INCAZZATI E GRUNGE, SOLO COSÌ CI SALVEREMO

Mettiamocelo in testa. Non siamo la Berliner Philharmoniker o la London Symphony Orchestra. Non possiamo perderci in virtuosismi tecnici, la vanità è un lusso che non ci è concesso.  Il Verona deve badare al sodo, essere pratico, immediato, un po’ sporco. Ecco, continuando nella metafora musicale, più grunge e meno raffinato. Ergo, non esiste buttare via punti vitali per palle perse con leggerezza in pieno recupero, per la mollezza nei contrasti in area di rigore e per banali errori di impostazione nella nostra metà campo. Non possiamo neppure pensare di giocare a viso aperto con il Milan (non ne abbiamo i mezzi atletici, oltre che tecnici), o di sprecare tutte le energie nel primo tempo arrembante con il Genoa. Non dico di essere sparagnini, non è nella mentalità di Baroni, tuttavia più pragmatici sì.

C’è poi un limite tattico che è insito nel nostro allenatore, che ha dei meriti inconfutabili per i risultati del girone di ritorno, ma concettualmente rimane di fondo un monotematico, che fatica ad adattarsi all’avversario e a leggere le partita in corso d’opera. Non è un caso che ci abbia messo un girone intero a trovare la quadra tattica del Verona (perdendo mesi con un modulo in cui non credeva) e che ancora si perda in alcuni dettagli sostanziali  appena è costretto a cambiare lo spartito – in alcune partite ha abbassato il baricentro della squadra mettendo mediani o difensori al posto di attaccanti, con il Genoa nel secondo tempo l’ha infoltita di punte e mezze punte; una mancanza di coerenza che è indice di confusione.

Ribadisco che la squadra tecnicamente è all’altezza del compito a cui è chiamata, cioè non retrocedere. Abbiamo ritrovato due giocatori che in tempi non sospetti indicavo come decisivi:  Serdar, tornato ai suoi livelli di profilo internazionale, e Bonazzoli, che può essere il nostro uomo salvezza. Il punto perso col Genoa, può essere recuperato, l’importante è trovarsi a 30-31 punti dopo lo scontro diretto con l’Udinese.  Tuttavia occorre non inseguire menate, limitandoci a fare le cose che sappiamo fare. Vale per Baroni e i giocatori (il Davidowicz di turno non può impostare).  Basta essere centrati (tatticamente) e concentrati (nelle mezze palle, nei duelli individuali). E resteremo in serie A. 

CARO SETTI, È ANCORA TEMPO DI AZZARDI?

Con la grande pax Setti e Volpi il Verona torna a essere società tecnicamente vendibile. Con i conti pure più leggeri dopo il risanamento di gennaio, realizzato grazie a un mercato in uscita che ha portato nelle casse del club 40-45 milioni di euro. Ciò non significa ovviamente che Setti venderà tutte o parte delle quote, ma che potrà farlo se vorrà.

La domanda cruciale è: Setti desidera davvero vendere? La trattativa quasi chiusa a dicembre, prima del sequestro delle azioni, con il fondo anglo-americano suggerirebbe di sì. E altri indizi raccolti confermerebbero la sua intenzione di fare un passo indietro a giugno (almeno parziale, quindi cessione della maggioranza delle quote e ruolo operativo). Qualcuno dice che Setti, dopo aver passato nei mesi scorsi seri guai finanziari, ora si rende conto di non poter continuare a giocare al limite delle proprie possibilità.  

Questo razionalmente. Tuttavia sappiamo che certe scelte hanno anche un carico emotivo: a Setti piace far calcio, è a suo agio nell’ambiente, esserne parte lo vive come status sociale e le amicizie con chi conta in Lega – leggi i Lotito, De Laurentis e Galliani – sono ancora solide. Inoltre c’è il business. Il Verona per Setti è stato ed è ricca fonte di reddito. Si può rinunciare a tutto questo? Peraltro, proprio il carpigiano continua a dimostrare che si può spendere poco, ottenere plusvalenze (da cui riceve ulteriori bonus) e restare in serie A (il Verona ha buone chances di confermarsi per il sesto anno consecutivo), categoria che dà una valanga di milioni in diritti tv e introiti (il fatturato del bilancio 2022-23 è stato di quasi cento milioni…). La serie A è una gallina dalle uova d’oro, altroché.

