Eccoli lì, pronti. Fucili spianati e pallottole cariche. Ci osservano a distanza, sadicamente speranzosi. Monitorano i nostri gesti, battiti di ciglia e lievi contrazioni del labbro comprese, come condor spietati. Ricordano quei giornalisti che preparano i “coccodrilli” prima che il morto muoia.
“Dai ululate, abbiamo già pronto il titolo”, sembrano dirci di sottecchi, giornalisti nazionali e compagnia di giro. “Su forza, abbiamo già studiato le sanzioni”, vorrebbero implorarci con infinita ebrezza, dirigenti di palazzo e cortigiani vari. Gemono già pronti all’orgasmo, dopo lunghe settimane di petting e un amplesso che sperano breve (l’inchiostro è caldo). Avvoltoi pronti a radunarsi copiosi sul cadavere. Balotelli – e poi chissà chi altro – sono solo le loro esche (complici o involontarie poco importa) nella battaglia più ipocrita che esista al mondo: il razzismo negli stadi. Battaglia redditizia, specie in termini di voti (c’è chi in FIFA grazie alle federazioni africane ci ha costruito una carriera).
Perché il razzismo (quello vero) è una piaga troppo grande e complessa, frutto di fattori antropologici, sociologici e (anche) psicologici, per ergere a testimonial i Boateng, i Thuram e lo stesso Balotelli. Che si prestano volentieri, ci mancherebbe, un po’ per sensibilità e un po’ (forse) per marketing, perché adesso il carro tira da quella parte, ma che non credo abbiano molto in comune coi Martin Luther King, o Mandela, in termini di ideali, passioni e fervore civile.
C’è Verona-Milan sabato, occasione troppo ghiotta per lor signori. Sono già pronti i “coccodrilli”. Ha cominciato quel giornalista brizzolato e capellone, un mese fa (lo stesso che spaccò il capello in quattro per difendere Cellino ai domiciliari), col pretesto di un suo follower su twitter, poi cancellato. Ha continuato, a pochi giorni dal match, una rivista americana, domandando lumi a Balotelli sui “tifosi del Verona che notoriamente sono i più razzisti d’Italia”. Una provocazione bella e buona, risaputi i rapporti non facili (per vecchie dichiarazioni dell’attaccante, all’epoca all’Inter, sulla città di Verona) tra i tifosi dell’Hellas e il centravanti del Milan, il quale, di grazia, non ci è cascato e morta lì.
Lo stesso devono fare tutti i tifosi del Verona, sabato. Non cedere alle eventuali smargiassate di Balotelli, che per indole tende a provocare e ad attirarsi antipatie. Fa parte del personaggio, te lo aspetti. E’ come vedere Paperon de’ Paperoni tuffarsi nel deposito di monete. Fa parte della narrazione. Ragion per cui è ininfluente quello che Balotelli combinerà fuori dalla sfera agonistica.
Nessuna reazione. Il plotone d’esecuzione è lì: non aspetta altro; e anche Balotelli sotto sotto ci spera, per assurgersi a simbolo dei diritti civili (“spero non dicano nulla, in caso contrario dirò qualcosa io” ha già anticipato). Balotelli come Mandela: sarebbe grottesco (e insopportabile). Lo volete? Io no.
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