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VERONA CITTA’ CIVILE. LA DIMOSTRAZIONE DELL’OVVIO

Mi ha pervaso la malinconia ieri pomeriggio al Bentegodi. Non ero l’unico, se può consolarmi. Vedevo i bambini camminare innocenti sull’ex pista d’atletica accompagnati dallo striscione “Moro per sempre con noi”. Sentivo la grancassa di retorica tesa a riparare la vergogna dei cori di Livorno e volta a gridare all’Italia intera l’OVVIO: Verona è città civile.

Mi è scesa la malinconia perché fossimo in un mondo (del calcio) normale, non ci sarebbe stato bisogno di alcunché. Di nessuna manifestazione “riparatoria”, di nessun distinguo, di nessuno striscione. Di nessuna iniziativa per affermare e dimostrare appunto l’Ovvio, e cioè che siamo una città civile, con tutti i pregi e i difetti di qualsiasi comunità, che al suo interno ha ladri e gentiluomini, puttane e suore, delinquenti e uomini onesti. E che dentro una curva (come in tutte le curve d’Italia) mescola borghesi e proletari, passionali ironici e corrosivi, ma anche incontinenti reietti, magari un po’ sbronzi, che vedono nello stadio lo sfogo dei loro peggiori bassi istinti e perfino un senso di (macabra) identità che lì fa cantare contro i morti. In un mondo (del calcio) normale quest’ultimi li tratteremmo con la più totale indifferenza, derubricandoli a “fenomeni da stadio” e lasciandoli nel  vuoto cosmico della loro ignoranza (ma non stupidità, ribadisco il concetto).

Invece siamo nel calcio del “Grande Fratello”, che controlla e monitora tutto, dimenticando il buon senso e la logica, per il falso dio dell’immagine. E allora ci tocca manifestare, ci tocca ribadire con forza che “Verona non è quei venti pseudotifosi” (come se qualsiasi normodotato potesse pensarlo) e che Morosini è “uno di noi”, nonostante manco lo conoscessimo. Così senza che ce ne rendiamo conto, oltre a imporci – nostro malgrado – di strumentalizzare un morto che al limite dovrebbe essere ricordato spontaneamente, questo calcio malato e mediatico, con le manifestazioni di ieri, ci ha indirettamente  messo al livello di quei venti macabri ultras, costringendoci a prenderne le distanze, a calcolarli, a farli sentire, seppur in maniera negativa, ancora parte del gioco.

Non ce ne rendiamo conto perché anche noi, fruitori di questo calcio da troppi anni, abbiamo accettato con pigrizia e un po’ di complicità le sue regole di ingaggio, diventandone parte. E allora dopo il coro “contro” (che non sarebbe dovuto uscire dalla curva), ecco le manifestazioni coi bambini “pro”. Dopo il danno, la “riparazione”. Alla resa dei conti e a ben vedere, un doppio danno al senso normale delle cose.

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