Affinché il “giochetto” del massimo risultato con il minimo sforzo abbia possibilità di continuare, però, bisogna affidarsi a manager alla Sogliano, capaci di portare qui giovani talenti e di rilanciare i calciatori esperti. Ma comunque non è detto che ti vada sempre bene, come non è detto che Sogliano rimanga a scatola chiusa, ergo senza garanzie tecniche, e si sia in grado di assumere una figura simile a lui. 

Il bivio è lì. Se da un lato Setti, da uomo pratico, forse è il primo a rendersi conto di aver rischiato l’osso del collo, dall’altro l’adrenalina che dà il calcio, il suo modo di fare business, i soldi e i rapporti che ci girano attorno, sono comunque argomenti “sensibili” per chi, figlio di un elettricista e di una casalinga, partito da autista e poi magazziniere, in oltre trent’anni di vita imprenditoriale ha costantemente tenuto il piede sull’acceleratore (nei tempi d’oro Setti era arrivato a sedere contemporaneamente in 13 cda) e ha saputo spesso correre sul filo anche con una certa disinvoltura. Ma è ancora tempo di “azzardi”? E fino a quando?

TRE MESI FA NON L’AVRESTI VINTA. 12 PUNTI IN 11 PARTITE NON SONO FORTUNA. E SU SETTI (CHE CRITICO DA 10 ANNI) NESSUNO MI DIA LEZIONI

È una mezzofondo, mica i cento metri. E noi qua a farci mangiare vivi dall’emotività (spesso negativa), o a menarla con ridicole velleità estetiche. È più una questione da social che da stadio, dove ieri in ventimila hanno spinto il Verona. Epperò i social, che è sbagliato sminuire, creano massa critica e danno pure l’idea dell’aria che tira. Ieri sera ho letto molti giudizi negativi dei tifosi gialloblu: vittoria fortunata, prestazione scialba, così non ci salviamo eccetera eccetera. Idem dopo Bologna, dove invece il Verona semplicemente aveva trovato un’avversaria ingiocabile.  

Chiariamoci, il Verona ha raccolto 12 punti nelle ultime 11 giornate. Un bottino più che dignitoso per chi, causa Setti e i suoi pesanti problemi finanziari e giudiziari, vive nell’affanno e deve grattare perfino i muri per salvarsi. Un bottino che non è figlio della fortuna, ma di una squadra in netta ripresa e che non è più la babele del girone d’andata. Per dire, la partita di ieri tre mesi fa non l’avremmo mai vinta perché allora non avevi la stessa solidità in mezzo al campo (il reparto che conta) e quella capacità rabbiosa di pressare alto e di andare a guadagnarti un gol “di rapina”.

Insomma, non è fortuna. Capisco che dopo il sacchismo e, in tempi più recenti il guardiolismo, per qualcuno il calcio si misura con il parametro estetico dello “spettacolo”. Ma il calcio, unico sport che si gioca interamente con i piedi, è antropologicamente gioco “irregolare”, che non segue dei canoni logici men che meno estetici. Il calcio è anche carpe diem: difenditi con ordine e poi cogli l’attimo. Il calcio è la ricerca della verticalità per arrivare in porta nel minor tempo e con la minor fatica possibile, perché il suo unico senso è fare gol e non prenderlo. Vincere “giocando male”, come si suol dire, non è fortuna, ma forza, qualità (non nell’assoluto, altrimenti il Verona vincerebbe la Champions, ma riguardo alla partita di ieri).

La verità è che in parte dell’ambiente si respira pessimismo. È comprensibile che esista un pregiudizio negativo sulla squadra dopo la campagna vendite di gennaio, percepita dalla tifoseria come l’ennesimo tradimento morale di Setti. Tuttavia distinguerei Setti dalle questioni di campo. Perché nonostante le cessioni (quella davvero dolorosa è Ngonge) il Verona non si è indebolito al punto da essere condannato. Perché Sogliano – diesse “fantasista”, un borderline capace di mischiare le carte ed esaltarsi nella fatica, ai margini, quando saltano gli schemi e occorrono intuito, velocità di pensiero e idee –  ha pescato ancora una volta bene con Swidersky, Noslin e Dani Silva. Perché Serdar, calciatore di livello internazionale, lo hai recuperato alla causa. Perché Suslov nel frattempo è emerso. Perché Bonazzoli, vedi ieri, con i piedi che ha può essere determinante anche nella sua insopportabile indolenza. Perché Baroni, seppur in ritardo e dopo mesi di errori e confusione, da un po’ ha trovato la quadra.

