Temperamento, schiettezza e versatilità. Sono le tre parole che prenderei dalla conferenza stampa di ieri di Paolo Zanetti.
Il nuovo allenatore del Verona si è mostrato a viso aperto, spiegando ciò che doveva spiegare, in primis sul piano tattico, cioè che non è un fondamentalista: “Ripartiamo dal 4-2-3-1, ma con margini di adattabilità e la capacità di avere delle modifiche. Contano i principi di gioco e non i sistemi”. Tradotto: mi adeguo alle caratteristiche dei giocatori a disposizione. Snodo fondamentale, questo, con un diesse “fantasista” come Sogliano, che nell’assemblamento delle rosa guarda più al talento individuale e alla personalità del calciatore che alle caratteristiche tattiche. Perciò serve un tecnico che sappia adattarsi al mercato del direttore sportivo e non viceversa.
E proprio sul rapporto con Sogliano, Zanetti è stato chiaro, confermandoci perché è stato lui il prescelto nella rosa di Sean: “Io sono uno diretto e mi piacciono le persone dirette. In questo io e il direttore siamo simili. Il direttore è un libro aperto, ti dice le cose anche scomode, ma preferisco uno scomodo ma vero, a uno che ti dice che sei un grande e poi ti manda a casa dopo quattro partite (il riferimento a Empoli non era causale, nda). Anch’io sono così. Il nostro rapporto, dunque, si manterrà come è stato in questa fase iniziale, improntato alla schiettezza”. Attenzione, come andrà la relazione Sogliano-Zanetti è probabilmente la madre di tutte le questioni, la variabile dipendente che inciderà più di tutte. Questo perché quando lavori con un uomo totalizzante come Sogliano, ogni giorno sul campo, non puoi essere troppo primadonna o adombrarti di permalosità. Devi, anzi, avere dialettica, capacità di confronto (anche duro) e forza delle tue idee.
E Zanetti è certamente uomo di temperamento e passioni forti. Lo si è evinto anche ieri, sentendolo parlare. Non sono tanto le dichiarazioni ad avermi colpito, ma il tono di esse, la determinazione nel pronunciarle. Zanetti ha fame di rivincita e lo ha detto senza auto-censure, non gli è andato giù l’esonero di Empoli dopo i 43 punti della stagione precedente (“un’impresa sportiva. quella” ha ricordato). Per questo “quando mi ha chiamato il Verona ho sentito il serpente nello stomaco, per venire qui ho rinunciato a proposte economicamente più allettanti, ma non mi interessano i soldi, ho fame e spirito di rivalsa e questo è un club importante, allenare il Verona è una grande responsabilità”. Zanetti poi ha ammesso di sentirsi in sintonia sentimentale con la piazza, altro particolare non banale, perché il Verona storicamente ha sempre fatto bene con allenatori dal forte carattere più che con i giochisti.
Le premesse morali, tecniche e tattiche ci sono, l’impressione è (decisamente) buona. La parola al campo.