamento tattico. La trasformazione è avvenuta già a fine primo tempo, quando mister Andreoletti ha mandato a scaldarsi Bortolussi e Valente inserendoli ad inizio ripresa in un ridisegnato (ma non improvvisato) 4-2-4, modulo che ha permesso alla squadra di riempire l’area con più uomini e di sfruttare i cross dalle fasce. Anche stavolta peraltro il pari è stato segnato da un giocatore subentrato (Capelli) situazione che ha fatto capire una volta di più quanto Andreoletti, quando studia nei minimi dettagli e fino all’ultimo momento disponibile la formazione titolare, ragiona “su tutti e 16” i giocatori che potranno essere utili alla causa non solo sui primi 11.
Nessuna improvvisazione, dicevamo. Un modulo ultraoffensivo come il 4-2-4 non può certo diventare la nuova veste tattica del Padova dal fischio d’inizio, sostituendosi al 3-4-2-1 fin qui adoperato, e va senz’altro affinato (anche se il tecnico ha sottolineato che, appunto, ci aveva già lavorato) ma rappresenta un “piano B” che potrà essere prezioso in altre occasioni. In altre partite che rischiano di diventare partitacce. Contro altre avversarie che punteranno sull’agonismo e sull’aggressività per provare a venire a capo della partita contro il Padova.
VINCERE AIUTA A VINCERE (E A CORREGGERE I DIFETTI)
Se non fosse per la tristezza del già tristissimo stadio Euganeo, rimasto praticamente vuoto anche contro l’Alcione Milano nella parte in cui il tifo è sempre stato caloroso e il colpo d’occhio ha sempre restituito una sorta di muro umano colorato e festante con sciarpe, bandiere e striscioni, non ci sarebbe un motivo uno per non essere felici dopo aver visto il Padova battere anche l’Alcione Milano, dopo aver superato Trento, Caldiero e Arzignano. Risultati a parte, i costanti progressi della squadra di Matteo Andreoletti sono sotto gli occhi di tutti: la squadra ha già una sua identità, un suo gioco, una direzione intrapresa. Ed è vero che, trovandoci ancora all’alba della stagione, le certezze non possono essere granitiche, ma c’è già anche un’idea delle gerarchie in campo tra conferme e cambi della guardia: a sinistra della difesa ad esempio si è preso una maglia da titolare, dopo una stagione più in ombra che in evidenza, Marco Perrotta e sta meritando di tenersela stretta. Sempre lungo la fascia mancina, Favale dà in questo momento più affidabilità rispetto a Villa, Capelli, dalla parte opposta, più dinamicità e incisività rispetto al capitano Niko Kirwan. Varas sta dimostrando una duttilità, tra centrocampo e trequarti, che rappresenta la vera arma in più per l’allenatore lombardo, Crisetig si è impadronito della cabina di regia e, forte della preparazione svolta coi compagni e di qualità che non scopriamo certo adesso, è diventato perno insostituibile a centrocampo, Spagnoli in questo momento batte Bortolussi nell’undici di partenza per, parole di Andreoletti, la sua capacità di fare la guerra aprendo spazi per i compagni lì davanti, anche se ancora deve sbloccarsi in zona gol. Bomber Mattia però si fa trovare pronto a gara in corso e ha già due preziosissime reti all’attivo.
L’unico neo della sfida alla neopromossa milanese è stato il non chiuderla prima, pur avendone la possibilità, ma a fronte di una mancanza sulla quale Andreoletti ha subito detto che occorre lavorare, c’è comunque soddisfazione per come i giocatori, ad un certo punto, pur non riuscendo ad affondare il colpo decisivo, sono stati bravi a ricompattarsi e a fare in modo che l’Alcione non si avvicinasse troppo alla zona presidiata dal fin qui ottimo Mattia Fortin. Per tutto il resto parlano i numeri: 12 punti, 10 gol fatti con 8 marcatori diversi, un solo gol preso. Difficile davvero trovare anche solo l’ombra di qualcosa che non va in tutto questo.