Di Setti continuo a pensarla come la penso da anni, quando (non mi riferisco ai tifosi) in tanti erano in coda con il numerino a ruffianarselo in cambio di qualche strapuntino (quindi non accetto lezioni da nessuno). Sono rimasto due anni fuori dallo stadio (ne scrisse Vighini, che ringrazio, per quanto mi riguarda ho sempre preferito il silenzio perché ero direttamente coinvolto e poi non credo che alla gente interessino le vicende personali). Verona merita di più e di meglio e con questo presidente vivremo sempre nella provvisorietà, con chiari di luna finanziari e poca trasparenza nella gestione. Quante volte l’ho scritto? Ma questa mia opinione non mi condiziona nel valutare la squadra.  Che non so se si salverà (è una bagarre sanguinosa, ci sono mille squadre in due punti), ma quantomeno so che se la può giocare.          

I 50 GIORNI DECISIVI

Mi interessa poco di Bologna e non starei perciò a vivisezionare la (non) prestazione. Per qualità tecnica, caratteristiche tattiche e doti atletiche, la squadra di Motta – a differenza della forte ma compassata Juventus di Allegri – rimane “ingiocabile” per il Verona. Non significa giustificare alcunché, ma guardare in faccia la realtà ed evitare pericolose onde emotive e inutili isterismi.

Il Verona, ora, deve concentrarsi esclusivamente sul mini-campionato che si apre domenica al Bentegodi con il Sassuolo e si conclude il 21 aprile ospitando l’Udinese. In mezzo le trasferte di Lecce, Cagliari e Bergamo e gli impegni casalinghi con Milan e Genoa. Sette partite di cui quattro (Sassuolo, Lecce, Cagliari e Udinese) sono scontri diretti e una (Genoa) è alla portata. Mi sembra pleonastico aggiungere che in questi 50 giorni ci giochiamo la salvezza.

Il Verona, nonostante il passaggio a vuoto di Bologna, ci arriva sufficientemente competitivo. A centrocampo, quindi nel reparto determinante, Baroni ha trovato l’assetto e dispone di qualità e quantità. Ed Empoli a parte, le concorrenti non stanno meglio, anzi. Forse è poco, comunque può essere sufficiente. Certamente non entusiasma, ma questo è.

DEBOLI, EPPURE ANCORA COMPETITIVI (E SETTI HA SETTE VITE)

C’è una verità inconfutabile: Setti, a gennaio, ha rivoluzionato la rosa con una campagna vendite bulimica, eppure il Verona è ancora competitivo per salvarsi. Tecnicamente, senza Ngonge, ci siamo indeboliti, è chiaro, però ci tiene in vita la modestia di una serie A che ormai è un campionato periferico in Europa. Questo significa che, a differenza del passato, è più ampio il mercato dove reperire calciatori potenzialmente pronti anche senza budget imponenti. Ed è ciò che ha fatto Sogliano, che come tutti ha la sua rete di osservatori e agenti, ma poi ci mette l’occhio e l’intuito, e anche nell’ultima sessione ha ingaggiato qualche profilo interessante.

Poi non sottovaluterei l’aspetto psicologico: la crisi finanziaria della società paradossalmente ha rafforzato la figura di Baroni, prima allenatore precario e in bilico, oggi invece figura centrale. E lo si vede in faccia e nelle parole: il tecnico è più determinato e sicuro di sé. Baroni  e Sogliano hanno lavorato anche sull’aspetto mentale del gruppo: i reduci sono rimasti con forti motivazioni, i nuovi hanno l’entusiasmo di chi arriva. Il risultato è uno spogliatoio più “pulito”.

Nel frattempo sono cresciuti di rendimento dei calciatori chiave, penso a Serdar e Suslov, che possono essere i perni di un centrocampo che poche concorrenti vantano. In difesa non è arrivato un vero sostituto di Hien (per sei mesi sotto il suo standard), ma attenzione a Cabal, colombiano che può imporsi appena tornerà nel suo ruolo da centrale. Siamo leggerini in attacco e infatti sottolineavo che senza Ngonge siamo più deboli. Lì dipenderà molto dal contributo dei nuovi e se e come si riuscirà a rimettere in riga quel talento sopraffino che è Bonazzoli, che sarebbe il sostituto naturale di Ngonge.

