Titoli di coda. Possiamo star qui a tirarla lunga, annacquare il brodo, ma ieri a Genova si è consumata ogni speranza. Cinque punti di gap sono tanti sempre e comunque, diventano una montagna insormontabile con un Verona che evidentemente ha ormai alzato bandiera bianca.
Guardi Marassi e cadono le braccia. Hai la partita della vita, in settimana il direttore sportivo ha caricato l’ambiente a pallettoni, esponendosi con fin troppa generosità in mezzo ai silenzi presidenziali, nel frattempo lo Spezia ha perso e puoi tornare a meno 2: ma con la Samp giochi “quel” primo tempo. Imperdonabile.
Zafferoni parla di calo mentale. Fa tenerezza. Diciamo pure che la squadra, il gruppo, lo spogliatoio sono cotti, a fine ciclo, demotivati, divisi, ognuno si sente in libera uscita. E gli allenatori – uno senza patentino e l’altro senza esperienza di A – non sono all’altezza. Sogliano nella pausa di dicembre aveva ricomposto i cocci alla bell’e meglio, una fatica d’Ercole per costruire un castello di carta. Anche il ds, che mancava dal grande calcio da un po’ di anni, si è trovato a gestire da solo una situazione creata da altri e più grande di lui.
Ci siamo illusi, fino all’ultimo. E’ stato anche un segno di riconoscenza per una bella persona qual è proprio Sogliano, uomo vero, competente, legato a un’idea antica e romantica del calcio, dove i procuratori sono il mezzo e non il fine, il mercato si fa in un certo modo e lo spogliatoio si regge su rapporti franchi e leali. Il calcio di oggi invece è iper-individualista, i giocatori sono mini-aziende per i quali i club sono cavalli di troia di una carriera e i procuratori fungono da ds ombra nei rapporti con le società: sono loro a costruire le squadre, ma non con la logica del campo, piuttosto dei loro interessi di bottega. Un andazzo generale, quello degli agenti, che s’incunea ancora più potente nelle società deboli.
E il Verona è una società debole, con un presidente che in serie A è solo l’ultimo anello della catena. Con un aggravante: Setti a Verona si è sempre posto con poca umiltà e zero empatia. Quasi che l’Hellas fosse un affare che non lo riguardasse del tutto e i veronesi gente da non prendere troppo sul serio. E’ sempre stata solo una questione di finanza, di gestione di flussi di denaro che entrano (soprattutto) ed escono. Più che “prima il bilancio”, lo slogan tormentone, direi “solo il bilancio”, come se non esistesse altro, che so, un progetto sportivo e manageriale, un piano per dare una struttura identitaria al club, un goccio di passione e di enfasi che andasse oltre ai numeri. Tutto questo corroborato da un modo di pensare e uno stile di vita poco affine ai veronesi.
E ora che succede? La sensazione, rispetto ad altre retrocessioni, è che non ci sia più la forza per giocare alla solita altalena, quindi per risalire immediatamente. Ma ci sarà tempo e modo di parlarne.