Infine una nota societaria. La vera spada di Damocle che pende su Setti è quella giudiziaria (vedi il sequestro delle azioni e la querelle con Volpi), perché finanziariamente, a mio avviso, ha usato il mercato di gennaio per recuperare (in parte) quanto perduto con la mancata cessione parziale delle quote che sembrava a un passo prima dell’azione della procura di Bologna. Non andato in porto (per ora) il piano A, Setti è riuscito nel piano B. E adesso i conti della società non sono più così critici. Significa che il presidente del Verona ha ancora margini di operatività (e del potere negoziale in caso di trattativa di cessione del club), soprattutto se restassimo in serie A, ma anche con il paracadute se dovessimo retrocedere. Ha sette vite.   

SETTI? DEBOLE, DEBOLISSIMO, MA NON DATELO PER FINITO

Maurizio Setti si aggrappa a tutto per salvare il salvabile e resistere. Il presidente del Verona non vuole mollare la remunerativa poltrona (se ci pensate, anche la famosa trattativa con il fondo d’investimento era legata a una sua permanenza con un ruolo operativo) e prova a fare l’ennesimo strike della sua personalmente produttiva e fortunata esperienza da patron dell’Hellas: ripianare le perdite e, in qualche modo, seppure ancora con affanno, mantenere la categoria. L’unica via, questa, per continuare ad avere una fonte imprenditoriale di business.
Massimo risultato con il minimo sforzo, no? Più persone, anche il sottoscritto, di recente hanno definito Setti a “fine corsa” per le note vicissitudini finanziare e giudiziarie e per la conclamata incapacità economica di poter fare strutturalmente calcio. Ma attenzione a darlo per finito, l’uomo ha sette vite e probabilmente ancora qualche alleanza che conta.
Fonti istituzionali romane mi dicono di un suo ancora solido rapporto con Lotito, peso politico massimo del sistema calcio; e anche l’affare Ngonge, venduto a 20 milioni più bonus al Napoli di De Laurentis (altro storico “amico” di Setti) – sembrerebbe quindi al doppio dell’offerta della Fiorentina e comunque a una cifra di molto superiore a quella preventivabile – mi dà l’idea di un Setti non isolato politicamente in Lega.
Per capire questo, va analizzato credo ciò che ha rappresentato Setti per il sistema in questi anni. Un presidente capace, in un certo senso, permettetemi l’iperbole retorica, di stare al suo posto e di accontentarsi: rammento le cessioni dei calciatori più forti, in più di una circostanza dati a Lazio e Napoli a condizioni, secondo molti osservatori di mercato e addetti ai lavori, vantaggiose per gli acquirenti (a Verona in tanti hanno definito “svendite” quelle di Jorginho, Simeone, Rhamani, Zaccagni ecc). Insomma, a vederla così potrei ritenere che il Verona di Setti sia stato un (piccolo) pezzo perfettamente funzionale del grande sistema. E che ancora lo possa essere.
Non so cosa succederà da qui a fine gennaio, se la situazione è così drammatica che Baroni dovrà rinunciare anche a Suslov e perfino a uno tra Djuric e Henry, oppure se l’emorragia tecnica causata soprattutto dagli addii di Terracciano e Ngonge si fermerà. In quest’ultimo caso, sul piano calcistico non tutto sarebbe perduto, perdipiù se dovessimo recuperare psicologicamente Bonazzoli. Già, sembra incredibile anche solo poterlo scrivere, a quel punto il Verona potrebbe ancora lottare per restare in serie A. E Setti fare (l’ennesimo) strike.

MA IL PROBLEMA È NASCA O SETTI?

Mi rode Nasca. Ho sempre nutrito dubbi sulle modalità di utilizzo del Var, che è strumento utile, ma va riformato e usato per le situazioni oggettive e geometriche (per esempio il fuorigioco), con slot invece limitati per le situazioni di contatto fisico. E’ acclarato che gli arbitri, da quando c’è la tecnologia, non decidono più: anzi, sembrano la copia sbiadita della giovanissima Ambra degli anni 90 che dall’auricolare veniva “telecomandata” da Boncompagni a Non è la Rai.

Però in tutto il marasma di San Siro fa rumore anche il consueto silenzio del nostro presidente Setti, che quando butta male generalmente non si espone. Al contrario di Sogliano, che è andato a metterci la faccia con dichiarazioni forti che probabilmente non lo aiuteranno a fare carriera e gli sono già valse un procedimento della procura federale.  

Peraltro, a proposito di Setti, una riflessione di più ampio respiro ora, a freddo, va fatta. Ha ragione Sogliano, il Verona, anche se è un piccolo club di serie A, merita rispetto. Ma qui siamo nel campo della morale, che sappiamo non essere la virtù preferita del calcio professionistico; o del romanticismo, che nutre l’anima ma non trova riscontro nella cinica realtà. Allora voliamo rasoterra, come le rondini quando annunciano pioggia, e ragioniamo con il dovuto disincanto e con un pizzico di spirito provocatorio: è possibile godere del rispetto del “Palazzo”, dal momento che il primo che sembra non rispettare il Verona e i suoi tifosi è il nostro presidente? Un presidente che dopo anni a spiegarci che lui vendeva i giocatori migliori per salvare il bilancio, nell’esercizio 2022-23 presenta una perdita per oltre 11 milioni (nonostante in quell’esercizio i ricavi siano stati oltre 98 milioni, tra cui 31 per plusvalenze e 34 milioni di diritti tv). Un presidente che nella vicenda giudiziaria versus Volpi e con le azioni del Verona sequestrate paga oggi il suo “peccato originale” mai chiarito del tutto circa i controversi rapporti con il magnate ligure. Un presidente che ha la sua storica azienda tessile in concordato preventivo.  Un presidente che, dopo un’estate con un calciomercato senza budget e mentre il Verona (che ha già forti limiti tecnici di suo) è in piena lotta salvezza, anziché rinforzare la squadra è costretto a indebolirla ancor di più cedendo Hien e Terracciano (e chissà chi altro da qui a fine gennaio).  

Ecco, non vorrei che le vergogne di Nasca distogliessero l’attenzione dalla sostanza e dal cuore del problema del Verona. Che per chi scrive è un presidente debole e non più all’altezza del suo compito.

SETTI HA ANCORA LA FORZA DI RESTARE?

Ha alzato la testa, Maurizio Setti. Puntualizzando, anche un po’ risentito, nel monologo senza contraddittorio per i 60 anni del Bentegodi, che farà ancora parte della storia del Verona. Cos’è, un rilancio in grande stile? O l’ultimo afflato di chi non si rassegna al mutare delle cose, dei tempi e finanche delle ultime vicende giudiziarie? Si profila un Setti che può tornare a investire con i budget di inizio presidenza, o del secondo anno di Juric e della stagione di Tudor, oppure che rimane sì, ma come semplice socio di minoranza di una nuova proprietà? O invece quelle dichiarazioni sono un tentativo di alzare la posta nella trattativa della cessione del club?

Domande che in una conferenza stampa magari gli sarebbero stare poste, aspetti che certamente il presidente del Verona dovrebbe chiarire. Anche perché le sue parole, di per sé, non smentiscono nulla in merito alle notizie che si rincorrono sul futuro della società. E le ultime vicende legate alla procura di Bologna (leggi il sequestro delle partecipazioni sociali in HV di proprietà di Star Ball s.r.l.) certamente non contribuicono a rafforzarne posizione.

Va detto che fa piacere scoprire improvvisamente che Setti è orgoglioso di appartenere a una storia che di rado ha valorizzato e che talvolta ha dimostrato perfino di non conoscere (leggendaria e indimenticabile la gaffe in tv da Marzullo sull’Hellas Verona fondato dagli studenti greci), tuttavia permettetemi di sottolineare i tempi sospetti (date le notizie e i rumors sulla cessione…) di questa rivendicazione di appartenenza, che sembra più amor proprio che per il Verona. L’impressione è che il Ranzani che fu (che nostalgia per le stravaganti mirabilie del modello Borussia…), oggi, anche dialetticamente, sacrificato a quest’era dimessa, tenti di procrastinare quel che prima o poi appare ineluttabile.

I fatti raccontano di un Verona per il secondo anno consecutivo costruito praticamente a zero budget, con scommesse o incompiute, e campionati da fondo classifica. Nel frattempo, Setti ha visto andare in concordato preventivo la sua azienda, ora il sequestro preventivo. Siamo in serie A dopo uno spareggio e grazie a un livello generale sempre più modesto. Ma non può durare per sempre e la fortuna non ti assiste ogni anno. A suo tempo criticavo il piccolo cabotaggio settiano, adesso siamo oltre, probabilmente alla modesta e affannata sopravvivenza.

Perciò suggerirei un cambio di prospettiva nel ragionare sul futuro del Verona: indipendentemente da ciò che Setti vuole, cosa Setti davvero può? Tradotto: ha ancora la forza (economica e politica) di restare? E’ questa la domanda cruciale.

FATE PRESTO E (POSSIBILMENTE) BENE

Tutto è così surreale. Mentre parliamo di Baroni, del punticino strappato per i capelli a Udine, non sappiamo ancora del domani. Di cui, come diceva il Poeta, non v’è certezza, ancor meno con una trattativa da oltre cento milioni, che viene data a un passo dal closing, per la cessione di Setti della maggioranza del Verona. Setti che dovrebbe restare con una quota di minoranza e un ruolo operativo: la sua smentita non smentita (“continuerò a far parte della storia del Verona”), durante le celebrazioni dei 60 anni del Bentegodi, avvalora questa ipotesi.

Ma è faticoso discorrere e scrivere di ciò che ora ha tutta l’aria di essere provvisorio, precario, liquido. Baroni con due pareggi rocamboleschi ha messo la testa sopra l’acqua (per fortuna non era questione di modulo…), eppure si parla di De Rossi come tecnico già opzionato dalla nuova proprietà anglo-americana che, dai nomi del management che sono usciti, rimanda tanto al vecchio Genoa dell’era Preziosi. Sogliano, al momento, è bloccato e non può programmare il mercato di gennaio: domanda, sarà lui a condurlo con pieni poteri? Il ritorno di Marroccu non è mai stata smentito e, anzi, viene avvalorato da settimane da più organi di stampa nazionali. Tra l’altro, quanto può incidere un diesse dimezzato (dai media) nello spogliatoio?

Quel che è certo è che questo limbo transitorio crea disaffezione nella gente e distrae i calciatori, a cui non si può rimproverare l’impegno, ma che sono pur sempre professionisti. Meglio che si faccia chiarezza in fretta e si delinei a breve il nuovo equilibrio. La preghiera è proprio questa: fate presto e (possibilmente) bene.

VUOTO DI POTERE?

Mentre si rincorrono le voci (mai smentite) su una cessione della società a un passo dall’esser definita, la domanda – avrebbe detto Lubrano – sorge spontanea: chi comanda oggi nel Verona? Setti, o i nuovi investitori? O, in attesa di metter nero su bianco, nessuno?

L’impressione è che questa fase di transizione celi un vuoto di potere che certamente non è un fattore aggregante per allenatore e squadra. Sia chiaro, qui non vogliamo creare alibi a Baroni, che siamo stati i primi a criticare e sul quale non cambiamo giudizio (non ha il temperamento adatto alla piazza, ha perso il contatto con la squadra e paga, in termini di credibilità, il peccato originale estivo di non aver difeso il suo sistema di gioco, quindi le sue idee); piuttosto vogliamo spostare l’obiettivo fotografico più in alto, al centro della cabina di comando, per arrivare alla sostanza. Al riguardo un suggerimento forse ce lo dà la stessa conferma di Baroni, oggettivamente indifendibile dopo l’ottava sconfitta nelle ultime dieci partite (la quinta di fila): tenere Baroni sembra il segno di un non voler (poter?) decidere più che di una reale fiducia per il tecnico toscano.

Poi fa riflettere che il direttore sportivo Sean Sogliano, uomo di temperamento e solito metterci la faccia, una personalità carismatica capace di caricarsi sulle spalle gli oneri e mai rivendicare gli onori, nonostante una crisi così profonda stia mantenendo un atteggiamento low profile, coperto, taciturno (in pubblico, sia chiaro). Nel frattempo non aiutano a rafforzare la sua posizione i rumors, con tanto di articoli di stampa  (ancora una volta mai smentiti da Setti), di un Marroccu già direttore ombra. Dal canto suo Setti, mai avvezzo ad apparire in pubblico, questo giro sembra molto sulle sue anche nella quotidianità in sede, quasi che fosse in altre faccende affaccendato.

Sta di fatto che mentre pensiamo a Baroni e parliamo di Baroni, magari ci sfugge qualcosa di più profondo e importante. Vada come vada, meglio fare chiarezza al più presto, l’incertezza societaria si riverbera sulla squadra.